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Autore: leyda    06/02/2013    6 recensioni
Chi sa come il riccio è diventato il pungente animaletto che tutti conoscono? In che modo ha ottenuto i suoi aculei?
Quella che leggerete è la mia versione di come ciò è avvenuto.
Questa breve storia l'avevo scritta per un concorso di un paio di anni fa, e ho deciso di pubblicarla anche qui.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La magica corazza del riccio

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Di come il riccio ottenne i suoi aculei

 

 

 

Tutti quanti conoscono sicuramente il mito di Prometeo e di come egli donò il fuoco agli uomini. Pochi però ricordano di come il riccio ottenne i suoi aculei. Noi siamo qui per rimediare a questo inconveniente.

Or dunque… la nostra storia iniziò molto tempo fa in un lontano bosco del Nord Europa.

 

Era una tiepida mattina d’autunno e il sole accarezzava le chiome degli alberi, tingendole d’oro e rosso. Nel sottobosco, gli animali si preparavano ad affrontare l’arrivo dell’inverno, facendo provviste e rendendo più confortevoli le proprie tane. Solo il piccolo riccio non se ne preoccupava e vagava triste per il boschetto.

«Ahimè! Sono proprio l’animale più sfortunato di tutti. Sono costretto a vivere di notte, con la paura di diventare lo spuntino di qualche animale più grosso. Privo di protezioni come sono, non posso fare altro che scappare e nascondermi. Oh, come vorrei essere veloce come la lepre! O essere come la puzzola, per mettere in fuga i miei nemici!» si ripeteva sconsolato.

Camminando, camminando, arrivò sotto un grosso tasso.

«Piccolo amico, perché sei così triste?» gli domandò l’albero, con voce profonda ma gentile.

«Oh tasso, beato te che sei così grosso! Io sono piccolo e tutti cercano di mangiarmi perché non posso difendermi.» si lamentò il riccio.

Intenerito, il grosso albero decise di provare ad aiutarlo e gli donò un giacchetto fatto con una delle sue fronde. Mentre lo indossava, gli spiegò che le sue foglie erano velenose, e che per questo motivo gli altri predatori ci avrebbero pensato due volte, prima di attaccarlo. Il piccolo riccio ringraziò e se ne andò per la sua strada, contento di aver trovato una protezione che gli sembrava imbattibile.

All’inizio la sua nuova difesa funzionò molto bene, infatti gli animali si tenevano alla larga da lui, per paura di finire avvelenati. Dopo un po’ di tempo però, alcuni uccelli scesero a beccarlo, per via dei piccoli frutti rossi che aveva indosso, e che erano rimasti attaccati alle foglie della sua giacca, e di cui erano molto ghiotti.

Per non rimanere ferito dai poderosi colpi dei loro becchi, si tolse velocemente la giubba e la lanciò lontano, correndo poi a nascondersi sotto un cespuglio. I volatili lo ignorarono e volarono via, per andare a banchettare in santa pace.

Nuovamente vulnerabile, non osò mettere il musetto fuori dal suo nascondiglio, finché non sentì una vocina, dolce e decisa assieme, frusciare attorno a se: «Ehi tu, pauroso animaletto. Converrebbe che ti cercassi un altro posto dove nasconderti, se non vuoi provare il pruriginoso effetto delle mie foglie.»

Strisciando fuori, la piccola creatura domandò all’arbusto chi fosse.

«Io sono l’ortica, una pianta dal carattere pungente. Cosa ti ha portato a ripararti sotto di me?»

«Non hai visto cosa mi è accaduto poco fa? Per poco quegli uccelli dispettosi non mi divoravano. Tutta colpa di quelle bacche!» rispose.

«Come mai andavi in giro per il bosco con delle bacche sulla schiena? Non sai che sono una prelibatezza per molti uccelli?»

«Il fatto è che sono piccolo e indifeso. Speravo che le foglie velenose del tasso mi avrebbero aiutato a vivere più tranquillo, non dovendo più preoccuparmi della mia incolumità.»

«Dunque è questo il problema. Penso di avere qualcosa di più adatto di quelle foglie. Su, avvicinati senza timore.»

Il riccio fece quanto gli era stato detto.

«Bene, alzati su due zampe e allunga quelle anteriori verso l’alto.» ordinò la pianta. Dopodiché fece colare dai suoi steli una resina vischiosa, che andò a impastare il pelo della piccola creatura. «Così ricoperto non dovresti avere più nessun problema. Chi cercherà di predarti, avrà un’urticante sorpresa.»

Felice del prezioso dono ricevuto, il riccio si incamminò nel fresco sottobosco, ignaro che un’astuta volpe lo attendeva, acquattata tra le felci. Inaspettatamente, si ritrovò schiacciato a terra da una zampa. «Cos’abbiamo di buono, qui? Ah! Un bel riccio grassottello! Ti gusterò lentamente…» gli disse, leccandogli la schiena. Non appena la ruvida lingua arruffò il pelo del morbido animale, un forte prurito pervase il palato dell’ingordo predatore. Scioccato dal fatto, la volpe batté in ritirata tra le frasche, guaendo per il dolore.

Stupito dall’efficacia della sua protezione, il riccio proseguì per la sua strada, ma un tuono annunciò la pioggia in arrivo.

Dal cielo cominciarono a cadere grosse gocce che lavarono via la sostanza. Tutto bagnato, il riccio cercò riparo in un buco nel terreno lì vicino, dove s’imbatté in una piccola talpa.

«Cosa ci fai qui in casa mia?» gli domandò, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

Il riccio gli raccontò tutte le sue disavventure. Dopo averlo ascoltato attentamente, la talpa gli propose di trasferirsi da lui, sottoterra.
Dopo averle promesso di pensarci sopra, il riccio ritornò in superficie, dove il temporale era ormai passato. Sconsolato, si diresse verso un ruscello, e si mise a pensare alla sua possibile vita sottoterra. Improvvisamente, una lucida castagna gli rotolò affianco. «Che ti succede, rotondeggiante amico?» gli chiese.

«Sto per trasferirmi dalla talpa, almeno lì sarò al sicuro.»

«Perché dici questo?» domandò la curiosa castagna. E il riccio raccontò anche a lei i suoi tentativi di trovare una protezione adeguata.

«Potremmo chiedere consiglio a mio padre.» rispose la nuova amica, rivolgendosi all’imponente castagno dietro di loro.

«Potresti usare uno di questi. Con le mie figlie funziona bene.» propose l’albero, allungandogli un involucro spinoso color sabbia, e ponendoglielo sul dorso. «Ti calza a pennello vedo. D’ora in poi, per difenderti ti basterà appallottolarti e aspettare che il pericolo sia passato.»

Da quel momento e per tutto il resto della sua vita, trascorsa ai piedi del generoso castagno, il riccio non ebbe più bisogno di temere gli altri animali. Quella pungente corazza, divenne a tal punto parte di lui, che riuscì anche a trasmetterla alle successive generazioni.

E questo è il modo in cui il riccio ha ottenuto i suoi aculei, che ancora oggi lo contraddistinguono.

 

 

 

 

 

Beh, che dire… spero vi sia piaciuta.

  
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