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Autore: elyxyz    01/02/2013    13 recensioni
Questa fic contiene spoiler sulla puntata 4x04 “Aithusa”.
La storia prende spunto dagli eventi della puntata, ma ho rimaneggiato fatti e informazioni a mio piacere, portandoli verso un’altra direzione.
Ma Merlin non era solo un mago, era anche un Signore dei Draghi, forse l’ultimo di essi, e – come gli aveva rammentato il drago, tra un ruggito e l’altro, neanche tanto velatamente – lui aveva un compito di fondamentale importanza da portare a termine.
Era suo dovere prendersi cura di quella creatura non ancora nata. Glielo imponeva il suo ruolo, quel ruolo che suo padre gli aveva tramandato, sacrificandosi per salvargli la vita.
Kilgharrah era stato perentorio, a riguardo. E anch’esso, riconobbe Merlin a malincuore, aveva le sue giuste ragioni. E ottime argomentazioni.
[ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE)].
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Quarta stagione
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Aithusa 5

Eccoci giunti alla fine di questa mini-long.

Dovrei scusarmi del ritardo: mi sono lasciata trascinare da altre storie, dai casini di famiglia e dagli impegni lavorativi.

 

Anche qui valgono le stesse indicazioni dei precedenti capitoli.

La storia prende spunto dagli eventi della puntata 4x04 “Aithusa; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah a mio uso e consumo. XD
Senza spoilerare nulla della quinta stagione, confermo che questa storia era ed è rimasta un “what if” degli eventi.

 

Come ho spiegato ad alcune autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic su Aithusa, per non venirne influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo, questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.

In minima parte, è anche un omaggio a Saphira di Eragon, anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.

 

ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).

 

 

Anzitutto, grazie!
Ho visto che, nel corso di questi mesi, molte nuove persone hanno messo questa fic tra le preferite, seguite e da ricordare.

Mi piacerebbe davvero leggere un piccolo parere da parte loro… almeno adesso, visto che questo è l’ultimo capitolo.

 

Una dedica a crownless, chibimayu, DevinCarnes, Sheireen_Black22, Raven Cullen, Yuki Eiri Sensei, Sheireen_Black 22, elfin emrys, mindy e Orchidea Rosa.

Grazie per aver commentato.

 

Aithusa

 

[Our Egg, Our Mascot]

 

 

 

Capitolo V: Un Nuovo Inizio (The right thing to do)

 

 

Cosa sta facendo?” chiese il cavaliere allo scudiero, stupito quanto lui.

 

“Non ne ho idea.” Ammise il mago; e ad entrambi, seppur interdetti, non rimase altro che stare a guardare.

 

La bestiola aveva smesso di giocare tutto d’un tratto, sostando ferma e rigida per lunghi istanti, poi aveva preso ad annusare l’aria con interesse, allontanandosi un po’ da loro, calpestando l’erba come se stesse seguendo una traccia, un percorso noto solo a lei. Ad un certo punto, s’era fermata e aveva iniziato a girare su se stessa, compiendo una specie di danza in circolo.

 

“Che sia un rituale magico?” diede voce Arthur, incuriosito e preoccupato al contempo.

 

Merlin stava per dirgli che sì, poteva anche essere, ma Aithusa lo precedette accucciandosi e, dopo aver rilasciato un “Greeee” soddisfatto, si risollevò con l’intento di tornare da loro, lasciando in bella vista un puzzolente ricordino fumante.

 

“Uhm, no. Direi che non era un rituale magico, Sire. Considerò il servo, fingendosi serio, per non offendere il suscettibile amor proprio del suo padrone; eppure, appena il suo sguardo incrociò quello corrucciato dell’altro, scoppiò a ridere inevitabilmente.

 

“Merlin, non fiatare!” gli intimò, inutilmente.

 

“Oh, suvvia…” sdrammatizzò lo stregone. “E’ stata persino così gentile da allontanarsi per non ammorbarci con l’odore sgradevole! I vostri cani non hanno mai queste premure con me!” la difese.

 

Il drago, ignaro di tutto, fece ritorno, scodinzolando allegro.

 

“Ma guardala! Sta… sta sculettando!” denunciò il re, davanti all’ennesima assurdità della giornata.

 

“Eh! Sarà felice, no?” la giustificò. “Parola mia, Sire! Anche voi siete maggiormente di buonumore quando riuscite ad evacuare!”

 

“Merlin. Stai. Zitto.” Sibilò il sovrano, sollevando il busto con un gemito – le costole non gli davano tregua – lanciandogli contro un sasso, dispiaciuto di non aver null’altro a portata di mano per ritentare.

 

“D’accordo.” Concesse l’altro per accantonare la questione, conscio di aver esagerato un tantino, scansando la pietra per pura fortuna. “Vi fa ancora molto male?”

 

Nh.” Mugugnò il re, cercando invano una posizione confortevole contro l’albero a cui era appoggiato, e sdraiandosi quindi sull’erba, eppure la situazione non migliorò. “Mi costa ammetterlo ma, se non fosse già buio, ti manderei a cercare qualche altra radice con cui avvelenarmi. Sarebbe sempre meglio che stare così e…” egli s’interruppe, poiché il draghetto in avvicinamento era entrato nella sua visuale rasoterra.

Prima che Arthur potesse cacciarlo, il cucciolo finì quasi per cozzargli contro.

“Sciò!” sbraitò, infastidito da quell’invasione, alzando la mano e scoprendo, solo in quel momento, di non riuscire a farlo. Con orrore, Arthur ritentò, ma tutto il suo corpo sembrava paralizzato. “Merlin, tiralo via!” urlò quindi. “Non posso muovermi!” però il servo, credendo che scherzasse, non lo aiutò. “Mi mangerà!” guaì il sovrano sconvolto, incoerentemente, vedendo i dentini aguzzi ad un palmo dal suo naso.

 

“Macché!” lo smentì il servitore, mentre Aithusa lo annusava. “Riconosce il vostro odore, perché l’avete covata anche voi!”

 

“E se invece stesse cercando di capire se come pasto sarei di suo gradimento?” domandò il re, stridulo.

 

Merlin rise e intanto la bestiola si era chinata a leccare il petto di Arthur, nello squarcio della casacca dov’era stato ferito. Le sue zanne acuminate sfiorarono la pelle del torace, facendolo rabbrividire.

 

“Ecco, mi mangia!” profetizzò il nobile cavaliere, sull’orlo di una crisi di nervi. “Mi vuoi aiutare?!

 

“Ma… n-no…” fu il replicare più dubbioso del mago, che non capiva più le intenzioni del drago e se l’Idiota Reale stesse fingendo o meno.

 

“Il cuore! Mi mangia il cuore!!” strillò Arthur, spaventando a tal punto il cucciolo che Aithusa scappò via, per andare a rifugiarsi tra le braccia dello stregone, nascondendo il muso sotto la sua casacca.

 

Quella bestiaccia!, mi ha incantato!” strepitò il giovane Pendragon, risollevandosi di colpo in piedi e zoppicando, non appena sentì che era nuovamente padrone di sé e che le forze gli erano tornate. “Uh!” soffiò, tastandosi il costato e rimanendo con le dita appiccicose. “Ma… com’è possibile?”

 

Merlin, che davvero faticava a raccapezzarsi e a calmare l’inquietudine della dragonessa, chiese spiegazioni.

“Che avete, adesso?”

 

“Il dolore alle costole è… diminuito.” Rivelò il re, inspirando a pieni polmoni per verificare. Ed effettivamente sentiva meno male.

 

Aithusa vi ha guarito col suo potere!” gli spiegò il mago, arrivando alla soluzione dopo qualche istante di riflessione. “Voi, e la vostra malafede! Mi vuole mangiare’!” lo scimmiottò, guadagnandosi un’occhiataccia. “Vi ha immobilizzato solo perché ha capito che siete un Asino e non vi sareste mai lasciato toccare spontaneamente da lei!” gli appuntò, sapendo di avere ragione. “Dovreste ringraziarla, invece di urlarle contro!” lo rimproverò, cercando ancora di calmare il suo tremore.

 

Poiché l’unica risposta del sovrano di Camelot fu uno sguardo fugace alla maglia palpitante, che fungeva da nascondiglio, e un grugnito a metà strada tra un’ammissione coatta e una richiesta di perdono, Merlin accantonò la faccenda, anche perché la bestiola non smetteva di avere paura.

 

Per distrarla, dopo qualche coccola, egli si mise a giocare con un rametto secco, alla stessa maniera con cui avrebbe intrattenuto un gattino: muovendolo qua e là, faceva in modo che il drago lo seguisse, poi lo allontanava e lo avvicinava alle zampette, anticipando le mosse dell’essere magico di qualche istante, che pure pareva avvinto dal gioco, puntando il musetto ed emettendo un “Grrr-e” di concentrazione. Merlin ridacchiò, divertito; ma quando – dopo appena pochi minuti – Aithusa perse la pazienza e si fermò, anziché preparare l’ultimo assalto, spalancò le fauci e...

 

Il mago fissò incredulo il rametto carbonizzato che ancora teneva in mano.

“Ehi!” protestò. “Così non vale!” la sgridò, contrariato.

 

Arthur, invece, si mise a ridere. “E’ solo un cucciolo, Merlin.” Lo canzonò, per provocazione. “E ora smettila di giocare; è tempo di dormire…” gli ordinò, fintanto che il draghetto scodinzolava, e sbatacchiava le alucce tutto festoso, emettendo un vittorioso “Greeee!!

 

 

***

 

 

Accordarsi per come trascorrere la notte fu un po’ più complicato del previsto, ma Arthur era rassegnato all’idiozia del suo servitore.

 

Dopo averlo spedito a raccogliere legna da ardere, per alimentare il fuoco per le veglie successive – rammentandogli, stavolta, di sottrarsi a scampagnate infinite nel bosco, onde evitare che la sua regale persona si preoccupasse per l’inutile esistenza del suo servo –, Merlin aveva sbuffato con la solita irriverenza e si era incamminato. Tuttavia, impedire ad Aithusa di seguirlo si era rivelato un tantino più complesso. Alla fine, lo scudiero le aveva ordinato di restarsene vicino al fuoco e il cucciolo, mugugnando una serie di proteste strazianti, aveva infine ceduto a malincuore, sotto lo sguardo diffidente del re che si era rifiutato di intrattenerla facendole da balia e che, al massimo, aveva tollerato di doverla tenere d’occhio.

 

Quando lo stregone aveva fatto ritorno, carico come un mulo di rami secchi e sterpaglie, il draghetto gli era zampettato incontro tutto esuberante, divertendo il sovrano per l’eccessiva euforia.

 

“Sembra che tu sia mancato per delle lune intere!” ironizzò, compatendo il comportamento della bestiola che saltellava tutt’attorno al mago, gracchiando felice.

 

“E’ perché lei capisce il mio valore, Sire.” Lo rimbeccò Merlin, con lo stesso tono. “Siete forse invidioso?” lo pungolò, facendolo inalberare.

 

“Ma cosa diamine ti passa per la testa?!” s’indispettì, permaloso.

 

E il servo, facendo spallucce, decise di non replicare all’Asino Reale; quindi si rivolse alla dragonessa. “Ma quanto sei intelligente, tu!” la lodò, con una carezza sulla nuca squamata, venendo ricompensato da gorgoglii a profusione, che lo fecero sorridere come un ebete.

 

“Smettetela di amoreggiare, voi due!” li sgridò il sovrano di Camelot, burbero.

 

In risposta, il valletto sollevò gli occhi al cielo, ingoiando una rispostaccia. Quello che stupì Arthur fu che anche Aithusa sembrò esprimere la stessa insofferenza, ma certamente ciò era impossibile e lui doveva essersi sbagliato.

 

“Merlin, vai a dormire!” ordinò quindi, spiccio, imponendosi contegno e lanciandogli contro il proprio mantello.

 

“Ma Sire! E voi?” protestò il suo servo, come si era aspettato che facesse.

Arthur sorrise interiormente. Se quell’idiota si vantava di conoscerlo bene, anche lui poteva dire altrettanto.

 

“Io farò la guardia, ovvio.” Spiegò, con una punta di sussiego che evidenziava la scontatezza della questione.

 

“Farò io il primo turno!” propose lo stregone, osservando ora Sua Maestà ora il cucciolo che sembrava straordinariamente interessato alla discussione.

 

“Non se ne parla neppure!” lo tacitò il giovane Pendragon, incrociando le braccia.

 

Ma-

 

Arthur imprecò mentalmente contro la sua testardaggine.
“Punto primo, Merlin.” Elencò, con la consueta, regale presunzione. “Abbiamo già appurato che tu sei una pessima sentinella.”

 

Il mago arrossì, vergognandosi al cocente ricordo di qualche veglia addietro.

Però…” tentò ugualmente.

 

“Punto secondo, Merlin.” Enumerò nuovamente il monarca, con la medesima arroganza. “Io ho riposato tutto il pomeriggio, mentre tu hai giocato col tuo animaletto da compagnia.” Gli appuntò. “Perciò sono più riposato e vigile di te.”

 

Ma-

 

“Punto terzo, Merlin.” Espose ancora il re, contando sulle dita. “Non dormirei mai sonni tranquilli, sapendo che tu e questo drago scorrazzate in libertà, vegliando sulla mia incolumità.”

 

A quel punto, il mago si indignò.
“Non è corretto!” protestò. “Voi sapete che sorveglierei scrupolosamente la vostra-

 

“Punto quarto, Merlin.” Evidenziò Arthur, interrompendolo senza remore. “Il re sono io, comando io, e decido io. Giusto?” domandò retorico, con un ghigno di trionfo.

 

Il mago grugnì un “Asino Reale!” di lamentela, ma fu costretto ad assentire.

Subito dopo, però, egli lanciò uno sguardo ad Aithusa, e inevitabilmente si adombrò.

 

Il nobile, che parve cogliere le sue inquietudini, lo prevenne.

“Giuro, sul mio onore di cavaliere, che non le farò del male.”

 

L’incredibile sollievo, che vide fiorire sul volto del suo servo, lo fece quasi sentire in colpa, e poi ferito.

Davvero quell’idiota temeva che lui avrebbe approfittato del buio della notte per colpire il cucciolo?

Davvero credeva che si sarebbe abbassato ad un atto così meschino? Si fidava così poco di lui?

 

“Raccogli le tue inutili membra e quel sacco di pulci e vai a dormire. Ora.” Gli intimò, forse più duramente che nelle sue intenzioni.

 

Ma Aithusa non ha le pulci!” la difese il servo, senza soffermarsi sul tono del comando, eppure seguendo l’ordine, stendendosi vicino al fuoco, con il draghetto tra le braccia.

 

Quando Arthur gli prestò il proprio mantello, a nulla valsero le sue proteste.

“L’aria frizzante mi aiuterà a rimanere sveglio.” Aveva spiegato il nobile, appoggiando la schiena contro un tronco un po’ discosto dal falò, distendendo le gambe, e massaggiando la sinistra ancora dolorante.

 

In breve, ci fu solo il silenzio della notte a fargli compagnia, i richiami degli uccelli predatori e il gorgoglio dell’acqua che scorreva placida poco lontano.

 

Il giovane Pendragon si rilassò, concentrando l’udito sul respiro rassicurante di Merlin – che s’era addormentato all’istante, malgrado i buoni propositi – e che faceva da contraltare a quello più veloce del draghetto, anch’esso appisolatosi qualche momento dopo.

 

 

***

 

 

Arthur…’

 

C’era una voce, nella sua testa. Una voce femminile, di bambina.
Una chiamata mentale, un’eco soffusa e confortante, una bolla accogliente che scivolava in ogni anfratto del suo essere sanandolo e guarendolo.

 

Arthur…’

 

Ripeté, vezzeggiandolo sinuosamente, per spingerlo ad uscire dal suo bozzolo onirico.

 

La prima cosa che il giovane Pendragon vide, aprendo gli occhi, fu il cielo nero punteggiato di stelle sopra la sua testa.

Dannazione, si era addormentato anche se era di guardia.

 

La seconda cosa che percepì, subito dopo, per istinto, fu un peso estraneo che gli gravava sull’addome e sul torace, caldo e solido.

 

Allarmandosi, egli risollevò la testa di scatto, trovandosi a cozzare contro il muso del drago, che guaì di dolore.

 

L’istante successivo, trattenendo a stento un urlo, il re scattò in piedi, facendo ruzzolare sul terreno il cucciolo spaventato.

 

“Tu! Tu! Dannazione!” sibilò, frenando a fatica il tono, puntando un dito contro l’essere magico che tremava spaurito.

 

Aithusa sussultò ancor di più, sotto la sua ira, e Arthur intercettò lo sguardo della bestiola che fissava, ansiosa, Merlin addormentato e le sue braccia confortevoli e sicure. Un nido caldo dove rifugiarsi.

 

“No! Lascialo in pace!” stridé allora, ancora sottovoce, eppure perentorio nell’intonazione, tanto che il draghetto si paralizzò all’istante. “Quell’idiota si è già preoccupato anche troppo per te, oggi.” Lo sgridò.

 

Aithusa chinò il musetto in risposta, tanto da sembrare contrita. Eppure smise di puntare il servo, rinunciando ai propri propositi di salvezza.

Grrre” sussurrò, a sua volta, e ne uscì un lamento gutturale.

 

Il re sollevò un aristocratico sopracciglio, realizzando di essere stato sorprendentemente ascoltato.

In vita sua, non avrebbe mai creduto che si sarebbe trovato a parlare con un drago, facendosi – per giunta – obbedire. Ma, in fondo, quella non era neppure la stranezza più grossa che gli era capitata e, quasi sicuramente, in futuro gliene sarebbero sopraggiunte anche di più strambe.

 

Intanto la bestiola tremante, acquattata al suolo, continuava a fissarlo, in attesa.

 

Arthur si sentì quasi colpevole per averla terrorizzata tanto e, indeciso sul da farsi, si passò istintivamente una mano sulla faccia come per snebbiarsi la mente. Fu a quel punto che sentì la propria guancia e la tempia appiccicose.

 

Ripassando le dita una seconda volta, ma con più cautela e attenzione, realizzò che le abrasioni della caduta contro le rocce non c’erano più. Per questo, adesso non sentiva la pelle scorticata bruciare, perché era tornata liscia a integra.

 

Aithusa aveva leccato e guarito le sue sbucciature.

 

“Sei stata tu?” chiese, retorico. “Perché l’hai fatto?” si stupì, incredulo.

In fondo, a differenza del suo servo, lui non l’aveva mai trattata con particolare benevolenza o amicizia.

 

Greee” gracchiò la dragonessa, in risposta, scodinzolando.

 

“Perché lo hai fatto?” insistette il cavaliere, ammorbidendo il tono inquisitore. “Solo per far felice Merlin?” indagò.

 

Greee” ripeté il cucciolo.

 

Il nobile sbuffò. “Così non ti capisco.” Ammise, abbandonando ogni diffidenza.

 

Aithusa si prese il tempo di scrutarlo per un istante infinito, mentre lui, sotto osservazione, si risedeva a terra contro le radici dell’albero.

 

Arthur…’

 

Sentì echeggiare il sovrano, dentro di sé.

E di colpo sollevò la testa, incrociando lo sguardo d’onice della creatura magica, ancora in attesa.

 

Arthur…’

 

Ripeté il drago, come risposta al quesito del monarca. E tanto bastò.

 

“Vieni. Non ti farò del male.” Dichiarò infine il nobile, per acquietarla, e solo secondariamente per mantenere la promessa fatta a Merlin.

 

La bestiola non se lo fece ripetere due volte e, dimenando la coda e il musetto, lo raggiunse fermandosi ad un passo da lui.

Poi, prima che il re potesse fare alcunché per impedirlo, essa spalancò la bocca e ne uscì un folata calda, che andò a colpire direttamente la gamba ferita del sovrano di Camelot.

In quello stesso istante, il dolore all’arto contuso cessò. Le carni smisero di pulsare tormentosamente, gli spasmi dei muscoli cessarono.

 

“Merlin ha ragione a dire che il tuo è un potere miracoloso.” Riconobbe il cavaliere. “Grazie.” Dichiarò poi, come avrebbe fatto qualunque uomo d’onore, esprimendo la propria riconoscenza per quella provvidenziale guarigione.

 

Aithusa, tuttavia, si limitò a guardarlo con i suoi enormi occhioni neri. Poi, prendendo coraggio, allungò il muso verso la manica della tunica e, afferrandola con i dentini acuminati, la sollevò dalle cosce su cui era posata, per rivoltare il palmo della mano all’insù.

 

Arthur la lasciò fare, incuriosito e finalmente persuaso che il drago non gli avrebbe mai cagionato volontariamente alcun male.

 

“Cos’hai intenzione di fare?” le domandò, cercando di dare un senso a quel gesto.

 

Il cucciolo grugnì un soffuso “Gr-e” prima di leccare la palma scorticata che subito si sanò.

 

Capite le sue intenzioni, il giovane Pendragon allungò anche l’altra mano e il drago ripeté l’azione, completando la sua opera di guarigione.

 

Arthur ridacchiò sottovoce, un po’ per il solletico che la lingua rasposa gli procurava e un po’ per un pensiero che gli si era formulato in testa.

 

“Certo che sei proprio testarda, eh?!” considerò, con un sorriso e rinnovata ammirazione. “Avresti continuato a tampinarmi fino a che non avessi ceduto, facendomi riaggiustare del tutto?” scherzò.

 

Aithusa scodinzolò in risposta, lasciandosi sfuggire un acuto “Greeeee!”

 

Shh!” la tacitò il nobile, ponendosi un dito sulle labbra. E il draghetto, che comprese l’avvertimento, bloccò ulteriori slanci di allegria. Eppure il servitore, poco lontano da loro, mugugnò qualcosa nel sonno.

 

Sia Arthur che il cucciolo adocchiarono Merlin ma, poiché questi effettivamente non si destò, si scrutarono poi a vicenda, indecisi sul da farsi.

 

Dal momento che la notte era ancora lunga, prima di riprendere il suo turno di guardia, il cavaliere rimpinguò il fuoco morente, sotto il controllo vigile del draghetto, che non aspettava altro che un suo ordine.

 

“Vieni qui, dai.” Cedette infine il re e lei, dimenando la coda e sbatacchiando le alucce, corse ad accucciarsi sulle sue gambe con un piccolo balzo e un crocidare soddisfatto.

 

Il giovane Pendragon non si sarebbe mai aspettato di godere del tepore del suo pancino.

Era migliore di qualsiasi coperta, più caldo di qualunque scaldaletto avesse mai provato al castello. Persino le sue vesti di pelliccia sfiguravano al confronto.

 

Aithusa, dopo aver trovato una posizione confortevole, aveva strofinato il musetto contro il suo torace e poi aveva arrotolato la codina attorno al suo polso destro.

 

Arthur, restio a quel contatto, aveva sollevato un sopracciglio, sul punto di protestare, ma all’ultimo aveva rinunciato e, con uno sbuffo di condiscendenza, l’aveva lasciata fare.

 

In fondo, era solo un cucciolo neonato, e probabilmente quell’idiota di Merlin l’aveva già viziato all’inverosimile.

Per questo, il re si sentì in dovere di accarezzare la schiena della bestiola distrattamente, per conciliarle il sonno e, se non fosse stato un drago, Arthur avrebbe giurato di averla sentita fare le fusa.

 

Pur dandosi dello sciocco, il nobile non smise quelle coccole, per ripagarla almeno in parte dei suoi servigi.

 

Anche se non aveva ancora riflettuto – come avrebbe voluto – sul futuro del piccolo draghetto, era ormai certo che l’unica via fosse condurlo a Camelot.

 

Gli costava ammetterlo, ma Merlin aveva avuto ragione su molte cose, e i poteri di Aithusa e la sua indole buona avrebbero potuto salvare la sua gente.

Lei era un dono prezioso. Un buon auspicio per Albion, l’aveva definita il suo servo.

 

Non sarebbe stato semplice, questo no.

Avrebbe dovuto lottare, affinché Aithusa venisse accettata dai nobili del castello, affinché il Consiglio superasse vent’anni di diffidenza e odio contro i draghi e la magia.

Lui, per primo, non si credeva del tutto pronto. Eppure sentiva, nel suo cuore, che era la cosa giusta da fare.

 

Sì, non tutti gli esseri magici erano cattivi e pericolosi, e lui aveva quella certezza fra le sue braccia.

 

 

Fine

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!

 

Note: Il colore del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è possibile farlo in modo realistico. U_U

 

Per pignoleria, faccio notare che durante la puntata l’uovo cambia colore un numero imprecisato di volte.

All’inizio è bianco, con l’apice e il pedice azzurrognoli, alla fine è tutto blu chiaro. XD

 

Il potere taumaturgico dei draghi è più volte utilizzato nel telefilm di Merlin.
Nel finale della quarta stagione, abbiamo visto che uno sputacchio di Aithusa rimette in vita anche una Morgana moribonda, no? XD

 

 

Avviso di servizio: A chi interessa, Linette 69 arriverà nel giorno del suo terzo compleanno.

E la raccolta comica spoiler The Once and Future… Prat. è stata aggiornata al 4° capitolo qualche giorno fa.

 

 

 

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Grazie (_ _)

elyxyz

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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