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Autore: Justanotherpsycho    02/02/2013    0 recensioni
Una piccola storiella di come un orologio scopre qualcosa di estraneo alla sua stessa natura...
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Piccolo Orologio C'era una volta un piccolo orologio proprio carino, di quelli nascosti dentro un ciondolo.
Fuori era finemente decorato, color ottone, appeso per una sottile catenina al delicato collo della sua padrona.
Ogni volta che quella apriva lo sportellino del ciondolo, lui, impettito, mostrava le sue belle lancette, fiero di fare il suo dovere come tutti i bravi orologi.
E nemmeno si lamentava di dover stare al buio per la maggior parte del tempo, quando invece altri orologi sapeva per certo che stavano tutti i giorni appesi a un muro, per essere ammirati da tutti, come suo padre.
 
Suo padre (o almeno così lo aveva sempre chiamato e pensato) era un maestoso orologio a pendolo, di quelli antichi, intarsiati in legno pregiato con virtuosismi artistici che facevano invidia alle decorazioni del suo ciondolo.
Se ne stava tutto il tempo in un angolo della casa della sua padrona, a far ondeggiare il suo lucente pendolo con nobile distacco, sprecandosi solo una volta ogni ora per rintoccare con la sua voce austera.
Ma non era antipatico, anzi, gli voleva molto bene perché era buono, saggio e pieno di storie; dopotutto era vecchio di cent'anni.
 
Spesso la padrona, prima di andare a dormire, lo posava sul tavolo proprio davanti a suo padre, e per tutta la notte gli parlava di tutte le cose che aveva visto e ascoltato, da quando ancora si trovava nella bottega dell'orologiaio a quando la casa dove abitava prima venne distrutta dai tuoni e dal grande fuoco, e mille altri racconti ancora. Gli dava poi consigli su come essere un bravo orologio, vantandosi che in vita sua lo avevano dovuto aggiustare solo due volte, ma è una cosa normale - diceva - con l'avanzare dell'età.
E il piccolo orologio, quando non era occupato a mostrare le lancette, rimuginava, nel buio del suo guscio dorato, su tutte queste storie; fantasticava che magari un giorno, crescendo, anche lui avrebbe potuto diventare un grande orologio come suo padre, e magari l'avrebbero pure appeso al muro.
 
Una mattina, però, successe qualcosa di inaspettato: i pensieri del piccolo orologio vennero interrotti da un trillo, un canto magnifico, qualcosa di mai udito prima.
Immediatamente fu preso dalla voglia di scoprire da chi quel canto era stato emesso e non dovette aspettare molto: quando poco dopo la sua padrona lo aprì la vide, lì lontano, sopra la sua spalla, una nuova sveglia.
 
I riflessi abbaglianti della sua campana, argentea come la luna, il rosso sfavillante che le avvolgeva il quadrante come campi sterminati di rose, l'andatura aggraziata delle sue lancette... provò qualcosa di strano, dentro, negli ingranaggi, come una specie di fitta, ma bellissima, e ne volle ancora.
Nemmeno si accorse, però, che il suo ticchettio accelerò e le lancette iniziarono a correre all'impazzata.
La padrona lo squadrò per un istante e poi disse:
«Mamma! Il mio orologio è impazzito!»
«Lascialo a casa, vedrò che cosa posso fare, forse c'è solo bisogno di cambiare le pile» rispose una voce dall'altra stanza.
Così la ragazza lo posò sul tavolo e corse a scuola.
"Ma che cosa mi è preso?" pensò il piccolo orologio, riverso sul legno freddo del tavolo invece che sul petto caldo della padrona.
 
«Cos'è successo?» chiese il padre.
«Non lo so... le mie lancette... sono impazzite!»
«Ma ora il ticchettio è regolare?»
«Mi sembra di sì...»
«Mmm... e la cosa è successa così, di punto in bianco?»
«Beh, in verità no...»
E il piccolo descrisse al padre il suo "incontro" con la bellissima sveglia e cosa aveva provato poco prima dell'anomalia, e fu talmente rapito dal suo stesso racconto che a stento trattenne le lancette.
«Strano...» fece la pendola, pensante.
«Speravo che tu mi potessi aiutare, dato che sei così saggio...» disse il piccolo orologio, accennando già un che di delusione.
«Mmm.. a me non è mai successo niente del genere... - qualche istante di silenzio, quello pensava ancora - ma ho sentito parlare di qualcosa di simile, qualche volta... No, non è possibile...»
«Perché? Di che si tratta?»
«Ho sentito qualche umano parlarne, qualche tempo fa... Se non ricordo male ne parlavano come una sorta di malfunzionamento umano...»
«Malfunzionamento umano?» chiese il piccolo orologio, curioso e anche un po' preoccupato.
«Già... non sono riuscito a capire molto degli umani, ma nel tempo ho messo insieme qualche nozione sulla loro natura... A quanto pare anche loro hanno una qualche sorta di ingranaggio all'interno, o delle lancette; tu dovresti averlo sentito qualche volta, al collo della tua padrona, perché si trova proprio al livello del petto...»
Il piccolo orologio si sforzò di ricordare qualche suono tra un secondo e l'altro e, in effetti, qualche volta aveva udito una specie di altro ticchettio, che veniva dall'esterno, ma non ci aveva fatto caso più di tanto.
«E pare che in determinate occasioni, come la vista di un altro particolare umano, il ticchettio aumenti di frequenza... Mi pare lo chiamassero "amore"...»
«E-e... ed è grave?»
«Beh... per gli umani non credo... ma se non ti togli questo vizio potresti spazientire la tua padrona»
 
Più tardi quel giorno la madre della padrona lo visitò e appurò che tutto era tornato alla normalità, così, una volta tornata a casa, la ragazza tornò a indossarlo.
Il problema però si ripropose la mattina seguente, quando la vide di nuovo, per un lasso di tempo che sarebbe dovuto essere brevissimo, ma che, a sentire le sue lancette, durò quasi un'eternità.
Nuovamente venne posato sul tavolo.
«E' successo di nuovo, eh?» fece suo padre.
«Già... - sospirò il povero orologio - Ma perché proprio a me? Come pensi che sia potuto succedere? Forse sono stato troppo tempo vicino a quegl'ingranaggi umani?» chiese.
«Può darsi... ma io te l'ho detto, devi smetterla di fare così! Se è quella sveglia il problema, non guardarla!»
 
E così il povero orologio, dopo aver superato un altro controllo, ci provò a non guardarla, la mattina seguente, quando la padrona andò a controllare l'ora.
Era sicuro di non averla guardata, poteva giurarci! Ma questo non fermò le sue lancette scalpitanti: il solo pensiero che lei fosse lì gli bruciava gl'ingranaggi. E in quel momento non pensava a niente di negativo: era la sensazione più bella che avesse mai provato, e la provata sempre e solo quando la vedeva e la pensava.
 
Di nuovo lasciato a casa, padre e figlio discussero ancora una volta e alla fine quello gli ripeté quel suo consiglio. Il piccolo orologio gli promise nuovamente che avrebbe evitato qualunque coinvolgimento, ma dentro di sé iniziava a dirsi che non voleva privarsi di nulla, che quando le sue lancette correvano era felice, si sentiva vivo, più di quando si conformavano al triste ritmo di tutti i giorni.
 
Ma il piccolo orologio iniziò a preoccuparsi quando quel pomeriggio la madre della padrona lo esaminò per la terza volta e concluse bisbigliando fra sé e sé:
«Non capisco proprio cosa abbia che non va... magari è il caso di portarlo da un orologiaio»
 
Più tardi l'orologiaio ispezionava i suoi ingranaggi e anche lui, davanti allo sguardo apprensivo della signora, convenne che non vi era niente di irregolare.
«Signora, forse le conviene lasciarmelo per un po', giusto per vedere se questo malfunzionamento si ripresenta»
 
Così il piccolo orologio trascorse quel giorno e quella notte lontano da casa e dalla sua amata, e già sentiva la sua mancanza consumargli le rotelle; ma il dolore divenne insopportabile quando, al mattino, tutte le sveglie nel negozio trillarono all'unisono.
In mezzo a quel coro, il vuoto della sua voce paradisiaca gli riportò alla mente la sua immagine.
E caso vuole che tutto ciò succedesse proprio mentre era sotto i ferri dell'orologiaio, che assistette all'anomalia da una posizione privilegiata, con faccia sbalordita.
 
Quando vide che poi il ticchettio tornava regolare, fu ancora più stupito e decise di prendersi un altro giorno per verificare.
Il mattino successivo l'evento si ripeté e l'orologiaio chiamò la donna.
Quando giunse al negozio le spiegò l'inspiegabilità del malfunzionamento e
«E' da buttare... posso comprarglielo io, posso fondere il metallo e farci un altro orologio»
 
Il povero piccolo orologio non seppe mai se un giorno l'avrebbero appeso al muro, ma ormai non gliene sarebbe importato nulla: quanto erano vani i suoi vecchi pensieri e i suoi vecchi affanni! La sua più grande aspirazione era tenere un tempo monotono e grigio.
E quanto ingiusto e infelice era il mondo! che quando aveva finalmente trovato l'unica cosa che lo faceva sentire vivo e che prima gli nascondeva, l'aveva condannato, come se fosse il crimine più grande.
Ma non gli concedette la soddisfazione di decidere l'ultimo ritmo che avrebbe scandito: gli bastò pensare per un attimo a lei che le sue lancette si gettarono in un ultima, disperata, libera corsa, ticchettando il tempo dell'amore.
  
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