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Autore: Eryca    05/02/2013    4 recensioni
Intorno a me la guerriglia continua a impazzare e capisco che non ho molto tempo per prendere una decisione. Qualcosa – che non saprei definire – di assolutamente incontrollato, che va contro ogni mio ideale di razionalità, mi sussurra che quella ragazza merita di vivere.
Seguo il mio istinto, mandando in frantumi anni di studi.

**
Léon, giovane rivoluzionario, parte della nobiltà di toga, nonché seguace di Robespierre.
Amélie, giovane popolana, figlia di un ciabattino.
Un amore costruito sull'odio.
Dietro di loro, un panorama carico di morte e odio, in una Francia dove la Rivoluzione si infiamma e lascia una scia di cadaveri dietro di sé.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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1.

Le prime fiamme

 

 

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14 Luglio 1789

 

 

Sono un’ombra.

 

Me lo ripeto nella mente come un mantra, cercando di crederci veramente così da poter passare inosservato, mentre serpeggio scaltro tra le strade infuocate di Parigi.

Una Parigi che sta urlando, si sta dimenando furiosa.

Mi appiattisco dietro l’angolo di una casa non appena scorgo dall’altra parte un gruppo di emissari del sovrano correre verso di me, al centro della via.

Sono un’ombra, mi dico, mentre la tensione sboccia dentro me come un fiore primaverile.

Li vedo cambiare direzione, attirati dalle fiamme provenienti da una casa al fondo della via, che ormai è un vero e proprio campo di battaglia.

Fuoco e fiamme. Ovunque.

Grida e morte. Ovunque.

Spade e zappe. Ovunque.

Eccola, la mia tanto amata Parigi, quella romantica ed elegante, ridotta a fumo e dolore, a rabbia e ribellione. È quello che volevo.

Do un’ultima timorosa occhiata alla strada e mi rendo conto che è sgombera, se non per una madre ricurva su quello che deve essere il cadavere del suo bambino. Piange disperata, il viso arrossato, mentre stringe gli stracci del giovane. Non voglio guardare.

Conosco così bene queste strade che non ho bisogno di alzare la testa per sapere dove mi trovo: quarta svolta, ora c’è il panettiere, ancora due case poi devo girare a destra.

Cammino sicuro, isolandomi da quella carneficina che sta avvenendo intorno a me, cerco di estraniarmi da quel delirio, altrimenti non riuscirei ad arrivare alla mia meta e impazzirei, proprio come sta accadendo a quel vecchio. Un vecchio che non camperà ancora a lungo.

Eccola.

La locanda resta nascosta dalla città e sembra essere distante dalla realtà attuale, quella che sta rendendo la mia amata ville cenere. Adesso corro, sono stufo di rimanere allo scoperto, così sbatto violentemente la porta di legno marcio ed entro.

La prima cosa che sento è il puzzo di sudore stantio e liquore di basso costo.

La seconda è il frastuono dei bicchieri che sbattono l’uno con l’altro.

La terza sono le risate sguaiate dei presenti.

La quarta è lui, il mio migliore amico, seduto capotavola in uno dei lunghi tavoloni in legno. Lui è nato da capotavola, penso osservandolo dall’uscio, e morirà come tale.

Tutti hanno gli occhi puntati su di lui: come si potrebbe non degnarlo di uno sguardo? È semplicemente impossibile non rimanere incantati dalla sua persona.

Mi avvicino e gli poso una mano sulla spalla. «Maximilien Robespierre 

Si gira non appena sente pronunciare il suo nome, il mio migliore amico, e mi riserba uno di quei sorrisi che gli hanno permesso di accaparrarsi tanti fedeli e tante conquiste.

«Addirittura nome e cognome, Léon Delavierre?» mi canzona, senza però rifiutare il mio gioco. Mi fa segno di prendere posto accanto a lui, quello che mi spetta di diritto e nessuno potrebbe mai portarmi via.

Mi stupisco nel vedere il viso familiare di Julien, figlio dell’avvocato di Poisson, che non aveva mai deciso di prendere posizione, ma sempre preferito spostarsi da parte a parte secondo i suoi bisogni.

Robespierre si alza, facendo slittare la sedia a terra, e alza il boccale di birra scadente, mentre i suoi occhi ardono di una fiamma appassionata, gloriosa. Lo so, perché anche io sento lo stesso fuoco dentro le miei iridi, così come nel mio cuore.

È la passione che solo un rivoluzionario può avere.

«Signori. Amici.» inizia a parlare il mio amico, scandendo bene le parole. La locanda si ammutolisce, perché i discorsi di Maximilien riescono a farti accapponare la pelle da quanto sono entusiasmati e nessuno osa mai pronunciare una parola.

«Quest’oggi la nostra Rivoluzione è finalmente divenuta reale.» Fa una pausa. Dà il tempo di assimilare le informazioni, vuole che ognuno di noi colga il senso delle sue frasi. «Siamo passati dal confabulare rintanati in lurida locande, al vedere il nostro popolo camminare per le strade armati e orgogliosi.»

La sento, la passione. È impossibile non farsi contagiare dallo spirito entusiasta di Robespierre, sarebbe in grado di convincere un contadino che i suoi frutti sono marci anche se in realtà sono succosi.

E il mio cuore scalpita.

Il sangue pompa veloce, quasi non avesse più la pazienza di aspettare e io fremo, fremo su questa sedia, perché vorrei alzarmi, vorrei sguainare la spada e tagliare la testa a Luigi XVI.

Ma non mi muovo.

Non finché Maximilien parlerà.

«Questo è un giorno glorioso, per la Francia, amici miei. Perché il popolo si è alzato, si è impadronito della Bastiglia e ha deciso che è lui il padrone di Parigi.» La sua voce va in crescendo, si alza, e posso notare come anche l’animo dei presenti si eccita, esattamente come il mio amico, che ormai non sta più nella pelle.

«E noi abbiamo il dovere di prenderci ciò che è nostro!» urla, adesso, mentre gli uomini si alzano in piedi, imitando il loro leader, e prendono in mano le loro birre.

«Liberté, Egalité, Fraternité!»

I boccali si scontrano l’uno con l’altro, mentre le urla si fanno insopportabili e il mio cuore festeggia, proprio come il resto della locanda.

Siamo noi i padroni della Francia.

Siamo noi i sovrani.

Nulla sarà in grado di fermarci.

E, mentre la mia birra fuoriesce dal bicchiere, grido con un sorriso stampato in volto.

«Vive la France!»

 

*

 

Bastien.

 

Corro tra la folla impazzita, spingo una giovane ragazzina con gli occhi lucidi e non mi interessa di ciò che può esserle successo, perché il mio obiettivo è uno e solo uno.

Devo trovare Bastien, il mio piccolo fratellino. Ricaccio le lacrime che insistono per uscire, non ho tempo per piangere, ora, potrò farlo non appena avrò Bastien tra le braccia.

Continuo a correre, ma non so nemmeno più dove io sia o quale sia la mia meta. Maledico mio padre che ci ha mandati a comprare il latte, oggi, nella migliore latteria di Parigi per festeggiare il compleanno di mio fratello.

Bastien, Bastien, piccolo, dove sei?

Se solo fossimo rimasti nei nostri nascosti quartieri, come i ratti, ora non ci troveremmo in questo marasma di corpi in panico, di fiamme alte che mi bruciano il viso, mentre dinanzi a me, l’immagine dei popolani che scalpitano con le loro zappe mi fa venire l’emicrania.

Sono stanca, le gambe mi dolgono e il mio viso è probabilmente sporco di cenere. Voglio solamente trovare Bastien, tutto il resto non ha un senso. Ma, in fondo, come può avere un senso tutta la morte che mi attornia? Ci sono solo cadaveri e sangue.

Sangue. Sangue.

Fuoco e fiamme.

E sangue.

La gente intorno a me sta gridando, scappa e fugge e grida e scalpita e muore, muore, muore. E io non posso fare altro che continuare a correre, tirare gomitate e farmi spazio, perché – non posso fermarmi, bambina che piangi – devo trovare il mio piccolo Bastien.

L’odore del fumo mi invade le narici, mi impedisce di respirare, mi soffoca, mi sembra di andare in fiamme, mi sento bruciare. È la sensazione più brutta che io abbia mai avuto, non riesco a fermarla e la testa mi duole, così come le gambe.

Bastien. Devo trovare Bastien.

Il ricordo del dolce viso di mio fratello mi induce a continuare a camminare, cercando di ignorare tutta questa gente che viene contro. Mi fermo un attimo, in mezzo alla strada, e mi rendo conto che barcollo e le persone mi spingono e io non sono in grado di stare in piedi e crollo, crollo come tutte le mie certezze, crollo come il nostro sovrano, Luigi XVI, crollo, crollo, crollo e basta.

Non riesco ad alzarmi, sto cercando la forza, le ultime energie per farlo, ma non ne ho e il fumo sembra essere l’unica cosa reale. Sento una fitta di dolore insopportabile allo stomaco e mi rendo conto che mi hanno calpestata. Letteralmente. Qualcuno mi è passato sopra. Come si può passare sopra ad una persona distesa a terra, invece di aiutarla? Forse non l’ha fatto perché sembro un cadavere. Sembro un cadavere? Dio, sono un cadavere, sono un cadavere. Inizio a piagnucolare, come una bambina capricciosa, e sento la mia voce rotta mormorare: «Sono un cadavere».

Mi devo alzare, mi devo alzare, mi devo alzare, mi devo alzare. Continuo a ripeterlo nella mia mente, devo riuscire a ritrovare i comandi del mio cervello, il fumo non può aver la meglio. In un attimo di lucidità mi rendo conto che i miei pensieri sono così confusi, come quelli di un pazzo, uno di quelli che vengono rinchiusi.

Bastien, piccolo mio, dove sei?

Bastien, piccolo mio, ti troverò.

Chiudo gli occhi, ormai non ha più senso continuare a lottare. Sono distesa sulla strada polverosa, sento le persone passarmi sopra, farmi male. Come posso vivere?

Ho sempre pensato che l’Inferno sarebbe stato doloroso, ma questo è peggio, questo è l’Inferno sulla Terra. Perché fa così male?

Sto pensando a quanto vorrei che finisse in fretta, tutto, quando mi sento alzare da terra. Forse sto volando, forse è così che succede quando la tua anima lascia il corpo: sembra di essere uno di quei teneri usignoli che cinguettano. È così?

Eppure la puzza del fumo persiste, così come il rumore di grida e i pianti disperati. Tutto è come prima, niente è cambiato. A parte il fatto che non sono più a terra.

L’unica cosa concreta sono due braccia forti che mi stringono, mentre il resto è irreale e lontano, come l’Inghilterra da cui viene William, il burattinaio vagabondo.

E sembra che questa due braccia – sì, sono solo questo per me – mi stiano portano via. Sì, mi sto spostando, credo. È difficile mettere a fuoco ciò che mi sta intorno, soprattutto con le palpebre che si impongono per non alzarsi.

Il mondo, ora, è tutto sensazioni, odori e voci. Anzi, no, grida disperate.

Ho il terrore che la testa debba scoppiare da un momento all’altro, ma mi impongo di aprire gli occhi, devo vedere chi sono le due braccia che mi stanno mettendo in salvo.

Apri gli occhi, apri gli occhi, apri gli occhi.

La prima cosa che metto a fuoco sono dei capelli.

Biondi, sembrerebbe, ma non ne sono sicura, perché sono sporchi. E puzzano di fumo.

Sbatto gli occhi, cercando di eliminare quella sfocatura che mi fa vedere ogni cosa con contorni in dissolvenza. Un viso.

Un uomo.

Sono tra le braccia di un uomo.

Un uomo che non è mio padre e nemmeno Bastien.

«Bastien...» mormoro, ma l’uomo che mi tiene non mi sente. Forse non ho neanche parlato, l’ho solo immaginato.

Il viso del mio salvatore diviene sempre più sfocato e io mi rendo conto che le palpebre hanno di nuovo deciso di andare in sciopero. Ma questa volta il dolore alla testa è divenuto lancinante. E io non riesco più a sopportarlo.

Mi dispiace, Bastien, piccolo mio...

Perdonami, bambino, ma non ci riesco, è troppo doloroso...

Bastien...

E mentre questi pensieri confusi si fanno spazio tra la mia mente, il mondo si spegne e io rimango inerme tra le braccia di uno sconosciuto.

Sono morta, riesco solo più a pensare.

Poi, il nulla.

 

*

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

 

Donne, Uomini, Maghi e Babbani,

sono lieta di presentarvi il mio nuovo progetto “Feu et Flammes”. Come avrete ben notato, la storia si svolge durante la Rivoluzione francese e i protagonisti sono Léon e la ragazza, che avete conosciuto in questo capitolo. Sicuramente il progetto di una long Storica è molto azzardato, non so quanti lettori potrò accaparrarmi (è bruttissimo come termine, ma fatemelo passare), ma comunque sia spero che qualcuno di voi possa apprezzare questa piccola follia.

Altra piccola pazzia: avrete sicuramente visto che Robespierre – personaggio storico realmente esistito – fa parte della storia, quindi vi chiedo di essere clementi se romanzerò un po’ la sua vita, ma cercherò di attenermi abbastanza alla sua biografia.

Stessa cosa vale per i fatti storici: non garantisco che il racconto sarò lindo e privo di imperfezioni storiche, perché probabilmente non sarà così; cercherò di attenermi cronologicamente agli eventi accaduti nel periodo e di non stravolgere troppo ciò che è successo.

Per il resto, avrete notato che ho usato – durante la parte della ragazza – molte e congiunzioni, che possono risultare errate, ma l’ho fatto per dare l’idea del suo tormento e di questo dolore incessante. Stessa cosa per le frasi confuse e spezzate.

Lo splendido banner che vedete a inizio capitolo è opera di Ellie, una bravissima scrittrice che vi consiglio vivamente – e, come potete vedere, anche un’eccellente grafica.

Spero che la storia vi possa appassionare, fatevi sentire in tanti, mi raccomando.

 

Un abbraccio,

Eryca.

   
 
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