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Autore: Gatto Magro    05/02/2013    4 recensioni
Capitano. Grotta. Cera.
E tutto quello che avrò la malaugurata idea di scrivere, finché alla TV non fanno qualcosa di bello.
1. Ossequi, Capitano.
2. Ave Icarus.
3. All I wanna do is (bang-bang).
4. Sunday mo(u)rning.
5. Le Porte Spettrali.
6. Caro Bellamy,
7. I tuoi 23 anni, I miei 26 anni.
8. duemilasette – duemilatredici
9. Scritto sul muro con l'eyeliner.
10. "It's like being at Disneyland. On acid."
11. We go where we know. (RIPUBBLICATA "Ma le fragole hanno fatto la muffa.")
12. Come le patatine fritte (è sempre un buon momento per una torta al cioccolato).
13. Prima che fossimo come le patatine fritte: insanguinati sul pavimento. (A raccontarci bugie.)
14. Then the night fell on us.
15. The Queen is dead.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vicende Ciglia Finte e altre cose di Superficie. '
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Sei tornato un giovedì pomeriggio, con te c’era un sole pallido sorto a scaldarci dopo settimane di pioggia torrenziale, aliti di vento caldo e le ultime foglie cadute dai gelsi. Eri tutto bagnato come se non avessi trovato niente sotto cui ripararti durante le tempeste: la tua vecchia maglietta ti si era incollata alla pelle, vedevo in trasparenza il nero della tua pelle imbevuta nell’inchiostro, camminavi scalzo sul marciapiedi perché le scarpe le tenevi in mano, sudicie e scolorite.
C’era qualcosa di strano sul tuo viso, intorno alle labbra. Da lontano non vedevo bene, non avevo messo le gocce e la luce mi bruciava gli occhi se li tenevo aperti troppo a lungo. Cos’hanno fatto alle tue belle labbra, ho pensato, maledicendoli. Anche le tue spalle avevano qualcosa di strano, ma da così lontano non potevo esserne sicura. Angoli sporgenti, ossa rigonfie sotto il lino sottile.
Cos’era la pasta gialla che ti imbrattava la schiena, chi ti aveva soffiato addosso l’odore dell’acciaio?
Alle mie domande tu rispondevi cantando; io non vedevo, tu mormoravi liriche di tramonti annacquati e sembravi così felice che non trovavo giusto costringerti a guardarmi.
 
Quando ti sei spogliato non mi sono potuta trattenere; mi sono girata e ho vomitato sulle piastrelle scarlatte del bagno. Il rifiuto ti ha bucato i polmoni e ti sei rinchiuso in un silenzio che mi meritavo fino all’ultimo chiodo infetto, dentro la pelle.
L’acqua nella vasca si era colorata delle mie lacrime e dei liquidi che perdevi. Torbida, come la mia vista spirata. La spugna mi è scivolata tra le tue gambe per quanto tremavo, e ho dovuto lavarti con le mie mani, inghiottendo il sale e il disgusto.
Però la tua pelle era ancora bella, aveva ancora il colore dell’ambra, luccicava bagnata.
Che cosa ti avevano fatto.
Non ci stavi seduto nella vasca, ti facevo male se ripiegavo in qualche modo le tue ali, nuovi arti mozzati impalpabili e monchi, repulsione, orrore, ibrido, il loro peso faceva sporgere le estremità del robusto filo di acciaio che le teneva cucite alle tue spalle. Pregavo che la pelle non si sfibrasse all’improvviso, tra le mie dita, che l’acciaio rimanesse inerte e non cominciasse a strisciare inchiodando anche il mio corpo al tuo, deformità, cera, bolle di sangue coagulato si scioglievano sotto le mie unghie.
La semi- cecità abbatteva le mie difese, il mio cervello succhiava effetti collaterali e scorie di pensieri che immagazzinavo tra i più osceni.
Tu non dicevi nulla. Accettavi il ribrezzo che ti sputavo addosso. Come avrei potuto altrimenti?, tu lo capivi.
Io no. Ancora oggi, mi sfugge il senso della tua incoscienza.
 
Starti vicino ormai mi rivoltava. Com’ero ingrata, dopo tutto quello che avevi sopportato di me: la mia mezza vita, mezza vista, mezza femminilità.
Io non ero in grado di starti accanto adesso che eri stato spezzato a metà anche tu. Era stata una tua scelta, questo era il particolare che più mi gettava nel panico. Cos’altro avresti fatto, per sentirti simile a me, per non farmi sentire sola? La tua integrità era stata il mio sostegno.
Cucite le ali, cuciti fra loro i muscoli della bocca. Più nudo e sconcertante dell’essere, muto come Dio.
Ogni notte ho lasciato le finestre aperte sperando che volassi via, o ti gettassi dal terrazzo. Ogni mattina mi sono svegliata e ho nascosto con le mani la metà inferiore del tuo viso per ritrovare la bellezza nel tuoi lineamenti aspersi dal sole di giugno.
Non ha conclusione la nostra esistenza qui, non ha un senso. Ma ci sono stati momenti, fratture nei secoli dei secoli, in cui uscivi dallo sdegno e appoggiavi la tua bocca scarnificata sulla mia pelle, e io scomponevo l’odore e il freddo dell’acciaio fino a trovare il sapore di un bacio.

   
 
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