吾輩は猫である
Wagahai
wa neko de aru
(Io
sono un gatto)
Mycroft Holmes è
un gatto.
O
almeno, questo è
quel che crede di essere.
Un
grosso gatto rosso con le palpebre a mezz’asta e un debole per la
poltrona del padre.
Ha
sei anni, compiuti da poco.
Sarà piccolo come umano ma, come gatto,
può già tranquillamente considerarsi
un felino maturo.
L’impeccabile contegno che
dimostra quando gli adulti, rapiti dagli eccezionali contenuti della sua
testolina rotonda, si profondono in una serie di pompose adulazioni è insolito, fuorviante.
Ancor
di più è riconoscere come non ci sia
niente di più
genuino di quella compostezza.
Non
è frutto
di modestia o timidezza come in un primo momento potrebbe sembrare, no.
E’ educazione. E’ etichetta.
E’ il comportamento che qualsiasi
gatto degno di questo nome adotterebbe.
Questo
però non
significa certo che non ami i complimenti,ovvio.
A
volte si lascia andare a piccole, impercettibili fusa, quando in lui si insinua
malvagia la consapevolezza di essere l’artefice
di quella incontenibile curiosità,
potente abbastanza da sottrarre menti indaffarate al loro tran-tran quotidiano.
Ma
gongola in silenzio, senza troppe scene; e non si cura per niente se la
discrepanza con la sua età
mentale ha ormai assunto dimensioni mastodontiche.
Del
resto gli altri non sanno. Non sanno che è un gatto.
E
non sta neanche a spiegarglielo, Mycroft.
Perché, sempre per la sua natura, non
c’è niente
di più
irrilevante delle considerazioni altrui.
*****
Mycroft Holmes è
un gatto.
Un pigro,
pigrissimo gatto.
Fuori la neve cade a fiocchi, e lui non trova parole che possano descrivere il
sublime piacere di starsene appollaiato a sonnecchiare dinnanzi al camino dello
studio di suo padre.
Ha
un plaid accuratamente sistemato sulle gambe e un imponente libro di
Schopenhauer sul grembo.
Con
gli occhi socchiusi ed il respiro silenzioso, di tanto in tanto, egli arriccia le labbra.
Interroga
il palato, cerca qualcosa.
Le
papille gustative assolvono egregiamente il compito di trattenere tra le
fauci il sapore ancora vivo della fetta di Saint Honoré che questo pomeriggio aveva
accompagnato il suo tè
al latte (più
latte che tè,
per la precisione), e lui non potrebbe essere più soddisfatto del loro operato.
La
verità è che la merenda staziona nel
suo stomaco ormai da un quarto d’ora,
ma è
tuttavia troppo presto per sentirne la mancanza.
Certo,
nulla gli vieterebbe di averne ancora ma...no, no. Non sono cose che si fanno.
L’ingordigia – almeno quella manifesta - è quanto di più ripugnante la sua mente possa
concepire.
Così
continua a cercare e ricercare nei meandri del suo cavo orale, accontentandosi - come un
randagio particolarmente perbene - degli avanzi.
Ritrova
dei piccoli frammenti scomposti.
Allora
la lingua li raccoglie, le papille li sfregano contro al palato e mentre lo fa,
Mycroft Holmes sorride a sé stesso.
Sorride
compiaciuto, quel grasso gattone rosso.
Se
qualcuno gli ponesse la fatidica domanda, non avrebbe alcuna esitazione.
Direbbe
tranquillamente che da grande non vuole far niente di diverso di ciò che sta facendo adesso.
Perché in fondo è già grande, e sta già lavorando.
Sebbene
non esista un solo ambito della sua vita che non abbia già pianificato, Mycroft Holmes è
un gatto abbastanza maturo da sapere che nessun colpo d’artiglio basterebbe a
sottomettere le impermanenti leggi del cosmo ai suoi progetti.
Tutto
può
cambiare. Tutto può
mutare.
E
in un mondo in cui il destino è
duttile e fugace, egli ha opposto schemi liquidi.
Schemi
pronti a lambire e prender la forma più
adatta agli eventi.
Nelle
sue maniche ha già
nascosto talmente tanti assi, talmente tanti sotterfugi volti a
realizzare i suoi obiettivi, che persino il fato perderebbe qualsiasi interesse
a sfidarlo.
Solo
un punto.
In quell’organigramma esistenziale, vi è solo un punto, vitale,
immutabile ed insostituibile, su cui egli non è disposto a trattare. Nel modo più assoluto.
E
spera che il giorno in cui il fato ne prenderà coscienza sia ancora lontano.
Perché un gatto ha un piano B,
C o D per tutto. Tranne che per l’ozio.
*****
Mycroft Holmes è
un gatto.
Quando
la legna nel camino sfrigola oltre la soglia di tolleranza, il suo sonno viene
bruscamente interrotto.
E
allora il nasino lentigginoso si raggrinza, le palpebre si contraggono e dopo
un profondo sbadiglio si rende conto, ormai senza stupore alcuno, che l’effetto soporifero di
Schopenhauer si è
fatto ancora una volta valere.
Meglio
cambiar libro, prendere qualcosa di più
congeniale ai suoi interessi.
Forse
Nietzsche, o ancora Machiavelli.
La
libreria di suo padre è
così ricca e
completa che neanche sommando le sue nove vite potrebbe mai aspirare a leggerli
tutti, quei libri. Ma non è
neppure nelle sue intenzioni: l’idea
di poter un giorno impadronirsi di tutta la conoscenza in essi contenuta lo
aveva abbandonato con il sopraggiungere dei primi aliti di ragione.
Nella
sua mente,
quella stanza figura piuttosto come un prato congelato in un’eterna primavera.
Più volte ha avuto l’impressione che quei libri si riproducano
da sé quando
nessuno li sta a guardare. Sono proprio fiori.
Fiori
dove un gatto come lui - e solo come lui - può rotolarsi liberamente e per
ore senza essere aggredito da muschi e umide, disgustose fanghiglie.
I
suoi occhi felini scorrono i titoli sui dorsi allineati; scorrono nomi di filosofi
illustri con cui già
si vede alleato in una devastante critica al pensiero schopenhaueriano
ma...alzarsi da quella poltrona...no.
Non
si può.
Mancano
le garanzie per farlo.
Nulla
potrebbe assicurargli che al ritorno sarebbe riuscito a ritrovare la stessa
comoda posizione di prima. E nell’incertezza,
Mycroft Holmes è
saggio abbastanza da non rischiare.
Così sbadiglia e sbadiglia ancora,
si stiracchia e poi, ripensando a quanto inutile fosse continuare a criticare
le idee di un’intellettuale
morto cento anni prima, beatamente, quel gattone pigro e grassoccio
chiude gli occhi e si riaddormenta.
I
suoi boccioli possono attendere anche per l’intera eternità.
*****
Mycroft Holmes è
un gatto.
Ed è un gatto anche quando
suo padre si appropinqua alla sua poltrona e ne reclama il possesso.
L’uomo si muove lento e incerto.
Soppesa la giusta pressione da applicare ad ognuno dei suoi passi con una cura
che oserebbe definire meticolosa, quasi maniacale.
In egli non c’è mossa che non lasci trapelare il caratteristico,
reverenziale timore di chi si appresta a compiere un gesto tanto incauto da
mettere a repentaglio il sacro sonno di un felino addormentato.
Piano,
insinua le dita sotto le ascelle morbide, adagia la testolina sulla sua spalla
e poi, con una delicatezza decisamente eccessiva nonché - data la mole - difficile da
mantenere, sottrae alla poltrona le soffici membra, sollevandole e
congiungendole al proprio petto.
Mycroft ne è
commosso, davvero.
La
sua è la
stessa commozione di un genitore che accoglie con gioia lo scarabocchio donato
dal figlio in età
prescolare.
Superfluo
sottolineare come tutte quelle premure si rivelino completamente inutili, ma
non è il caso
di dare al premuroso capofamiglia una simile mortificazione.
Non
è colpa
sua se vive nella convinzione di aver messo al mondo un bambino e non un gatto.
Forse
il suo udito avrebbe potuto reggere il gioco per un paio di secondi, ma
difficile chiedere al suo naso di fare altrettanto.
Sono
le ventitre, e a quell’ora,
sfiderebbe chiunque a trovare piacevole il penetrante odore di inchiostro
emanato dalle mani di suo padre.
Lui
è un’eccezione, ovvio. E’ un gatto, e non fa
testo.
E’ un gatto, e quella la
fragranza,
prima ancora del suo naso, colpisce il suo cuore.
Per
ragioni prettamente chimiche, in presenza di quell’odore, nessun ostacolo avrebbe
impedito ai suoi battiti di ripristinare la normale frequenza di un cuore a
riposo. Di un cuore al sicuro.
È
una reazione fisiologica, un mero scontro tra reagenti che si influenzano tra
loro.
Qualcuno
vi vedrebbe bene anche uno scialbo sentimentalismo, ma no. Non è il suo caso.
La
tesi fisiologica è
quanto di meglio si presta ad una risposta esaustiva.
Ma quell’odore e quel calore gli piace;
e finge casualità
Mycroft, quando si lascia scivolare stendendosi di
pancia lungo tutto il braccio ossuto del genitore.
Il
mento poggia nell’incavo
del gomito incrociato, e il palmo della mano destra è lì, a pochi centimetri dal suo
naso.
C’è un’abbondante dose di egoismo
tipicamente felino in quel gesto.
Non
si cura di quei sei chili di sovrappeso a carico del genitore, gli evidenti segnali di fatica
mostrati sforano l’area
di sua competenza.
Per
cui si lascia cullare dall’andamento
lento e affaticato, si lascia ciondolare sino al raggiungimento del suo letto
dalle lenzuola fredde.
Soffia,
soffia e stringe il musetto in una smorfia.
Sotto
quelle gelide coltri, l’inchiostro
ed il calore sono adesso ricordi lontani.
Battiti
impazziti, privi di alcun ordine, si susseguono nel suo petto veloci e confusi.
Poi accade qualcosa. Quel tanfo chimico caldo e fragrante è di nuovo lì.
Leviga il suo viso contratto con carezze così lievi che non sa stabilire se
a muoversi sono le dita di suo padre o soltanto le sue fragranze.
E
allora un briciolo di compassione sopraggiunge, una sottile riconoscenza si fa
strada dentro di sé,
e Mycroft Holmes assolve ogni colpa schiudendo gli
occhi verso la silhouette immersa nel buio.
“ Buonanotte, Mycroft.”
Buonanotte,
insensibile gattone rosso dalle palpebre a mezz’asta.
Senza
rispondere, Mycroft si gira su un fianco ed esala un
sospiro dalle narici.
Prima
di sprofondare nei suoi sogni oleosi, annota mentalmente il nome della miglior
marca di colonia da regalare al padre per il prossimo compleanno.
Deve
far qualcosa per quell’inchiostro.
Non può esser
suo succube per sempre.
---
Wagahai wa neko de aru (Io sono un gatto)
吾輩は猫である
Fine primo
capitolo.
Credits:
·
Scritta
da: Snehvide
(ex
- Reichan86) // Beta: Narcy
·
吾輩は猫である(Wagahai wa neko de aru) è il titolo di un romanzo di Natsume Souseki (Edo, 1867 – 1916) .
Note:
·
Dopo
quattro anni di silenzio stampa, tutto avrei pensato tranne che ritornare alla scrittura con
una fan fiction…simile.
In realtà,
due fan fiction precedenti a questa svolazzano nel mio HD in attesa di essere
riviste e pubblicate.
Se solo Wagahai non fosse saltata fuori -
ovviamente al momento meno opportuno, come vuole la tradizione – probabilmente sarebbero già online ad offrirmi un esordio
migliore.
Inizialmente pensata come oneshot,
come al mio solito, si è
trasformata in una long fic (o qualcosa del genere).
No, non prendetevela con me.
È
colpa degli esami se la mia mente si riduce a partorire simili trip in acido.
Se alla triennale sfornavo zebre irlandesi, ladri unici al
mondo e conigli d’acqua
dolce, alla specialistica sforno invece politici che si sentono gatti.
C’è poco
da fare.
Grazie
infinite per il tempo dedicatomi :3
Se
sarete così
coraggiosi, a breve dovrebbe arrivare il secondo capitolo.
Bollino
arancione, perché
le tematiche potrebbero divenire più
delicate di capitolo in capitolo.
Ringraziamenti:
·
A
Narcy, per sopportare quotidianamente i miei scleri nonché
avermi trascinata in un fandom che mi ha abbracciata
nel momento più
opportuno. ♥
·
Al
mio gruppo, che quotidianamente riscatta tutti quei valori a cui avevo smesso di credere. ♥
~ Snehvide