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Autore: Shireen    02/02/2013    6 recensioni
"Cento anni or sono morì una bambina. Molto probabilmente, la colpa fu tutta della suola nuova delle sue scarpette nere, ricevute in dono per il suo undicesimo compleanno. Morì così presto che non ebbe nemmeno il tempo di far capire che esse erano di sua proprietà, e che mai nessuno avrebbe potuto prenderle senza il suo consenso… "
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le scarpette maledette

 
Cento anni or sono morì una bambina. Molto probabilmente, la colpa fu tutta della suola nuova delle sue scarpette nere, ricevute in dono per il suo undicesimo compleanno. Morì così presto che non ebbe nemmeno il tempo di far capire che esse erano di sua proprietà, e che mai nessuno avrebbe potuto prenderle senza il suo consenso…
 
Tanto tempo fa, in un villaggio di contadini molto lontano, nascosto dalla naturale muraglia protettiva creata dai salici piangenti attorno alla sua casetta, viveva un uomo molto povero. Lavorava assieme alla giovane moglie il fazzoletto di terra lasciatogli in eredità dal padre, morto pochi anni prima, e ne ricavava a malapena il necessario per non morire di fame e mantenere i suoi figlioli. Ne aveva tre, che amava molto e per i quali avrebbe dato la propria vita. Due di questi erano molto piccoli: uno aveva tre anni, mentre l’altro appena due; la terza, invece, era un’adorabile e graziosa bambina di dieci anni, dai capelli rossi e il nasino all’insù, una pioggia di lentiggini sugli zigomi e un lampo d’allegria sempre presente negli occhietti verdi come smeraldi. Il suo nome era Margareth, che ben si adattava alla sua purezza e alla sua grande vitalità, impossibile da scoraggiare.
Il buon uomo ricordava tutte le volte che la figlioletta era stata mandata a dormire senza cena, al fine di lasciare il misero pasto che le sarebbe toccato ai fratellini. Avrebbe fatto di tutto per rendere la vita più facile alla sua famiglia, e soprattutto a Margareth, che tanto aveva fatto per lui, che gli faceva scorgere sempre il lato positivo della situazione, che gli aveva insegnato che dopo ogni temporale il sole torna a splendere.
Aveva riflettuto a lungo su cosa fare per rendere felice la sua piccolina, ma non gli erano venute in mente che idee troppo costose e irrealizzabili. “Si merita un grande dono”, pensava, “ha il cuore di una principessa”.  
Mentre rincasava dopo una dura giornata di lavoro, incontrò una donna molto vecchia, gobba e dotata di un abominevole naso bitorzoluto.
«Voi… voi avete una bella figliola, non è vero?» Disse la vecchietta avvicinandosi malferma.
Ad un primo impatto sembrava una mendicante, ma osservando attentamente i suoi gesti e ascoltando la sua voce, ci si rendeva conto che non potevano appartenere a una donna di umili origini; portava semplicemente su di sé i segni del tempo, che l’avevano abbruttita senza pietà alcuna. Indossava un ampio mantello nero, che le copriva interamente il capo, lasciando sfuggire soltanto qualche ciocca di capelli bianchi. Teneva la testa bassa, impedendo al suo interlocutore di vederle gli occhi.
L’uomo rimase fermo. Notò che portava uno strano pacco nella mano sinistra.
«Voi avete una figlia, dico bene?» Ripeté.
«Sì, ho una figlia» rispose il contadino.
«Allora prendete» disse la donnina, affrettandosi a porgergli il pacchetto che trasportava.
Egli fece per rifiutare, indietreggiando, ma lei non gli diede la possibilità di aprire bocca.
«Non si rifiuta un dono» pronunciò lasciando a terra il fagottino, quindi continuò lentamente con il suo cammino.
Ora, visti la sua grande curiosità e il suo grande desiderio di fare un regalo a Margareth, con l’occasione gratuita che gli si presentava servita su un piatto d’argento, l’agricoltore non poté fare altro che avvicinarsi a quel bizzarro oggetto e cercare di aprirlo.
Si meravigliò una volta visto cosa c’era sotto la carta: un bellissimo paio di scarpette nere. Erano lucide, raffinate, con un fino cinturino; sembravano leggermente più grandi della misura di Margareth, e un po’ antiquate e coperte da un sottile strato di polvere, ma era certo che, accecata dalla luce della gioia per il suo primo vero regalo, ella non ci avrebbe di certo fatto caso. Si guardò intorno sperando di rivedere la generosa vecchia per ringraziarla, ma sembrava sparita nel nulla.
Così, decise di avviarsi verso casa, impaziente di rivedere la sua famiglia.  
Varcata la soglia, con un sorriso raggiante stampato in volto, trovò la sua principessa intenta a ritrarre fiori su della carta da lettere, seduta su uno sgabellino. Appena lo vide si alzò e gli corse incontro, gettandoglisi tra le braccia. Ogni volta che il povero bracciante tornava nella sua dimora dopo una giornata di pesante faticare sotto il sole, la piccola gli ridava, con un semplice sorriso, l’energia spesa.
«Ho qualcosa per te, qui» disse allontanandola da sé e tirando fuori le scarpette che aveva tenuto nascoste dietro la schiena.
Inutile descrivere l’immensa allegria dipintasi sul volto di Margareth. Non era in grado di nascondere i suoi sentimenti, mai.  
Riempì il padre di “grazie” e di “vi voglio bene”, dopodiché, indossato il suo vestitino di lino della domenica ignorando le proteste del genitore,  si avviò all’esterno a piedi nudi, con il suo regalo sotto il braccio.
Fatti alcuni passi lenti sul prato che circondava il viottolo d’ingresso, decise di infilarsi le scarpette ed affrettarsi: voleva, infatti, raggiungere al più presto la madre e i fratellini che si erano recati al pozzo del villaggio, per gioire assieme a loro. Ogni suo momento di felicità doveva essere anche il loro.
Le calzavano alla perfezione; sembravano fatte apposta per lei. Uscita dal cortiletto, cominciò a percorrere saltellando allegramente la stradina serpeggiante che portava al centro del paesino.
Era una delle più belle giornate di primavera di sempre: il sole, ormai di un vivo color arancione, era alto nel cielo limpido e si apprestava pian piano a dirigersi verso occidente, per nascondersi dietro le lontane montagne; il canto degli uccellini tra i rami degli alberi che costeggiavano il percorso era ancora allegro, sebbene nessuno fosse più carico d’energia e buoni propositi come di mattina; a tutto faceva da sfondo un inebriante profumo di fiori in pieno rigoglio, e l’erba accanto al vialetto di pietre era di un verde magnificamente brillante.    
In quell’ambiente così fatato, Margareth non era certamente fuori posto: i suoi riccioli chiari, raccolti in una morbida coda di cavallo stretta da un ampio ficco di raso cremisi, ondeggiavano leggeri ad ogni balzo, e i suoi occhi erano illuminati da quel brillio unico che può essere testimone soltanto di una delizia immensa ed inaspettata.
Ogni tanto si fermava ad osservare il volo di una farfalla o ad ammirare una delle rose color pesca che circondavano il suo cammino, e allora coglieva l’occasione per chinarsi ed accarezzare per l’ennesima volta le sue nuove scarpe. Le adorava davvero.
Era quasi a metà strada quando un debole lamento raggiunse le sue orecchie. Poi ne sentì un altro, e un altro ancora. Stette ad ascoltare, attenta come un coniglio, e capì che doveva intervenire quando quei flebili gemiti di dolore si trasformarono in un pianto convulso, perché non poteva permettere che qualcuno rimanesse triste in un giorno così bello.
Sembravano singhiozzi di una donna. Una donna in cerca di conforto, molto probabilmente. Non ci pensò due volte prima di dirigersi verso destra, seguendo il suono, iniziando a percorrere uno stretto sentiero nell’erba alta. Le parve strano non averlo mai notato prima di allora. Andò avanti per alcuni metri, finché non giunse alla fine della terra battuta e non piombò nel verde infinito del prato. La voce della donna si era fatta sempre più vicina, e sembrava chiamarla. Margareth rifletté per un momento, quindi decise di continuare ad avanzare, incurante dell’erba che le arrivava alla vita, solleticandole le gambe.
Con un po’ di fatica, raggiunse il punto da cui proveniva tutta quella sofferenza.
Una ragazzina minuta stava rannicchiata sull’erba. Teneva il volto tra le mani e non smetteva di piangere, ignara della nuova presenza alle sue spalle. Aveva dei capelli neri molto lunghi, raccolti in due trecce libere sulla schiena, e indossava un abito bianco. La cosa curiosa, però, era che tutta la sua figura sembrava circondata da un alone azzurro, quasi a voler sfumare i contorni del suo corpo nell’ambiente. Pareva che fosse parte del paesaggio, tanto appariva adatta a quel luogo. Dava l’impressione di dover essere lì da sempre.
Margareth rimase immobile per un po’, non sapendo cos’altro fare, sentendosi indiscreta ad interrompere la sua solitudine. Ammirò la bambina, che non doveva essere molto più vecchia di lei, studiandone ogni dettaglio. Ahimè, aveva ereditato la curiosità del padre.
Ad un tratto la giovane si girò.
«Benvenuta» disse con voce carezzevole. Un debole sorriso era apparso sul suo volto, mentre l’ultima lacrima le scendeva sulla guancia. Era graziosa, notò Margareth. Aveva una bocca piccola di uno strano colore bluastro, una fronte alta e dei grandi occhi neri. La piccola rimase un po’ sconcertata dallo strano colore delle labbra della fanciulletta, ma non disse niente.
«Perché stai soffrendo?» Le chiese, non riuscendo più a trattenersi.
La ragazza si limitò a scuotere la testa, guardando altrove. Margareth ebbe modo di osservare i suoi occhi: erano privi di ogni luce, nulla li animava, apparivano semplicemente… spenti.
Le due rimasero a fissarsi per un po’, poi la giovane dalle labbra blu iniziò a camminare nell’erba, facendo cenno all’altra di seguirla.
Fecero alcuni passi finché non giunsero all’ombra di un grosso salice, isolato dagli altri. Guardando verso la stradina principale che avrebbe dovuto percorrere, Margareth si rese conto di quanto fosse lontana. Non credeva di essersi distanziata così tanto dal sentiero che conosceva.
“Se mi nascondessi qui”, pensò, “nessuno mi troverebbe, perché nessuno verrebbe mai in questo posto.” 
Troppo presa a guardare la strada, non si accorse di una profonda buca rettangolare ai suoi piedi. Quando la vide era già sul ciglio, e, perso l’equilibrio,  vi cadde, atterrando bruscamente sulle ginocchia.
Si alzò subito per uscirne, ma, in assenza di una scala, non avrebbe potuto farcela.
Le venne in mente che però non era sola.
«Aiutami! È molto freddo qui dentro» disse a voce alta per farsi sentire.
La ragazzina si affacciò. Sorrideva.
«Hai delle belle scarpette, sai?» Si limitò a dire.
«Tirami fuori e te le farò vedere» propose Margareth. Stava ormai iniziando a preoccuparsi per la situazione nella quale si era cacciata.
«Gettamele ora. Poi ti farò uscire.»
La sventurata non ebbe scelta. Si sfilò tristemente le scarpe e le lanciò fuori dalla buca.
La bambina dai capelli corvini, però, non mantenne la sua promessa. Si sedette e si mise le calzature, poi si alzò e si mise a fissare qualcosa dietro le spalle della piccola malaugurata.
Quando quest’ultima si girò, rimase impietrita. Di fronte alla buca stava un’enorme lapide. Nella pietra era inciso il suo nome per esteso, la sua data di nascita e, accanto, la data del giorno in corso.
Non capiva.
«Che cosa significa?» Chiese.
«La tua famiglia non dovrà scomodarsi per garantirti una degna sepoltura» rispose dolcemente, prima di iniziare a gettare palate di terra nella buca.
Margareth non ebbe nemmeno il tempo di riordinare i suoi pensieri, che venne travolta e seppellita dal terriccio fresco.
La giovane continuò a riempire la fossa, e, quando ebbe finito, con le mani sui fianchi dichiarò: «Così impari a prendere le mie scarpette.»
Peccato, però, che quando tentò di muovere alcuni passi per allontanarsi, esse non si spostarono con lei. Perché i bambini fantasma non sono fatti per indossare le calzature dei bambini vivi.
 
Nel frattempo, nella mente del padre si faceva strada una domanda: e se non avesse dovuto accettare un dono da una sconosciuta?


   
 
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