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Autore: dubious3    01/02/2013    0 recensioni
 
"Con l'immagine di quel lampo di mezzodì nella mente, Mub tornò ad osservare la sfera morente. Sebbene gli avesse portato via un occhio, si rendeva di non provare alcuna repulsione nei confronti del Sole; piuttosto un'attrazione, un anelito a cui la sua mente tendeva ogniqualvolta non era occupata da altri pensieri.[...] Per quale motivo quel portatore di luce, così generoso nell'elargire calore ad ogni vivente perseguitava con tale foga la sua stirpe? Era forse per la depravazione, per quell'innato piacere che provavano gli orchetti nell'osservare la sofferenza altrui, lo stesso piacere che aveva sentito quando il vecchio Skaraum era scivolato dalla trave e veniva trafitto dai raggi che filtravano oltre la paglia?"
Dedicato a tutti coloro che, tra tutte le difficoltà, hanno la forza di alzare gli occhi verso il cielo.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Above

 

E se il sole può donare al cielo il suo arcobaleno più bello solo dopo un temporale, anche la vita, forse, ci maltratta un po’ per poterci offrire qualcosa di prezioso.
Laura Tangorra



Attenzione: in questa fiction saranno presenti alcune piccole ma importanti divergenze con il mondo descritto da J. R. R. Tolkien, riguardanti in particolare gli effetti che ha il sole sugli orchi.


Il sole di Bosco Atro moriva oltre l'orizzonte, circondato da una fitta radura di alberi. Mub alzò lo sguardo per vedere gli ultimi spicchi del disco di luce prima dell'imbrunire. I suoi tenui raggi trasmettevano ben poco calore al volto dell'orchetto, grinzoso e pieno di bozzi come la spessa cotenna delle bestie del sud; si limitavano ad accarezzarlo, mascherandone il colorito terreo.

Mub sostenne la luce del Veliero per qualche istante, poi spostò l'occhio stanco verso i licheni. Da sempre, o almeno da quanto lo snaga ricordava, la sua stirpe odiava a disprezzava il sole con lo stesso furore con cui malediva gli abitanti delle Foreste, o tozzi Nani o gli Uomini: per loro, il rovente lucore dell'astro non sfigurava ad abilità nell' infliggere strazio con picche, frecce, o asce. Aveva ancora nelle orecchie le maledizioni e gli improperi che la propria banda rivolgeva all'alba quando questa li sorprendeva a saccheggiare i villaggi degli Uomini nelle Terre Selvagge, seguite dalle disperate fughe in cerca di un anfratto, una casa diroccata, un qualsiasi rifugio dove i dardi di luce non avrebbero torturato le loro carni.

Suoni più grotteschi erano le urla di dolore di coloro troppo stupidi ed avventati per trovare un nascondiglio; di quelli, Mub rivedeva i mugolii disperati e rotolare incessante, unito ad un olezzo di carne putrida che bruciava, rosolando lentamente. Raramente gli orchi riparati dall'ombra facevano uscire anche un solo dito per aiutare i torturati: sarebbe stata più probabile e meno degna di meraviglia la vista di un Nano rasato che quella di un orchetto che rischia la propria salute per aiutare un altro, fosse anche membro della propria razza. A meno che un orchetto più grosso o superiore a lui di grado non lo avesse minacciato di tagliarli il capo e darlo in pasto ai Warg, era ovvio. E i capiguerra in cui era più forte l'astuzia che la depravazione non tolleravano che i propri subalterni finissero cotti come maiali. Per questo i membri delle tribù più forti e temute venivano quasi sempre tratti in salvo da una mano alleata... ma mai subito.

Le labbra dell'orchetto, crepate dal freddo fino a che uscivano chiazze rossastre, si unirono in un sorriso sbilenco. Quante risate i suoi si erano fatto nel vedere certi vermi troppo cresciuti ed arroganti strisciare a bocconi e vomitare insulti! Che spasso, specialmente quel vecchio pomposo di Skaraum.

Skaraum... da quanto tempo non vedeva più quel corvaccio senza penne? Piccolo di statura, naso grifagno per metà cadente, occhi cattivi e sempre spiriti per il vino, Skaraum era uno dei membri più vecchi di esperti delle Picche dell'Ombra, banda tra le più efferate e pericolose ad est del reame di Lorién, e della quale Mub aveva fatto parte per più tempo di quanto riuscisse a ricordare.

In interminabili scorrerie Skaraum aveva mostrata una tempra di feroce ed astuto guerriero, portando di scalpi di milizie da ogni lato delle Terre Selvagge, dal Grande Fiume alla Montagna Solitaria. Litri di vino saccheggiato in ogni angolo del Rhovanion e colpi su colpi sulla zucca lo aveva ridotto a poco più di un sacco d'ossa, con il cranio ricoperto di bozzi più di una collina e un caratteraccio che avrebbe rivaleggiato con un Nazgul.

 L'ultima volta che aveva visto la sua brutta faccia era durante una rissa al confine con il reame Esterling, con la banda dei Nani Scuoiati. Il loro capo, un vecchio grassone figlio di goblin, si era accampato con la propria marmaglia accanto al villaggio occupato dalle Picche, asserendo che il centro abitato ed ogni cosa al suo interno fosse di sua proprietà, e che avrebbero dovuto alzare i tacchi e sparire per l'alba, se non volevano essere trucidati sul posto. Quelli delle Picche, nemmeno a sottoscriverlo, dissentivano alquanto su questa occupazione, e lasciarono al filo delle loro spade e alle zanne degli Warg il compito di risolvere la discussione. Poche ore di civile massacro, ed ogni verme dei Nani Scuoiati era finito ucciso o fatto prigioniero, salvo coloro che avevano avuto la codardia- o sarebbe più corretto chiamarla buon senso- di fuggire a gambe levate.

Quella sera, i guerrieri accoppati da Mub ammontavano a tre: aveva scannato un Uruk particolarmente grosso e tonto, saltandogli sulla schiena mentre sferrava mazzate ai suoi compagni nella piazza principale; gli altri due, più piccoli, li aveva decapitati all'interno di una locanda, affrontandoli a viso aperto.

Mentre ripuliva la scimitarra dalle chiazze di sangue con un vecchio panno da barista, udiva qualche verso in Linguaggio Nero di una canzonaccia che gli ubriachi solevano canticchiare. Alzò lo sguardo: Skaraum stava appollaiato su una trave sopra la propria testa, con in bocca una fiaschetta tutta unta di vino. Ciondolava da un lato all'altro dell'asse con il ritmo di un pendolo, emettendo sgraziati gorgheggi ad ogni verso.

- Tre bottiglie di rhum... hic...per un Nano dentro burzum... hic.... E' tanto bello il rhum... hic.... nascondetelo in burzum!"

Ripensando a quella cantilena, Mub si era coperto la bocca con un guanto per non farsi sfuggire uno sghignazzo fuori posto. Quella volta si stava sganasciando dalle risate, ma non era consono ridere nel mezzo di una marcia in una foresta irta di pericoli.

-Scendi giù, vecchio ratto di cantina!- Gli aveva detto. - Il Capo ha appena ripagato il numero uno dei Nani Scuoiati con la sua stessa moneta, e ci ordinato di recarci ad ammirare la cotica di quel maiale messa a sventolare sul campanile prima che sorga l'alba. Scendi, giù!"

Skaraum sembrava essersi accorto che qualcuno gli parlava. Strabuzzò gli occhi ed e sporse in avanti il collo ossuto per vedere chi stesse disturbando la propria veduta. Pareva davvero una cornacchia con la testa spennata, e forse lo era in una certa misura: come sarebbe riuscito un scricciolo così malandato a salire così in alto, altrimenti?

-Hic... sei tu, Mub,- assunse un'espressione disgustata. -Tu e la tua mania di rovinare sempre i vecchi piaceri della vita! Voi giovinastri siete galline senza cervello: basta che un pollastro dalla voce grossa e la chioma vistosa si metta a starnazzare e voi iniziate a scorrazzare e sbattere da tutte le parti, neanche vi avessero infilato la brace nel culo!-

-Quel gallo non ha solo la voce grossa, ma quaranta chili di muscoli in più di te ed uno spadone lungo abbastanza per trapassarti e poggiarti su uno spiedo,- Mub aveva replicato in tono meno brusco, ma non in termini.

-Dubito però che sprecherebbe tempo: la carne che ti è rimasta attaccata alle ossa non darebbe un pranzo soddisfacente al suo bastardino-.

Il vecchio orco aveva scagliato la fiaschetta sopra di sé. Poiché l'unica protezione che la casa aveva era una copertura di paglia tenuta insieme da tronchi di legno, l'oggetto si era infilato nel tetto senza difficoltà. Il liquido rimanente si era riversato negli steli, colorandoli di un viola brunito.

-Che Garm si fotta, lui e la sua mania di saccheggio indiscriminato! Tanta fatica e sudore per un vino che sa del piscio del mio Mannaro. Potevamo scegliere un obbiettivo che non sia abitato da pezzenti e pieno di roba da pezzenti! I villaggi della Montagna Solitaria, quelli sì che erano prede da gran signore. Mercanti da ogni giungevano a commerciare, con carovane piene di mirra e spezie da stremare i muli! E l'oro, tanto oro quanto questi zotici non riuscirebbe a sognare neppure se fumassero i funghi del Grande Fiume da mane a sera. E il vino! E le puttane! E le...-

-Le guardie...- Lo aveva interrotto Mub. -Se non ricordo male, i nani sono gelosi dei loro tesori e della loro tranquillità, e ne hanno ben motivo, considerati i termini da uccello rapace con cui li descrivi. Le loro armature sono resistenti, i loro scudi larghi e spessi, e le loro asce ben più affilate dei coltellacci e i forconi di qualche villico".

Skaraum aveva sputato dritto nella paglia ed abbassato la schiena, dondolandosi leggermente. Sui suoi occhi si leggeva la nostalgia di chi aveva vissuto una vita di battaglie all'ultimo sangue e scontri gloriosi, ed era consapevole che tempi simili fossero perduti per sempre.

-Anche gli scontri erano davvero da signori. Sopravvive a scontri con milizie dell'Erebor e mandavo all'altro mondo Elfi rognosi prima che tu avessi i denti per lacerare la carne, ragazzo. La vita era tosta, ma come era divertente! Quando ero più giovane la nostra banda si lanciava in ritirate strategiche da sogno. Agguantavamo quei piccoli culi in calzamaglia e li tiravamo giù dagli alberi a grappoli. Brulicavamo dentro quelle foreste zompando come lepre, e ci arrampicavano meglio degli scoiattoli. Abbiamo preso più ranger di quanto immagini, afferrandoli per i piedi e scaraventandoli a terra; prima che avessero il tempo di infilare le mani nella faretra... zac! Insaccati come maiali.

Certo, non è sempre stato facile: quei bastardi hanno orecchie aperte e occhi aguzzi e vigili. Hanno sforacchiato un po' dei nostri, ma pochi, davvero pochi rispetto ai beoti di bande ben meno organizzate. Noi studiavamo il terreno, gli alberi; annusavano il vento, sentivamo gli odori del muschio e del ginepro. Colpivamo rapidi e spietati, tutt'uno con il fogliame, silenziosi come le ombre degli alberi, letali come spettri di vecchi cumuli. Che tempi erano quelli...-

Poi Aveva alzato il capo, sussultando per il peso dei ricordi; o forse era un singhiozzo, Mub non era mai riuscito a decifrarlo. Nondimeno, non si era arreso nel convincere il vecchio:

-Vecchio, tempo per ricordare i momenti andati ne avrai quanto ne desideri, ma solo dopo aver obbedito agli ordini. Garm non avrà più cervello di una vacca, ma un capoguerra è un capoguerra. Fossi nei tuoi panni, scenderei da lassù ed eseguirei il suo ordine. L'ho visto parecchio impaziente di mostrare il suo trofeo...-

- Garm è solo un figlio di scrofa che ha avuto il culo di essere il più grosso in una combriccola di cani rognosi. Ho visto tre capiguerra guidare questa banda prima di lui, ognuno dei quali capaci di schiacciarlo con un mignolo: scommetterei l'anima che vedrò salirne almeno un quinto".

- Non se ti comporti da testardo avventato, vecchio-.

- E tu non dare del cornuto all'asino, bue insolente. Devo forse ricordarti perché sei orbo ad un occhio?-

Non che ne fosse affatto bisogno: lo straccio di lino color cremisi, ormai liso e dalle fibre svolazzanti, che gli avvolgeva la testa scendendo sulla metà destra della faccia, era lì anche come monito. Invero, il sole invernale di Dol Guldur non era il primo verso cui Mub aveva osato alzare lo sguardo. Un'altro, in tempi molto più antichi, quando era poco più di un ragazzo. E poteva considerarsi persino saggio nella sua follia, poiché il suo buonsenso non lo aveva abbandonato al punto da tenere aperto anche l'occhio sinistro.

Con l'immagine di quel lampo di mezzodì nella mente, Mub tornò ad osservare la sfera morente. Sebbene gli avesse portato via un occhio, si rendeva di non provare alcuna repulsione nei confronti del Sole; piuttosto un'attrazione, un anelito a cui la sua mente tendeva ogniqualvolta non era occupata da altri pensieri. Spesso, quando il sonno lo coglieva dopo una razzia particolarmente spossante, il suo pensiero volava oltre il la volta celeste per congiungersi con quell'astro che mai si sarebbe fatto corteggiare da un orco.

Per quale motivo quel portatore di luce, così generoso nell'elargire calore ad ogni vivente perseguitava con tale foga la sua stirpe? Era forse per la depravazione, per quell'innato piacere che provavano gli orchetti nell'osservare la sofferenza altrui, lo stesso piacere che aveva sentito quando il vecchio Skaraum era scivolato dalla trave e veniva trafitto dai raggi che filtravano oltre la paglia?

Mub non sapeva perché fosse così, perché sentisse questo bisogno di vedere morte e dolore impressi sul volto degli altri. Quando la sua figura di neonato era sbucata dalla terra, aveva annusato l'aria e saziato la propria fame con la carne di un vicino più debole. Così ogni altro orco agiva appena nato: la crudeltà ammorbava ogni fibra del loro essere, li spingeva ogni giorno a combattere e uccidere e torturare e a bruciare.

Spesso Mub aveva riflettuto su questa malignità innata, questa perversione sadica dell'istinto di lotta che pure è comune ad ogni essere vivente, quando esso si trova minacciato. Tante, troppe volte si era ritrovato ad assecondare questo male, la spada lorda del sangue di compagni e fratelli del giorno prima che lo aveva assalito in preda ai fumi del vino

Nessun mezzo era troppo disonesto o ributtante per avanzare nella società Uruk, nessun trucco troppo disonorevole, nessun omicidio troppo efferato. La prima cosa che ogni orchetto deve apprendere, se vuole preservare a lungo la pellaccia, è che lo tempo che si può riservare alla fratellanza e alla moralità è quello tra una razzia ed un'altra; e Mub aveva il diritto di reputarsi abbastanza longevo.

Tutto questo non era mai stato così lampante da quando Lui era tornato. Fuoriuscito dall'oblio di un passato talmente remoto che i guerrieri della sua tribù rappresentavano in canti e leggende davanti al focolare e all'idromele, Lui aveva reclamato la sua podestà sugli Uruk in nome di oscure alleanze e legami talmente ancestrali da risalire agli albori del tempo. A Dol Guldur, le poche informazioni che Mub aveva origliato sul Suo conto per bocca di schierani che Lo servivano sin nelle Terre d'Ombra riguardavano il Suo ritorno al mondo dei viventi, sopraggiunto quasi due millenni prima nella stessa fortezza che presidiava. Quali fossero i suoi viaggi negli anni bui in cui solo lo spirito Gli rimaneva, quali misteriose mete o direzioni aveva preso il Suo spettro, a nessuno era dato sapere.

Malgrado ciò, solo recentemente aveva incominciato a manifestare ancora il Suo potere nella Terra di Mezzo. L'Ombra di Bosco Atro, cappa di tenebre sua fedele compagna, aveva incominciato ad espandersi nelle Terre Selvagge, ammaliando ed attirando gli orchi a sé come il polline fa con le api. Bande dei simili di Mub sciamavano ogni dove, prese da una frenesia di morte; l'ebbrezza della devastazione raggiungeva il parossismo.

Né l'ardore guerriero o la rinnovata erano, tuttavia, il segnale di un cambiamento epocale nelle loro incursioni, ma l'Ombra, che seguiva gli orchi ogni dove. Mub ricordava i primi tempi di questa nuova era: i suoi compagni, come ogni alba, si erano ritrovati tremanti all'avvicendarsi del giorno alla notte, cercando riparo nelle tenebre. Come ogni alba, qualche sciocco si era fatto sorprendere dal sole. Diversamente dalle albe di un'Era, nessun orchetto bruciò, crollò o ululò dal dolore. Il più sconvolgente e gradito dono che Lui aveva fatto alla razza degli orchi era l'immunità dalla vituperata luce del giorno.

Per gli orchi fu come risvegliarsi da un incubo, e per Mub lo sarebbe stato più di tutti. Finalmente il sole che innumerevoli notti aveva sognato era a portata del suo sguardo. Soffuso dalla Sua volontà avrebbe potuto gli alzare gli occhi verso quell'amante ritroso e spietato, costringere la sua luce ad illuminargli il volto e a riflettersi nell'unico occhio che aveva. Ogni giorno avrebbe potuto fissarlo, godere che quella fiamma viva, tanto possente e temibile, non avrebbe mai più potuto fargli del male. Gli avrebbe sussurrato, in silenzio, in ogni occasione in cui le sue tenue dita di rosa avessero strappato alla notte il dominio sul mondo, parole di scherno:

- Tutto il creato dipende dalla tua luce; come madre elargisci, sempre turgidi, il latte della vita. Le foreste crescono sotto di te, rigogliose; gli uccelli cinguettano al tuo splendore; uomini ed elfi cantano la tua gloria; persino i nani, avvezzi a scavare sotto le montagne come talpe, godono di tanto in tanto nel sentire le barbe trastullate dai tuoi raggi. Perché, nemesi della mia stirpe, solo noi e i Vagabondi* rifiuti? Quale antica offesa, quale sdegno atavico la mia stirpe ti ha arrecato perché non ci dessi alcuna requie?

Sono forse i crimini di cui la nostra razza a renderla tanto odiosa al tuo sguardo? Non tormentarci con la tua ipocrisia. Nei lunghi secoli in cui hai donato il tuo bacio al mondo, quante guerre e assassini hanno compiuto sotto la tua luce? Quanti furti, parricidi, stupri, menzogne? Sempre uguale, stella dannata, hai brillato su giusti e carnefici, eppure riversi su noi orchi un ardore straziante che incendia le carni e acceca lo spirito.

Capricciosa sei, stella infernale, e talora volubile nel tuo eterno viaggio: ti eclissi dietro alla luna, nascondi la tua presenza agli occhi di un mondo che pende dalle tue labbra. E crudele sai essere, demone di fuoco, anche nei confronti dei tuoi beniamini: non scotti forse i capi dei fanciulli, quando si dilettano a giocare e correre nei campi nelle ore del giorno più belle? Non togli l'aria preziosa a vecchi e bestie nelle torride estati? E i campi? Quanta acqua hai rubato da prati rigogliosi finché non avrebbe mai più dato frutto? Traditrice! Assassina! Sotto una pelle calda come l'amore batte un cuore di basalto!-

Avrebbe potuto, sì... ma il coraggio gli era sempre mancato. Da quando il suo capo si era piegato dinnanzi alla potestà di Lui, qualcosa tra lui e il Sole si era incrinato. Un senso di nausea gli si era infilato in gola, ed era sceso fino al cuore, offuscando tutte le gioie perverse che in troppe volte gli orchetti provano quando si abbandonano alla loro natura ferale.

- Deve essere perché mi sono votato a Lui...- Era giunto a questo conclusione dopo anni di riflessione. Si era aspettato che il potere che risiedeva a Dol Goldur fosse grande e terribile, date le elargizioni al suo popolo, ma ciò che aveva trovato nella fortezza superava le immaginazioni dell'orco più folle.

Lui non si faceva vedere mai in giro; sovente rimaneva nel salone regale della fortezza, aleggiando e meditando oscuri piani incomprensibili per le menti mortali. Mub era giunto al Suo cospetto solo una volta, mentre Lui castigava personalmente un capitano che aveva lasciato indietro la truppa per colpa di un'imboscata degli Elfi. Non avrebbe accettato tutto l'oro del mondo per tornare un solo attimo accanto a Lui; se la sorte lo avesse portato nella stessa condizione di quel malcapitato, dubitava che avrebbe esitato un istante a sventrarsi con le proprie mani.

La natura di quell'essere era come la sua anima: tenebre e tenebre senza fine, dove Mub dubitava vi fosse una minima vestigia di umanità. Malevolenza incarnata, agiva come una forza della natura- ovvero contro la natura stessa, piuttosto- più che come vivente. Oscuro Signore? Il termine sembrava a Mub ridicolo: i capoguerra orchi più gonfi di ambizione e potere si fregiavano del titolo di "Signore", che al Suo confronto erano meno che insetti.

Il Suo volere non conosceva ostacoli, né il suo cuore rimorsi; non si sarebbe fermato finché il mondo interno non si fosse prostrato ai suoi piedi. Nemmeno un comando, bastava la Sua sola presenza per porre fine alla vita di ognuno. La Terra stessa pareva impotente dinnanzi ad un simile male.

Lo sguardo di Mub si fece ancora più malinconico. Sentiva dentro di sé che quel Sole che brillava debolmente su Bosco Atro sarebbe stato l'ultimo della propria esistenza, e ciò gli aveva dato la forza di poggiargli lo sguardo. Il suo era un addio a quella luce tanto amata e tanto odiata che vedeva prossima a sparire per l'eternità, inghiottita per sempre da una notte di incubi senza fine e senza stelle.

Suoni di passi della neve, rapidi, scricchiolarono nella foresta. Mub si risvegliò da quella stato di Limbo. Agitò il capo ripetutamente per disperdere il flusso di pensieri; era nuovamente concentrato e pronto alla battaglia. Afferrò l'impugnatura di due rozze scimitarre, tenute nell'elsa da una spessa cintura di cuoio adornata da borchie.

Altri orchi attorno a lui, un'accozzaglia di sei ceffi uno più vaioloso dell'altro, si riunirono in un cerchio con le spalle coperte, così che nessun nemico li avrebbe potuti attaccare alle spalle. Il più grosso di loro, Kala l'Uruk, calvo, pelle livida come quella di un congelato e nemmeno un pelo in testa, annusò la gelida aria invernale. Da come grugnì, divenne ben chiaro che c'era qualcosa di ben più pericoloso da odorare che l'humus.

Mub girò gli occhi, proiettando la propria vista oltre gli alberi. Ragni abnormi, imbevuti di magie oscuri aveva preso la foresta come tana, usando querce e faggi come nidi per la loro mostruosa prole. Non v'era fusto nell'arco di dozzine di metri che non fosse ricoperto di ragnatele da cima a fondo, spesso da strati così fitti da trasformare piante in pilastri ferrigni coronati da lucide uova, grosse come quelle di gallina.

Un tale dominio di bestie alleate con Lui avrebbe dovuto infondere sicurezza nell'anima dei Suoi servitori, invece ne acuì l'ansia: un assalitore che non è nelle condizioni di sfruttare il territorio ai suo vantaggio può essere solo pazzo e privo di remore o potente abbastanza da non averne bisogno.

Rumori viscidi si aggiunsero ai passi, assieme ad urla strozzate: l'intruso stava calpestando cuccioli di ragno. L'Uruk si direzionò verso il destro, seguendo i suoni. Il nemico doveva muoversi in senso orario, seguendo una traiettoria curvilinea.

-Brutta cricca di infidi bastardi!- Urlò l'enorme orco alzando verso il cielo un pugno. La mano, inguantata  in una manopola in acciaio nero talmente ingombrate e piena di spuntoni sulle dite da poter essere scambiata per un maglio, si stagliò nel cielo mandando deboli riflessi d'arancio.

-  So che siete stanchi di tante ore di marcia. Anche io mi sono rotto i coglioni di camminare senza un cranio da maciullare nelle vicinanze o carne cruda da masticare. Ci avevano avvertito che i nemici del nostro signore avevano osato mettere il naso in questa foresta, proprietà nostra e di Sauron il grande; ci avevano raccomandato di essere sempre vigili e attenti, sì che non ci sfuggisse nemmeno una foglia che cade; ci avevano ordinato di usare la massima spietatezza nei confronti dell'idiota nel cui cervello si era fatta strada l'idea suicida di sfidarci. E noi disobbediremo a questi ordini? Disobbediremo?!?-

Una voce umana aleggiò tra gli alberi, mormorando una risposta in un'altra sconosciuta. Essa si fece ben più grossa, roboante, simile ad un ruggito. Perse ogni connotato umano, trasformandosi nel verso di orso inferocito. L'Uruk fremette, esaltato.

- Figlio di cane? Volevo dire figlio di un orso! Ragazzi, qui ci aspetta più trippa di quanto credessi a prima vista. Restate nella vostra posizione e aspettate la carogna: faremo assaggiare agli Uomini-Orso l'ospitalità di Dol Goldur!-

Gli schiamazzi di Kala avrebbe disturbato il sonno di re Thraundil, tanto faceva chiasso. Se erano presenti altri Beorning, si sarebbe indubbiamente fiondati ad aiutare il loro compagno con zanne e artigli snudati.

- Borioso e senza freni,- fu il pensiero di Mub. - Quell'idiota è stato più rumoroso di uno squadrone di alfieri muniti di olifante! Avrebbero dovuto spedirlo in qualche unità d'avanguardia nelle Terre degli Uomini: tanto coraggio, voglia di dare mazzate, e nessun cervello-

Eppure, al di là dell'acidità verso tanto rumore non necessario, quell'armadio con la testa sproporzionatamente piccola per un corpo così massaccio inspirava al veterano una certa simpatia. Gli ricordava le occasioni di bevute e goliardie prima dell'incontro con Sauron, in quei rari momenti in cui i suoi compagni riuscivano a godersi la vita senza farsi possedere da una furia omicida. A Dol Guldur simili gioie erano bandite, la mera presenza di Lui bastava a succhiar via la gioia dal cuore di ognuno, se non quella, maligna, di assassini e torture. A terminare quella che rimaneva pensavano il pugno di ferro degli ufficiali e le scudisciate degli aguzzini.

Un altro ruggito scosse l'aria. Non aveva più il lusso di permettersi distrazioni. La truppa si esibì in un coro di ululati scandito da lame che cozzavano l'una contro l'altra. Ammantati in soffici pellicce dal manto grigio, non si distinguevano da un branco di lupi nell'ora della caccia.

La preda non tardò ad arrivare: introdusse la sua presenza buttando giù un faggio come fosse una casa per le bambole. Un colosso di muscoli e collera, superava in maestosità la maggior parte della sua razza. Tutto il suo pelame era bruno, se non per un piccolo collare aguzzato al di sotto del collo di pelo più chiaro, su cui ricadevano ciocche di barba intrecciate. Innumerevoli cicatrici ne solcavano il corpo, alcune appena piccoli tagli, altre grosse e articolate da aprire crepacci nella pelliccia. Una particolarmente vistosa ne attraversava la faccia dalla fronte al naso, diramandosi come una saetta.

Separati da un lembo di pelle rimarginata, due occhi azzurri lanciavano ripetuti sguardi ad ogni membro della compagnia, tremanti dal desiderio di combattere.

Per una frazione, Mub si strinse nelle spalle. Il bestione che andavano ad affrontare non difettava certo di maestosità, ma ciò che lo preoccupò di più erano gli intrecci di segni sulla sua pelle: solo un guerriero con molta esperienza  poteva aver accumulato una serie di sfregi che non sfiguravano con le collezioni dei veterani più anziani. E in quegli occhi, pur nella loro ferinità, Mub scorgeva un barlume di intelligenza che non avrebbe mai commesso l'errore di sottovalutare. Una belva pesante ben più di un migliaio di libbre con fauci capaci di spezzare il braccio di un orco in due era un nemico di per sé formidabile; se ad esso ci si aggiungeva l'astuzia e l'acume tattico di un uomo, sconfiggerlo risultava un'impresa immane. Anche se erano sette contro uno, il Beorning avrebbe fatto pagare con il sangue il minimo errore.

L'orso avanzò sulle due gambe, barcollando leggermente; camminava con estrema lentezza. Le incitazioni del gruppo sparirono, lasciando dei gelidi sguardi fissi sul nemico, in attesa di una sua prossima mossa. Arrivato a poche spanne di distanza, l'orso si piegò a quattro a zampe. Non ingaggiò gli orchetti; saltellò, andando ora avanti ora indietro ora procedendo a bruschi balzi laterali.

A prima vista sembravano i movimenti di un ubriaco, ma Mub non si fece ingannare: il Beorning stava danzando intorno a loro per abbatterne la concentrazione, mantenendosi allo stesso tempo mobile e scattante. Un impercettibile cedimento del cerchio e l'orso si sarebbe lanciato sul punto più debole, dilaniando il malcapitato con artigli ricurvi affilati come pugnali Haradrim.

La strategia più sensata sarebbe stata quella di adottare la stessa tattica, attendendo il momento propizio in cui la natura ferina dell'orso avesse preso il sopravvento e infierendo senza pietà. Questo era il piano che avrebbe adottato Mub; purtroppo, Kala sembrava essere di tutt'altro parere.

L'orco pallido soffiava sbuffi di impazienza, tremolava sul punto di cedere alla tensione. Il Mutapelle aveva puntato il muso contro di lui, e usando lui come epicentro coordinava i suoi scatti. Silenziosamente, lo stava invitando ad attaccare e a cadere nella trappola.

"Ce l'hai con me, codardo di un orso? Combatti da vero animale, e affrontami!" Gli urlò contro, paonazzo d'ira. L'orso emise un risolino nasale, sordo, per denigrarlo.

L'Uruk non vide più. Afferrò l'impugnatura della scimitarra, pronto a sguainarla in un gesto rabbioso. L'orso agì: si catapultò, mascelle spalancate, contro il nemico. Le zanne del mostro laceravano a Kala giugulare prima che potesse rendersene in contro. Travolto da quintali di muscoli, l'orco ritrovò la schiena appiattita sulla neve fresca ed una grinfia alzata davanti agli occhi, pronta a calare e strappargli via la carne dal volto.

Mub agì senza alcuna esitazione, rapido come un lama. Sgusciò dietro l'orso con una capriola in avanti, si riportò in un posizione eretta aiutandosi con il braccio libero e gli zompò sulla schiena. Anni di attacchi alle spalle gli avevano reso queste imboscate più naturali che mangiare in pane. Affondò la punta della scimitarra nella schiena della belva. Storta da trame di muscoli tesi, la lama deviò il suo tragitto, aprendo una scia sanguinante fino a che non incontrò le ossa della scapola, troppo coriacee per essere trapassate.

L'ultimo ruggito dell'orso fece tremare i bozzoli per la sua intensità. Alla paura di vedere il proprio capitano abbattuto così rapidamente si aggiunse, nel resto della compagine, la meraviglia di un'azione tanto ardita.

Il Beorning gemette dal dolore, graffiò ripetutamente la terra sotto di lui, levando mucchi di humus. Inarcò e flesse la schiena più volte, scuotendosi per liberarsi dal tormento che aveva in corpo. Per Mub pareva stare a bordo di una nave in tempesta.

La lama aveva scavato a lungo in quella schiena, ma poco in profondità; si rimosse facilmente, sebbene strappasse altra carne, e Mub perse la presa. Il piccolo orchetto venne sbalzato via da uno strattone più forte e cadde all'indietro. L'orso ruotò su se stesso, tirò indietro una grinfia e la lanciò in una falciata verso colui che aveva osato ferirlo. L'orco, forte della prontezza di riflessi che solo un vero guerriero poteva vantare, recuperò la presa della scimitarra e alzò la guardia per parare la grinfia.

Troppo grande era la differenza di forza tra i due contendenti perché il piccolo potesse resistere: gli artigli dell'animale non gli ferirono la carne, ma gli strapparono via la spada con le mani. Mentre il suo dorso atterrava con un tonfo, Mub osservò la lama volteggiare lontano da sé, descrivendo cerchi lumeggiati di cremisi. Quando vide la propria arma conficcarsi dentro la scorza di un albero, ben più in profondità di quanto avesse fatto con l'orso, sentì che aveva perso, oltre ad essa, ogni speranza di vittoria.

Non ci fu tempo per lui di riflettere sui suoi innumerevoli peccati e chiedere perdono per essi; ancora meno, quello di azzardare un'ultima difesa. La figura del Beorning gli fu addosso nel tempo di un battito di ciglio, le zampe che affossavano le fragili braccia da orchetto nel terreno. La situazione di Mub era pressoché identica a quella del capo che aveva salvato poco- troppo poco prima. Una differenza fatale, tuttavia, sussisteva: le zanne d'orso non si sarebbero limitate a pungergli il collo, come era accaduto a Kala. Una morsa acuminata, di spuntoni grosso quanto il dito umano, prese a penetrargli nel gozzo; carotide e giugulare si ruppero, facendo uscire ruscelli di sangue.

Poco in profondità aveva piantato il nemico le zanne, che le ritrasse quasi immediatamente. la dentatura del Beorning, una fila divorata dalla carie e puntellata appena da chiazze di porpora, ondeggiò sopra il volto di Mub. L'orchetto si ricordò che i gli Uomini-orso avevano abitudini alimentari assolutamente vegetariane: gli animali per loro erano amici e fratelli, di cui afferravano il linguaggio e reputavano sacra la vita. L'unica cosa che prendevano da loro per nutrirsi era miele selvatico. Se davvero il nemico stava gongolando nel mostrare le zanne insanguinate a Mub, voleva dire che lo spirito predatore dell'orso aveva preso il sopravvento su di lui, o peggio, ancora che non intendesse affatto mangiarlo. Con quell'attacco di sorpresa la bestia era stata ferita nello spirito e nell'orgoglio, e la vendetta non è mai un piatto che si consuma in fretta.

La chiostra di denti si protesse verso il volto di Mub con estrema flemma, poteva avvertirne il calore del respiro ed un tanfo di miele rancido. Un ghigno così ampio poteva significare solo che la tortura non sarebbe finita a breve. Per quanto il mostro sopra di lui avesse le sembianze di orso, dentro di lui batteva un cuore umano, capace di sentimenti di rabbia, risentimento, e crudeltà.

E, in quei momenti, di sciocca collera. Tutto preso dalla sua nuova vittima, Il Beorning aveva dimenticato che una banda di orchetta desiderava ancora la sua testa. Gettò un'ultima volta la testa a maciullare il collo di Mub; la ritrasse quando avvertì il gelo di un pugnale conficcarsi nella ferita.

- Prendi questo, orso codardo!-

Kala sputava minacce, arzillo e inferocito come sempre. Scimitarra in pugno, caricò l'orso preparando un roverso dal basso. Gli sgherri più piccoli lo seguivano a ruota, sparpagliati nelle ombre degli alberi. Il Beorning girò il volto per vedere chi fosse l'assalitore, ed una coltellata in pieno petto gli diede la risposta. Stordito per le ferite, menò graffi quasi alla ceca, mulinando le braccia come alabarde.

In questo  scontro l'Uruk si dimostrò più agile e pronto, gli scivolò nella guardia e mirò alle gambe. La mannaia squarciò la tenera carne della coscia sino al femore. L'equilibrio dell'orso venne meno; arrancò sull'unica gamba buona e usò le braccia per non cadere. Libero di infierire, l'Uruk diede una testata sul pomolo del coltello con la violenza di un martello e rincarò la dose affondando la spada nel morbido ventre.

- Le lame degli orchi ti hanno fatto solo graffi per troppo tempo, lurido sacco di ciccia-. L'insultò dell'Uruk era gelido, in maniera alquanto inusuale. -Per ciò che hai fatto, meriti che inizino ad abbeverarsi del tuo sangue!-

L'orso storse la bocca, sovrapponendo le mascelle in maniera innaturale. Emise un gemito, strozzato, alternato a quelle che sembrano risa soffocate. Forse rideva di essere caduto in una trappola affine a quella che aveva teso all'Uruk. Farla pagare a quel sudicio impiastro lo aveva distratto, e ne stava pagando il giusto scotto. Il branco aveva vinto. Senza più vita, franò al suolo come un sacco pieno di carne lasciato in malo modo.

l'Uruk estrasse la spada dal corpo del nemico. Osservò il cadavere. Nel prendere la spada e porre fine all'orso aveva tenuto a freno un'incredibile eccitazione; essa ricominciava a rifluire nel corpo, scuotendogli le fibre in un tremito che gli intrecciava le dita.

- Abbiamo vinto! Abbiamo vinto, rognoso cibo per insetti! Quando incontrerai i tuoi dei, riferisci loro che è stato Kala la Montagna a prepararti il viaggio!-

Dalle betulle si levarono le urla di gioia degli orchetti. La banda sciamò nello spiazzo principale, strillando e canticchiando canzoni di vittoria con la cadenza poco melodiosa della lingua degli orchi:

-La bestia è morta/ la carne è distorta/ma buona abbastanza /che a mangiar non ne avanza...-

Kala tuonò in una risata fragorosa. Si chinò ancora sull'orso, giocherellando con i peli della bestia defunta. Ridotta in quello stato, non incuteva più terrore di un orso di pezzo. Levando di poco gli occhi sopra il Beorning, scorse Mub. L'orchetto era reclinato su di un fianco, respirava a fatica.

- Ehehehe... battiamo la fiacca, pelandrone!- Lo stuzzicò con un tono amichevole, certo non da rimprovero. - Questa volta, però, voglio chiudere un occhio; dopotutto, mi hai salvato la pellaccia da questo cucciolo ingordo. Ora, smetti di fingerti morto ed alzati, su-.

Le labbra dell'orchetto si alzarono in un ghigno sardonico. Fece forza con la schiena per voltarsi, perché non aveva quasi più energia. Kala storse gli occhi alla vista del collo: se il lato che Mub aveva mostrato era appena imbrattato di sangue, dall'altro liquido rosso zampillava come acqua da una roccia.

- Purtroppo capitano, questo è l'unico ordine che non posso eseguire-. Disse con un filo di voce.

Senza curarsi di aggirarlo, L'Uruk scavalcò l'orso, raggiunse l'orchetto e lo alzò da terra. Tra le sue braccia, muscolose come tronchi di faggio, l'esile Snaga non era più imponente di un bambolotto.

- Figlio di puttana, proprio adesso mi devi crepare? Voi, vermi là dietro, portatemi delle medicine-.

I medici commilitoni si affrettarono verso i due , arrabattandosi tra sacchetti e ampolle tenute tra le tasche. Raccolsero una fiaschetta di liquido per lenire il dolore, unguento, ago e filo da sutura. Kala depose lo snaga davanti a loro.

Scrutarono la condizione del ferito con occhio clinico, esaminandogli il collo e il sangue che colava. Dai loro volti, corrucciati dietro fondi di bottiglia, Mub non ebbe molto a dedurre di essere privo di speranze.

- Non c'è bisogno che facciate finta di curarmi, capisco quando è giunta l'ora di tirare le cuoia-. Sussurrò. - Come vedete, questo scontro mi ha tolto tutto il fiato, e non voglio sprecare quel che me ne resta in addii del cazzo...-

Piegò il collo quanto poté, per vedere meglio il cielo. L'imbrunire era giunto, ma un tenue bagliore d'arancio e bianco si ostinava a non cedergli il passo. Forse c'era tempo per un ultimo desiderio.

- Spostatemi verso il tramonto: voglio vederlo...-

I due medici di guerra si scambiarono un'occhiata inquieta e perplessa, quella che si riserva a chi diagnostica una malattia mentale. Kala, non se ne curò; si fece strada tra loro e sollevò Mub oltre le loro teste.

-Spostatevi, cialtroni! Ha detto che vuole vedere il tramonto e lo vedrà da una posizione di privilegio! Codardi!-

Con delicatezza ben inaspettata per un orco di taglia simile e temperamento focoso, lo sostenne per le ascelle. Mub si sentiva peggio di un neonato spupazzato dai genitori, ma tempo per lamentarsi non ne aveva: avrebbe speso gli ultimi della propria vita diretto verso quel Sole che lo struggeva tanto, amato e odiato allo stesso tempo.

Forse era un'illusione dei sensi, oppure un effetto della pupilla socchiusa, ma l'ultimo spicchio di luce del crepuscolo gli pareva luminoso come la sfera durante lo zenith. Una parte di lui immaginava, sognava, sperava che quell'astro distante lo ascoltasse. Elaborò per il sole una preghiera, nel silenzio della propria mente.

-Ti chiedo perdono, stella mia, per essermi alleato con un mostro del calibro di Sauron, il più malvagio tra gli esseri che perseguitano la Terra. Il mio tempo tra i vivi è terminato, un tempo di massacri, incendi, crudeltà e crudeltà senza fine. Non so è per questa ragione il motivo di tale odio nei confronti della mia razza, ma ti imploro di perdonarci. Perdonaci, stella amica, per la nostra natura crudele. Avremmo potuto vincere questo male che ci divora dal primo momento in cui abbiamo aperto gli occhi, se ci fossimo ancora impegnati; con sforzi immani, forse, ma sarebbe stata possibile una società migliore tra noi orchi, dove i membri sono legati da vincoli di fratellanza e non di violenza o terrore.

Ora non c'è più speranza: l'abominio di Dol Guldur ci ha plagiato e portato in guerra contro la tua stessa luce. La guerra che incombe sulla Terra di Mezzo vedrò la tua perpetua eclissi o il trionfo sulle tenebre. Se riuscissi a non soccombere, astro adorato, abbi pietà di noi.

Perdonaci... Arien...-

Pronunciò l'ultimo nome, biascicandolo con il fiato che gli restava. Non lo aveva mai udito in vita sua, ma in quel momento gli era sembrato che fosse presente da sempre nel proprio cuore. Tra le ultime luci, gli apparve il volto di una donna, sfavillante e bellissima più della fiamma, i capelli che le lambivano i lineamenti come vampe dorate. Sorrideva, anche se un alone di tristezza ne offuscava il bagliore.

Mub le ricambiò il sorriso. Il sole si spense, assieme alla sua vita. All'Uruk grande e grosso le mani tremolavano come gelatina.

- Che desiderio strano... sei sempre stato un tipo con qualche ragnatela nel cervello, tu-. Balbettava, gli occhi neri erano diventati umidi. Poggiò Mub reclinato sul ventre, con il capo rivolto verso occidente. Tutti gli orchetti rimasero per qualche attimo a contemplarlo, in silenzio.

-Che facciamo, capo, con il Mutapelle? Dovremmo portare una prova del nostro scontro?-

-Avete detto una cosa giusta in quest'occasione, sudicio ammasso di buoni a nulla. E poi il sole è già calato: dovremmo tornare a Dol Guldur a fare rapporto. La presenza di un Beorning nel fitto della nostra foresta è un fatto che non può essere ignorato. Porteremo la pelle con la barba come prova. Avanti, molluschi, cominciate con lo scalpo; mi stanno venendo i brividi a stare qui-. Uno dei medici ritrasse l'occorrente per curare ed estrasse il coltello, che avrebbe reciso la pelle dell'orso.

Il dispiacere della morte di Mub era sincero. Gli aveva salvato la vita, dopotutto, ed era uno dei pochi con un briciolo di senso dell'umorismo, qualità molto rare nella fortezza di Bosco Atro. La notte d'inverno era fredda da ghiacciare le ossa, ma a Dol Guldur Kala avrebbe davvero tremato, sotto l'egida dell'Oscuro Signore e di un male senza scampo.

Nelle tenebre notturne, facevano capolino le prime, timide stelle. Kala sentì lo sguardo elevarsi verso il cielo. Sorrise: per un po', avrebbe ancora gioito di una buona compagnia.




Angolo dell'autore: Vagabondi: Italianizzazione di Olog-hai, il nome che nel Linguaggio Nero designa la razza dei Troll

Roverso: fendente da sinistra a destra

  
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