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Autore: darkronin    05/02/2013    0 recensioni
4^ classificata e premio originalità al contest “La Ballata delle Emozioni” di phoenix_esmeralda sul forum di EFP
Dasa e Danjal. Qualcosa li lega. Lei non sa in cosa consista questo legame e lui le sembra troppo aggressivo: al punto da aver ordinato la sua segregazione in una bellissima villa di campagna.
Cosa rende così nervoso Danjal? Qual è il suo segreto? E quale quello di Dasa che lui cerca di nasconderle?
"Lui era l'unico, veramente, vestito come lei. Insieme non sembrava più essere fuori dal tempo. Insieme sembrava che fosse il tempo a essere nel momento sbagliato."
Genere: Generale, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'acqua era straordinaria: naturalmente profumata e calda alla giusta temperatura, Dasa fu tentata di assaggiarla per scoprire se avesse anche un gusto particolare.
Sul bordo della piccola vasca trovò, cosa che prima non aveva notato, una spugna, una spazzola e diverse boccette profumate. “Quelli sono i saponi... Non sono un granché: erano quelli che avevo a disposizione al momento”
“Sono buonissimi!” replicò lei entusiasta stappando una bottiglia dopo l'altra: ora sì che le sembrava di essere in uno dei suoi libri
“Almeno hai una spugna naturale...” borbottò Danjal affacciandosi dal paravento, costringendo Dasa a immergersi completamente, fino a coprire anche la bocca “Non così!” le ordinò “Questo sì che è pericoloso! Comportati bene o ti tiro subito fuori di lì”
“Come se potessero esistere spugne artificiali” avrebbe voluto ribadire, ma la precisazione le passò di mente quando lui si affacciò tanto sfacciatamente dal sipario “E tu non guardare!” strepitò lei.
Danjal la accontentò subito. “Sono contento che almeno ora tu riesca a essere meno formale, Dasa...”
“Mi avete mandato su tutte le furie” rispose la giovane, affrettandosi a correggere l'errore
La voce di Danjal suonava, ora, divertita. “Si, certo...come sempre...”
“Che vuol dire?”
“Che ho deciso di mostrarti qualcosa che potrebbe meravigliarti...”
“Dubito esista ancora qualcosa in grado di muovermi stupore”
“Mi sembrava fossi affascinata da questa stanza”
“Certo...è molto bella... e anelavo disperatamente un bagno caldo...” replicò prontamente “Senta...” disse appoggiandosi con le braccia al bordo della vasca “Ha qualche controindicazione per la brusca e la spugna?” domandò una volta che si fu profumata con quello strano sapone liquido e viscoso
“Puoi lavarti anche i capelli, se vuoi. Ma non sfregare sotto l'attaccatura dei capelli...lì versa solo acqua. E con molta cautela” la istruì lui.
“Sarà fatto...” sbuffò lei. Cosa mai poteva avere, di strano, la sua nuca?

Quando riemerse dalla pozza d'acqua, incolume e fasciata in soffici teli di cotone, Danjal si precipitò al suo fianco con un secondo telo, tamponandone delicatamente la pelle della schiena. Le prese, quindi, i capelli, spazzolandoli con cura. Ma a Dasa parve che la sua attenzione fosse focalizzata, ancora una volta sulla nuca. Quando fu praticamente asciutta, lui si defilò, lasciandola da sola a vestirsi. Subito, la giovane ne approfittò per riguadagnare lo specchio d'acqua e scrutarsi il collo. Ma non riuscì a vedervi nulla di strano. Si rivestì, quindi, con abiti nuovi e profumati, che non le appartenevano ma che erano totalmente nelle sue corde e che le andavano anche a pennello. Avrebbe voluto poter contemplare la visione d'insieme. E un'idea fantastica arrivò in suo aiuto
“Danjal?” chiamò e quello si materializzò al suo fianco senza produrre il minimo rumore “E' possibile avere uno specchio? Vorrei poter vedere se sembro tanto ridicola” disse indicando i vestiti.
Alla sua richiesta, però, l'altro parve rabbuiarsi “Lo specchio è una creazione del demonio!” sibilò. “Stai benissimo, non hai bisogno di altre conferme”
Dasa lo guardò esasperata “Se non me lo procura lei, troverò un modo per arrangiarmi, può starne certo...”
Danjal levò gli occhi al cielo “Sì, ti conosco abbastanza bene da sapere che saresti capace di arrampicarti sui mobili e distruggermi un lampadario di cristallo pur di ottenere un frammento utile...seguimi...” La condusse, quindi, di nuovo su per la scala da cui erano scesi e poi ancora su per altre rampe che non aveva mai esplorato. Quella villa sembrava più grande di quanto le fosse sembrato fino a quel momento. Anzi, sembrava quasi un organismo vivente, che cresceva e si modificava.
Salirono al piano più alto, illuminato dal grande lucernario sul soffitto. Oltre l'ultimo gradino si estendeva un largo e corto corridoio – su cui si affacciavano solo le porte di due stanze separate – che andava ad affacciarsi su un terrazzino traboccante ogni sorta di esemplare vegetale che l'uomo potesse aver mai visto. Un piccolo giardino pensile, mistico e proibito che a Dasa ricordò il meraviglioso Crystal Palace dell'esposizione universale. Danjal la guidò oltre la porta sulla sinistra e quando vi mise piede, Dasa rimase esterrefatta. Le pareti erano completamente rivestite di superfici riflettenti. Sembra essere una pinacoteca privata adibita alla raccolta di specchi di ogni forma e grandezza. Al centro della stanza stava un letto matrimoniale, grande e spartano, rispetto a quelli che ricordava. Le lenzuola, dall'aspetto caldo e peccaminoso, erano di raso di seta nero come la notte ma l'insieme era spoglio delle classiche strutture che completavano il talamo. Non che nella camera di un uomo si aspettasse il baldacchino, ma almeno una raffinata testiera in metallo sì.
Scivolò oltre il modesto e incongruo giaciglio e si mise a studiare ogni tipo di oggetto appeso alle pareti. La sua attenzione continuava ad essere calamitata su uno specchio gigantesco che occupava tutta una parete. L'unico altro spazio apparentemente vuoto di tutta la stanza, oltre a un angolino in cui era confinata una scrivania così minimale che Dasa si domandò se dovesse ancora essere portata a termine.
“Una creazione del demonio, eh?” ridacchiò nervosamente addentrandosi all'interno.
“Quello è un armadio” la informò generosamente Danjal, divertito dal suo stupore e sorvolando sul suo commento. Dasa si avvicinò, osservando la figura gemella che le si avvicinava come ipnotizzata. “E meno male che nulla avrebbe più potuto sorprenderti” sghignazzò lui.
“Ritiro tutto” disse lei con umiltà, un filo di rammarico le incrinò la voce. Notò subito la scanalatura che correva, precisa e regolare, per tutta la lunghezza di quella lastra.
“Devi premere, per aprirlo”
Sotto il suo tocco, avvertì il vetro scattare verso di lei. “Posso?” domandò all'ultimo, ricordandosi di cosa si trattasse. Lo vide, riflesso nel vetro, fare un gesto vago con la mano e andarsi a buttare sul letto ancora tutto vestito. Non che desiderasse che si spogliasse! Ma certo non era d'accordo sull'insozzare quelle lenzuola, apparentemente fresche di bucato, con gli abiti sporchi della giornata. Distolse lo sguardo e tornò al suo strano specchio e ne assecondò i movimenti espansionisti. In realtà, al posto di invadere lo spazio antistante, le ante, accompagnate, andarono a sparire nei lati della strana struttura, rivelandone il contenuto: vi stavano stipate centinaia di scarpe di ogni foggia e colore, giacche con strani tagli sartoriali, pantaloni confezionati con i materiali più disparati. Frastornata dal contenuto, Dasa si affrettò a richiudere con cura l'armadio.
Sollevando lo sguardo smarrito, si trovò a osservare la propria figura. Ora era vestita con un corto bolerino a righe panna, ecru e muschio, i cui rever erano impreziositi da diversi bottoni che sembravano ingranaggi zincati assemblati assieme; la camicia a collo alto era fermata sul collo da un bel fiocco rosa cipria che nascondeva l'attaccatura degli jabot che ne valorizzavano lo scarso seno. La gonna era il pezzo più complesso e particolare. Indossandola non aveva avuto affatto percezione dell'effetto finale: la baschina a vita alta, solcata trasversalmente da un paio di fibbie, era in un materiale resistente simile alla pelle scamosciata e che, a colpo d'occhio simulava l'effetto di un vero bustier pur senza costringerla realmente; al di sotto, nella stessa stoffa della giacca, si estendeva un'ampia gonna trattenuta alta su un fianco, in modo da permetterle di camminare agevolmente. Nessuna crinolina, al di sotto, a renderla vaporosa, solo l'uso sapiente di stoffe e tagli adeguati. Al suo posto, un paio di brache, di foggia maschile, aderenti e in tinta con la rigatura del completo, scivolavano all'interno di comodi stivaletti da aviatore.
“Soddisfatta?” domandò Danjal incerto della sua reazione
Dasa annuì “Molto” confermò in tutta onestà.
Lo vide alzarsi dal letto e dirigersi verso la scrivania. “Almeno l'onestà ti è rimasta” commentò soddisfatto “Raccogliti un attimo i capelli” le ordinò mentre si srotolava in mano un prezioso strangolino di pizzo con un grosso cammeo centrale.
Nell'afferrarsi, docilmente, i capelli – mai contraddire il proprio carceriere, padrone o qualunque altra figura fosse, quando vuole farti un presente – Dasa si ricordò il motivo per cui aveva, in realtà desiderato uno specchio. Con abile noncuranza si volse appena verso il suo ospite, tendendo però la coda dell'occhio alla propria nuca. “Voltati!” la redarguì subito lui, quasi che fosse spaventato che lei potesse, inavvertitamente, scoprire qualcosa. E quel comportamento stava, sempre più, alimentando la sua curiosità. Fingendo di accontentarlo, cercò negli altri specchi un riflesso che le tornasse utile. E lo vide. Sulla sua pelle bianca campeggiavano tre simboli, in una grafia che non era certo europea. Non erano caratteri arabi né asiatici.
Un'altra lawāmi la investì come un fiume in piena con la sua sconvolgente rivelazione: era ebraico. E ricordava la scritta europea NON.
Si volse, apparentemente ignara di tutto, verso l'uomo che avanzava. Quando lui le cinse il collo con quel pezzo di stoffa e alzò gli occhi sul loro riflesso per osservare la propria opera, trovò gli occhi chiari di lei che non lo perdevano di vista un secondo e lo fissavano esigendo una risposta. “Cos'ho scritto sul collo?” si sentì domandare a bruciapelo.
Danjal strabuzzò gli occhi, quindi abbassò lo sguardo sulle spalle di lei, lisciandole grinze inesistenti. “Non mi crederesti...”
Dasa roteò gli occhi. “E perché mai?” domandò con acredine
“La Dasa che ho creato io...che eri... non mi crederebbe mai...” disse sconfortato.
Dasa avrebbe voluto urlare per la frustrazione. Quell'uomo si stava dimostrando schizofrenico, mettendo in scena una tale varietà di emozioni e comportamenti paradossali che avrebbe potuto scriverci un libro. Era degna di così poca fiducia se anche fosse stato vero che si conoscevano e che lei era una sua creatura?
Mani ai fianchi, in una posa aggressiva e altera, si voltò a fronteggiarlo “Non so che idea lei abbia di me, ma io non sono la bambolina che crede. Non mi faccio sconvolgere da cose da poco come una qualunque ragazzina svenevole”
“Forse hai ragione...” ammise lui seduto, ora, ai piedi del letto, le lunghe dita intrecciate davanti alla bocca
“Allora?” sbottò impaziente.
“Perché tanta acredine? Tu eri dolce. Guarda che non ti sono nemico...” disse nel tentativo di calmarla e guadagnare un po' di tempo
“Se mi ha plasmato secondo il suo volere, strappandomi alla mia famiglia natia non dovrebbe meravigliarsi dei risultati. Forse non è stato un buon maestro” lo schernì lei, sprezzante
Lui si rabbuiò nuovamente “Perché non hai alcun ricordo di me? Sono quello che chiamavi se piangevi ogni sera. Eppure, allo stesso tempo, sono quello che un po' odi e che ora un po' ti fa paura” disse scuotendo la testa sconsolato “Dove posso aver sbagliato stavolta?” domandò rivolto a se stesso e quasi dimentico della giovane.
“Cosa. Ho. Scritto?” sillabò lei, ora esasperata.
“Non spaventarti...” cominciò lui “Tu...sei, effettivamente, una bambolina... e non solo perché sei graziosa, o fragile, o piccolina.” si affrettò a precisare notando lo scetticismo sul suo volto “La verità è che tu sei...una mia creazione...sei un, cosiddetto Golem.”
“Non mi prenda in giro” ribatté lei, per nulla impressionata “I Golem sono impossibili da creare. Anche se fosse, dovrei essere un gigante. Ho letto i diari di Ahimaaz ben Paltiel nei quali segnala le notizie, del nono secolo, relative al Golem di Maleventum e alla confraternita di Uria dedita a crearli”
Lui annuì, lieto di non averla spaventata e che, per lo meno, conoscesse parte della storia “Ahimè, non ho trovato alcun materiale al riguardo e mi sono dovuto attenere ai resoconti del rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, cercando di evitare i suoi errori. Tu, come tutti i servitori della villa, siete mie creazioni. La parola che portate sulla nuca, emet, verità, è l'unico modo per infondere vita a un corpo senz'anima. Testi antichi parlavano di problemi legati a questa pratica, alla perdita di controllo della propria creatura, come hai giustamente ricordato tu. E prima di te, molti tentativi si sono rivelati fallimentari. Tu sola sembravi perfetta...”
“Ha detto che anche la servitù sarebbe una sua creazione” lo pungolò scettica
Lui annuì “Loro, però, sono solo dei fantocci senz'anima. Dei veri Golem.”
“Non credo proprio di essere un mostro come quelli dei romanzi di Mary Shelley. Non è stato lei a dire...” l'interruppe Dasa, per niente impressionata “Io ho ricordi!”
“In te ho cercato di riportare l'anima della mia amata Dasa. E sei effettivamente lei, sotto molti aspetti. Ti sorprenderesti dei passi avanti fatti dagli uomini in questo senso.” tacque, valutando se procedere con il racconto “Per te è stata una lunga prigionia. E a ben vedere, in effetti, può definirsi anche tale. In realtà, si è trattato di un lungo, lunghissimo sonno. Da quando sei morta a quando ti ho trapiantata in questo corpo. Dormivi serena e pensavo che il tuo risveglio non sarebbe avvenuto se non dopo molto tempo. Per quello mi sono permesso di allontanarmi. Invece... Sono stato avvisato immediatamente dell'accaduto. Ma rientrare è stato più complicato del previsto”
“Due settimane non sono tanti, ovunque lei fosse...” lo giustificò lei
“Due settimane sono un'eternità nel mondo di oggi. Dimmi. Quanto credi di aver dormito? O di esser stata rinchiusa?”
Dasa meditò a lungo. Aveva pochi indizi su cui sviluppare la sua tesi. Ma la risposta più congrua alle sue constatazioni entravano in conflitto con la sua percezione temporale. Scosse la testa, arrendendosi
“Siamo nel 2035” Sussurrò piano Danjal piantando gli occhi neri nei suoi “E' passato più di un secolo. E quei vestiti, prima che te lo domandi, non sono il normale modo di vestire delle signore del tempo, bensì quello di un sotto gruppo di freak, chiamato Steampunk.
Tu non sei che il suo clone, come si direbbe oggi. Ed ero troppo affezionato al tuo corpo meccanico, su cui ho cominciato a lavorare pochi mesi dopo la tua reale dipartita. Certo...” sorrise stancamente “Oggi avrei potuto usare l'ingegneria genetica e ricrearti tale e quale. Ma la divisione cellulare, spesso, va per i fatti suoi, come nel caso di due gemelli apparentemente identici. La moderna robotica non consente ancora, paradossalmente, risultati motori eccezionali com'era invece possibile a inizio secolo.
Ogni tuo ingranaggio, ogni tuo bullone, l'ho selezionato personalmente tra centinaia; a volte ho costruito io stesso degli ingranaggi che mi servivano e che non esistevano.
Ecco perché l'acqua è così pericolosa, per te.
Inoltre, non avevo cuore di marchiarti a fuoco, come una bestia, o tatuarti come un galeotto, anche se ora si usa e nessuno si sorprenderebbe. Ho usato la preziosa henna che tanto adoravi ma che è sensibile ai lavaggi. Non voglio correre il rischio di cancellare la scritta...”
“Da emet a met, morte” concluse lei. Era, effettivamente, dura da mandar giù come notizia. Ma, stranamente, non le importava più di tanto cosa fosse. O cosa lui credesse che lei fosse. Era viva, e tanto le bastava
“Il risultato, tuttavia, ancora una volta, è dissimile dall'originale.” mormorò afflitto “La Dasa che amavo era sì indipendente ma non era così sfrontata. Era graziosa e pacata. Tu sei un vero monello.”
Ecco spiegata la sua ostilità e il suo comportamento a tratti crudele: lui la disprezzava per essere diversa dall'originale. Non la voleva. Eppure, per ora, non voleva nemmeno cancellarla. “Ho letto che i traumi, talvolta, possono alterare il carattere di una persona” disse soltanto, quasi cercando di andargli incontro e trovare una soluzione che accontentasse entrambi “Un secolo di sonno altererebbe chiunque. E non c'è da escludere il fatto che, forse, in realtà ciò che ricorda lei sia distorto dalla nostalgia. Magari ricorda solo ciò che le fa comodo.”
Danjal sollevò lo sguardo sui suoi occhi che a lei, vedendoli nello specchio, avevano dato l'impressione di essere totalmente autentici.
Ciò che disse la fece sentire così leggera, che neanche si era resa conto quando quella paura le aveva attanagliato le viscere “Sei anche la prima che ha sufficiente coscienza di sé. Che mi risponde, che si crede viva e che cerca una soluzione”. Lui la stava realmente graziando? “Spero solo che non mi disprezzerai per aver cercato di riportarti in vita.”
Dasa reclinò la testa – per caso, quelli che percepiva come muscoli in tensione erano soltanto ingranaggi, molle e cavi che si tendevano? – “Mi concede di restare viva. Cosa dovrei rimproverarle?”
“Di aver profanato il tuo corpo, la tua memoria... tutto. Di cercare un tuo surrogato, per di più meccanico. E'... morboso!”
“Ne è già cosciente” replicò facendo spallucce “Che senso avrebbe mettere il dito nella piaga?”
“Quindi...” domandò Danjal speranzoso “Non mi disprezzi?”
Dasa batté le palpebre un paio di volte. Avrebbe voluto porgli la stessa domanda. “No, affatto” disse soltanto.
Il sorriso che illuminò il volto dell'uomo quasi l'accecò. Era sincero e spontaneo e radioso. Non aveva nulla in comune col ghigno maligno che gli aveva sempre increspato le labbra. La abbracciò di slancio, fregandosene delle sue proteste, riuscendo a farle dimenticare la domanda successiva: se era passato un secolo, lui chi era?
Subito se la scostò di dosso, tenendola per le spalle “Allora vieni, devo mostrarti un po' di cose, quelle cose che, ti avevo detto, ti avrebbero sorpreso.”
“Non mi ha sorpreso scoprire di essere null'altro che una bambola meccanica” replicò cercando di liberare la mano dalla sua
“Vero! Però le cose belle ti lasciano ancora a bocca aperta” disse strattonandola fuori dalla stanza tutto entusiasta “...e poi dobbiamo rimetterci al lavoro.”
“Che lavoro?” domandò perplessa
Danjal si limitò a sorridere con fare cospiratorio “Non ora. Quando te lo dirò, però, sono sicuro che vorrai darmi una mano nella nostra battuta di caccia”
Detto ciò non tollerò oltre l'essere trattenuto. La caricò in spalla e scese in volata le scale, ordinando a tutta la servitù di preparare l'automobile: loro erano, finalmente, in partenza.


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Eccoci alla fine. Questa è tutto il prodotto per il contest e, per ora, la storia non procederà oltre.
Grazie a tutti coloro che sono passati di qua e si sono soffermati a leggere.
a presto!
   
 
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