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Autore: 365feelings    06/02/2013    1 recensioni
Andromeda Black e tre momenti in cui la paura è stata l'unica emozione della sua vita.
[Partecipante al "A Black's life" e in attesa di giudizio]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Ted Tonks, Walburga Black | Coppie: Ted/Andromeda
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Nome autore sul forum e su EFP: KumaCla / Amaranth93 (forum)
Titolo storia: Allor fu paura un poco queta
Rating: verde
Generi: Malinconico, Sentimentale
Protagonista: Andromeda Black
Altri personaggi: Walburga Black, Ted Tonks
Pacchetto utilizzato: Sectumsempra
Avvertimenti: Flash Fic, Raccolta, Het, Prequel
NdA: quando ho visionato il pacchetto che alla fine ho scelto ho subito pensato ad Andromeda. All’inizio non si rende conto che quella che prova è paura. Lei è una Black, una Purosangue e sarà una Serpeverde. E’ abituata al timore con cui la guardano, eppure c’è qualcosa che la inquieta - la consapevolezza latente che lei non sarà mai come la sua famiglia vuole che sia e quindi la paura, all’inizio incompresa, del futuro (quel futuro in cui verrà cancellata dall’arazzo). Secondo me Andromeda, pur essendo una buona, ha temuto fino alla fine, ha esitato fino alla fine, perché sono convinta che certi insegnamenti non si cancellino così di punto in bianco, però c’era Ted e quindi alla fine ha fatto la scelta che sappiamo, pur continuando a voler bene alla sua famiglia. «Perché è molto più sicuro essere temuti che amati» appartiene al mio amato Machiavelli. Il riferimento al cervo è ripreso da una citazione di Mike Tyson. Il titolo appartiene a un verso di Dante.
In attesa del giudizio, >qui
 
Allor fu paura un poco queta
L’unica passione della mia vita è stata la paura.
(Hobbes)
 
 
Aveva dieci anni quando sua zia, Walburga, l’aveva condotta nella sala degli arazzi. Lo ricorda bene, non perché fosse la prima volta che metteva piede all'interno di quelle mura, ma perché quella donna fredda e calcolatrice l'aveva presa da parte e le aveva posato una mano fredda sulla spalla, indicandole i membri della casata Black.
Al suo tocco aveva provato un brivido gelido lungo la schiena; non ancora paura, ma un’inquietante, seppur ancora vaga, consapevolezza - quella che Walburga era pronta a tutto (anche a spezzare l' osso fragile della sua clavicola) pur di difendere quella invisibile ma solida realtà fatta di buon sangue e antenati illustri.
Era rimasta immobile e ammutolita; lo sguardo si era posato sui volti di suo padre, delle sue sorelle, dei suoi nonni - sul proprio - e per la prima volta aveva colto il grottesco di quelle raffigurazioni, per la prima volta si era accorta della luce folle che illuminava gli occhi che la osservavano dalla parete - erano occhi e nomi di persone che, dall'alto del loro cognome, non avevano mai amato e mai erano stati amati, ma sempre temuti e riveriti.
«Sono i tuoi antenati» le aveva detto Walburga, gelida, quella luce negli occhi.
«Onorali».
Perché è molto più sicuro essere temuti che amati.

 
Aveva vissuto i suoi primi quindici anni di vita all'erta, come un cervo che attraversa una radura, e si era abituata al timore reverenziale che le veniva tributato in onore del suo cognome e dei suoi natali - un po' meno, invece, a quell' incomprensibile paura che stava in agguato nella selva sin dal giorno in cui aveva guardato l'arazzo di famiglia con sua zia.
Poi, all’improvviso, il piedistallo di cristallo su cui era stata adagiata ancora prima della sua nascita aveva iniziato ad incrinarsi e lei aveva intuito per la prima volta la natura della sua paura.
Ricorda ancora quella sensazione, simile ad un cappio attorno al collo, che aveva provato quando si era resa conto che non aveva mai sentito parlare dei Tonks per il semplice motivo che quella famiglia non faceva parte della comunità magica - si era sentita come un cervo braccato.
«Non possiamo più vederci» aveva esordito con tutta l'alterigia che possedeva «Sai bene che sono una Black».
Ma non era stata tanto la consapevolezza che Ted fosse un Natobabbano a spaventarla, quanto piuttosto la consapevolezza che quel Natobabbano iniziasse a piacerle - e non poteva permetterselo.
 
 
«Non devi avere paura» le aveva detto Ted, tenendole la mano come quando l'aveva fatta salire per la prima volta sulla sua scopa.
Il piedistallo di cristallo si era infine rotto, si era infranto in mille schegge, una più acuminata dell'altra e sembravano solamente volere che anche lei rovinasse, su di loro.  
«L'origine della paura è il futuro e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere» aveva recitato Ted, la voce che si faceva più decisa e sicura parola dopo parola, cancellando l'imbarazzo iniziale «Non l'ho scritto io, purtroppo» aveva subito precisato - perché era un Tassorosso ed era onesto, anche se non c'era pericolo che lei riconoscesse in quelle parole la penna di Milan Kundera.
Gli aveva sorriso ed aveva annuito, aveva compreso il messaggio e non c'era bisogno di dire altro.
Quella paura, sempre presente nel suo animo, Andromeda lo aveva capito, era la paura per il futuro - forse quello che stava per vivere o forse quello che avrebbe vissuto se avesse seguito l'esempio di sua sorella, non importava. Non se ne sarebbe mai andata, sarebbe sempre rimasta sopita in lei e pronta a ruggire alla minima minaccia, lo sapeva bene. Ma sapeva anche che i giorni a venire non avrebbero più potuto spaventarla, con Ted al suo fianco. 
   
 
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