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Autore: _sky    04/02/2013    3 recensioni
“Solo una band” oppure “Solo una band con un cantante figo”. Si sentiva dire queste cose molto spesso, anche troppo. Basta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Pierre Bouvier, David Desrosiers, Charles-Andrè Comeau, Sébastien Lefebvre e Jean-Francois Stinco.
Grazie.
 
 
“Solo una band” oppure “Solo una band con un cantante figo”. Si sentiva dire queste cose molto spesso, anche troppo. Basta. Va bene che aveva 13 anni, dove di solito si ha una cotta per Taylor Lautner o cose del genere, e probabilmente quando diceva che amava i Simple Plan la gente pensava “un’altra teen-ager a cui piace qualcuno”. No. Capitelo. Non è mai stato così. Al massimo le prime volte, quando conosceva solo Summer Paradise, e pensava che Pierre fosse figo. Ma poi basta. Perché nella sua vita è entrato qualcosa che ha cambiato tutte le carte in tavola. La depressione. L’autostima sottoterra. La costante voglia di fuggire dal mondo in cui era imprigionata. Non è successo immediatamente, c’è voluto un po’ di tempo per rendersi conto di tutto quello che stava iniziando a provare. La sua vita è cambiata radicalmente. Aveva iniziato a stare male. Male sul serio. Però aveva trovato una cura. Una cosa che era prima solo uno svago, e che poi è diventata uno sfogo, e infine una vera e propria droga. La musica. Lei provava a contenersi, ma alla fine non ce la faceva mai e cedeva alla musica. E così finiva ogni giorno a girare per casa con le cuffie. E ascoltava loro. E loro erano sempre lì con lei. Quando nessuno le era vicino, bastava accendere l’iPod e rifugiarsi nel suo mondo. Solo suo e dei Simple Plan.
All’inizio non se ne rese conto, ma la situazione iniziò a peggiorare.
Giorno dopo giorno, si sentiva sempre peggio. “Crisi adolescenziale” la chiamano molti. No. Era una cosa molto più seria. Non era mai stata così male in tutta la vita. Doveva sempre nascondere le lacrime dietro a un falso sorriso, e far finta di star bene quando non era assolutamente così. Poi un giorno, che non sapeva datare precisamente, forse tra ottobre e novembre, sulla tavola della taverna aveva trovato un taglierino. Qualche giorno dopo, presa la premura di non essere vista, era scesa e si era denudata il braccio sinistro. Con la mano destra, tremante, aveva afferrato il taglierino. Aveva tirato fuori la lama. Si era chiesta se era davvero quello che voleva fare, se era sicura. Il suo lato riflessivo stava prendendo il sopravvento. Lo mandò al diavolo, il suo lato razionale. La vita non era razionale, e lo doveva capire. Senza pensare ulteriormente con un gesto rapido si incise il braccio. Rabbrividì al tocco della lama, ma andò avanti. Approfondì il taglio, non pensando al dolore fisico ma solo a quello che provava ogni giorno. Guardò il sangue colare copiosamente prima di decidersi a fermarlo. In seguito si era pentita di quel giorno, quel gesto orrendo che aveva fatto. Avrebbe iniziato a farlo sempre più spesso, però nelle volte successive tentò di smettere sempre di più, e decise che doveva trovare un appiglio per tentare almeno di sconfiggere il mostro che viveva dentro di lei. Allora ogni volta che sentiva il freddo e confortante tocco della lama tra le dita, una parte di lei la spingeva a farlo, dato che faceva così schifo da meritare solo dolore. L’altra parte diceva semplicemente “Pierre, Seb, David, Chuck e Jeff” e questo pensiero era sufficiente a farle dimenticare tutto il dolore. E metteva via la lama di temperino che conservava religiosamente in una scatolina verde. E si metteva ad ascoltare musica. E piangeva, come mai aveva pianto. Perché ormai la musica era la sua unica ragione di vita. Le canzoni che ascoltava riuscivano a spiegare tutto ciò che spesso non aveva il coraggio di dire. E ci finiva dentro, nella musica. Era come se le canzoni fossero state scritte da lei. Alla fine la musica era la parte migliore del suo mondo. Quei cinque ragazzi, “quella stupida band”, le avevano salvato la vita.
 
  
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