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Autore: CAMM    07/02/2013    4 recensioni
La verità?
Tom era un emerito coglione, in tutto e per tutto, un ragazzo cresciuto in fretta, troppo preso dal suo ego, fin troppo spavaldo ed estroverso, che amava scherzare con la vita.
Connie era tutto il contrario, aveva paura della vita, lei.
Connie non era stupida e quando ripensò ai loro mondi opposti le venne istintivo alzarsi dalla sedia, congedarsi sbrigativamente con l’amica e infilare in quattro e quattr’otto la porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge, Travis Barker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I don’t care, I’ll be there for you
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Questa storia la dedico a mio fratello,
per farmi sempre ridere di gusto,
per il suo modo di amare la vita.

 

CHAPTER ONE

 
Il suo sorriso sfuggente colpiva in pieno il petto di Connie.
I due al lato della ragazza si stavano allegramente ficcando la lingua in gola, altri due di fronte a lei erano già passati ad altro; mentre un tipo poco lontano stava vomitando anche l’anima.
Quel sorriso, quegli occhi; non riusciva a definirli.
Connie era sempre stata una ragazza solitaria, preferiva semplicemente tenere le sue cose per sé. Connie, dì la verità almeno a te stessa.
La vocina dentro la sua testa continuava a farsi sentire.
Quegli occhi perforanti, si posarono ancora una volta sul viso di Connie, la sue guancie si tinsero immediatamente d’un rosso acceso.
Tom avanzò di qualche passo e rivolse la parola alla ragazzetta: -Ehi, hai visto mia sorella per caso?-
Le guance di Connie scottavano.
-Mi pare sia ancora dentro al locale, l’avevo vista in buona compagnia-
-Oddio, non dirmi che devo staccarla da un manico sessuale!-
Connie amava più di qualsiasi cosa quella sua ironia, la faceva ridere di gusto, poi si punì mentalmente di aver anche solo pensato una cosa del genere.
Tom accennò un: -Vado a recuperarla- e sparì.
Dopo non molto uscì nuovamente un Tom con una Demetra in spalle; la scena era alquanto comica, la sorella che urlava e calciava, mentre il fratello che se ne sbatteva altamente delle urla.
Connie non riuscì a trattenere una risata e si precipitò dai due.
-Hai bisogno di una mano, Tom?- Arrossì violentemente, era più forte di lei. Stramaledì mentalmente la sua carnagione troppo chiara e cercò di decifrare le intenzioni di quello strano soggetto.
Tom stava bestemmiando in aramaico, sua sorella era decisamente una cogliona.
-Tranquilla, Connie, ora ce ne andiamo a casa- E così dicendo tirò una pacca nel culo della sorella che nel frattempo era passata da uno stato di angoscia ad uno di passività totale.
Connie riuscì solamente a sorridere lievemente al ragazzo e ad osservare la sua camminata strana percorrere tutto il parcheggio.
Connie, a quel punto, tornò a sedersi e si strofinò il viso più volte.
Sospirò rumorosamente.
Che merda.
Pensò troppo forte.
-Già, un vero ammasso colossale di merda!- Affermò un tizio che, senza che nessuno se ne accorgesse, s’era appostato al fianco della ragazza.
Connie s’irrigidì, ci mancava solamente l’ubriaco di turno, cazzo.
No, non era aria.
Il tipo la fissava ambiguamente, che voleva?
-Senti, ma noi siamo amici? Perché stasera ho visto una cosa che tipo assomigliava ad un misto di un alieno e un velociraptor assassino- Quello cominciò a ridere sguaiatamente, come una gallina agitata.
Connie non era in grado di gestire certe situazioni, che ci faceva lei lì? Che centrava con tutta quell’ammasso di gente? Forse, in comune con tutti quegli adolescenti bruciati, aveva solo i capelli tinti d’un verde scuro.
Si alzò timidamente, lei, in generale, era il ritratto della timidezza, che odiava e cercava in qualsiasi modo di nasconderla con degli anfibi troppo larghi.
Si sentì afferrare il polso da quel maniaco, fu obbligata a voltarsi.
-Almeno dimmi il tuo nome, dolcezza-  La ragazza era decisamente spaventata, cominciava a tremare, un po’ per il freddo pungente, un po’ per l’ansia.
Staccò la presa del tizio con uno strattone secco.
-Io sono Mark, comunque…-
Connie si voltò e cominciò a correre, a correre fino a perdere il fiato in gola, fino a sentire l’ossigeno mancarle e il cuore accelerare i battiti.
Che ore saranno state?
Tardi, molto tardi.
Lei non sapeva precisamente dove andare, correva senza quasi più sentire le gambe, senza far troppo caso alla sua iperventilazione.
Si fermò di scatto, nel bel mezzo della strada.
Era arrivata inconsciamente alla sua destinazione.
Il parco era sempre la risposta alle sue domande, scavalcò con un po’ di difficoltà il cancello d’entrata. Il guardiano era un ciccione spaventoso, uno di quegli anziani degradati dalla società.
E quale degrado più grande c’era al mondo se non un’adolescente fin troppo poco vestita per una notte di febbraio e dai capelli troppo colorati? L’avrebbe ammazzata all’istante se l’avesse beccata; ma d’altronde, dove mai avrebbe potuto rifugiarsi?
Connie ripensò un attimo alla serata, un completo fallimento. Tutti ubriachi spolpi che nemmeno riuscivano a reggersi in piedi, vomito ovunque, baci che non sapevano di carezze e risate troppo sguaiate. Odiava tutto questo, non si sentiva parte di questa allegria collettiva, anzi la odiava.
Non rimase a pensare molto a lungo, il sonno prese il sopravvento e si risvegliò al primo spiraglio di sole. Il suo primo pensiero fu rivolto al ciccione del guardiano, perciò istintivamente corse verso l’entrata, scavalcò il cancello e corse via fin quando il fiato cominciò ad accorciarsi, allora decise ch’era abbastanza lontana e si fermò.
Connie portava i capelli corti, quasi rasati da una parte e nelle nottate di febbraio di certo questi non contribuivano a frenare il gelo. Si mise il cappuccio con un gesto rapido.
Camminava velocemente, era sempre abituata ad avere un passo rapido.
Arrivò presto alla piazza del paese, cercò il cellulare per guardare l’orologio, era ancora abbastanza presto, il sole era appena sorto, eppure la pasticceria era già aperta.
Aprì la porta della pasticceria e un profumo dolciastro le inondò le narici, era piacevole.
Il caldo dei termosifoni la abbracciava. Non c’era ancora nessuno all’interno.
Connie si sedette ad un tavolo e ordinò una brioche ed  un cappuccino.
Amava fare colazione in quel posto, amava tutto di quel locale, era talmente dolce e confortevole che la metteva sempre di buon umore. Si gustò con calma quella brioche, era da parecchio che non mangiava, in effetti. Cercò di ricordare mentalmente, forse persino un paio di giorni.
La porta si aprì e la ragazza col cappuccio non si voltò a guardare, era completamente immersa nella sua calda brioche al cioccolato fin quando una sagoma si accomodò nella sedia di fronte alla sua.
Oddio, lo psicopatico della sera prima, l’alcolizzato maniaco.
Connie smise di masticare e fissò l’elemento frastornata.
Nell’oscurità della sera prima non aveva notato quegli occhi chiari, la colpirono in pieno e le sue gote s’arrossarono.
-Che vuoi?-
La voce quasi le si strozzava in gola, era praticamente paralizzata, Connie era una tipa che si faceva sempre prendere dall’agitazione del momento, ma non lo dava mai a vedere ed era brava in questo.
Mark si stampò un sorrisetto sghembo sul viso che la irritava molto.
-Conosci i DeLonge?- Il sorrisetto sparì per lasciare invece un’espressione più seria nel suo volto.
Ma che aveva quello?
-Conosco Demetra,sì, perché?-
Il ragazzo mugugnò qualcosa sottovoce, Connie cominciò a sentirsi addosso tutto il peso della stanchezza accumulata. A proposito di Demetra, sarebbe dovuta passare da lei, voleva come minimo accertarsi che non fosse finita in coma etilico, dopo la sera precedente.
-Senti, mi dici che cazzo vuoi da me? Perché ho un paio di cose da fare, io!-
-Alle sei e mezza di domenica mattina?-
In effetti poteva suonare molto una scusa, ma lei doveva davvero andare da qualche parte, per esempio a casa, a darsi una lavata come minimo.
-Ma che cazzo vuoi da me, si può sapere?-Connie aveva sempre la tendenza a proteggersi alzando la voce. Si alzò di scatto. Appoggiò una banconota al tavolo.
-Ah, fanculo, me ne vado io- Disse per poi girarsi e marciare decisa verso la porta d’uscita.
Si incamminò verso la casa dei DeLonge, non aveva ancora voglia di tornare a casa sua.
Non ci mise molto ad arrivarci, la casa era una piccola villetta che si estendeva su un unico piano, scavalcò l’inferriata, come ormai era abitudine, fece il giro del giardino e bussò forte alla porta-finestra dell’amica.
Demetra dormiva ancora, dopotutto erano ancora le sei e mezzo del mattino anche per lei, si alzò di mala voglia dal suo letto e aprì la finestra inarcando il sopracciglio.
-Che ci fai qua? Perché non vai a casa, Connie?- L’amica odiava quelle irruzioni notturne che ormai erano consuetudine per Connie.
-Sì, ora ci vado a casa è che prima volevo accertarmi che non fossi finita in coma etilico-
-Oh, Connie, non star sempre a preoccuparti per me, cazzo, ce la faccio a badare a me stessa, non m’occorre la badante- Demetra, di prima mattina, era sempre più scazzata del solito.
-Ho visto come sai badare a te stessa, Tom t’ha dovuto portare in spalle fino alla macchina, non ti reggevi manco in piedi-
-Strano …Non lo ricordo-
L’avrebbe ammazzata, giura, l’avrebbe ammazzata.
-Vabbè, hai fatto colazione, tu?- Chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
-No-Mentì Connie, aveva bisogno di altro cibo, il suo stomaco vuoto cominciava a borbottare.
Uscirono dalla stanza di Demetra, i suoi genitori andavano spesso via durante i weekend, per affari, o almeno questo era quello che dicevano.
Si prepararono del latte caldo e mangiarono metà sacchetto di biscotti.
Demetra bevve svariati bicchieri d’acqua, l’alcol la disidratava.
Nonostante tutto Connie e Demetra erano amiche sincere, passavano volentieri il tempo a chiacchierare. Parlando il tempo cominciò a correre più veloce fino a che arrivarono le nove.
A quel punto, si svegliò anche Tom e, diciamocelo, Connie non aspettava altro.
I suoi occhi si posarono sulle due ancora sedute al tavolo della cucina, si avvicinò e si sedette con loro. Non aprì bocca, si poteva capire che era abbastanza devastato.
Connie lo riteneva piuttosto bello persino in quello stato, ma non azzardò ad osservarlo.
Ci fu un periodo di silenzio durante il quale Connie fissò l’orologio, aveva ancora tempo per rientrare a casa.
-Deme, ti ammazzo la prossima volta- La voce di Tom era roca e terribilmente sexy, che appena finì la frase Connie si portò le mani sulla fronte, come a cercare di nascondere la pelle tingersi d’un acceso rosso.
Demetra non rispose alla provocazione del fratello.
-E fammi un caffè per farti perdonare!- suonava come rimprovero, ma Demetra non lo udì come tale.
La verità?
Tom era un emerito coglione, in tutto e per tutto, un ragazzo cresciuto in fretta, troppo preso dal suo ego, fin troppo spavaldo ed estroverso, che amava scherzare con la vita.
Connie era tutto il contrario, aveva paura della vita, lei.
Connie non era stupida e quando ripensò ai loro mondi opposti le venne istintivo alzarsi dalla sedia, congedarsi sbrigativamente con l’amica e infilare in quattro e quattr’otto la porta.
Si ritrovò presto per strada, di nuovo e le sue gambe cominciarono istintivamente una corsa, quasi una fuga da cosa-chi non si sa bene.
Raggiunse casa ansimando, una goccia di sudore le scese lungo la fronte, sebbene ci fosse un freddo del cazzo, quella mattina di febbraio.
Aprì il cancello e la porta con le chiavi. Sempre la solita ansia si fece risentire, la mani cominciarono a sudare freddo, Connie si tolse la scarpe cercando di non far troppo rumore.
-Connie, sei tu?- Sentì urlare dalla cucina.
La ragazza senza dire nulla si presentò sulla soglia della cucina, vide la madre indaffarata ai fornelli, le sorrise delicatamente, senza sforzo.
-Com’è andata dai DeLonge? Avete dormito almeno un pochetto ieri sera?-
Sua madre si beveva sempre tutte le cazzate di Connie.
-Certo, ma’, abbiamo solo chiacchierato un po’, nulla di che-
Certo, come no.
Le due si scambiarono una minuscola discussione, dopo la quale Connie s’infilò nella sua camera intenta a restarci per il resto della giornata. Fortunatamente il padre non era in casa, o almeno non lo aveva incrociato.
Il vero problema di Connie era suo padre, la trattava come l’ultima cretina della terra, lui non la voleva una figlia, non l’ha mai voluta. Questo, a Connie, non piaceva rivelarlo in giro.
Presto, forse troppo presto, la madre la chiamò per il pranzo.
Connie scese di malavoglia, ormai i pranzi in famiglia erano rari e silenziosi, Connie preferiva sempre evitare quei momenti, ma la domenica era un rituale sacro a cui non poteva assolutamente sottrarsi.
Sbuffò un paio di volte scendendo le scale, poi girò l’angolo ed entrò in cucina.
Si sedettero tutti a tavola. Connie, la madre, il padre e il fratello Gregory.
Gregory era più grande di lei di quattro anni, era all’ultimo anno, in classe con Tom, ma con lui non aveva nulla da condividere, anzi, Gregory odiava profondamente tutto quel modo di essere, di vestirsi,  di bucarsi il corpo con dei piercing e scriversi nella pelle a vita, quel mondo nel quale era immersa la sorella; forse era proprio per questa diversità che i due non si calcolavano minimamente.
I rumori delle forchette accompagnavano il pranzo, Connie cercava di mangiare più rapidamente possibile, così da metter fine in fretta quella tortura.
-Così tua madre mi ha detto che hai preso un altro richiamo scritto dalla preside, Connie- Seguì un minuto di silenzio nel quale la ragazza per poco non si soffocò con quel petto di pollo troppo crudo.
-Che pensi di fare, Connie? Di prenderci in giro tutti? Che hai in quel fottuto cervello?- Tutti i componenti della famiglia, ormai, avevano posato le forchette e le loro mandibole si irrigidirono contemporaneamente.
-Non pensare di scamparla liscia questo giro, Connie, andrò io di persona dalla preside-
Connie sentiva già il nodo alla gola che gli saliva piano. Serrò i pugni. Deglutì rumorosamente cercando di trattenere le lacrime. Connie era quel tipo di ragazza che aveva la sensazione di scoppiare a piangere mentre la sgridavano.
Rimase immobile, paralizzata da tutte quelle parole, si sentiva morire. Come poteva un padre rinnegare sua figlia? In che modo? Con quale coraggio?
Connie strinse i denti, finì di mangiare e, sempre con la stessa espressione neutra, salì le scale.
Scoppiò a piangere solamente dopo aver chiuso la porta della sua stanza a chiave.


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Hola mundo! 
Allora, questa storia è un'esperimento, è la mia prima storia sui Blink e mi fa abbastanza strano, bboh vabbè. Non so se riuscirò a portarla a termine, anche se ho abbastanza idee.
Spero vi piacciaa, lasciate un recensione se vi va, ragasssssiii.
Muchlovve, 
  Cami 
  
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