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Autore: Sayumi    01/02/2013    0 recensioni
Un breve racconto, ispirato dal falò della Giubiana, festività folkloristica del mio paese (e quelli limitrofi) in cui si ha l'usanza di festeggiare nell'ultimo giovedì di gennaio nel centro del paese, organizzando un falò in cui viene issato un fantoccio che rappresenta la Giubiana, una strega che si narra essere una donna malvagia che vive nei boschi, con le gambe talmente lunghe che non tocca mai terra e rimane sempre sugli alberi, prendendo in trappola i bambini e strappandoli alle famiglie. Nella tradizione la strega viene infine catturata con un'esca composta da risotto giallo con la luganega (salsiccia), di cui la strega va ghiotta. Processata e infine bruciata, simboleggia anche tradizioni più antiche in cui si usa bruciare con un fuoco purificatore tutte le esperienze negative dell'anno trascorso e sperare che possa giungere un periodo positivo.
Con questo breve racconto, ispirato, ma non inerente alla storia originale, ho pensato di narrare l'esperienza di una donna ingiustamente condannata per stregoneria e arsa sul rogo in pubblica piazza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un breve racconto, ispirato dal falò della Giubiana, festività folkloristica del mio paese (e quelli limitrofi) in cui si ha l'usanza di festeggiare nell'ultimo giovedì di gennaio nel centro del paese, organizzando un falò in cui viene issato un fantoccio che rappresenta la Giubiana, una strega che si narra essere una donna malvagia che vive nei boschi, con le gambe talmente lunghe che non tocca mai terra e rimane sempre sugli alberi, prendendo in trappola i bambini e strappandoli alle famiglie. Nella tradizione la strega viene infine catturata con un'esca composta da risotto giallo con la luganega (salsiccia), di cui la strega va ghiotta. Processata e infine bruciata, simboleggia anche tradizioni più antiche in cui si usa bruciare con un fuoco purificatore tutte le esperienze negative dell'anno trascorso e sperare che possa giungere un periodo positivo.
Con questo breve racconto, ispirato, ma non inerente alla storia originale, ho pensato di narrare l'esperienza di una donna ingiustamente condannata per stregoneria e arsa sul rogo in pubblica piazza.

Spero vi piaccia.
Un saluto
SaYu


Strega



Il Padre aveva deciso che avrei dovuto vedere.
Questa sarebbe stata la mia punizione, osservare le facce di chi mi conduceva verso l'inesorabile cammino verso la condanna.
Lenti passi, appoggio i miei piedi sui sanpietrini, la superficie è ruvida e fa male al contato con la mia pelle, ma solo per poco.
La nebbia era salita, era appena terminato il mese di gennaio e con la mezzanotte sarebbe trascorso, ma a me non sarebbe stata concessa un'altra alba.
L'aria è fredda, sento l'umidità sulla pelle, che impregna i miei capelli e i miei vestiti, mentre il mio respiro non è altro che vapore che si condensa non appena fuoriesce al gelo.
Sento le corde stringermi, mentre lentamente il freddo torpore dell'inverno mi distrugge ogni centimetro, corrodendomi da fuori, verso l'interno.
Alzo lo sguardo, davanti a me l'espressione del boia, i suoi occhi appena visibili sotto il cappuccio. Non riesco a leggere pietà in quelle iridi spente e fredde.
Di fianco a lui altri uomini, lineamenti comuni, già visti, in quel piccolo borgo dove tutti conoscono tutti.
Mi spingono verso la pubblica piazza. Lentamente avanzo, faticando, su quel suolo sterile e ghiacciato dal freddo.
Sento come milioni di spilli sotto i piedi, ma non ho scelta.
Osservo tutto intorno, il frastuono di voci mi colpisce per la prima volta e mi sento piccola, insignificante.
La gente, eravamo così tanti in quel paese? Non ricordavo di averli mai visti tutti riuniti, o forse erano tutti quegli sguardi puntati che mi facevano sentire come soppiantata da quella tonnara di creature ansiose di scaldarsi alla fiamma dell'inquisizione.
Il prete si distingue in lontananza, sento il lento cadenzare della sua voce cantilenante, mentre legge versetti dal suo vangelo consunto.
L'odore di incenso mi colpisce e mi sento ancora più stordita. Procedo, ma solo perchè sento qualcuno alle mie spalle che mi invita ad avanzare.
E poi eccole, le voci sparse diventano una cosa sola e la sento, quella parola.
Strega.
Una mano calda mi sfiora per un secondo, sento tirare un lembo della veste e mi volto. Un attimo, un solo semplice istante e incrocio gliocchi di mia sorella, occhi gonfi, pieni di lacrime e posso leggere sulle sue labbra un "mi dispiace".
Poi altri volti, espressioni esaltate e ressa di persone protese verso di me, alcuni lanciano sassi sulla mia schiena, altri sputano insulti.
Ed infine eccola, la grande pira di legno e foglie.
Giace lì, al centro della piazza.
Dietro di lei si staglia imponente la grande torre campanaria, di fianco la chiesa.
Pesanti rintocchi annunciano la fine della messa e l'inizio di qualcos'altro.
Forse dovrei sentire le parole che il prete mi rivolge con disprezzo, ma riesco solo a percepirne un brusio indistinto.
Pur essendo circondata da tante persone decido di chiudere la mia mente a tutto quel caos e sentire per una volta solo me stessa.
Quante cose avrei voluto fare? Quante avventure mi avrebbero atteso?
Poi, al rimpianto per il futuro si affiancano i bei ricordi del passato. I dispiaceri non contano più, i momenti che voglio riportare alla luce sono solo quelli belli.
Mi ci aggrappo con tutte le mie forze e quasi mi sembra di riviverli.
Mi sollevano e mi sento legare all'asse di legno, stringono le corde e una lacrima scende al pensiero che me ne andrò, con ancora tutto l'amore del mondo chiuso dentro e troppi desideri che rimarranno a marcire in un cassetto perduto.
Eccolo, lo sento, l'ultimo, secco rintocco.
E poi arriva prima il fumo, mi blocca la gola, sento caldo, ma è in quel momento che tutto mi diviene chiaro.
Nella morte non mi dimenai, forse gli astanti ne rimasero un poco delusi, forse avrebbero voluto grida e lamenti. Suppliche.
Ma il fumo soffocò in me ogni energia prima ancora che la fiamma viva mi raggiungesse.
Io non so per quale motivo quella gente si ostinasse a chiamarmi strega.
A me piaceva solo curarmi con erbe e unguenti, amavo il mio gatto nero e consideravo quell'uomo vestito con abiti sacerdotali semplicemente un uomo come tanti altri.
Non ho mai incontrato nessun diavolo nelle passeggiate al chiaro di luna.
Non ho mai donato il mio corpo per festeggiare chissà quale festa pagana proveniente da chissà quale tradizione.
Gli animali non li ho mai uccisi, salvo per portare in tavola la cena ai miei figli.
Ero una donna, come tante altre.
Ero una madre.
Ora sono solo cenere.
  
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