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Autore: FRC Coazze    07/02/2013    2 recensioni
Nell calde sere d'estate, i Gatti si riuniscono sotto la luna per cantare e danzare tutta la notte. Ma c'è una creatura che non è la benvenuta tra loro ed il piccolo Serpente, ogni volta è costratto a strisciare nella sua fredda tana mentre i Gatti ridono di lui.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la traduzione della mia storia in inglese, che potete trovare qui.
Perdonate le stupidissime canzoni. In inglese sono molto meglio, in italiano sono quel che sono purtroppo :(

Spero che la storia vi piaccia. Buona lettura!



Il Serpente che volle danzar coi Gatti



 

Nelle notti calde d’estate ben pochi sanno che i Gatti si fanno un grande affanno per riunirsi sotto la luna e cantare e scherzare sino all’alba. Sono notti speciali, in cui ogni gatto si unisce ai compagni nei canti, e tante altre creature assistono e scherzano con loro. E i Gatti suonano e fan gran baraonda con flauti, violini ed alte voci e tamburini. Son generosi con gli animali della notte: gli ospiti sono i benvenuti alla grande festa che tutta la foresta invade di canti e risa.

Eppure, se avete l’occhio attento, potreste notare, nascosto nell’erba alta, un piccolo Serpente. Se ne sta lì, in silenzio, ad osservare. Chiunque lo incontrasse in quelle notti, vedrebbe i suoi occhi gialli brillare di desiderio e di rammarico nel guardare i Gatti ridere e danzare. Oh, vedete, avrebbe tanto voluto unirsi a loro. Era sempre così solo, il piccolo Serpente. Sempre solo. Perché nessuno si avvicinava mai a lui. Aveva la pelle viscida... e allora nessuno allungava la mano per sfiorarlo. Aveva lunghe zanne e tutti lo temevano. Strisciava. Come un verme. Ma neanche i vermi lo avvicinavano.

Desiderava così tanto danzare con loro. Non chiedeva nulla di più, vedete. Danzare e cantare sotto la luna come facevano i Gatti. Per una notte soltanto, non rimanere nascosto in un buco nel terreno. Per una notte soltanto, potersi unire a loro e alle loro risa. Era un desiderio antico che covava nel suo cuore.

Ogni anno, infatti, quando la Congrega dei Gatti si riuniva nei prati, il piccolo Serpente si faceva avanti. Ma nemmeno i Gatti, che pure ridevano e scherzavano con altre creature, ne accettavano la compagnia.

«Che ci fai qui?», gli dicevano, «che cosa cerchi? Strisci tra gli sterpi e divori uccelli. Che cerchi qui?»

«Lasciatemi cantare con voi, fratelli Gatti», diceva loro il Serpente, ma essi ridevano e rispondevano: «Con quella tua voce vorresti cantare? Sibili e raschi, che vuoi fare?»

Ma allora il Serpente rispondeva loro: «Lasciate dunque che m’unisca alle vostre danze».

«Tu danzare?! E con quali gambe?» ridevano allora i Gatti.

E così il Serpente se ne andava, strisciando sul ventre, mentre gli occhi di tutte le creature lo fissavano con durezza e disgusto. E lui se ne tornava triste nella sua fredda tana. Di nuovo nascosto in un buco nel terreno. E da lontano udiva i Gatti cantare:

«Sciocco serpente,
viscido e astuto,
coi gatti vuol cantare
ma sarà taciuto!


Va e nasconditi
tra le tue erbacce.
Noi cantiam felici
senza le tue stracce!»

E lui piangeva, perché non capiva. Perché tutti lo dileggiavano e lo deridevano? Non aveva colpa di ciò che era e non capiva. E udiva i Gatti ridere di lui e soffiargli contro. E non capiva perché. Il piccolo Serpente piangeva. Piangeva, sì, perché nessuno, nessuno in quelle contrade lo voleva.

Ogni volta tornava a nascondersi. Ogni volta veniva cacciato. Ed era triste. Sempre più triste. E guardava i Gatti giocare tra loro, e ridere e suonare e sospirava mentre si nascondeva tra le sterpi.

Li sentiva cantare laggiù nel prato. E allora piangeva perché ancora non riusciva a capire cosa avesse di sbagliato: voleva giocare con loro, voleva ridere e scherzare e non voleva fare del male a nessuno. Voleva essere loro amico. Eppure i Gatti arroganti lo canzonavano e scacciavano ogni volta.

Ma vedete, fu per raro caso che una sera l’Aquila, signora di quelle contrade, sorvolò i prati ove danzavano i Gatti. Per curiosità, o per noia, era discesa dalle montagne. Sapeva che la Congrega dei Gatti dava il meglio di sé in quelle notti ed aveva dunque deciso di assistere alle danze dei suoi figli.

Ebbene, come ho detto, fu per puro caso che l’Aquila, sorvolando quelle terre, udì lontano e sommesso un pianto disperato. Colpita e basita, dacché quelli erano giorni di festa, ebbe a scendere dalle alte correnti per indagare la fonte di quella tristezza.

Fu così che, nascosto tra l’erba secca, vide il piccolo serpente.

«Perché piangi, Figlio della Foresta?», gli domandò.

«I Gatti mi disprezzano, oh potente Signora. Vorrei unirmi a loro ed ai loro canti, ma essi mi dileggiano e ridono di me!» le rispose il Serpente.

«Perché dovrebbero?» domandò l’Aquila.

«Vorrei cantare e danzare, ma sempre in questo mio buco son costretto a strisciare!»

L’Aquila lo guardò duramente, poiché non comprendeva il desiderio del piccolo Serpente. «Non cercar ciò che non puoi avere, piccolo Serpente!» lo rimproverò l’Aquila, «Sei nato serpente ed a ciò sei destinato! La tua lingua è lunga e velenosa ed il tuo cuore marcisce nel desiderio. Taci, dunque! Sii fiero di ciò che sei e sii in pace.»

E dunque l’Aquila lo lasciò e volò alta sugli alti pini per osservare le danze sfrenate dei suoi figli prediletti. I Gatti la videro e per lei danzarono quella notte, intonando canti alla Signora delle Montagne e ridendo del Serpente.

«Hey, hey laggiù correte!
Fratelli Gatti dove siete?
L’Aquila altera allieterete!
Forza! Forza! Accorrete!


Ai flauti voce date!
I tamburi martellate!
Cosa fate? Dove andate?
Voi, laggiù, ascoltate!


Sciò infelici! Niuno è biotto!
Questa sera si fa’l botto!
Ed il piccolo serpotto
se ne resti chiotto chiotto!


Nel suo buco taccia e stia!
Creatura falsa e ria!
Che di lezione questo sia!
Sottoterra se ne stia! Hey! Hey!»

Così risero e cantarono quella notte. Danzando sfrenati al suono delle viole. Ridevano e cantavano, ma non sapevano che al limitare del bosco, in un buco sottoterra, il Serpente osservava e nel suo cuore non v’era più desiderio per quei canti, solo la rabbia cresceva. Si sentiva deriso ed umiliato e l’odio germogliava nel suo cuore.

Ancora i gatti danzavano e ridevano quando i raggi sfolgoranti del sole d’oriente cominciarono a sbirciare al di sopra delle alture. Ed il cuore del piccolo serpente era ormai pieno di malevolenza.

Lesto striscò fuori dalla sua tana e quando i gatti lo videro si stupirono grandemente e le loro musiche tacquero. Per la prima volta ebbero paura.

Vedendo che alcuno osava parlare al Serpente, il Capo dei Gatti si fece dunque avanti.

«Che cosa cerchi ancora?» gli chiese, «non hai forse udito le parole dell’Aquila? Lascia i canti ai Gatti e torna a strisciare. Il terreno è la tua casa!» gli ordinò duramente.

Ma il Serpente balzò lesto e le sue zanne affondarono decise nella zampa del Gatto. Questi balzò indietro dolorante e stupito, ed il Serpente ghignò malvagio e disse: «Voi Gatti arroganti! Mi avete dileggiato ed io ho taciuto. Mi avete allontanato ed io ho strisciato. Volevo essere vostro amico e mi avete scartato! Ecco dunque, sono tornato al posto che mi compete!»

Così detto, se ne andò, lasciando i Gatti sbalorditi e spaventati. Ed il Serpente sapeva che nei loro cuori non avrebbero più trovato posto per l’arroganza, né mai più avrebbero osato dileggiarlo. E così strisciò di nuovo nella sua tana.

Ma l’Aquila, dall’alto dei pini, era stata testimone di tutto e lesta volò verso di lui.

«Perché lo hai fatto, figlio mio?» gli chiese.

Ed il Serpente sibilò pericolosamente e le disse: «Ho fatto ciò che ci si aspettava da me, mia Signora. Volevate voi tutti ch’io fossi un serpente, ed un serpente sono stato.»
 
  
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