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Autore: AriiiC_    07/02/2013    1 recensioni
Arya ha dodici anni, e alla sua prima mietitura il mondo pare finire quando sente risuonare nel microfono il suo nome, quando i suoi piedi si muovono senza pensarci e un pianto si innalza dalla folla. Nonna cade a terra, ma nessuna giovane la piangerà: Arya non ha genitori.
Arya passa una settimana a Capitol City, provando a maneggiare quelle asce cui non ha mai dato importanza che il suo gemello Breck ha sempre usato come se nulla fosse. Arya ha paura, perchè non vuole morire come Britt.
Ma, nel suo macabro viaggio, non è sola: Arya ha Mille, Arya ha Vicky. Arya trova in loro la famiglia che ha lasciato a casa e potrebbe non rivedere più.
Nonostante lo neghi, Arya ha Blight, che farebbe di tutto pur di farla uscire viva da quell'inferno.
-
Arya Liberty, dodici anni. Distretto 7. Arya, la bimba prodigio che ha ucciso Aster e ha vinto i giochi. Arya, quella su cui nessuno avrebbe mai scommesso e che ce l'ha fatta.
Arya, cresciuta troppo in fretta e maturata acerba. Arya che rimpiange di esser sopravvissuta.
{Arya Liberty è la vincitrice degli HungerGames di Coral97: "26th edition: only one will survive"}
Genere: Drammatico, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arya's victory.
– when survive is not enough – 









 

 «Vicky, Vicky no! Vicky, rispondimi! Perché non ti muovi?!»
 Vedo Aster che mi salta addosso coi suoi artigli. Nella mia mente, tutto è confuso. Mi vuole uccidere, mi colpisce. Non so neppure come, ma mi trovo col suo sangue sulle mani. Il suo corpo è niente più che un ammasso di rosso informe. E io lo odio, il rosso.
 


 Mi ritrovo ad urlare nella carrozza del treno.
 Blight m’è seduto vicino e mi tiene una pezza calda sulla fronte.
 «Non preoccuparti, tesoro. Hai vinto. Non potranno più farti del male.»
 A volte dimentico che lui ha vissuto le stesse cose che vivo io. È uscito dall’arena a dodici anni, dopo di che è diventato mentore. Forse continua ad avere gli incubi proprio come capita a me da ormai quattro mesi.
 Quattro mesi. Ecco quanto è passato.
 Quattro lunghissimi mesi di agonie, di interviste, di cure per rendere meno evidenti le cicatrici. Ma ci sono certi segni che neanche i bisturi possono cancellare: Mille che mi sorride un secondo prima che i suoi occhi si chiudano, la spada del ragazzo del 2 che trafigge Brownie un attimo prima che lui mi dia la collana di sua sorella, Victoria che brucia nella lava incandescente solo per salvarmi. Sono morta in quelle due settimane. Sono morta insieme ai 23 caduti dei giochi. Respiro ancora, ma sono morta dentro. Ogni mio ricordo felice – il sorriso di Britt, gli abbracci di Breck, le lacrime del nonno e della nonna quando mi hanno riabbracciato – viene offuscato dal rosso del sangue dei ragazzi morti nei Ventiseiesimi Hunger Games.
 Quando hai solo dodici anni, tutto è più grande di te. Ti trovi in questo meccanismo pieno di ragazzi più grandi, favoriti meglio addestrati e ragazzine piene di risorse. Non sapevo accendere un fuoco, non sapevo impugnare un’arma. L’unica cosa che ero in grado di fare era nascondermi. E nascondendomi ho ucciso l’unica che avessi mai potuto chiamare amica. L’ho vista trafitta da una spada mentre correvo nel bosco senza curarmi di averla dietro. Ogni santa notte mi torna in mente il suo volto triste mentre le dicevo addio. Sembra così vicina, a volte, come se potessi allungare una mano e scoprire che è ancora viva. Come se potessi correrle incontro e riabbracciarla. In tutti i miei incubi, però, quando arrivo a due passi da lei la vedo cadere a terra, ansimare in cerca d’aria e sporcarsi di sangue i capelli bianchissimi e gli occhi vitrei.
 Mi chiedo se ne sia davvero valsa la pena, ora che tutti conoscono Arya Liberty e la vogliono usare per le loro pubblicità o per soddisfare i loro piaceri.
 «Stai meglio?» chiede sinceramente preoccupato.
 Sto meglio? Mi sento davvero meglio rispetto ad un anno fa?
 No, ma se lui mi è vicino, penso andrà tutto bene. Annuisco rapida, prima che apra le braccia come un invito e io mi faccia stringere senza esitare. Sento il calore che riesce a darmi solo lui, come ogni volta che finisce per coricarsi accanto a me sotto le coperte e cantarmi la ninnananna. Forse è realmente l’unico in grado di capire la mia frustrazione, il mio dolore, il fatto che il mio sorriso sia solo un falso.
 «Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? – domanda. – Saremo nel Distretto 6 prima di domani, così sarebbe meglio che tu sia riposata e in forze.»
 Distretto 6. Mille.
 Le sue sorelle.
 Anche io, sono sua sorella.
 Prima che possa rendermene conto, lacrime calde mi solcano le guance e singhiozzi isterici mi scuotono il corpo. Poso il viso nell’incavo tra il collo e la spalla di Blight. Mi sento sicura, nonostante nessun posto lo sia, oramai.
 «Shh… non preoccuparti, Arya. Ci sono io qui. Nessuno ti farà del male.» lo sento ripetere più volte come un disco rotto. Eppure non fa mai quell’effetto: è sempre dolce, profondo, con quel tono che solo lui riesce ad avere. Freno un po’ il pianto, giusto quanto basta per guardarlo in faccia. Siamo vicini, in realtà. Troppo, ma non penso sia questo il momento per allontanarsi. Mi piace Blight: il suo sorriso, la sua determinazione, il fatto che abbia fatto qualunque cosa solo per salvarmi la vita.
 «A te hanno mai detto queste cose?» chiedo allora.
 «No. Non avevo nessuno che capisse, che potesse anche solo immaginare quanto faccia male. – fa una pausa, ma deve sentire che non basta perché aggiunge: - Ma tu hai me.»
 Rimango a fissare i suoi occhi blu scuri mentre decido cosa fare. Sembra che lui abbia le idee chiare, perché quando mi tocca il viso con la mano pare che aspetti quel momento da sempre. Dire che il contatto mi lascia indifferente sarebbe una bugia: appena le sue dita si avvicinano al mio zigomo è come se tutto esplodesse in me. Le sensazioni che ho nascosto prima e durante i giochi, quando non volevo ammettere ciò che davvero provavo, non sono più sotto il mio controllo. Sento la voglia di stringermi a lui, di sentire che non è successo niente, che non sono un’assassina. Voglio che mi rassicuri come solo Blight è davvero in grado di fare. Non sarà il mio gemello Breck, ma mi conosce davvero. Quando le sue labbra sono sempre più vicine alle mie, esito un attimo. Non so perché, ma sento che è sbagliato. Se Mille fosse qui, forse non lo penserei.
 «Sai che puoi fidarti di me, vero Liberty? – annuisco rapida, mentre avverto i movimenti della sua bocca vicinissima alla mia mentre parla. – Per me non sei un giocattolo, o la vincitrice dei giochi. Per me sei solo Arya.»
 Forse è questo che mi convince a chiudere gli occhi e sporgermi in avanti. Sento le sue labbra calde contro le mie, mentre le lacrime ricominciano a bagnarmi il volto. Noto il suo stupore nell’attimo in cui resta fermo capendo cosa deve fare. Poi mi porta una mano dietro la testa cercando di avvicinarmi di più, mentre con l’altro braccio mi tiene stretta a sé. Pare distante, eppure sembra che nulla possa distoglierlo da questo momento davvero nostro. Chi sa se lo aveva sognato, o se lo sta facendo per tirarmi su di morale. Non m’importa: ora non importa niente al di fuori di me e lui.
 Dopo il primo bacio, mi sento girare la testa e ho assolutamente bisogno di prendere aria. Forse è la debolezza, forse non sono abituata ad emozioni forti da quando sono uscita dall’arena. Sciolgo l’abbraccio e mi stendo di nuovo senza pensarci. Vedo Blight avvicinarsi preoccupato.
 «Tutto bene? Se non vuoi, io…»
 Come potrei non volere? È la prima cosa che mi fa stare bene da quando la mia unica amica mi è morta tra le braccia. Con una forza che non ricordavo avere, afferro la sua maglia e lo tiro verso di me, in modo da riuscire a baciarlo di nuovo. Questa volta sembra preparato, perché sorride e poi ricambia muovendo le sue labbra al ritmo delle mie. Sento le sue mani che passano sui miei fianchi da sopra la trapunta calda, mentre da seduto mi si corica vicino. Non so quanto passa – minuti, ore, secondi -, so solo che, quando m’allontano, vorrei poter ricominciare da capo.
 «Dormi, piccola: ti serve. Quella di domani sarà una giornata piena.» mi dice, provando a rialzarsi.
 «Sì, ma tu non andare…» gli tengo stretta la mano mentre tenta di scappare. Soppesa la possibilità di non assecondarmi, glielo leggo negli occhi. Fatto sta, che poi mi si mette accanto e mi cinge la vita con le braccia.
 Niente potrebbe turbarmi ora, e sento che anche gli incubi sono un po’ più lontani.
 
 -
 
 La mattina è fredda, ma sento ancora il calore di Blight vicino a me.
 Sono in quel momento di dormiveglia in cui non riesci ad aprire gli occhi ma capisci che ti succede intorno. Sento la porta che sbatte. Capisco un attimo troppo tardi che Laji, Seji e Yuji sono entrati nella camera, vestiti con le loro solite tinte pastello. In un secondo sono diventati dei cani ululanti eccitati per lo spettacolo che si trovano davanti: un mentore che ha dormito con una tributa. Noto che il sedicenne al mio fianco si sta stiracchiando dato che non ho più le sue braccia a stringermi. Quando apro gli occhi e mi volto assonnata verso di lui, la sua espressione è un misto di orrore e rabbia. Sta per dire qualcosa, quando i miei preparatori lo prendono di peso e lo portano fuori. Mi fa un cenno disperato con la mano, e so che dovrò sorbirmi tutte le loro domande sul perché e per come abbiamo passato la notte.
  «Come è successo?» chiede Seji in viola – il colore più mascolino che gli abbia mai visto usare.
 «E’ stato dolce?» domanda Laji con un’orrida parrucca arancio.
 «L’avete fatto?» chiede pratico Yuji con lo smoking nero.
 «Fatto…cosa? – ribatto abbastanza esterrefatta. Dalla malizia nei suoi occhi, capisco e sbotto: - Cazzo, sei un pervertito! Ho tredici anni, sto male per non essere morta e tu pensi che abbiamo fatto sesso?!»
 La mia reazione sembra non piacergli, dato che per il resto della mattinata non parlano.
 E questo è un bene, per me.
 È come se tutto si fosse fermato a ieri sera. Mentre mi tagliano i capelli, mi puliscono il viso, mi limano e smaltano le unghie, ho solo un pensiero in testa. Sento le sue labbra sulle mie, i loro movimenti mentre parlava quasi attaccato a me.
 Solo ora mi rendo conto di quanto sia davvero viva.
 
-
 
 Dopo un’ora o due sono pronta per andare da Ruby. I capelli ricci sono meno lunghi e crespi, le mie sopracciglia più eleganti, e noto che le mie unghie sono azzurre.
 «Ci spiace per prima. – dicono in coro. – Vogliamo solo che sappiate che siete carini insieme, e saremo orgogliosi di invitarvi al ballo pregiochi.»
 Il ballo pregiochi è una delle feste più “in” della capitale, alla quale vanno preparatori, stilisti, strateghi e mentori maggiorenni. I vincitori giovani dei distretti favoriti pagherebbero oro per essere invitati. Il tutto si svolge nella residenza ufficiale del Presidente Snow. Motivo in più per non voler esserci.
 La ventenne che ho conosciuto prima dell’arena – quella cupa che non avrebbe mai detto una parola di troppo – ha lo stesso aspetto giovane e pimpante: capelli rossi sciolti, corpo avvolto da una tuta disegnatale addosso e occhi neri profondissimi. La cosa che non mi sarei mai aspettata di trovare è il sorriso che ha stampato in volto. Alle volte mi dimentico il bene che mi vuole, e il fatto che abbia pregato perché tornassi indietro.
 «Ruby… sempre come il sangue?» chiedo, ridendo.
 «Mah, direi anche un po’ come i rubini.» mi viene incontro e mi abbraccia stretta. È stata l’unica a infondere in me un briciolo di speranza nei giorni antecedenti ai giochi. È a lei che devo tutto, in realtà.
 Non ci scomponiamo troppo e passiamo direttamente al vedere il mio vestito. È un abitino da principessa, lungo fino alle ginocchia e con gonna e maniche a palloncino. Celeste, come i miei occhi. Mi ci vuole poco ad infilarlo. Mi siedo mentre mi aggiusta i capelli.
 «Allora, che avevano da dire quei tre? Quando li ho scontrati sulla porta erano eccitati…» dice.
 «Io e Blight abbiamo dormito insieme.» rispondo, un po’ controvoglia. Comunque so che la sua reazione non sarà eccessiva: in fondo, è comunque la fredda Ruby!
«Wow. – dice, in parte sinceramente colpita. – Solo dormito?» temo di sapere a cosa allude, ma poi capisco che la sto scambiando con il mio staff. Lei non è una pervertita. Le sue mani si muovono rapide modellando la matassa scura che ho in testa, quando trovo la forza per raccontarle ciò che non racconterò neppure alla mia famiglia.
«In realtà no. O sì. Non so che intendi… - pausa. – ma mi ha baciato. O io ho baciato lui. Non so come definirlo…»
«Non preoccuparti. – mi interrompe. Non posso nascondere il mio sollievo. – Mi aspettavo che sarebbe successo… avanti, girati: ho finito.»
Guardandomi allo specchio, non sembro neanche io: la chioma ribelle è ordinatamente intrecciata da forcine azzurre, il mio corpo sembra quello di una fata e le scarpe con un minimo di tacco mi alzano di un paio di centimetri. Non si vedono le cicatrici, neppure quella in mezzo alla fronte che arriva fino al naso. Non sono truccata molto, e il fatto che le mie lentiggini siano perfettamente visibili ne è la prova. Non ho ombretti o cose simili. Deve aver puntato sull’innocenza, perché sembro appena uscita da una fiaba. Ho giusto il tempo di soffermare lo sguardo sul mio riflesso un secondo di troppo, che il treno frena in modo brusco.
 «Arya, siamo arrivate. Se fai veloce, avrai il tempo per parlare con Blight prima che le porte si aprano e veniate invasi da fotografi.»
 Come se non aspettassi altro, corro fuori dalla mia carrozza verso il vagone ristorante, da cui scenderemo. Noto subito la figura alta girata verso di me. Ha i capelli biondi spettinati, e gli occhi scuri che mi guardano come se non aspettassero altro. Ha una camicia blu chiara e dei jeans a  vita bassa lunghi fino alle scarpe da tennis. Sembra illuminarsi quando esco dal corridoio. Senza capire troppo quello che faccio, gli vado incontro fermandomi ad un paio di passi da lui.
 È il suo turno. Se davvero vuole, mi deve raggiungere.
 E lo fa. In pochi secondi le dita della sua mano scivolano tra le mie. Devo mettermi in punta di piedi per raggiungere il suo collo, e così anche lui si abbassa per arrivare alle mie labbra.
 In un secondo interminabile, niente esiste più. Sento le nostra dita stringersi, la sua bocca calda sulla mia mentre i suoi occhi chiusi sembrano provare a capire che cosa sto provando. Se solo lo sapesse…
 Un rumore metallico e diversi flash ci riportano alla realtà. C’è gente che urla, che fa il tifo, che esclama cose tipo dateci dentro. Mi allontano rapida con le guance rosse, ma mi porta un braccio intorno alle spalle in modo da avvicinarmi a sé.
«Andiamo, Liberty, domani saremo sui giornali di tutta Panem. Inutile nascondersi.»
 Forse non la penso esattamente così: questa è la casa di Mille, e io mi faccio trovare avvinghiata al mio ex-mentore. Magari lei direbbe solamente che va tutto bene, che è felice per noi. Ma io non ci riesco: quando mi torna in mente il suo viso, tutto ciò che riesco a fare è piangere. E allora piango, sapendo che questo porterà altre foto e altri scoop sulla vincitrice frignona degli Hunger Games.
 «Su, piccola. Non fare così. Ti va un abbraccio?»
 Ciò che mi manca, è la forza per dirgli di no. Sprofondo nel suo petto soffocando le lacrime. Quando riusciamo a scendere, sono ancora accanto a lui, stretta sotto la sua ala protettiva, sperando che tutto andrà bene.
 Ne va di mezzo la vita delle persone che amo.
 
-
 
 Non ho mai visto posto più spento, più grigio. Questo è l’ultimo Distretto prima di tornare a casa, e devo dire che neanche il 3 era così smorto. Non so se questa sia indifferenza o semplicemente dolore, anche se temo che la prima sia più probabile. Pare che non gliene freghi niente di Mille e del suo compagno. È vero, ormai è anni che non hanno un vincitore, e forse ci si sono anche abituati. Ma una dodicenne è morta, e non dovrebbero pensare che sia giusto così. A mio parere, non hanno neppure mai sperato che Ludmille Schnee tornasse a casa. L’hanno considerata caduta già dal primo giorno. E dire che mi sarei fatta uccidere io stessa, perché lei tornasse. Ma ora sono seduta su quest’auto che mi scorta alla Piazza principale, quella dove un anno fa c’è stata la mietitura dei Ventiseiesimi Hunger Games. Io ci sono, e lei no. Io sono viva, mentre lei è sepolta in una cassa di legno sporca, qui, non troppo lontano, con quella sua solita espressione di tranquillità in viso.





















 Adolf's corner.


 Cioè. Se siete arrivati qua, allora conoscevate Arya. Se no, non posso linkarvi la sua interattiva perchè l'amministrazione l'ha cancellata e io mi sto ancora maledicendo per non aver postato sta cosa prima.
 Ma ora, i ringraziamenti! *tadaaaaaaaan*
 Grazie a Cory, che ha saputo muovere Arya magistralmente, anche meglio di quanto avrei fatto io. E perchè, sotto sotto, so che le vuole bene.
 Grazie a Marti, perchè ama Arya. Perchè la sua Mille ha dato la vita per lei, ma mi ha sempre incoraggiato in tutto.
 Grazie ad alessa perchè, in fondo, anche Vicky è morta per Arya.
 Grazie a tutti quelli che l'hanno sponsorizzata, avvicinandola alla vittoria.
 Grazie anche a tutti quelli che hanno fatto il tifo per lei silenziosamente, sperando che non morisse.
 Grazie, in fine, a Mito. Perchè, senza lei, la mia ff non sarebbe ancora pubblicata.

 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥
  
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