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Autore: Writer96    02/02/2013    5 recensioni
"-Ehm, piacere.- borbottai, passandomi una mano tra i capelli per risistemare la coda e porgendo l’altra al ragazzo, che mi guardava sospettoso con le labbra atteggiate in un broncio assai comico.
-Ciao.- rispose dopo un po’, studiandomi e socchiudendo le labbra per espirare. Cercai di non iperventilare per quel gesto che era del tutto innocente e mi ricordai le parole di Louisa, che aveva decisamente capito come sarebbe stata la mia lezione.
Un inferno.
-Allora, Anne ti ha trascinato qui?- chiesi, buttando lì la domanda tanto per fare conversazione. Lui scrollò le spalle e mi guardò di nuovo, muovendo nervosamente la lingua sopra le labbra screpolate.
-Sì. E non ho di certo intenzione di mettermi a saltellare qua e là come una bambinetta, sappilo.- mi redarguì, facendomi alzare gli occhi al cielo. Era antipatico quanto bello, accidenti."
A Gioia. Perchè ci auguro, un giorno, un compagno del genere di corso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Gioia, perchè l'ho scritta pensando a lei e alle nostre lezioni
dove io sembro  lui per capacità di coordinazione.
Perchè sei importante, anche quando hai l'allergia e mi starnutisci addosso.

E un pochino anche a Jas, che me l'ha corretta. <3







Un refolo freddo attraversò la porta aperta ed io, istintivamente, mi ritrassi dentro alla mia felpa grigia di ciniglia, tanto calda quanto antiestetica. Miranda Owen mi sorrise da sotto un orribile cappellino di lana fatto a mano e io mi sforzai di risponderle, per quanto in quel momento la tentazione di staccarle a forza la mano dalla porta ancora aperta fosse terribilmente forte.
-Ciao Lisa!- mi salutò, staccando finalmente quella dannata mano e permettendo alla porta di chiudersi con un tonfo, in modo di sigillare all’interno della piccola stanzetta il calore rimasto e facendomi tirare un sospiro di sollievo mentre allentavo la presa sui bordi della felpa.
-Ciao Miranda, fra cinque minuti iniziamo...- mormorai stancamente nel vederla dirigersi verso gli spogliatoi con un passo un po’ saltellato che metteva in evidenza la leggera asimmetria delle anche. Uno sguardo all’orologio mi rivelò che mancavano solo sessantatre minuti alla fine della mia terribile giornata di lavoro e sospirai soddisfatta, allungando le gambe davanti a me per poi alzarmi, superare la scrivania dove il computer ormai decrepito rantolava e sibilava nello sforzo di rimanere acceso, ed entrare in palestra.

Il parquet lucido sembrava non essere minimamente sporco dopo sei ore di lezione, ma sapevo che era tutta un’illusione dovuta al gioco di luci attentamente studiato per evitare che qualcuna delle allieve dell’ultimo corso pensasse che la palestra fosse tenuta male. Non che lo fosse realmente, questo era chiaro, ma di sicuro non avevamo né il tempo né la forza per poter pulire per terra dopo ogni lezione. Lanciai uno sguardo alla parete ricoperta di specchi e ammiccai stancamente al mio stesso riflesso, che sembrava evidenziare ancora di più l’orribile forma dei miei capelli e le occhiaie che neanche tre passate di correttore avevano fatto andare via. Persino Louisa diceva che avrei dovuto smetterla di seguire i corsi dell’ultima fascia, ma la verità era che ormai mi ero affezionata alle allieve e per di più non avevo la minima intenzione di tornare a casa per trovarmi davanti Jace che usciva dalla camera di mia cugina con un sorriso estasiato sulle labbra.

Già il fatto che si trattasse del ragazzo di cui ero stata innamorata per una vita non deponeva a mio favore, ma se si aggiungeva anche che era il fidanzato di mia cugina che oltretutto era anche la mia coinquilina, beh, come dire, meglio stare al lavoro e tenersi lontana da casa. Iniziai a fare stretching con poca voglia, pensando che tanto avrei avuto un’intera ora per allungare e sciogliere i miei muscoli più del solito, e non mi accorsi della presenza di Louisa alle mie spalle fino a che lei non si schiarì la voce con divertimento.

-Sai, non credo che quel mezzo grand pliè possa aiutarti più di tanto a scioglierti...- brontolò, indicando le mie gambe piegate in una forma imprecisa. Sbuffai e mi raddrizzai, scuotendo le spalle e sentendo un fastidioso crampo che iniziava a formarsi lungo tutto il polpaccio destro.
-Mi scusi, grande maestra, adesso farò una serie di quindici salti per punizione...- chiesi, chinando con finta umiltà il capo e sentendola ghignare sopra di me, probabilmente in ricordo di quando, tre anni prima, mi aveva davvero obbligata a fare una cosa del genere. Mi sfiorò i capelli con una mano e poi mi trafisse con i suoi occhi blu scuro, guardandomi con fare materno ed autoritario.
-Hai mangiato, vero? Perché se mi svieni a metà lezione prendo e ti licenzio per aver spaventato le allieve.- mi rimproverò ed io annuii, mettendomi una mano sulla pancia e strizzando la carne in maniera piuttosto dolorosa.
-Guarda, la pancia ancora non è scappata, quindi penso proprio di aver mangiato...- le dissi, tranquillizzandola con un occhiolino, per evitare che si accorgesse delle occhiaie sempre più marcate. Stare dietro ad università, lezioni e allenamenti era pressoché impossibile, ma confidavo nella riserva di forza che avrei rinnovato con le sempre più vicine vacanze di Natale. Louisa annuì e fece per uscire, bloccandosi poi in mezzo alla stanza.

-Lisa, mi raccomando. Mantieni la concentrazione, oggi.- sussurrò e io non colsi il significato nascosto dietro alle sue parole, girandomi per andare ad impostare la musica da usare come sottofondo. Le prime note di Skyfall si dispersero nell’aria e io decisi che andavano più che bene per iniziare con una prima semplice serie di esercizi. Stoppai la musica quando udii la porta che si apriva e mi girai, sorridente.

-Ciao Lisa!- esclamò qualcuna delle donne di mezza età che stava entrando, mentre le altre parlottavano a proposito dei figli, del lavoro e delle nuove diete trovate. Agitai una mano ed iniziai a selezionare la playlist ideale da mettere su, mentre le otto donne entrate si disponevano ordinatamente nella sala, sfilandosi felpe più brutte delle mie e legandosi i capelli in buffe acconciature di cui ancora non avevo capito l’utilità. All’improvviso udii la voce di Anne, che fino ad allora era mancata al vocio generale, provenire dal vano della porta, dove cercava, evidentemente senza successo, di convincere qualcuno ad entrare.

-Su, tesoro, avanti. C’è qualcuno della tua età. Lisa ha diciannove anni, vero Lisa?- domandò ad un certo punto ed io urlai un “sì” in risposta abbastanza stupito: che Anne fosse riuscita a portare qui Gemma, la figlia con cui da un po’ era in crisi e che, a quanto aveva detto ultimamente, preferiva starsene con gli amici fuori città piuttosto che con lei?
-Vedi? Dai, entra, passiamo un po’ di tempo insieme, su.- ordinò, perentoria e alla sua voce seguirono uno sbuffo di protesta e una serie di passi pesanti e strascicati. Da una parte mi sembrava di capire Gemma –effettivamente, lezioni di quel tipo per una ragazza potevano essere ben poco divertenti- ma dall’altra mi sembrava che esagerasse, con tutto quello sbuffare e trascinarsi.
-Ecco qui. Harry, ti presento Lisa.- esclamò Anne ed io, stupidamente, mi chiesi se avesse anche una figlia che si chiamava Harriett e di cui non  avevo sentito parlare. Mi girai e, decisamente, mi resi conto che la risposta era no.

Sul fatto che chi mi stava davanti fosse figlio di Anne non c’erano dubbi, visti gli identici occhi verdi, grandi ed affascinanti, ma era altrettanto chiaro che non si trattava di una ragazza, tutt’altro.
Capelli ricci, una bocca dalle labbra morbide e ben disegnate, spalle larghe e un bel fisico, il ragazzo che mi stava davanti stonava decisamente con la figura bassa e leggermente piena di Anne alle sue spalle, che sorrideva con felicità, guardandomi maliziosa.

-Ehm, piacere.- borbottai, passandomi una mano tra i capelli per risistemare la coda e porgendo l’altra al ragazzo, che mi guardava sospettoso con le labbra atteggiate in un broncio assai comico.
-Ciao.- rispose dopo un po’, studiandomi e socchiudendo le labbra per espirare. Cercai di non iperventilare per quel gesto che era del tutto innocente e mi ricordai le parole di Louisa, che aveva decisamente capito come sarebbe stata la mia lezione.

Un inferno.

-Allora, Anne ti ha trascinato qui?- chiesi, buttando lì la domanda tanto per fare conversazione. Lui scrollò le spalle e mi guardò di nuovo, muovendo nervosamente la lingua sopra le labbra screpolate.
-Sì. E non ho di certo intenzione di mettermi a saltellare qua e là come una bambinetta, sappilo.- mi redarguì, facendomi alzare gli occhi al cielo. Era antipatico quanto bello, accidenti.

-Non ho intenzione di obbligarti a fare niente, guarda, quella è la porta, puoi uscire e per me non cambia niente. Anzi, ti dirò di più, sono stanca morta e vedermi davanti gente svogliata non rientra nelle mie priorità immediate, quindi...- buttai fuori, inacidita. Lui spalancò gli occhi in maniera piuttosto comica e portò le mani all’altezza delle spalle, i palmi all’infuori in segno di resa. Mi sorrise, conciliante, e notai con meraviglia due fossette gemelle sulle sue guance. In altre situazioni le avrei definite adorabili: in quel momento, invece, pensai che fossero proprio sprecate, perché se era così antipatico e irritabile con tutti dovevano rimanere nascoste la maggior parte del tempo.
-Ehi, ehi, scusa. Non volevo farti arrabbiare. D’accordo, sono stato antipatico. Ricominciamo d’accapo, eh?- mi chiese, porgendomi la mano mentre io lanciavo uno sguardo preoccupato alle mie allieve, che sapevo essere pettegole per natura. Ed eccola lì, infatti, Anne, che ci guardava speranzosa con una mano posata sul braccio di Giselle.
-Sì, va bene. Senti, Harry, non voglio essere scortese, è solo che ci stanno guardando tutti e io dovrei iniziare la lezione. Va bene se ne parliamo dopo?- domandai, sbrigativa. Lui mi sorrise, molto più apertamente di prima, e io per qualche istante valutai se fosse il caso o no di mettermi a sorridere in risposta come un’ebete davanti a tanta bellezza. Scossi la testa e gli diedi una pacca sul braccio, alzando poi una mano e indicandogli un posto libero tra due donne.

-Al lavoro, muoviti.- ordinai, concedendogli poi un sorriso che stemperasse il tono sbrigativo di poco prima. Lui si portò una mano alla fronte, imitando un saluto militare, e io sbuffai, girandomi per nascondere il rossore sulle mie guance. Sembrava stessimo facendo a gara a chi era più lunatico, tanto avevamo cambiato toni, espressioni e modi di fare in quel minuto scarso.

Feci partire Skyfall, poi presi un tappetino dalla pila vicina allo stereo e mi avviai al centro dell’aula, sentendo lo sguardo di Harry posato su di me. Mi schiarii la voce e mi girai verso le mie allieve, battendo un po’ le mani per poi dare loro la schiena ed iniziare a fare una serie di allungamenti verso l’alto, alternativamente con uno e l’altro braccio. I muscoli della schiena si allungarono piacevolmente e mi sentii rinvigorita, al punto da girarmi per dare un’occhiata alle mie spalle, constatando che tutte le altre donne sembravano essere troppo concentrate da non considerare minimamente l’effetto benefico sui muscoli. Il mio sguardo fu catturato dalla figura di Harry, che, completamente scoordinato, muoveva le braccia a caso sopra la propria testa, stringendosi un labbro fra i denti in maniera piuttosto comica. Mi avvicinai a lui e mi misi alle sue spalle, cercando di mantenere il controllo di me stessa, e gli afferrai le braccia, muscolose ma non troppo, perfettamente adattabili alla misura delle mie mani.

-Devi stare dritto con la schiena e tenere le braccia rigide.- dissi, alzandogli gli avambracci fino a quanto la mia statura me lo permetteva. Lui ridacchiò e si raddrizzò, portando la sua schiena a cozzare contro il mio petto.
-Meglio, così?- chiese in un sussurro ironico che mi fece arrossire di nuovo. Era davvero lunatico, ma proprio lunatico per dire lunatico, eppure non riuscivo a staccare i miei occhi dalle sue spalle nemmeno dopo essermi allontanata annuendo.

Tornai alla mia posizione iniziale stringendo le labbra con forza e sorrisi allo specchio, prima di iniziare una serie di movimenti con i polsi e i gomiti, imitati subito da tutti. Harry era un disastro anche qui, ma dimostrò la sua completa inattitudine alla danza nel passo successivo del riscaldamento, quando iniziammo a fare dei semplicissimi demi pliè, che per lui equivalevano semplicemente a piegare in malo modo le caviglie e le gambe senza alcuna regola. Feci un giro della stanza per controllare tutti e quando gli passai accanto dovetti farmi violenza da sola per impedire al mio sguardo di cadere sulla sua schiena e quanto la seguiva.

-Harry, stendi le gambe sul cinque e sei, ti prego. Non devi semplicemente rimanere piegato in stile bambola di pezza...- mormorai, senza però avvicinarmi troppo. Lui sembrò accorgersi di quella mia esitazione e sbuffò, mascherando una risata che non sfuggì ad Anne, che si girò a guardarmi e di nuovo mi sorrise, per poi chiedermi ad alta voce perché non facessi vedere ad Harry come fare, facendo nascere sul mio viso una smorfia contrita.

 Tutto, ma non quello.

Mi avvicinai di nuovo al mio tappetino e mi misi di profilo, spiegando come piegarsi per poi ritornare con le gambe dritte a tutte le persone che in quel momento mi stavano fissando, sentendo un’ansia crescente dentro di me. In quel momento risentii chiaramente l’ansia da prestazione che tanto aveva caratterizzato i miei studi salire lungo il mio stomaco e la mia gola, rendendomi per qualche istante incapace di pensare. Avevo gli occhi di Harry che mi fissavano ed in quel momento non volevo né sbagliare né apparire pedante o precisina, la tipica insegnante frustrata che pretende il meglio da un gruppo di sciagurati. La consapevolezza che però nessuno mi vietava, in quel momento, di essere una brava insegnante mi prese allo stesso modo, spingendomi a reagire. Non ero estranea a questo tipo di cambi d’animo, né lo ero alla paura di non essere abbastanza, ma in quel momento mi resi conto che la presenza di Harry aveva solo amplificato il tutto e, tra l’altro, senza motivo. Sospirai e mi raddrizzai, prendendo fiato e tenendo ostinatamente gli occhi puntati su di tutti tranne che su di lui mentre procedevo nella spiegazione dello stretching. Lo specchio non mi aiutava e del resto era impossibile non vederlo, soprattutto quando provava a fare delle spaccate che sembravano più dei tentativi di assomigliare ad una foca che ad altro, perciò mi rassegnai, avvicinandomi e piegandogli per prendergli le gambe e sistemarle a dovere. Feci l’errore di guardarlo in viso ed arrossii mentre lui buttava fuori l’aria e mi sorrideva, rassicurante.

-Scusa per mia madre, prima. A volte quando è felice non parla prima di pensare...- mormorò al mio orecchio un secondo prima che mi allontanassi.
-Lo faccio anche io, capita...- dissi, in risposta e feci per alzarmi quando sentii la presa della sua mano sul mio polso che mi spingeva di nuovo accanto a lui. Erano iniziate le prime note di Grenade e io dovevo alzarmi per andare a cambiare canzone, perché questa era quella scelta per la breve coreografia di quella sera, ma non riuscivo a muovermi, concentrata sul movimento delle sue labbra, troppo sottile per essere colto da lontano.
-Allora ti chiederò qualcosa di importante, quando ti vedrò felice.- decise, prima di lasciarmi andare. Corsi fino allo stereo, inciampando sul bordo di un tappetino e rischiando di andare faccia avanti contro lo specchio, troppo concentrata su quella sorta di promessa –o minaccia, chi poteva dirlo?- per stare attenta al mondo circostante. Era tutto strano, assurdo. Harry era una mezza calamita, particolarmente lunatica e pericolosa, ai miei occhi e me ne rendevo perfettamente conto mentre, di nascosto, lo ammiravo fare una serie di addominali che, se non altro, gli riuscivano molto meglio delle altre cose. Cosa fosse venuto a fare lì, in quella palestra dispersa da qualche parte in periferia, non mi era chiaro, ma sapevo benissimo cosa stava facendo a me.

Affascinarmi, ecco cosa faceva.

Non sapeva ballare, non sapeva farlo minimamente, era goffo, buffo, assurdo, lunatico persino negli esercizi che faceva. Ma era affascinante e, per questo, pericoloso. Era stato affascinante anche Jace, a suo tempo, e a vedere com’era finita la faccenda, era decisamente meglio evitare di farmi affascinare troppo ancora una volta.

Quando partì la musica di Grenade, accompagnata dai movimenti veloci e sinuosi che avevo studiato la sera prima, svuotai la testa, concentrandomi esclusivamente su quello che dovevo fare. Ogni tanto un lampo bianco mi appariva all’orlo del campo visivo e non potevo evitare di sorridere nel pensare all’assurda presenza di Harry in quella coreografia.

Rilassata, mi concessi pure una mezza risatina quando vidi Harry tentare di fare una rotolata, con l’unico risultato di finire in un groviglio di braccia e gambe ben lontano dall’esplosione figurata che doveva esserci in quel momento della canzone e mi girai un secondo per sorridergli, prima di fare una tombè seguita da una ronde perfettamente a tempo. Quando la lezione finì e io riuscii a riprendere fiato, mi appoggiai allo specchio sulla parete, inspirando dalla bocca aperta. Anche tutte le altre allieve stavano respirando rumorosamente e io mi chiesi se non avessi sbagliato ad assegnare loro una coreografia così energica e veloce, ma del resto si trattava comunque di donne che già avevano avuto esperienze di danza e nessuna di loro superava la soglia dei quarantacinque anni, quindi andava più che bene. Mi salutarono, riprendendo a parlottare tra di loro e io mi girai in tempo per vedere Anne che sventolava una mano nella mia direzione da dietro la porta.

Una sottile delusione mi salì dentro e tentai di scacciarla in tutti i modi, mentre mi convincevo che Harry non era affar mio. Scossi la testa e pronunciai un secco “Smettila” rivolto nei miei confronti, che risuonò nella sala vuota.

-Di fare che?- chiese una voce roca alle mie spalle, facendomi sobbalzare violentemente. Mi girai e vidi Harry che mi squadrava, una bottiglietta d’acqua stretta nella mano sinistra e la destra che sistemava i capelli in maniera da renderli presentabili.
-Niente...- mormorai, agitando una mano e soffocando un’imprecazione.
-Stavi parlando da sola?- mi chiese Harry, avvicinandosi beffardo. Annuii e lui scoppiò a ridere, posandomi una mano sulla spalla. Eccoli lì, dunque: il re e la regina di Lunaticland, dove si cambia umore ogni due secondi.
-E ti stavi dicendo di non pensare a me?- continuò lui, sorridendo ben consapevole del proprio potere su di me in quel momento. Mi allontanai e mi misi le mani sui fianchi, guardandolo severamente per non far trapelare quanto, in realtà, avesse capito sul mio conto.

-Dovresti imparare ad essere più coordinato...- buttai lì, invece e lui scosse le spalle, alzando le mani al soffitto.
-Quanto costano al mese le lezioni?- mi domandò, tornando serio e avvicinando più il viso a me, quasi con fare cospiratorio. Sussultai e la mia bocca si spalancò leggermente, prima che potessi darmi un discreto contegno.
-Anche se non capisco perché ti interessi, costano sessanta sterline.- mormorai e lui mi sorrise, mettendo in bella mostra le due fossette.
-Hai detto tu, no, che devo imparare ad essere coordinato?- replicò, beffardo, per poi iniziare a camminare all’indietro attraverso la sala. Lo fissai, incredula, per qualche istante, prima di seguirlo oltre la porta che aveva lasciato cavallerescamente aperta.
-Mi daresti un modulo d’iscrizione, allora?- chiese e io mi sedetti dietro la scrivania, frugando sotto al tavolo alla ricerca di uno di quei dannatissimi moduli.

Un refolo d’aria si insinuò anche lì sotto ed io pensai che era proprio il caso di far vedere le guarnizioni della porta, a quel punto, visto che nessuno l’aveva aperta e l’aria entrava comunque.
Non avevo freddo, però, né ero particolarmente infastidita da ciò: Harry mi stava sorridendo e scrivendo il suo numero nell’apposita casella del modulo, sforzandosi di apparire più ordinato possibile, mentre al mio interno una sorta di incendio divampava senza lasciarmi scampo.

Ero dannatamente cotta, mi resi conto quando, aprendo la porta di casa e trovando Jace appostato davanti al televisore con un mano un panino che grondava maionese, gli sorrisi addirittura per poi filare in camera mia senza neanche rendermene conto, ripensando in maniera quasi ossessiva al fugace momento in cui Harry, un secondo prima che entrasse sua madre, mi aveva stampato un bacio veloce sull’angolo della bocca, mormorandomi subito dopo un “Ci vediamo presto” che mi aveva spinta a chiedermi quanto diamine fosse lontano quel dannato presto.




Writ's Corner
Non c'è molto da dire, credo. Un'insegnante di danza, appassionata. 
Un pigro e lunatico Styles. 
E' una storia un po' sciocca, troppo lunga e descrittiva, ma... non importa. Spero davvero che vi piaccia.


Ps: Non metto foto di Harry del suo compleanno perchè quella camicia era davvero orribile, ma gli auguri, in qualche modo, glieli faccio lo stesso. <3
   
 
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