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Autore: LavFall    02/02/2013    2 recensioni
Ciao a tutti!
Questa è la mia prima Os Larry; amo il rapport vivo e vero che c'è fra Harry e Lou e ho desiderato imprimerlo in parole disordinate che spero vi piacciano!
"La stanza era praticamente vuota, solo un pianoforte a coda totalmente bianco e l’annesso sgabello, bianco, con un soffice cuscino foderato, la riempivano.
Quel luogo era piccolo, totalmente bianco, così chiaro da accecare."
{ Larry Stylinson. }
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Two Bodies, one Soul.

Questo sogno malsano
messo su web
è dedicato alla personcina
che mi ha fatto aprire gli occhi
su questa coppia che è reale.
Love you.



La stanza era praticamente vuota, solo un pianoforte a coda totalmente bianco e l’annesso sgabello, bianco, con un soffice cuscino foderato, la riempivano.
Quel luogo era piccolo, totalmente bianco, così chiaro da accecare.
Un flebile raggio di sole filtrava dall’unica grande finestra, sfuggendo alla protezione delle tende; la luce tiepida del mattino mostrava il volteggiare armonico di infinitesimali particelle di povere che, fluttuando, si andavano a posare sul marmo freddo del pavimento. Quella striscia di luce illuminava il pianoforte che, silenzioso, pazientava di essere suonato, che le sue corde venissero sgranchite, che i tasti fossero pigiati con dolcezza.  Ma, probabilmente, aspettava invano; erano mesi che qualcuno non lo suonava, nessuno lì era capace. Pensava che sarebbe rimasto in quella stanza, per sempre, senza aver vissuto col decoro degno di un pianoforte. Quale strumento, se non il più elegante e altezzoso?
Tuttavia, i pensieri delle sue giovani corde erano errati.
Passi vellutati, silenziosi, calcarono il pavimento con cautela, quasi per non ferirlo. I piedi nudi di un ragazzo scivolavano su quel marmo, aggiravano il pianoforte con una certa calma.
Louis Tomlinson camminava scalzo, o meglio, completamente spoglio di abiti, attorno al pianoforte. Osservava quell’oggetto con una misteriosa ammirazione; timore di accarezzare quei tasti, ma una tremenda voglia di farlo. Avrebbe voluto infrangere la sua promessa –il veto impostogli, correre quel rischio. Louis Tomlinson si era ripromesso di non suonare più quel candido pianoforte che Harold aveva comprato per lui, esclusivamente per ascoltare le emozioni del più grande e percepirle in melodie che, timide, si propagavano nel silenzio della casa con sinuosa  dolcezza. Aveva fatto quella promessa perché quell’oggetto legava entrambi, ma il loro legame era stato tagliato da forbici affilate, che risplendevano di demoniaca perfidia. Forbici che, con lacerazioni lente e profonde avevano logorato il loro rapporto, ma non il loro amore che, imperterrito, rimaneva intrecciato resistendo ai colpi della Modest!.
 Non suonare quel pianoforte voleva dire non vedere Harold, al di fuori della Band. Come il Management gli aveva imposto. Ma ogni volta che Louis vedeva quello strumento, però, la sua promessa veniva infranta.
E come mesi prima, dove si era ripremesso di non suonare più a casa di Harry, Lou si trovava ad accarezzare con due dita tutta la coda, sino al candido coperchio, a sospirare con una certa malinconia e a sedersi sullo sgabello senza far rumore.
Seduto, dunque, al piano, il giovane sfiorò gli spartiti lasciati ad impolverare, li prese tra le mani soffiandoci sopra, spostò lo sguardo sulla polvere che volteggiava nella penombra, poi ritornò a guardare i fogli. In un attimo il suo cuore si appesantì, il respiro si mozzò. I denti andarono a mordere violenti il labbro, i pugni si strinsero stropicciando la carta ed il capo si chinò, mesto.
Dimenticava di averla scritta lì, mentre Harry dormiva, dimenticava di aver lasciato in quel luogo quegli stupidi spartiti. Solamente un titolo per farlo star male, farlo soffrire.
They don’t know about us, Original.
Sulle pagine pentagrammate e disordinate, la scritta risultava l’unica cosa di armonico: la scrittura era piccola, quasi timida, il carattere era uno stampatello minuscolo lievemente personalizzato che, come se qualcuno avesse soffiato dal margine delle pagine, pendeva verso destra.
Una verità, un titolo, una canzone.
Prima che il Management la modificasse, riadattandola  alle esigenze della Band, la Canzone scritta da Louis era dedicata solamente ad Harold, a ciò che nascondono, a ciò che vorrebbero urlare, ma che muore in gola, bruciando.
Il ragazzo deglutì affranto, ricordando la lite per quel testo e per la loro relazione segreta. Ma la sua forza gli permise di scavalcare gli oscuri ricordi e di continuare ad essere forte, di non farsi abbattere, di vivere per ciò che ama e di permettersi di suonare quel pianoforte.
Con delicatezza ordinò gli spartiti sul ripiano fatto apposta e denudò il lo strumento facendo scivolare il coperchio; le mani andarono per impulso sui tasti d’avorio, carezzandoli  con nostalgia, i piedi nudi andarono a posarsi sui pedali gelidi a tal punto, che Louis rabbrividì.
Si chinò appena col busto, lasciando che le sue scapole diventassero visibili. Lanciò un’occhiata ai pentagrammi, per abitudine, poi posò entrambe le mani sull’alternanza bianco-nera e cominciò. Le dita scivolavano veloci e sicure, la voce usciva timida.


“People say we shouldn’t be together
Were too young to know about forever
But I say they don’t know what they talk talk talkin’ about

Cause this love is only getting stronger
So I don’t wanna wait any longer
I just wanna tell the world that your mine. ”

Un Angelo.
Le ali, in principio, si spiegavano gloriose mostrando l’orgoglio, la giovinezza, la semplicità e la voglia di amare di un ragazzo troppo debole e umile, ma con un coraggio spropositato. Coraggio di manifestare il proprio amore per  una persona dello stesso sesso,  forse la giusta presunzione di dimostrare che l’amore è equo, che non importa di che genere si è, ma quanto il sentimento sia profondo, sincero e puro. Ma un Angelo che vola troppo in alto è come Icaro che, con superbia, sfidò il sole;  Louis Tomlinson tentò di sfidare il proprio padrone, ma la sua ammirabile forza di volontà non venne ripagata e gli furono strappate le ali.
Così da non poter più volare.
Infine di quelle ali rimase solo uno scheletrico inizio che,  con timidezza, sporgeva dalla schiena tremula di brividi di Louis. Un Louis assorto nella sua musica, nella loro canzone.

La pelle d’oca aumentava ad ogni parola, ricordandogli a chi furono assegnate quelle strofe così personali; i suoi migliori amici.
Dopo esser stato scartato ad X Factor Uk  pensò che la sua vita avrebbe ripreso normalmente a scorrere, così, piatta. Ma poi quella proposta: formare una Band con ragazzi conosciuti solo per nome, incontrati nei corridoi dello studio per caso; ragazzi con lo stesso sogno e la semplice voglia di vivere attraverso una passione. E tutto cominciò, incerto, come un bimbo che fa i primi passi. Ma poi, crescendo, i cinque ragazzi iniziarono a riporre  fiducia l’uno nell’altro, riuscendo a sfondare le critiche e a diventare qualcosa.
Più le settimane passavano, più Louis Tomlinson riusciva a cogliere sfaccettature diverse nel carattere di ognuno, trovando sempre più motivazioni per pensare che quelli sarebbero stati sempre i suoi compagni di vita. Ma, come in ogni bella favola, ci furono degli ostacoli. Oltre alla semplice amicizia, tra Harry e Louis nacque qualcosa di più. Più di un amore fraterno.
Niall se ne accorse subito. Non poté fare a  meno di notare le languide occhiate che Hazza e Tommo, come sono soliti chiamarli, si tiravano. Poi, Niall, passava la maggior parte del tempo con Louis perché amava la sua ironia e finiva sempre a rotolare da divani, sedie, scale o vattelapesca per le risate che Lou gli suscitava. Dunque, passando molto tempo con lui, era riuscito ad estorcergli in qualche modo informazioni, sino a far confidare del tutto il più grande della Band. Poi seguirono Liam, per niente turbato della situazione e Zayn, un po’ più incerto ma accondiscendente, come un fratello.
E come la consapevolezza che tra Louis e Harold stesse crescendo qualcosa di veramente vivo e sincero, non più celabile, Tomlinson giunse al proprio assolo.
Oltre alle note conosciute, alle parole consumate, arrivarono tiepide gocce di luce a rigargli le guance magre.




“They don’t know how special you are
They don’t know what you’ve done to my heart
They can say anything they want
Cause they don’t know about us.”

Le dita si fermarono drasticamente sui tasti, per andarsi a rifugiare nelle ciocche disordinate del moro che, scosso da spasmi e gemiti silenziosi, dovette appoggiarsi coi gomiti sull’avorio, stonando per un attimo, lasciando che le note dure vibrassero nell’aria.

“And I’d marry you, Harry.”
“Are you and Louis in a relationship?” “Yeah…”
“For one day...I'd like to be...Harry! Cause I'd love { … } have curly hair!”
“Who would you like to be your valentine, if you could have anyone in the world?”  “You.”
“You are on a whole new lever of charmer.”
“Until I find the perfect girl, I'll have Louis.”
“Harry, when was the last time you kissed a girl?” “Ehm.”  “Yesterday.”
“Your first love crush?” “Ehm… Louis Tomlinson--” “Louis Tomlinson? And how does he feel about you Harry?” Mutual. We’ve discussed it.” 



Una nube di voci, ricordi, insinuazioni, bugie, verità nascoste cominciò a perforargli il cranio, andando sempre più in fondo sino a quelle due parole: Larry Stylinson.
Louis Tomlinson urlò, ma dalla sua fragile gola non uscì nemmeno un suono, solo il pianoforte sembrava lamentarsi, utilizzando la propria voce.


Harold si svegliò di soprassalto, come se qualcuno gli avesse stretto momentaneamente il cuore, prima di lasciarlo pompare nuovamente sangue. Oltre agli incubi che lo tormentavano da mesi, una dolce melodia, interrotta bruscamente, lo fece distogliere dal suo sonno instabile.
Si girò svogliato nel lenzuolo, non trovando nessuno al suo fianco; solo coperte disordinate ed un cuscino candido, con un solco leggero in pieno centro.
Il giovane sorrise e si mise a sedere, passandosi una mano tra i folti ricci scuri. Gli occhi si spostarono sulla sveglia ed il telefono posati sul comodino:  6.30 del mattino, non male.
Assonnato si alzò dal letto, stiracchiò le membra ed uscì dalla stanza, cominciando a camminare per il corridoio.

Louis alzò il capo dal pianoforte e si asciugò in fretta e furia le gocce amare e nostalgiche che gli erano appena scivolate dalle sue acqua-marine che, a causa delle lacrime, si erano macchiate di vermiglio, anebbiandone la bellezza. Tirò su col naso e fece scivolare il polso esile a raccogliere il muco deprimente sotto le narici. Prese un respiro profondo, tentando di calmarsi. Il suo orecchio assoluto non mente mai e qualcuno si stava sicuramente avvicinando. Quale scena patetica avrebbe trovato? Louis Tomlinson che piange disperato su un pianoforte non suo.  Deglutì, tentando di indossare il solito tiepido sorriso.

Harold si stropicciò gli occhi, mentre con dolcezza calcava a piedi nudi la sfrusciante moquette. Sbadigliò  e finalmente giunse, assonnato, davanti alla camera da dove proveniva la musica e sulle sue dolci e sinuose labbra si posò un indecifrabile sorriso. Con leggerezza si appoggiò allo stipite della porta dipinta di bianco, incrociando le braccia al petto ben sagomato.  Aprì bocca, la voce roca e calda.

«Ehm.»

Un «Ehm.» timido giunse alle orecchie di Louis Tomlinson che si voltò verso la porta, osservando quella figura con familiarità.
Louis sorrise con amarezza e disse,  con voce tremula che bruciava ancora in gola.

«Buongiorno, George. Mi spiace averti svegliato.»
«Non si preoccupi signor Tomlinson.»
Lo rassicurò l’uomo slanciato, capelli brizzolati, infilato in un completo da uomo con un candido fazzoletto che sbucava dal taschino sul suo petto.
In mano reggeva una vestaglia ed un I-phone. George avanzò e Louis porse il braccio destro e, dopo aver mormorato un Thanks, il maestro di casa poggiò l’aggeggio luminoso sui tasti d’avorio e la vestaglia sul braccio sottile del 21enne. Dopodiché fece un piccolo inchino e si congedò silenzioso, mentre il giovane cominciava a coprirsi la pelle nuda.

Harold avanzò nella piccola stanza ben arredata dell’Hotel inglese, dove una giovane dalla chioma biondo grano smanettava con un I-pod fucsia ed un piano da esercizio casalingo. Appena quella percepì il suono della voce di Harry, si voltò con un sorrisino di circostanza, per poi realizzare.

«Oh, Sorry darling!»
esclamò sinceramente dispiaciuta con quell’accento americano  che fece rabbrividire il giovane inglese. Harry deglutì e si sciolse in un sorriso dolce «Non preoccuparti Taylor, non è colpa tua.»
La bionda aggrottò la fronte e fece un sospiro. «Ancora gli incubi, eh?»
 La massa di riccioli disordinati di Harry si mosse su e giù, con un velo di tristezza. «Yeah…»
Taylor si alzò dalla semplice seggiola su cui era seduta e si avvicinò ad Harold, con un’espressione amorevole sul volto. A poco dal suo viso sussurrò. «Harry, so che soffri nel fare le foto assieme a me, so che soffri  quando fingi di baciarmi, so che soffri nell’essere costretto a farlo. Ed odio vederti soffrire. Ma ricordati che questo dolore brucerà la tua pelle ancora per poco, devi solamente resistere e pensare al tuo unico antidoto, quella dolce medicina: Louis.»
Gli accarezzò i riccioli disordinati, sistemandoli appena dietro al suo orecchio sinistro.
«Anche se vi separano non molti minuti di viaggio, lui sa che sei con lui sia col cuore…» e gli posò una mano sul petto infilato in una canotta bianca «che con la mente.» E passò una mano nei suoi ricci.
Si avvicinò ancora posandogli, poi, un bacio a fior di labbra. 
«Tell him that you love him.»
Harry si prese quell’amichevole bacio e sorrise alla ragazza. Ritornò nella camera dove i due avevano dormito. Accese l’I phone e digitò il numero di Louis, mentre si sedeva sul letto sfatto.


Louis era ormai vestito, il coperchio del pianoforte scivolava sotto le sue mani delicate, pronto per essere portato a riposo. Poi, però, uno squillo fece chiudere bruscamente a Louis quello strumento. Louis che si precipitò, con il respiro aumentato in un battito di ciglia, sul telefono. Sbloccò il touch e timido chiese.

«Harry?»
«I love you, Louis.» Harry investì con la sua voce calda il microfono dell’I-phone.
Tomlinson si posò una mano sulle labbra, gli occhi celesti sorrisero sereni, la voce uscì sicura e limpida.

«I love you, Harold.»
Styles si infilò una mano nei riccioli disordinati, mentre un angelico sorriso si posava sulle sue dolci labbra.
«How are you, my love?»
«Fine…» mentì Louis, con una voce piuttosto ingannevole. Sospirò e aggiunse nuovamente allegro.
«And you?»
«Maybe… Maybe It could be better.» Sussurrò con un velo triste nel tono di voce.
Louis si torturò il labbro inferiore per qualche secondo, prima di rispondere con un tono apprensivo.

«I-I know. But you must be strong, for me.»
Il ricciolo deglutì con un briciolo di indecisa sofferenza, prese un respiro e chiese.
«Where are you, Mh?»
Con un po’ di imbarazzo percepibile dal tono di voce, l’altro rispose.
«Your Home. I missed your sweetness…»
Harold sorrise, ma il distendersi di quelle curve mostrava il senso di nausea, la colpevolezza, l’orribile sensazione di non averlo affianco, ma solo in una casa vuota, alla ricerca del profumo di Harry che tanto mancava all’animo ormai fragile di Lou.
Quella frase sussurrata con la nuova timidezza del Tomlinson azzannò il cuore di Harold.
Lo stritolò, ne fece pezzetti sino a farlo svanire.
Non poteva andare avanti così, benché Taylor avesse ragione quando sosteneva che Harry fosse con Louis sia col cuore che con la mente, il moro desiderava poter essere presente, anche con il corpo. Con una certa decisione nella voce, dalle sue labbra scivolò una bugia.

«My love, I’ve to go, management. I’ll call you.»
Louis schiuse tristemente le labbra e abbassò lo sguardo, cercandosi i piedi nudi. Annuì piano con il capo e sussurrò.
«I love you…»
«I love you too.» Mormorò Harry dolcemente. Subito chiuse la conversazione, un respiro profondo e si alzò dal letto in fretta. Raccolse jeans, t-shirt e giacca; si vestì velocemente ignorando gli arrangiamenti ed i suoni provenienti dalla stanza dove Taylor si stava esercitando. Infilò le Clarks rischiando di inciamparsi nel tappeto e prese in prestito –rubò, le chiavi della macchina affidata a Taylor. Salutò la giovane con un « See you later, cover me.» Ed uscì dal mini appartamento, facendo sbattere la porta.
La bionda si alzò dalla sedia e raggiunse l’ingresso in tutta fretta, fece per urlare un 
«Harold, you’re an immature boy…!» ma le morì in gola, diventando un sussurro preoccupato.

Louis tornò dove aveva dormito, nel letto di Harry. Quello che spesso e volentieri avevano condiviso, l’uno abbracciato all’altro a scambiarsi delicate carezze sulla pelle tiepida, a stuzzicarsi le labbra e a giocare con i propri corpi; ascoltare il respiro di Harry e vederlo riposare, pensava Louis, era un qualcosa di sublime. Le labbra rimanevano schiuse e la sua espressione diventava particolarmente bambinesca, immerso nei sogni e colpito dalla stanchezza. Quando Louis rimaneva sveglio per osservarlo, carezzava i suoi riccioli con un infinita dolcezza, per non disturbare il suo sonno, ma fargli sentire la sua presenza.
Fargli percepire che lui c’era, c’è e ci sarà. Sempre.
Louis sospirò e si appoggiò alla testata del letto; il cuscino di Harold tra petto e ginocchia, la mente immersa in una valle di pensieri.

Harry riuscì a salire nell’auto sportiva dai vetri oscurati senza che nessuno lo avesse visto.
Per fortuna.
Ingranò la marcia, si destreggiò uscendo dal parcheggio di uno degli hotel più raffinati di Farnham, una graziosa cittadina a poco più di 50 minuti da Londra.
Sfruttando questa minima distanza, il diciottenne partì verso la Capitale, prendendo la prima superstrada che il navigatore dell’auto di lusso gli consigliò.
Tamburellando le dita sul volante e mantenendo una buona velocità, Harold Edward Styles macinava chilometro su chilometro; due pozze chiare, limpide, celesti con sprazzi di grigio gli lampeggiavano nella mente, convincendolo sempre di più che ciò che stava facendo era semplicemente giusto.

Doveva tentare di reagire, di non compiangerlo, di non perdersi nel suo profumo, ma pensare che tutto, prima o poi, sarebbe diventato come desiderano.
Louis William Tomlinson alzò il capo da quel cuscino coperto da una federa rossa, dopo una quarantina di minuti che il suo naso aveva sostato tra il tessuto morbido che odorava di miele e yogurt. Quel semplice profumo che Lou ama alla follia.
Si alzò dal letto e cominciò a vestirsi, pronto per un’altra giornata: una giornata o con Eleanor o con una striscia di oro bianco e la sua immancabile amica  bionda, la Corona. Magari avrebbe telefonato a Niall… Sì, probabilmente lo avrebbe fatto.
Sospirò e, inculcato il cappellino grigio sulla chioma disordinata, uscì dalla camera. Chiavi della porche nella tasca destra della tuta, I-Phone nella sinistra. Sbadigliò e si soffermò sulla porta di casa.

«George, I’m gonna go at home, if Harold come back… tell him that I love him, thanks.»
Dalla cucina giunse una voce quasi regale.
«As you wish, Louis.»


Il viaggio durò meno del previsto, considerando l’orario scomodo per gli automobilisti; così Harold riuscì ad arrivare prima del previsto a Londra e, per una grazia divina, il fato, una buona stella o semplicemente la fortuna, Harry riuscì a parcheggiare davanti a casa Styles prima che Louis parlasse col maggiordomo. Velocemente il ricciolo scese dalla vettura, guardandosi appena attorno, corse nel viale con il suo passo atletico e leggero, sino ad arrivare davanti alla porta con un briciolo di fiatone. Deglutì e fece per aprirla, ma Louis lo anticipò.
Louis che aprì la porta, gli occhi socchiusi e l'aria distratta per lo stress ed il sonno. Svogliato e a testa bassa fece per uscire sull'uscio, ma una figura goffa gli bloccò il cammino. Tirò sul il mento e disse frettoloso.

«Oops!» Ma poi Louis Tomlinson si rese conto di chi aveva davanti: le labbra i schiusero, tremule, gli occhi diventarono improvvisamente lucidi ed un sorriso profondamente colpito si posò sulle sue labbra sottili. Non poteva crederci, i suoi occhi lo stavano prendendo in giro, Harold non poteva esser fuggito da Taylor, dal Management, da quell'orrido teatro per lui. Si erano messi d'accordo e Harold aveva spezzato il loro patto. Louis non era mai stato così felice per un tradimento.    
Harry Styles rimase spiazzato per qualche secondo all'impatto col più grande. Poi riprese la sua posizione e, con estrema sicurezza nella voce calda, nuova, adulta, guardando Louis profondamente negli occhi chiari e belli, ma sciupati e sull'orlo delle lacrime, mormorò.

«Hi.»


Angolino Lav.
Spero vi sia piaciuta questa One Shot frutto di un mio sogno.
Sì, sono una psicopatica.
Love you All, enjoy it! <3  Ps: Se recensite mi fate un gran piacere!
  
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