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Autore: Talk    04/02/2013    0 recensioni
Fanfiction sulla coppia Ted/Victoire
-Arrivata quarta al contest "Di Sere Nere, Perdono e... Tiziano Ferro"-
Non sempre l'amore trova tutte le porte aperte, talvolta deve armarsi di spranga ed aprirsele da se, altre, invece, deve sedersi comodo ed aspettare. -La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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AUTORE EFP: Talk
AUTORE FORUM: Lil2012
TITOLO: Tra occ
hiate feroci, tenere carezze ed imprecazioni.
P
ACCHETTO: Pesca/Carol ovvero L'ultima notte al mondo - Ted/Victoire 
INTRODUZIONE: Non sempre l'amore trova tutte le porte aperte, talvolta deve armarsi di spranga ed aprirsele da se, altre, invece, deve sedersi comodo ed aspettare.  -La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce-
GENERE: One-shot, raiting verde.


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La neve cadeva, cadeva a piccoli fiocchi, piccoli, soffici fiocchi. Ed io li osservavo silenzioso. Troppi pensieri mi vorticavano in testa per concentrarmi realmente su qualcosa. E poi, tutta quella neve. Adoravo la neve, ma adesso, adesso mi sconvolgeva.
 

«Teddy! Teddy, io penso, penso che dovremmo parlare.»
Mi disse. Aveva il fiato corto, continuava a boccheggiare in cerca d'aria, d'aria e di parole. Gli occhi le brillavano come mai prima d'ora e le gote erano imperlate di un tenero rosso acceso. Era così bella da sconvolgermi.
«Certo Toire, dimmi tutto.»
Risposi inconsapevole. Inconsapevole di tutto quello che stava per accadere. E forse fu proprio per quello che incoraggiai la mia migliore amica sorridendole dolcemente. Notai subito i suoi occhioni azzurri scrutarmi imbarazzati. Non era da lei. Lei era l'estroversa tra i due. Era quella che sorrideva nonostante tutto. Adesso invece era irrimediabilmente seria, con quell'aria un pò affannata, i capelli scombinati che le ricoprivano il viso e la bocca semiaperta, pronta ad enunciare velocemente tutti i suoi pensieri.
«Sai, dovremmo smetterla.»
«Smetterla di far cosa?»
«Smetterla di fare tutto questo! Di guardarci come se fossimo irraggiungibili e sfiorarci come se fosse irreale, di parlare di banalità, quando in realtà vorremmo urlarci contro tutt'altro. Noi ci amiamo Teddy, so che è così. So che mi ami. Lo vedo da come mi guardi, dalle attenzioni che mi riservi e dalla dolcezza con cui mi tratti. Me ne accorgo perché hai il mio stesso atteggiamento, perché sei irrimediabilmente fra le nuvole quando comincio a parlare con quell'odioso accento francese che tu ritieni adorabile, perché rimani ad osservarmi incantato, quando comincio a ridere come una scema, perc-»
«Ma cosa stai dicendo?»
«Dico che dovremmo iniziare ad accettare i nostri sentimenti, a prenderli così, come ci vengono dati. Dico che continuare a fare i vigliacchi, nascondendoci dietro l'evidenza dei fatti non cambierà le cose. Dico che sono stufa di fingere quest'assurda amicizia, perché io sono innamorata di te Teddy e no-»
«Vic smettila. Smettila di fare la stupida. Non sai quello che stai dicendo, non hai idea di quello che realmente stai dicendo. Noi siamo solo amici, non c'è nulla di sottinteso, non ci sono righe fra le quali leggere, non c'è niente. Non c'è assolutamente niente! Tu sei la mia migliore amica, sei quella che mi capisce al volo quando qualcosa non va, sempre pronta a tirarmi su il morale. Sei quella con la quale amo parlare di ogni cosa, anche la più banale, perché con te nessun discorso è mai scontato. Ma non sei assolutamente la ragazza della quale m'innamorerei, tu sei Vic, la mia Vic. La mia migliore amica. Ma tra noi, tra noi non c'è altro. Tra noi non c'è storia.»
«Ti sbagli Ted, non sono io quella stupida. Perché per quanto tu ti possa sforzare indifferente nei miei confronti, il tuo corpo ti tradirà sempre.»
Così dicendo mi voltò le spalle, lasciandomi la mano. La mano che io stesso, inconsciamente, le stavo stringendo. Ed io rimasi lì, improvvisamente svuotato. 


Fu quella l'ultima volta che parlai con Victoire. L'ultima immagine era di lei che se ne andava via, con sguardo alto e passo sicuro. Ma sapevo bene come fosse realmente scossa, sapevo che il suo viso, nascosto tra quei suoi lunghi capelli biondi, era rigato dalle lacrime.
Sapevo che non ero solo io, quello svuotato, immaginavo come lei si sentisse spezzata. E, nonostante ciò, la lasciai andare.
Perché io non ero come lei, io ero come la neve. Il mio coraggio si era sciolto a mano a mano che le sue parole aumentavano di valore.

Poi arrivarono le vacanze di Natale e l'abisso che si era creato tra noi due si marcò ancor di più.
E per la prima volta, dopo sei anni di scuola, me ne tornai a casa per le vacanze di Natale. La nonna fu sorpresa di vedermi lì, ma la felicità era di più, quindi non fece poi molte domande.
Io però non ero lo stesso, per quanto fossi introverso e silenzioso normalmente, in quel periodo ero fin troppo pensieroso ed anche lei non riuscì a sottostare all'evidenza dei fatti. Spesso mi riempieva di domande e quando capì che non avrei mai risposto, cominciò a porle indirettamente.
Arrivai alla conclusione che non potevo continuare a far scorrere i giorni senza viverli realmente. E che dovevo smetterla di far preoccupare inutilmente la nonna.
Così scrissi una lettera a Victoire. Eravamo sempre stati due inguaribili romantici noi. Eppure era sempre stata lei l'audace, io ero fin troppo timido per riuscire ad esprimere quello che realmente pensavo. E forse, proprio per quello, la lettera d'amore che dovevo scriverle, divenne una banale dichiarazione, neanche tanto chiara in fin dei conti.

Cara Vic,
non capisco come tu faccia ad avere sempre ragione.
P.S. Mi manchi.
Teddy.

Ed ora me ne stavo lì, con le spalle poggiate al tronco di un albero, in giardino, a guardare verso l'alto.
Nevicava, soffici fiocchi di neve cadevano silenziosamente ai miei piedi.
Rimasi fermo talmente a lungo che la neve cominciò ad appoggiarsi anche su di me, ma non importava. Sarei comunque rimasto lì, lì ad aspettare una risposta che molto probabilmente non sarebbe arrivata. Di sicuro non dopo il messaggio striminzito che avevo inviato.
Infatti, dopo vari minuti, il mio gufo tornò a zampe vuote e, senza neanche guardarmi, volò in casa infreddolito.Mi lasciai scivolare a terra, sedendomi su quell'insopportabile gelo che faceva da tappeto alla comune erba fresca.
Chiusi gli occhi e sospirai tristemente, ero distrutto, ma era quello che mi meritavo.
Quando li riaprii, però, il mio cuore perse un battito, rischiando di lasciarmi eternamente sotto quell'abete.

«C'est con! Tu est impossible!
La tua dolcezza è paragonabile alla tranquillità di uno Schiopodo e sei sveglio quasi quanto quell'idiota di Goyle. E poi, si può sapere che diamine hai fatto ai capelli? Credo che un colore più destabilizzante non potessi sceglierlo.
Per non parlare poi del tuo tempismo, destabilizzante sarebbe un eufemismo.
Sono stata giorni ad aspettare una tua risposta, giorni. Per poi cosa ricevere? Questa!»
Victoire era comparsa in tutta la sua tenacia, aveva lasciato cadere a terra il suo manico di scopa e si avvicinava a me agitando convulsamente la lettera che gli avevo spedito, via gufo, qualche ora prima. Sapevo che non era un granché, come lettera, ma da quello a mandarla in escandescenza ce ne passava.
«Appena l'ho letta non ho potuto far a meno di montare immediatamente sul mio manico di scopa e venirti a cercare.
Mon Dieu! Quante volte ti ho detto che devi fidarti di me? Avevi bisogno di un'illuminazione divina per credermi?»
Non riuscii ad emettere nessun suono, in risposta alle sue parole enunciai un serie di versi sconnessi, per poi rinunciare a parlare e limitarmi a sorriderle come un ebete.

 Ho incontrato il tuo sorriso dolce,
con questa neve bianca adesso mi sconvolge,
la neve cade e cade pure il mondo
anche se non è freddo adesso quello che sento.

Lei mi sorrise di rimando, senza scostare minimamente il suo sguardo dal mio.
Il calore che riusciva a mandarti con una sola occhiata era spiazzante.Senza tentennare ulteriormente, lasciai la mia postazione per andarle incontro e stringerla.
Mi era mancata talmente tanto d'aver quasi dimenticato la tenacia dei suoi abbracci. Riusciva a provocarmi brividi al minimo tocco, figuriamoci con un braccio che stringeva possessivamente il mio collo.
E forse fu proprio per quelle scosse elettromagnetiche che tentai d'allontanarmi, ma ovviamente lei me lo permise per breve tempo, bloccando il mio volto a breve distanza dal suo, con il naso che sfiorava il mio e quegli enormi occhi azzurri persi nei miei.
Poi sospirò lentamente, quasi scoraggiata. E forse fu proprio il suo respiro, a contatto con la mia pelle, che mi provocò ulteriori brividi.

«Non mi scapperai di nuovo, Lupin.»




||Pubblicando il testo, ho apportato varie correzioni che mi erano state segnalate dalle giudici del contest "Di sere nere, perdono e... Tiziano Ferro!"||

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