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Autore: Yukino    03/02/2013    6 recensioni
Frank lavora per la Scarecrow, come assistente al Dottore che creerà le pillole bianche. Cosa l'ha portato a farlo? E chi potrebbe fargli cambiare idea? Forse un Prigioniero con una voce incredibile e delle canzoni che sanno scavare dentro e indurre a fare domande. O forse il fatto che lui non è mai stato davvero *domato*. O gli occhi verdi, indomiti e selvaggi, del Prigioniero.
[Killjoy!Verse]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NOTTE IMPOTENTE, NOTTE GUERRIERA


Dal diario di Frank Iero, 20 settembre 2017


Fanculo anche queste dannate pillole! Ci stiamo rompendo la testa, io e il Dottore, e non siamo ancora arrivati da nessuna parte. Mi chiedo se davvero riuciremo a creare la ricetta della pace racchiusa in una pillola bianca. Può davvero essere così facile? Dalla fatica che stiamo facendo per sintetizzare i farmaci sto arrivando a pensare che non lo sarà affatto.


Frank chiuse il quaderno con stizza, gettandolo malamente nel cassetto che poi chiuse a chiave. Non voleva che il Dottore pensasse che fossero appunti e li leggesse inavvertitamente. Non voleva dare l'impressione sbagliata; la B/L aveva bisogno di gente di cui fidarsi, soprattutto per un compito delicato come il suo.
Si strofinò gli occhi stancamente, sospirando. Erano mesi che stava lavorando sulle pillole, anche se solo da poche settimane gli erano state assegnate delle vere e proprie cavie da testare. Inizialmente aveva pensato che fosse perché Il Dottore era certo di essere arrivato a un punto risolutivo, e lui non si era sognato di contestare. Era solo un assistente. Ma poi gli era diventato chiaro che in realtà non erano in questa Casa di Riabilitazione perché erano vicini alla vittoria, ma al contrario, proprio perché erano a un punto morto e sperimentare sui prigionieri poteva dare quella spinta di cui loro avevano un disperato bisogno.
E quando lo aveva capito, aveva anche compreso perché fosse il Dottore a capo del progetto, e non lui. A lui non sarebbe mai venuto in mente di usare i prigionieri non come cavie per un farmaco quasi perfetto, ma come strumenti di creazione. Il Dottore era davvero una persona geniale, sotto certi punti di vista.
Si alzò dalla sedia di plastica grigia, non prima di aver dato un'occhiata allo slogan della B/L impresso come SreenSaver sul suo Computer.
Keep Smiling.
Lo rassicurava sempre. Non c'era niente di cui preoccuparsi, la B/L avrebbe pensato a tutto, li avrebbe tenuti al sicuro.
Niente più guerre atroci, niente più persone care morte, niente più Jamia per uomini che si sarebbero poi trovati distrutti alla loro perdita.
La gente ne aveva un disperato bisogno, lui ne aveva un disperato bisogno.
Se la Scarecrow non lo avesse assunto come Assistente del Dottore probabilmente sarebbe impazzito.
Si diresse con rinnovata decisione verso la porta che si aprì automaticamente. Ci sarebbero arrivati. Avrebbero trovato la ricetta per la felicità e non ci sarebbero state più Jamia da seppellire e da piangere.
Lui ci credeva con tutta la forza e la passione che aveva sempre messo in ogni cosa che faceva, dal suo lavoro come ricercatore farmacologico prima della guerra, al suo lavoro come assistente del Dottore adesso.
Attraversò i corridoi bianchi, era tutto di un bianco accecante lì, quasi in contrasto con i prigionieri che vi erano rinchiusi, animali che avevano commesso i crimini più atroci e adesso sarebbero serviti finalmente a qualcosa. Non avrebbero dato più la morte, ma la vita, espiando le loro colpe. In effetti il bianco non era un colore appropiato, era troppo puro, troppo luminoso per loro. Il bianco si doveva meritare.
Camminò velocemente per i larghi corridoi, superando le camere di detenzione e arrivando velocemente al laboratorio, dove il Dottore stava ancora lavorando al microscopio.
Rimase in rispettoso silenzio, aspettando che il Dottore lo notasse, reprimendo il brivido di impazienza quando l'uomo lo ignorò.
Doveva essere paziente, solo le bestie non sapevano domare i loro istinti.
«È tardi Frank, va pure a dormire» Disse finalmente l'uomo, alzando lo sguardo dal microscopio per puntarlo su di lui. Era uno sguardo fermo e rassicurante, lo sguardo di chi sapeva sempre cosa fare e come risolvere le situazioni scomode.
«Non vuole una mano qui? Posso...»
Lo interruppe un cenno infastidito. Si morse la lingua, cercando di non mostrare emozioni. Doveva essere ubbidiente. Questa, di tutte le cose che gli erano richieste alla Scarecrow, era la più difficile.
Jamia era solita a dire che lui non avrebbe mai ubbidito a nessuno, nemmeno a Dio in persona.
«No Frank. Fa come ti ho detto. Qui finirò presto e domani voglio che tu testi nuovamente il farmaco. Ti ho lasciato tutti i dati e le schede da compilare pre e post intervento.»
Frank abbassò la testa, ubbidiente. Non gli piaceva testare i farmaci, o meglio, i tentativi di farmaci, con esiti a volte davvero disastrosi. Era faticoso convicere i prigionieri a collaborare laddove vi era richiesto ed era nausenate avere a che fare con loro.
«C'è un particolare soggetto che voglio che tu utilizzi, ti ho lasciato tutti gli appunti.»
Frank aggrottò le sopraciglia. Era strano che il Dottore richiedesse un particolare campione, di solito non gli interessava particolarmente chi stava testando, erano i risultati quelli che contavano, non i campioni.
«Posso chiedere come mai?» chiese, cercando di mantere il tono di voce basso e rispettoso.
Il Dottore smise di lavorare con le provette e lo guardò, soppesandolo, decidendo chiaramente quanto poteva dirgli.
«È un soggetto particolarmente violento » e il tono definitivo mise fine alla conversazione.
Fece un cenno del capo in segno di saluto e uscì, digitando il codice per bloccare nuovamente la porta.

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Dagli appunti di Frank Iero, 25 settembre 2017.


Il soggetto si presentava rabbioso e ingiurioso, ho avuto bisogno di due guardie per trascinarlo fuori dalla camera. L'ho dovuto legare per procedere. Dopo diverse scariche elettriche per testare la resistenza del soggetto e per sovrastimolare i centri del dolore, ho iniettato il farmaco. La reazione è stata migliore delle precedenti. Il soggetto non è morto, nè è in coma vigile.
Presenta però uno stato simile alla lobotomizzazione, con segni vitali stabili ma cognitivamente ed emozionalmente assente o inadeguato al contesto.
Si deve considerare l'esperimento fallito, sebbene il fatto che il soggetto non sia morto o in coma sia un evidente progresso.


Progressi. Si chiese cosa significasse nel concreto, quando anche il più minimo miglioramento era comunque troppo poco. Era abituato ad avere pazienza, era un ricercatore, sebbene alle prime armi. Prima della guerra si era appena laureato e aveva cominciato a lavorare da pochi mesi. Sapeva che questi progressi erano lenti, ma si trattava di qualcosa di così importante che ogni fallimento era una sconfitta molto più grande.
Inarcò la schiena, stirando i muscoli e sbadigliando. Era piena notte ed era tutto dannatamente silenzioso e immobile. Perfino le guardie di turno sonnecchiavano davanti ai loro schermi, consci che i sistemi di guardia alle camere erano praticamente infallibili.
Chiuse il quaderno lasciandolo sulla scrivania, in modo da ricordarsi di stendere il rapporto più dettagliato l'indomani, e uscì dalla stanza.
Aveva bisogno di dormire e non pensare più. Erano questi i casi in cui gli mancava la sua chitarra, gli mancava far scorrere le dita fra le corde e creare una melodia che risuonasse con quello che sentiva, che lo svuotasse da tutto quello che non riusciva a gestire, riversandolo nella musica.
Fra le cose che il partito della B/L aveva vietato, una delle prime era la musica. Subito dopo i fumetti e piano piano l'arte in generale, fino a lasciare un mondo quasi completamente bianco. Poteva capire perché avesse proibito l'arte, ma era una delle poche cose che davvero faceva fatica ad accettare. Sapeva che erano pensieri pericolosi, ma suonare era come respirare ed era difficile vivere in un mondo senza aria.
Per Jamia.
Si ripetè per l'ennesima volta, attraversando i corridoi per arrivare alla sua stanza.
Fu la musica a fermarlo. Era dannatamente assurdo che lui ci stesse pensando proprio un minuto fa e adesso improvvisamente qualcuno stesse cantando. Sospirò, preparandosi a chiamare un sorvegliante per farlo smettere, quando le parole della canzone lo bloccarono in mezzo al corridoio, con la mano sul pulsante della chiamata.


Cantalo per i ragazzi, cantalo per le ragazze
ogni volta che perdi cantalo per il mondo
Cantalo dal cuore
Cantalo fino a quando puoi
Cantalo per le parole che odiano le tue budella
Cantalo per la morte
Cantalo per il sangue
Canta tutti quelli che hai lasciato indietro
Cantalo per il mondo

Sembrava che stesse parlando di lui, del dolore che aveva provato, del sangue di Jamia sulle sue mani. La voce era alta e limpida e portava con sè un emozione difficile da non cogliere. Era come se stesse sputando fuori dalle viscere ogni fottuta parola. Chiuse gli occhi, cercando di restare stabile sulle sue gambe. Non stava parlando con lui. Doveva solo respirare e chiamare la guardia. Non lo fece. Si lasciò scivolare sul pavimento, accanto alla porta della camera, e si rannicchiò contro il muro.
Era così appassionato e convinto quando diceva che la cura per il dolore era cantarlo, buttarlo fuori, viverlo e lasciare che colpisse gli altri come un fottuto cazzotto. Il contrario di quello che il partito diceva, il contrario di quello che lui aveva sempre cercato di fare. Vivere il dolore come diceva la canzone l'avrebbe distrutto. Perché avrebbe dovuto? Faceva male, faceva troppo male. La voce tremò e si spense. Frank si morse le labbra. Era sbagliato ma avrebbe voluto risentirla ancora. Avrebbe voluto avere una chitarra e suonarla, avrebbe voluto entrare nella stanza e vedere colui che era in grado di cantare in questo modo, perché non poteva essere davvero un criminale.
Si limitò a rialzarsi, asciugarsi le lacrime e stupirsi quando si rese conto di averle versate. Era dalla morte di Jamia che non piangeva, che si impediva di farlo, reprimendo tutto quello che sentiva, come diceva il regime. Aveva funzionato, gli aveva permesso di continuare a vivere, di superare gli orrori della guerra.

Ma era stupefatto di come quell'attimo di assurdo abbandono lo facesse sentire straordinariamente drenato e stanco ma inconfutabilmente
sereno.
Non era una sensazione che era abituato a sentire.

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Dal diario di Frank Iero, 30 settembre 2017.

Ci vado ogni fottuta sera. Ogni sera è una canzone diversa. Non ne posso più, è come se mi stesse facendo a brandelli. Ma non riesco a farne a meno. 
Non devo superare quella dannata porta. Ho imparato il codice di sblocco a memoria, cazzone che non sono altro. Non devo aprirla. Non mi interessa chi c'è al di là, se mi scoprono, se scoprono entrambi, siamo morti.
Non devo entrare.

Era rannicchiato dietro la porta, solo una sottile lastra di metallo a dividerlo da un prigioniero che non aveva mai visto.
Guardò l'orologio. Mancava poco ormai, erano quasi le due di notte, subito avrebbe cominciato a cantare.

Come possono dirlo?
"Jenny potresti tornare a casa?"
Perché tutti sanno che tu non
Vorrai mai tornare
Lasciami essere chi ti salverà

 Chiuse gli occhi. Non poteva davvero essere così incosapevole del fatto che lui lo sentisse ogni notte. Sapeva che era impossibile, ma sembrava che stesse parlando con lui.
Ricordò la sua casa, la sua vera casa non l'appartamento che gli aveva messo a disposizione la Scarecrow, la casa che divideva con Jamia. Così calda e famigliare, piena di poster, CD e casino, piena di loro.
«Voglio tornare a casa» sussurrò contro il tessuto spiegazzato della camicia.
Non ci aveva più pensato da quando era morta Jamia, non aveva più pensato a casa loro, a quanto era bello tornarci, quanto quel posto fosse pieno di loro. Sentiva di averla tradita un po'. Lei adorava quella casa e lui non aveva più voluto pensarci perchè faceva troppo male.
Dubitava che qualcuno potesse davvero salvarlo se non la B/L.

Diventerai chi ci salverà
Dalle nere e speranzose sensazioni?
Lo capirai quando la fine diventerà reale?
Abbraccia il tuo cuore in questa oscurità
Diventerà la luce che ti condurrà fuori
O fallirai e rimarrai bloccato?

Si lasciò scappare una risata amara. Il suo cuore. Quanto ridicola e retorica poteva essere una frase del genere? Abbracciare l'oscurità perché diventasse luce? Non esisteva una cosa del genere. L'oscurità si vinceva accendendo la luce, non abbracciandola. Tuttavia la voce era così insistente, così dolce quasi e rabbiosa al tempo stesso. Non aveva mai sentito qualcuno cantare in questo modo. Come se ci credesse davvero. Ogni notte si convinceva che si sedeva lì solamente perché gli mancava la musica, non per le parole della canzone o per il modo che aveva il prigioniero di cantarle. Era bravo a convincersi delle cose. Era bravo a convincersi che si stava alzando in piedi solo per andarsene, non per aprire finalmente la porta. Era bravo a convincersi che stava entrando nella cella solo per farlo stare zitto, non perchè voleva vederlo.
I muri erano coperti di disegni in bianco e nero. Non vedeva tanto rosso assieme da anni e per un attimo dovette distogliere lo sguardo. Dopo tutto quel bianco il colore era dannatamente fastidioso. Contrasse le mani guantate, grattandosi inconsciamente il collo. Guardare quei disegni era come entrare nella testa di uno schizzofrenico. Alcuni erano dipinti di morte, sangue e violenza, neri con tocchi di un rosso violento e disturbante. Altri erano di un rosso vivo e caldo, schizzi di vita, schiacciante e dirompente. Scorci di paesaggi che non esistevano più. E unicorni. Questa era la cosa più strana. Poteva capire il carro nero con la morte sopra, ma gli unicorni proprio no.
Sembrava che nemmeno un angolo fosse stato lasciato libero, come se per il prigionero vedere anche solo un pezzetto di muro fosse inaccettabile.
«Chi cazzo sei?» esclamò una voce, quella voce, dalla parte opposta alla porta. La luce era spenta, solo uno spicchio di luna illuminava i dipinti sul muro e il rosso violento e abbagliante che lampeggiava sulla testa del prigioniero.

Sono i suoi fottuti capelli realizzò Frank con stupore. Aveva tinto i capelli di un rosso davvero accecante e anche se non si vedeva nient'altro se non loro, istintivamente sapeva che quel colore era perfetto su di lui. Riassumeva alla perfezione tutta la vita e la morte che si percevivano nelle sue canzoni, quella dicotomia che si poteva trovare anche nei suoi disegni e che lo aveva spinto ad aprire la porta.
Il prigioniero si alzò in piedi di scatto, minaccioso. Gli venne da ridere.
Lui lo stava minacciando? Era chiaramente pelle e ossa, la cura della Casa evidentemente lo aveva piuttosto debilitato. Si reggeva in piedi a stento. Cosa diavolo pensava di fare?
«Rispondi cazzo!» ruggì il prigioniero, e lui scattò avanti, se non altro per farlo stare zitto, perchè le guardie potevano pure dormire e non accorgersi delle sue doti canori, ma un urlo ancora lo riconoscevano.
«Zitto» si limitò a rispondere Frank, a pochi centimetri da lui. Aveva la pelle pallida di chi non vedeva il sole da mesi, grandi lividi macchiavano quel candore e la bocca spiccava, rossa di sangue incrostato.
«Lavoro qui» rispose poi dopo un attimo di esitazione di cui poi si odiò.
Lui doveva essere orgoglioso di quello che faceva per la sua città, l'approvazione del prigioniero non doveva interessargli.
Uno sputo per terra chiarì comunque quello che pensava il ragazzo della sua affermazione.
«E perché sei qui? Vuoi provare il brivido di uccidermi personalmente?» la voce continuava a essere rabbiosa, ma era anche incerta adesso, come se non si spiegasse perché Frank fosse ancora fermo, divorando con lo sguardo tutte le pareti della cella.
«Cos'hai usato per il rosso?» sbottò poi Frank, incapace di trattenersi. Un atteggiamento del genere gli avrebbe riservato solo guai con il Dottore, ma era in un certo senso liberatorio lasciarsi andare.
«Un carboncino puoi averlo nascosto, ma sicuramente non un intera scatola di colori. Cosa hai usato?»
Vide il prigioniero avanzare lentamente, con cautela ma senza esitazioni. Era coraggioso, glielo concedeva.
«Non lo immagini?» replicò sottovoce il ragazzo, allungando appena un braccio perché fosse visibile sotto la luce debole della luna.
Improvvisamente vide le ciccatrici sulla pelle pallida e liscia e capì.
Il suo sangue.
Rabbrividì. L'idea era terribile e macabra, però anche dannatamente affascinante. Usare una cosa che richiamava la morte per esorcizzarla, dipingendola sulle pareti e sporcandola con dipinti di vita.
C'era un piccolo letto in un angolo della stanza e il ragazzo vi si diresse, senza smettere di tenerlo d'occhio. Si lasciò cadere con cautela, quasi che muoversi o sedersi gli facesse male, e poi continuò a fissarlo. Sembrava lo stesse soppesando.
«Perché sei qui?» chiese ancora, questa volta più delicatamente.
«Per la musica» rispose Frank senza pensarci. Una riposta per una risposta. In fondo era giusto. In un lampo di terrore si chiese quando mai a un'animale si concedeva la stessa giustizia riservata agli esseri umani. Ma guardando il prigioniero seduto sul letto gli sembrava solo un ragazzo stanco e impaurito che cercava di non darlo a vedere, non un'animale.
Il ragazzo non rispose, limitandosi a scostarsi un po', lasciando dello spazio libero accanto a lui, in un chiaro invito.
Frank si morse le labbra, esitando. Era entrato nella cella, aveva parlato con il prigioniero, non lo aveva denunciato per le canzoni. Erano già cose abbastanza gravi. Però il ragazzo lo guardava con degli occhi verdi davvero disturbanti e non pretendeva che lui si controllasse, misurasse ogni parola o che semplicemente facesse tutto quello che lui voleva. Era facile scivolare accanto a lui, senza toccarlo, senza guardarlo, fissando ancora i disegni sulle pareti. Era liberatorio stare lì in silenzio, ascoltando il suo respiro, senza dover fare nulla. Era bello stare accanto a qualcuno che lo guardava con curiosità e non con sdegno.

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Dal diario di Frank Iero 3 ottobre 2017

Chi ha disobbubbidito, infranto la legge, rubato, ucciso, si può ancora considerare una persona?
Quand'è che nella mia testa è diventato
Gerard?

Erano tre giorni che entrava nella cella di Gerard e si sedeva sul letto accanto a lui, in silenzio. Gerard non diceva nulla, quando lui apriva la porta si alzava e si sedeva, lasciandogli spazio. Lo stava chiaramente aspettando, lo si capiva dallo sguardo che gli lanciava quando Frank entrava. Non si chiedeva dove questo sarebbe andato a finire o perché Gerard non gli chiedesse nulla. Si limitava a godere il sollievo che per qualche strano motivo sentiva accanto a lui, rannicchiandosi su se stesso quando Gerard cominciava a cantare.
Non parlavano, nessuno dei due aveva più tentato una conversazione dopo quella prima volta, e andava bene così. Non si era reso conto di quanto avesse bisogno di stare semplicemente con qualcuno per il piacere di farlo, non si era reso conto di quanto bene si sentisse ascoltando il suo respiro e le sue canzoni. E questo andava contro tutto quello che aveva creduto nell'ultimo anno, tutto quello che si era costruito nella testa per andare avanti dopo la guerra, accettando con fede cieca tutto quello che la B/L gli diceva. E Gerard non aveva ancora aperto bocca, se non per cantare. Ma questo era sufficiente. Le canzoni possedevano un violento e rabbioso potere, quello di sbattere in faccia la verita a chi stava ascoltando, impedendogli di chiudere ancora gli occhi. Era assurdo che Gerard lo stesse facendo dubitare senza nemmeno parlare con lui direttamente.
«Perché hai i guanti?» la sua domanda lo colse totalmente alla sprovvista.
Contrasse automaticamente le mani, tirando i polsini della maglia fino a coprirle ulteriormente. Poi rilasciò lentamente il respiro che aveva trattenuto e sorrise. Il solo pensiero di potergliele mostrare era terrificante nella sua semplice bellezza. Con calma si rimboccò le maniche della maglia, togliendo i guanti senza esitazioni.
Le sue nocche si scoprirono, assieme alle loro scritte.
Gli occhi di Gerard si spalancarono e per la prima volta vide una luce di eccitazione quasi infantile brillarvi dentro.
«Oddio, ne hai altri?» chiese con la sua voce acuta, le parole sparate velocemente, quasi non potesse aspettare che lui le recepisse per la troppa impazienza.
Frank non esitò prima di togliersi la maglia e voltarsi.
Rabbrividì quando le sue dita fredde tracciarono i contorni della zucca sua schiena. Era troppo tempo che nessuno lo sfiorava così, con riverenza e innegabile affetto.
«L'arte è l'arma, vero?» sussurrò Gerard, facendo scorrere le sue dita lungo la colonna vertebrale, lentamente, deliberatamente.
«Eh?» mormorò Frank, troppo sopraffatto per articolare altro.
«So che nella mia scheda c'è scritto solo il mio nome e nient'altro. Noi non siamo considerati persone qui, non è importante chi ero prima o perchè sono qui dentro.»
Si fermò un attimo, facendo riposare le sue dita sui suoi fianchi, sopra le lettere incise sulla sua pelle.
Frank non fiatò. Voleva saperlo, l'aveva voluto dal momento in cui aveva posato gli occhi su di lui.
«Ero un disegnatore di fumetti. Quando il regime ha cominciato con la censura ho cercato di adeguarmi, ma quando l'ha proibito del tutto allora ho smesso di cercare. Ho pubblicato i miei fumetti con l'aiuto di altre persone, ho fatto manifesti con le pagine di V for Vendetta da distribuire in giro, fino ad arrivare a dipingere i muri di Battery City quasi ogni notte.»
Le dita si erano scaldate e la sua pelle sembrava infucarsi sotto il suo tocco.
Non riusciva a respirare correttamente, nè a muoversi.
«L'arte è l'arma e lo sanno anche loro.»

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Dal diario di Frank Iero, 4 ottobre 2017

Era da un'anno che non guardavo i miei tatuaggi, e ora non riesco a togliermeli dalla testa, non riesco a smettere di guardarmi le mani. L'unica cosa che non ho voluto concedergli. L'ultimo centimetro di me che mi rende libero. Era questo che intedeva Gerard? In quel centimetro noi siamo liberi. E se siamo liberi siamo in grado di pensare. È questo che spaventa tanto la B/L? Pensavo che la pace avesse un prezzo, che la nostra sicurezza valesse alcuni sacrifici. Pensavo di essere disposto a farli. Ma se ascoltare le dannate canzoni di un prigioniero mi ha fottuto la mente, allora forse non è un sacrificio che sono davvero disposto a fare.
I miei tatuaggi sono il mio centimetro, e in quel centimetro io sono libero.


Questa volta quando Frank entrò nella sua camera non era a mani vuote.
Gerard spalancò gli occhi guardando le scatolette di cibo nelle sue mani e tese le mani, ansioso. Era la prima volta che abbassava così le sue difese; Frank non riuscì a reprimere un brivido di piacere pensando che Gerard stava iniziando a fidarsi di lui.
«Cazzo, è cibo quello? Cibo vero?Cazzocazzo!» esclamò, un milione di sillabe al secondo nell'impazienza.
Frank rise e si sedette sul letto accanto a lui, tendendogliele e guardando l'avidità con cui le prese e ci si tuffò dentro.
«Hai ragione sai» esclamò improvvisamente Frank, distogliendo lo sguardo da Gerard e puntandolo verso il muro. C'era una donna con una maschera antigas, che avanzava aprendo il corteo a un enorme carro nero.
Gerard non rispose, però smise di mangiare. Poteva sentire il suo sguardo addosso, pesante come il piombo e desiderato come un'sorso d'acqua nel deserto.
«L'arte è l'arma» Prese un respiro prima di continuare e poi...semplicemente lo buttò fuori. Ne aveva un dannato bisogno.
«Io ti ho solo sentito cantare, non hai detto nulla, non hai fatto nulla, eppure io non riesco più a...cazzo» esalò, ostinandosi a fissare la donna sul muro. Non sapeva perché, ma improvvisamente era importante che Gerard non lo considerasse un mostro.
«Sai cosa facciamo qui?» chiese bruscamente Frank, voltandosi finalmente a guardarlo.
Gerard masticava lentamente, non distoglieva lo sguardo da lui. Era di un'intensità disturbante.
«State sperimentando una sorta di farmaco che lobotomizza tutti» riassunse poi. Frank lo guardò incredulo, poi rise, una risata che aveva una sfumatura isterica decisamente preoccupante.
«Beh è pittoresco ma più o meno è così.» la sua voce conservava ancora tracce d'ilarità che perse quando proseguì, questa volta senza distogliere lo sguardo da Gerard.
«Pensavo che fosse una cosa buona. Che esistesse davvero una pillola che potesse eliminare la rabbia, ricordare agli uomini come essere felici, avevo bisogno di credere...» chiuse gli occhi, piegandosi lentamente su se stesso, fino ad appoggiare la fronte sulle sue ginocchia.
«Avevo bisogno di credere che tutto avesse una ragione. La guerra e tutto quello che aveva fatto, quello che ci aveva portato via. E che la ragione fosse la B/L, che fosse la risposta, che lei potesse mostrarci la via per una vita migliore. Dio.» si morse le labbra, così forte che sentì il sangue scorrergli in bocca, caldo e metallico. Non era pronto per la tempesta di emozioni che si stava riversando su di lui, non era pronto all'effetto che rivelare quelle cose a Gerard gli faceva. Nessuno avrebbe mai potuto prepararlo alla straziante intensità del suo sguardo verde, dalla forza che emanava solo stando fermo. Era stato solo una volta a cospetto di Korse, il capo della Scarecrow, ed emanava lo stesso tipo di magnetismo. Convinceva chiunque a fare quello che voleva, solamente guardandolo. Erano uomini che credevano fermamente in quello che dicevano, che facevano, uomini che non si limitavano a prendere passivamente la propria vita, no, loro la rivoltavano, la mangiavano, fino a essere a propria volta divorati dalle loro convinzioni.
Erano uomini in grado di morire per quello in cui credevano. Uomini tali suscitavano un tale senso di lealtà nelle altre persone, da portarle a fidarsi ciecamente di loro, da portarle a morire per loro.
Fu lì che lo realizzò. Fu guardando il suo corpo pallido ed emaciato, provato da mesi di sofferenza, fu guardando il verde dei suoi occhi che divampava, indomito nonostante tutto.
Era lui l'uomo che voleva seguire.
«Non esiste Gerard. Una cosa del genere non esiste, e se esistesse avrebbe un prezzo troppo fottutamente alto. Ed io sono dovuto arrivare a schifarmi di me stesso per poterlo capire»
Improvvisamente sentì una mano calda posarsi sulla sua nuca e questo minacciò di fargli perdere davvero il controllo. Non lo meritava, non meritava che Gerard facesse così, che lo toccasse, che cercasse di consolarlo. La mano premette fino a che la testa di Frank non si spostò sulle sue ginocchia, le dita lievi gli accarezzavano i capelli, immergendosi dentro le ciocche scure e massaggiando delicatamente la cute.
«Perchè fai così?» chiese piano, un respiro più forte avrebbe potuto spezzarlo.
«Non lo merito, io...» la mano di Gerard scivolò sul suo viso, fino a premere contro le sue labbra.
«Shhh» sussurrò, lieve ma deciso. Era tutto quello di cui aveva bisogno per calmarsi. Il respiro costante di Gerard, la sua mano sui capelli, sul viso, sulle labbra. Il sangue pompava veloce e minacciava di strapparsi via dalle arterie, era come tornare alla vita dopo mesi di letargo.
Poteva sentire l'aria entrare e uscire dai suoi polmoni, il sangue scorrere in tutto il corpo, il cuore battere, la pelle bruciare per il desiderio.
«È questa la differenza fra noi e quelli della Scarecrow. Noi possiamo sbagliare. A noi è concesso essere stupidi, e cieci e pazzi dal dolore, tanto da fare cazzate enormi, tanto da uccidere. Noi siamo esseri umani. Quello che loro vogliono farci diventare non lo sono.»

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Dal Diario di Frank Iero, 10 ottobre 2017
Devo tirarlo fuori di qui. Non so quanto ancora riuscirò a proteggerlo dagli esperimenti del Dottore. Non mi importa cosa sarà di me, ma lui deve uscire da questo buco di merda.


Non si stavano davvero toccando, seppure fossero stesi vicini. Si sfioravano appena, ma era un calore a cui Frank si era appena abituato, non pensava di essere in grado di gestire di più. Non sapeva nemmeno se Gerard volesse qualcosa da lui, che non fosse cibo o un po' di compagnia. Lui era il mostro che faceva esperimenti su prigionieri che erano esseri umani, non animali. Il bianco dei corridoi ora era accecante, troppo abbagliante, troppo perfetto; era una tortura guardarlo.
«Perché gli unicorni?» chiese improvvisamente Frank. Era una domanda che gli danzava in testa da quando li aveva visti dipinti sul muro.
Gerard rise, mostrando i piccoli denti perfetti e il labbro che si storceva leggermente. Era soffocante stargli così vicino, anche se non si toccavano.
«Mio fratello crede che esistano davvero, da qualche parte»
Frank si sollevò su un gomito, guardandolo incredulo.
«Sul serio?» esclamò incredulo, Gerard annuì, gli occhi spalancati in un espressione un po' folle e spiritata. Si sentiva un'idiota a pensare che fosse adorabile, ma non poteva seriamente farne a meno. Da quando aveva smesso di controllare ossessivamente tutto quello che pensava, aveva scoperto di avere cose nella testa che minacciavano di sconfinare e uccidere la sua, seppure poca, sanità mentale. Come il desiderio di scoprire se la pelle di Gerard era davvero morbida come sembrava. O se lo fossero le sue labbra. O sentire che gusto aveva la piccola conca che si formava sopra la sua clavicola. O fare piani di fuga per lui.
Cazzo.
«C'è un esperimento che ho rimandato da settimane» da quando ti ho sentito cantare la prima volta. Non lo disse ma Gerard parve capirlo lo stesso, visto lo sguardo intenso che gli rimandò.
«Domani ti preleverò dalla cella e dirò che voglio te per quell'esperimento. Dovrò fare...» sospirò, chiudendo gli occhi. Non c'era un modo carino per dire a qualcuno che doveva torturarlo fino allo stremo per rendere tutto credibile.
«Dovrò far sembrare tutto normale. Il Dottore sa cosa richiede l'esperimento, non posso rischiare che lui entri e rovini tutto. Dovrò farti male.»
Lo sguardo di Gerard non lasciava il suo volto, bruciava dannatamente.
Così male, ogni singolo nervo, ogni muscolo, ogni centimetro della sua pelle. Era come se lo stesse uccidendo, senza nemmeno battere ciglio.
Improvvisamente dovette farlo. Dovette alzare la mano e passarla frenentico lungo la curva della sua guancia, sulla fronte, sulle labbra, sul collo. Ne aveva solo parlato e già non poteva trattenersi dall'assicurarsi che stesse bene, che fosse ancora lì con lui, che respirasse.
Sentì il repiro di Gerard spezzarsi bruscamente, e lasciò cadere la mano, mortificato. Era ovvio che Gerard non si fidasse, non lo volesse, ma non importava. Non gli importava nulla, lui lo avrebbe difeso, lui lo avrebbe salvato. Non poteva sopportare l'idea che ci potessero essere altre persone, lì fuori, convinte che la B/L avesse in mano la verità, convinte di fare la cosa giusta, senza che ci fosse Gerard a risvegliarle. Non poteva sopportare l'idea che lui morisse.
«Sarai ancora in grado di camminare, di muoverti. Di sparare. Sai sparare vero?»
Gerard annuì lentamente, afferrando di nuovo la sua mano e posandosela sulla guancia.
Così morbida.
Frank avrebbe potuto piangere, se solo ne avesse avuto la forza e il tempo.
«Bene. Dopo ti darò la pillola. Non sarà quella vera, allo stato attuale delle cose ti ucciderebbe, o peggio, ti renderebbe un vegetale. Tu dovrai finta di avere le convulsioni, e poi farai finta di morire. Non si tratta solo di non muoversi Gerard. Dovrai morire davvero per tutto il tempo che servirà alle guardie per metterti in un sacco bianco e trasferirti nel furgone. Io lascerò scivolare una pistola nel sacco.»
Quella sarebbe stata la parte più difficile, dopo il torturare Gerard. Erano giorni che ci pensava e non gli era venuta in mente un'altra idea. L'istituto era troppo sorvegliato, un conto era infilarsi nella cella di un prigioniero, un conto era uscire di lì con suddetto prigioniero. Non avrebbero avuto chance.
«Loro andranno a scaricare il corpo in un inceneritore, al confine col deserto. Poi sarà solo fra te e loro. E quanto sei capace di sparare veloce.»
sospirò, terminando di illustrare il piano e aspettando la reazioni di Gerard. Era un buon piano, lo sapeva, dava a Gerard molte più chance di uscire che aspettare chiunque lui stesse aspettando per liberarlo. L'unico vero rischio sarebbe stato per lui, quando le guardie non sarebbero tornare col furgone.
Gerard lo guardò, sembrava non voler fare altro che far scorrere il suo sguardo lungo tutta la sua figura, con una fame che Frank aveva visto rivolta soltando al cibo che lui gli portava ogni tanto.
Serrò la sua mano sulla spalla di Frank, stringendo così forte da lasciare sicuramente un livido.
«E tu?» chiese, la voce soffocata.
Frank spalancò gli occhi. Non pensava che a Gerard sarebbe importata davvero la sua fine. Lui era solo lo scienziato strano che lo sentiva cantare, gli faceva domande assurde e ogni tanto gli portava del cibo. Non contava davvero.
«Io cosa?»
Gerard strinse le labbra, le sue narici si allargarono e Frank si bloccò nella consapevolezza che Gerard era arrabbiato. La mano strinse ancora, finché Frank si lasciò sfuggire un gemito di dolore.
«Tu fottuto coglione! Non puoi aspettarti che io me ne vada così, lasciandoti qui a morire se sono clementi con te, altrimenti a sperimentare chissà quale formula assurda che ti renderà un lobotomizzato sbavante. Sei un coglione, Frank! Non ti lascerò qui da solo.»
Ok, furioso rendeva più l'idea.
«Tu non mi devi nulla Gerard, sono io in caso che devo qualcosa a te. Non devi preoccuparti di...» lo schiaffo che arrivò in faccia fu così forte e improvviso da zittirlo immediatamente, alzando la mano per toccarsi la guancia offesa in un gesto istintivo.
Gerard si alzò in piedi di scatto, lasciandolo solo nel letto a chiedersi cosa diavolo avesse sbagliato.
Non sembrava semplicemente furioso, sembrava ferito e impotente, sembrava che gli stessero strappando il cuore dal petto.
«Non posso lasciarti qui. Tu stupido figlio di puttana, non puoi venire qui, renderti così indispensabile, farmi... cazzo Frank.» Gerard camminava a grandi passi lungo la stanza, sussurrando ferocemente le parole che probabilmente avrebbe voluto urlare.
Frank si sedette sul letto, sbalordito, guardando la marcia furiosa del ragazzo, la mente vuota. Non voleva dirlo. Non era vero, era solo la sua fottuta testa che gli diceva cosa strane. Cazzo.
Poi Gerard chiuse gli occhi, respirando profondamente e borbottando qualcosa fra sè e sè. Quando li riaprì puntò il suo sguardo su Frank, arrivando a grandi passi davanti a lui.
«Non puoi arrivare qui e farmi innamorare di te in questo modo, dirmi che vuoi salvarmi morendo per questo e aspettarti che io te lo lasci fare, Frank. Questa è una cosa che non permetterò mai.» sussurrò, cadendo in ginocchio davanti a lui, afferrandogli le mani.
Non l'aveva davvero detto. Frank scosse la testa furiosamente, perché Gerard faceva così? Perché gli diceva quelle cose? Non sarebbe già stato punito abbastanza dalla B/L quando avrebbe scoperto quello che aveva fatto?
«Non è...» mormorò, cercando di divincolarsi dalla sua presa inaspettatamente stretta. Era sempre stato così delicato con lui, non pensava fosse capace di tutta la forza che stava sfoderando stasera.
«È vero, stupido cazzone. Non voglio perderti, non voglio assolutamente che tu sparisca da sotto la mia vista nemmeno per il tempo necessario a dire 'ciao'.» si interruppe, lasciando il tempo a Frank di assorbire il concetto.
Sorrise dolcemente quando Frank cominciò a restituirgli la stretta alle mani, placandosi e sporgendosi verso di lui.
Le sue labbra erano screpolate, la bocca era amara e con un sapore orrendo.
Era la cosa più buona che avesse mai assaggiato.
Si baciarono con frenesia, quasi volessero distruggersi e poi ricostruirsi, le lingue scivolavano una sull'altra, le mani si aggrappavano alle maglie, strattonandosi. Più vicini, ancora più vicini. Non bastava. Era come essere immersi dentro un incedio e volerne ancora, voleva solo bruciarsi fino a morirne. Era umido e disordinato e bellissimo.
Quando Gerard si staccò e posò la fronte sulla sua, il suo sguardo era acceso e luminoso.
«Ti dico io cosa faremo. Tu farai il tuo dannato esperimento e poi troverai una cazzo di scusa per salire su quel furgone con me. Dì che vuoi fare un giro, dì che vuoi controllare le mie reazioni post-mortem, dì quel cazzo che vuoi, ma sarai su quel furgone con me. E scapperemo, assieme.»
Frank si morse le labbra e annuì, non si fidandosi della stabilità della sua voce. Poi pensò che non gli importava un cazzo di farsi vedere debole e stupido da Gerard, perché lui gli aveva appena detto che si era innamorato di lui, che lo voleva vicino, che voleva scappare con lui.
Quindi lasciò che la sua voce mostrasse tutto quello che provava, tutto lo smarrimento a quello che sarà d'ora in poi, tutta la paura che qualcosa andasse storto e che Gerard morisse, tutta la felicità nel sapere che Gerard lo amava.
«Ti seguirò ovunque» bisbigliò, il tono rotto e ansimante ma deciso.
Gerard sorrise e posò un bacio lieve sulle labbra.
«Bene. Allora lasciamo che questo cazzo di mondo esploda.»










   
 
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