Requiem for a Dream
- Who
are you waiting for in the maze of emotions? -
Karin
mugola qualcosa nel sonno e scalcia. Forse sogna di mangiare, forse ha
un
incubo in cui viene stuprata. È impossibile sapere se
durante la notte prevalgano
le paure o i bisogni animali.
Suigetsu
si gira dall’altra parte. Anche se l’unica luce
è quella chiara della luna che
splende solo nel mondo fuori, vede gli occhi di Juugo e sbuffa. Si
volta di
nuovo, ma quello sguardo gli trapassa ancora la nuca.
«D’accordo!»
dice in un soffio rabbioso, caldo come il mostro che gli divora lo
stomaco. Si
toglie la coperta di dosso e la getta sopra la ragazza; Karin si
è ammalata ancora
e non è un bene. Suigetsu serra le palpebre mentre il freddo
comincia già a
divorargli il corpo, ma almeno gli occhi che lo ammonivano adesso si
sono
chetati.
Sta
per scivolare nel sonno, quando sente una mano che lo scuote
bruscamente.
È
Zabuza. Lo riconosce dall’odore di uomo che lì non
si sente mai. Chi lo aveva
lo ha perso, chi è troppo giovane per averlo non lo
otterrà mai.
«Bevi.»
gli ordina il guardiano, spingendogli una tazza tra le mani. Suigetsu
ha lo
dita talmente anchilosate dal freddo che impiega qualche secondo per
avvertire il
calore ustionante della porcellana. Prova a prendere un sorso, ma un
bruciore
doloroso gli invade la lingua e deve rinunciare.
Zabuza
è impaziente; i suoi occhi vagano dappertutto, nel capannone
che a quei piccoli
scarti umani pare gigantesco, tranne che su di lui.
«Sbrigati», gli dice. «Devo
tornare di là. Ho lasciato la porta aperta.»
Basta
un attimo perché gli occhi di Suigetsu comincino a brillare
come fuochi
d’artificio, ma sono solo le ultime fiamme di una candela che
si sta spegnendo.
È un fuoco che nasce e muore dalla bocca di
quell’uomo, che vive e viene
torturato dalle sue mani e dal suo sorriso tanto raro.
Il
guardiano – perché è questo che
è – riesce a leggergli dentro prima ancora che
lui possa capirsi da solo. «Non ci pensare
nemmeno.» brontola, asciutto, ma un
guizzo di compassione ammorbidisce le sue parole. «Se
sparisce anche solo un
ragazzino domani io mi ritrovo dentro a un fosso.»
L’immagine
di una fuga folle, vivida come una macchia di sangue in mezzo alla neve
nella
mente in banco e nero di Suigetsu, esita un po’ prima di
scomparire. Quella
porta non è mai aperta. Mai, tranne ora. Varcarla e uscire.
Non tornare.
Vivere.
Ma
Zabuza lo ha salvato così tante volte che ormai è
come se lo avesse messo al
mondo lui stesso. Il ragazzo abbassa lo sguardo e beve dalla tazza il
the
caldo, che sembra scavarsi a forza una strada nel gelo che lo invade
dappertutto. I suoi occhi emanano una luce sempre più fioca
finché non si
spengono del tutto. Morto.
«Dove
l’hai preso?»
Zabuza
alza le spalle. «L’ha fatto la donna che stanotte
monta la guardia con me. Ora
si è addormentata.» lo guarda con fare critico.
«Dov’è la coperta che ti ho
dato?»
Suigetsu
non risponde, ma indica Karin con un cenno del capo. Sa che si
arrabbierà e
infatti succede. Ormai lo conosce così bene che non
può trattenere un lampo di
fugace contentezza quando riesce a prevedere le reazioni di
quell’uomo tanto
complesso
«Santo
Dio, ragazzino, ho già abbastanza da fare per tenere in vita
te!»
«Sta
morendo.» ribatte lui, ma sa che non è una scusa
valida. Sta morendo anche lui,
ed è così palese che tutti e due lo sentono
nell’aria senza nemmeno dirlo ad
alta voce.
Zabuza
aspetta che abbia finito di bere, poi gli strappa la tazza dalle mani,
perché
se qualcuno gliela trova vicino la mattina dopo nemmeno lui
riuscirà a tenerlo
in vita. Se ne va ed è ancora nervoso per quel ragazzino che
non può salvare.
Ogni passo è la rabbia contro di lui che non si aiuta e
contro se stesso che
non può fare quell’ultimo gesto, che sarebbe
decisivo e che è l’unico davvero
utile.
Suigetsu
sta meglio, con il the che gli riscalda lo stomaco vuoto, ma si sente
così
frustrato che prende in considerazione l’idea di strappare la
coperta dal corpo
di Karin e avvolgervisi dentro. Non gli importa se domattina della
ragazza non
rimarrà che un cadavere freddo; lui vuole solo sopravvivere.
Gli
occhi di Juugo però sono di nuovo aperti. Lo fissano e gli
trasmettono la consapevolezza
che, se non sono più abbastanza umani da provare un pizzico
di compassione,
allora è tempo che muoiano. Suigestu rantola, stringe i
pugni e si costringe a
dormire, aspettando di sapere cosa ha in serbo per lui quella notte.
Paura
o bisogni primordiali? Cos’è che ti fa
più battere il cuore, la morte… o lui?
~°~
La
sera successiva Zabuza riesce a fargli avere un’altra
coperta. Non lo guarda
mentre gliela passa di nascosto, lo ignora come se non esistesse. E
forse è
così, forse sta davvero aiutando un fantasma, forse
è questo a farlo impazzire
di rabbia.
Karin
tossisce e sputa e vaneggia per la febbre, ma si regge ancora in piedi
e la sua
espressione orgogliosa non accenna a sbiadire. È
un’attrice impegnata a fare il
tutto esaurito ai suoi ultimi spettacoli e lo sa. Juugo non sembra
triste
mentre la guarda, non lo è, l’aiuta
perché è giusto
così. Ma lì dentro è davvero rimasto
qualcosa degno di
essere chiamato tale?
Suigetsu
non riesce a scaldarsi nella misera giacchetta di pelle che lo
costringono a
indossare, però preferirebbe morire assiderato piuttosto che
trovare rifugio
nell’auto di qualche cliente. Karin sta morendo e questo gli
dà sui nervi,
perché è – era
– forte e se si
arrende perfino lei allora loro sono tutti condannati. Non è
una vera sorpresa
e questo, se possibile, lo stizzisce ancora di più. I sogni
vengono mandati al
macello prima ancora che riescano ad attecchire nel cuore di qualche
povero
pazzo, cercare di aggrapparvisi con le unghie fa solo sanguinare le
dita.
Nemmeno
l’auto di Kakashi che si fa vivo dopo una settimana di
silenzio riesce a
tranquillizzarlo. Mangerà e si scalderà e
avrà tanti soldi da non doversi
preoccupare di vendere qualche pezzo di sé per tutta la
sera, ma il suo umore
non si calma. Se non è stasera, è domani. Oppure
dopodomani, o il giorno dopo
ancora, o magari tutta la settimana successiva. Non stai a galla
nemmeno se
qualcuno ti tiene sollevato per la collottola: prima o poi
affogherà anche lui.
Il
poliziotto riesce comunque a sorprenderlo.
«Ultimamente
sono stato impegnato.» si scusa, posandogli un bacio sulla
fronte.
Suigetsu
vorrebbe scansarsi da quel tocco, ma non ci riesce perché il
cibo che sta
masticando è troppo buono e l’aria condizionata
che gli solletica il viso è
troppo calda.
«Hai
scoperto il nome?» glielo chiede sempre, ma lui non sa mai
cosa rispondere. Lo
ha chiesto alla maggior parte dei suoi compagni, ma nessuno lo sa,
tutti sono
spaventati. Non si fa niente per niente e lui ha ben poco da offrire
contro la
paura.
Deglutisce
un boccone e gli lancia uno sguardo che lo fa rabbrividire.
«Il tuo capo lo
salverà. Il tuo capo si rifornisce da noi molto spesso.
Tutto questo non serve
a niente»
Lui
sospira e gli accarezza i capelli. Avvicina la mano piano e lentamente,
facendo
in modo che possa vedere tutti i suoi movimenti, perché ha
imparato che i gesti
bruschi lo spaventano. I primi tempi si ritraeva di scatto, come se
temesse di
ricevere uno schiaffo, e a Kakashi ogni volta veniva da vomitare.
Ancora adesso
ha paura di chiedere che cosa quel povero disgraziato abbia dovuto
subire per
ridursi così. Suigetsu non si sottrae più al suo
tocco, china un poco il capo e
gli ricorda un cane che appiattisce le orecchie perché mal
sopporta le moine
del padrone; lo ha addomesticato, ma non sarà mai suo e non
deve scordarselo.
Lo ha già fatto e ama quel ragazzo con tutto il suo cuore
malandato.
«Ho
solo bisogno di quel nome. Ti porterò via da qui,
Suigetsu.»
Suigetsu
non ci riesce. Né a credergli, né a sperarci, ma
si fa forza e finge. Con
Kakashi e con se stesso, perché senza sogni si va avanti ben
poco e lui ha
bisogno di averne uno.
~°~
Karin
qualche settimana dopo non si sveglia più.
Suigetsu
rimane così scioccato dai suoi occhi, ancora spalancati
verso la vita che le è
scappata via, da non provare nemmeno a scuoterla. Vorrebbe solo
chiuderle la
bocca semiaperta, uccisa a metà di un urlo che solo lei ha
potuto sentire, e
vorrebbe chiudere la sua perché sente qualcosa che gli
graffia la gola e non
vuole piangere per niente al mondo.
Non
riesce a fare niente. Quel corpo emana freddo,
non ha bisogno di sfiorare la pelle per assicurarsene. È
rigido e bianco e
spaventoso: lui lo sa che è quel cadavere a gelargli il
sangue nelle vene. Non
vuole toccarlo perché altrimenti morirebbe anche lui.
Juugo
gli si avvicina in silenzio. Nessuno dei due piange, in fondo
è solo un’altra
morte. Ce ne sono così tante che non fa nessuna differenza,
eppure qualcosa
dentro il cuore di Suigetsu se ne va per sempre, insieme a quella
ragazza. Sono
tutte quelle promesse, implicite e non, che Karin aveva fatto loro. Sopravvivrò, ce la farò, non
morirò.
Di
tutti quei giuramenti fatti con le dita incrociate dietro la schiena
rimane un
ammasso di organi e tessuti che ormai non funziona più.
Gli
viene da vomitare, ma non lo fa. Bisogna cercare un guardiano che si
porti via
quel dito puntato verso la libertà con cui fino a poche ore
prima Suigetsu
litigava e tirava avanti.
Chiama
Zabuza perché non può sopportare che lo faccia
qualcun altro. L’uomo guarda lei
e poi cerca gli occhi di colui che, senza che nessuno dei due lo
volesse, è
diventato il suo protetto. Si inginocchia accanto alla vita strappata e
riconosce la coperta che lui stesso aveva dato a Suigetsu, ma non
gliela
restituisce e la alza fino a coprire il volto della disgraziata. La
prende tra
le braccia.
«Ci
penso io.»
Suigetsu
non lo sente dalle sue labbra, ma sa che Karin non finirà in
un cassonetto o in
fondo al fiume, come gli altri cadaveri. Sa che Zabuza farà
in modo che il
posto in cui andrà, qualunque esso sia, le tributi la
dignità che merita.
Quella che non ha mai avuto.
Il
guardiano non lo dice ma Suigetsu lo sa. E capisce anche
perché, quando deve
ricordare i due uomini che tengono in mano le redini della sua vita,
l’incontro
con Kakashi gli appare confuso e approssimativo, mentre quello con
Zabuza è
perfetto e definito nella sua memoria come se lo vivesse ogni giorno.
Lo
capisce e ne ha paura.
Non
si concede nemmeno qualche minuto per ricordare Karin prima di andare a
cercare
Sasuke Uchiha. Hatake gli ha promesso una settimana ed è il
massimo che può
aspettare. Zabuza se ne va e la morte di una prostituta prende solo
quel tempo;
pochi se ne sono accorti, a nessuno importa. Tenersi in vita
è un impegno pressante,
pensare a chi non ce l’ha fatta non serve.
Uchiha
non sembra propenso ad ascoltarlo perché il suo amico,
quello che si trascina
dietro ogni giorno, quello per cui combatte tanto ferocemente, sembra
non stare
molto meglio di Karin. Quando Suigetsu gli chiede il nome del loro
aguzzino,
però, il suo sguardo scuro saetta verso di lui in un lampo
di minaccia.
«Perché
lo vuoi sapere?»
Lui
non risponde: la storia di quel dannato Uchiha è famosa in
tutto il giro di
prostituzione. Si è venduto al proprietario del giro
perché gli erano state
promesse preziose informazioni sul luogo dove si trovava il fratello
maggiore,
colpevole della strage della loro famiglia. Inutile dire che, in tre
anni, non
aveva ricevuto alcuna notizia. Ma con il responsabile del giro in
prigione le
possibilità di averne calerebbero notevolmente, quindi
Suigetsu sta zitto e
lascia che Sasuke guardi in che stato si trova il suo compagno.
Perché
anche Suigetsu è famoso, lì dentro. Lui
è quello che, chissà come, ha sempre un
sacco di medicine. Ringrazia mentalmente Kakashi e le pasticche che gli
nasconde nelle mutande per ogni
evenienza.
«Non
si fa niente per niente, Hozuki.» sibila Uchiha. La nuca
bionda appoggiata sul
suo grembo mugola e lui deve decidere quale vita vale di
più. Quale sogno è
disposto a infrangere. Chi ama di più, tra se stesso e il
corpo bollente di
febbre che si appoggia totalmente e unicamente a lui.
La
pastiglia di antipiretico compare tra le dita di Suigetsu con un
tempismo
perfetto. Gli occhi di Sasuke si assottigliano. La mano di Naruto ha
smesso di
cercare la sua. Uchiha stringe i denti e prende la pasticca. La fa
scivolare
tra le labbra del compagno e la sua voce freme di rabbia mentre sputa
il nome Orochimaru tra i denti,
come se fosse il
più astioso degli insulti.
Suigetsu
non ringrazia. Non rimane a guardare se il biondino ce la
farà. Non pensa a
Karin. Spera soltanto che quella sera Kakashi passi a comprarlo, ma
quando
questo succede tutta la sua spavalderia viene meno. Quando
l’uomo gli chiede
quel maledetto nome, lui non può fare a meno di ribattere
con un’altra domanda.
Quando ottiene la risposta che cerca, quella che deve dare lui gli si
blocca in
fondo alla gola.
«Che
ne sarà dei guardiani?»
«Favoreggiamento
di prostituzione, da due a sei anni.» risponde lui, quasi
annoiato, di fretta.
Vuole sapere il nome, glielo richiede, aspetta.
Suigetsu
ce l’ha sulla punta della lingua. Però Zabuza lo
ha salvato troppe volte per
lasciare che quelle dieci lettere escano dalla sua bocca. Schiude le
labbra, ma
la voce non esce. Serra le palpebre e mente.
«Non
lo so.»
Kakashi
lo guarda e scuote la testa. Non lo sa nemmeno lui, che fine
farà quel povero
ragazzo.
~°~
«C’è
un poliziotto con cui vado ogni notte. Vuole sapere il nome di chi
gestisce
questo posto per poterlo arrestare. Io lo so e voglio
dirglielo.»
Non
si ferma nemmeno una volta mentre parla. Zabuza sta fumando e forse non
ha
ascoltato neanche una parola, perché sta guardando fuori dal
finestrino e dai
suoi occhi chissà che cosa vede.
«Perché
lo stai dicendo a me?» sbuffa fuori dalle labbra nicotina e
rancore. E l’unica
risposta che Suigetsu non si aspettava.
«Non
voglio che ti arrestino.»
«Però
sono uno di quelli che ti tengono qui. Non mi odi?»
Suigetsu
ammutolisce. Tutto il suo coraggio è sparito nel giro di
qualche frase e ora
non sa più cosa fare delle informazioni che, ne era certo,
all’uomo avrebbero
fatto piacere. Non si era immaginato un grazie,
ma nemmeno quell’ostilità latente.
«Vattene
prima che arrivi la polizia.» risponde.
Zabuza
se la prende comoda, finisce la sigaretta e l’uccide nel
posacenere prima di
riprendere la parola. Non sembra spaventato, o nervoso.
«Ora
ti spiego quello che succederà.» dice.
«Il tuo amico poliziotto aprirà
un’inchiesta. Il fascicolo finirà sulla scrivania
del suo capo, che avviserà
Orochimaru. Entro ventiquattrore voi sarete tutti morti, noi senza
lavoro e lui
dall’altro capo del mondo a dare il via ad un altro giro di
prostituzione. La
polizia non si prenderà nemmeno il disturbo di fare
irruzione, dato che quando
avranno uno straccio di mandato ormai il capannone sarà
già stato distrutto da
un incendio.» non lo guarda negli occhi mentre parla. Sta
ancora spingendo con
forza il mozzicone contro la superficie di vetro, più e
più volte, macchiandosi
le dita di cenere pur di non affrontare il crollo di una speranza.
«Lui
lo sa che il capo della polizia è corrotto.»
mormora Suigetsu. «Nasconderà
l’inchiesta.»
«È
il suo superiore.»
«Lui
mi salverà.»
Zabuza
serra i denti. «Sarà lui ad ucciderti, se va
avanti con questa storia.»
«Perché
vuoi tenermi qui a tutti i costi?»
L’uomo
si spinge sopra il tavolo e ormai il suo volto è a pochi
centimetri di distanza
da quello di Suigetsu.
«Lo
sai, ragazzino» soffia contro le sue labbra. «cosa
succede a una puttana che
diventa troppo vecchia per battere?»
Non
lo vuole sapere. Lo sa già.
«La
costringono a fare il guardiano.»
Suigetsu
rabbrividisce, ma non per il freddo. L’orrore gli disegna una
smorfia sul viso e
gli provoca un conato. Si volta dall’altra parte e vomita,
sapendo che non
guarderà più quell’uomo con gli stessi
occhi di prima.
Stavolta
Zabuza non gli tiene i capelli mentre rigetta tutto quello che non ha
mangiato,
forse perché una pallottola che gli perfora il fegato lo
inchioda a terra. Il
sangue che zampilla dalla ferita è l’unico suono
che interrompe il silenzio
dopo il fragore dello sparo. L’uomo muore senza nemmeno un
gemito, ma il suo
ultimo sguardo è per Suigetsu. Non sorride, né
piange. Nel suo cuore non c’è
rabbia o disperazione, solo tanti rimpianti.
Poteva
salvarlo.
Non l’ha fatto.
Suigetsu
quasi non sente la mano che lo afferra per il collo e lo sbatte contro
il muro,
perché la chiazza rossa sotto l’uomo che per lui
è diventato fonte di vita
catalizza tutta la sua attenzione. Cerca gli occhi che, lo sa, non
possono più
ricambiare i suoi. Deglutisce per impedire a un nuovo conato di
sconquassargli
lo stomaco. La vista gli si appanna e tutto intorno a lui comincia a
girare.
Kisame
Hoshigaki lo sta tenendo appeso contro la parete del furgone e sta
urlando.
Suigetsu lo capisce dal furore che gli deforma il viso, ma non riesce a
sentire
nulla. Il sangue che goccia gli riempie le orecchie, lo assorda, gli
ottenebra
i sensi. Annaspa per cercare ossigeno che non gli servirà.
C’è un solo nome che
gli rimbomba nelle vene.
«Chi
è?»
Suigetsu
aggrotta le sopracciglia, non capisce, non è la sua lingua.
Zabuza lo chiama
senza voce ma lui non può aiutarlo. Non riesce
più a respirare. Si morde la
lingua e i denti affilati perforano fino a trovare il sangue.
«Dimmi
chi è quel fottuto poliziotto!»
Allora
Hoshigaki non è stupido. Ha capito che Momochi non sceglieva
sempre lo stesso
ragazzo perché gli piaceva come scopava. Ha capito che
c’era qualcosa sotto. Ha
capito che la puttana si è innamorata del carceriere.
Oh,
dannata sindrome di Stoccolma. Suigetsu sta diventando blu.
Il
guardiano urla ancora. Con la canna della pistola lo costringe ad
aprire la
bocca, gliela ficca in gola, continua a urlare, ma lui scuote la testa
e chiude
gli occhi. Non distingue se il sapore metallico che sente tra le labbra
sia il
sangue o l’arma. Distruzione.
Muore
ancor prima di sentire lo sparo che gli smembra la vita.
Non
è così che doveva andare. Il suo sogno era
così giovane, troppo immaturo. Non
era ancora giunto il momento del suo funerale.
Kakashi
lo cercherà, non lo troverà più. Si
chiederà cosa ne è stato di lui? Lo
capirà?
Magari si servirà di un altro ragazzo per far chiudere il
giro di
prostituzione. Magari sceglierà qualcun altro su cui
riversare il suo amore da
peccato.
Suigetsu
muore lì e non ha cambiato il mondo. Si è
prostituito per poi schiattare come
il più schifoso dei criminali. Avrebbe dovuto farsi uccidere
subito, Zabuza
avrebbe dovuto lasciarlo morire. Prolungare l’agonia
è tipico degli esseri
umani; la speranza di un futuro migliore, la convinzione che qualcosa
cambierà,
cercare di credere che non sarà stato tutto inutile. Balle
come quelle di Karin
che non sarebbe morta. Juugo che blatera di amore e compassione .
Zabuza che
non lo ha preparato a morire, troppo ansioso di farlo vivere.
Niente
di questo ha senso. Non se un ragazzo di appena diciotto anni viene
assassinato
su un furgone da quattro soldi, nella periferia di una metropoli che
balla
mentre lui muore. Non se un uomo appena più grande di lui
sacrifica una vita
che non vale niente per un’altra ancora più misera.
E
i cattivi vincono. Ma è davvero una sorpresa?
Suigetsu
riceve la sua risposta dalla pallottola che gli ha fatto saltare in
aria il
cervello.
No. Non lo
è. E
questa è la cosa peggiore, vero?
Ride,
la stronza, mentre lo uccide.
Note
burocratiche:
-
“Who are you waiting for in the maze of emotions?”
è la traduzione di “Deguchi
mienai kanjoumeiro ni”, citazione tratta dalla canzone
“Again” di Yui (nella
versione usata per la prima opening di FullMetal Alchemist:
Brotherhood).
Note
dell’autrice:
Come
sono cattiva u__u invece di accopparne solo uno stavolta li ho fatti
fuori
tutti e due. Lo ammetto, il mio OTP in questo caso è il
KakaZabu, Suigetsu era
solo un intruso xD Però niente, a me piace che muoiano (e
muore anche Karin,
godo!). Spero anche a voi, ma non sono molto fiduciosa
x’’D
Insomma,
TTMM ha visto la sua fine. Ormai sono troppo
“fuori” da questo ciclo e non ci
ritornerò più, non ha senso allungare il brodo,
però mi rimarrà sempre
particolarmente cara questa storia. Anche se schifo tutto sono
affezionata ai
miei adorabili sgorbietti <3
E
non faccio nomi, ma QUALCUNO (_sweetygirl_ è__é)
riconosca il fondamentale e
irrinunciabile contributo di Sas’ke in questa storia. Nella
mia testa gira
sempre tutto intorno a lui XD
Come
sempre, mi farebbe piacere ricevere il vostro parere (se volete, potete
dire
qualche parola in memoria dei fu Zabuza et Suigetsu u_u)
shirangel