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Autore: El_Roy    08/02/2013    0 recensioni
Cinque strani visitatori per un tizio che non ha molte prospettiva di vita. Proprio poche. Poche poche.
Grazie per il vostro tempo :)
Genere: Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sventure Venture'
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[Revisione a cura di Camilla Colombo]

Quando gli dissero che era terminale, per qualche motivo pensò ad un aeroporto. Gli restava enormemente complicato associare quella parola ad un essere umano, soprattutto a se stesso. Così, frastornato e confuso, tornò a casa, si tolse il cappotto e si sdraiò sul divano. Il soffitto pareva schiacciarlo. Sembrava che gli stesse dicendo "Ehy, preparati a prendermi perchè ora mi butto, eh! Prendimi! Prendimi!".
*Dlin Dlon*
Stancamente si trascinò giù dal suo giaciglio e ciondolò, più simile ad uno scimpanzè che ad un umano, verso la porta.
-Salve.- fece una figura imbronciata sull'uscio. -Posso entrare.- non chiese al padrone di casa. Il monosopracciglio del nuovo ospite si coronava alla perfezione con il suo sguardo torvo e glaciale. Ogni parola che scandiva sembrava un macigno rotolante giù da un pendio che ogni tanto si incastrava contro qualche albero.
-Immagino di si.- disse pensieroso l'uomo spostandosi per lasciar passare il nuovo visitatore. Quello grugnì qualcosa e si diresse verso il salotto, fermandosi esattamente al centro e restando in piedi a fissare il padrone di casa.
-A cosa devo la visita?- chiese passandosi la mano tra i capelli un po' imbarazzato.
-Alle circostanze.- rispose l'altro. -Sono Rifiuto, il primo della lista. I miei fratelli ed io veniamo spediti a quei poveracci che devono accettare qualcosa di estramemente complicato. A quanto ci hanno detto tu sei prossimo alla Morte.- L'uomo guardò quello che doveva essere un malato di mente aggrottando le sopracciglia.
-Quindi mi stai dicendo che sei il Signor Rifiuto, giusto?- chiese scettico.
-Esatto. E' il primo stadio che attraverserai verso la via dell'Accettazione. Rifiuto, Rabbia, Contrattazione, Depressione e Accettazione.- spiegò pazientemente Rifiuto ancora in piedi al centro della stanza. Il suo corpo pareva essere immobile, eccezion fatta per la bocca e gli zigomi.
-Ma io non sto rifiutando proprio niente!- obiettò l'altro.
-Questo è lo spirito.- sentenziò Rifiuto. L'uomo si avvicinò al divano e si sedette sprofondandovi. Dopotutto, la visita di questo Rifiuto non era niente di più sconvolgente di quanto gli fosse successo nelle ultime ore.
-Ammettiamo che io creda che tu sia Rifiuto. Cosa dovrei dirti? Cosa dovremo fare?-
-Non dobbiamo fare niente. E'una fase. Sto qui con te, gironzolo un po' e quando sarai pronto a farmi andare via io me ne andrò. Sappi solo che, alla fine del processo tu sarai pronto a morire. Deporrai le armi, ti arrenderai. E' più complicato di quello che sembra.- Il tipo parve pensarci un attimo.
-Puoi aiutarmi in qualche modo?- chiese speranzoso.
-No.- rifiutò Rifiuto.
-Darmi qualche consiglio?-
-No.-
-Almeno qualche dritta su come...su come è di là!-
-No.-
In realtà non gli sembrava una grande idea chiedere cose ad uno che si faceva chiamare Rifiuto. Infine sentì nel suo petto schiudersi un piccolo uovo, un minuscolo nucleo di qualcosa che si andava espandendo per tutto il resto del suo corpo, che raggiungeva il cervello e lo controllava.
-Non posso morire. Qualche analisi deve essere sbagliata. Voglio dire...capita spesso che i medici commettino qualche errore! E' all'ordine del giorno...- borbottò. Rifiuto finalmente si mise anche lui a sedere e passò un braccio freddo e formale sopra le spalle della sua preda. 
-Sappiamo entrambi che non è così.- disse Rifiuto, costretto a rifiutare qualsiasi cosa gli venisse detta. L'uomo guardò il suo bizzarro partner di chiacchierata e gli sorrise.
-Ti ha mai detto nessuno che sembri un piazzista?-
-No.- rispose, anche se in realtà glielo avevano detto in tanti. Quasi tutti in realtà. L'unico che non glielo disse fu un piazzista snob. Il malato sospirò e picchiettò i pugni sulle ginocchia.
-Credo tu possa andare.- disse facendo un cenno con la testa verso la porta.
-Mi piace come vanno le cose in questi ultimi anni. La gente è diventata talmente intelligente da capire che il Rifiuto è prettamente inutile.- disse mentre si alzava e si congedava dalla vittima.
-O talmente stupida da non credere neanche in quello che pensano.- E sparì, senza neanche usare la porta che gli era stata gentilmente aperta. Quello che ci voleva adesso era una birra fresca, così attraversò il salotto e si diresse verso la cucina che appena lo vide arrivare iniziò a suonare trombe, proiettare luci di mille colori (per quanto non proprio mille, magari un pochetto di meno) e mostrar lui un palcoscenico proprio al centro di essa con un uomo sopra che ringraziava per gli applausi proveniente chissà da quale pubblico. Appena il tizio sul palco lo vide entrare lo indicò e prese di nuovo la parola:
-...ma ecco il nostro ospite d'onore, qui con noi!- disse con il suo volto caprino ornato di pizzetto a punta e il completo rosso fastidioso.
-Direttamente da "Non-morto-ma-ci-manca-poco", l'ospite del quale non ci siamo presi la briga di imparare il nome perchè tanto non durerà molto, è finalmente arrivato! Vieni sul palco, vieni!- disse con un sorriso lucente e porgendogli la mano. Salì sul palco e venne accecato da luci delle quali non vedeva il proiettore e un paio di centinaia di coriandoli esplosero intorno a lui.
-C..chi sei tu?- riuscì a spiccicare mentre si parava gli occhi dalle luci.
-Oh oh oh! Che sciocchino! Sono Rabbia! Il secondo stadio! Un bell'applauso gente forza!- Il rumore di applausi riempì tutta la cucina mentre le luci facevano su e giù.
-Ma non mi sembri...così...arrabbiato?- replicò l'altro. Rabbia rovesciò la testa all'indietro in una lunga risata.
-E perchè dovrei essere arrabbiato?- rispose. -Non sono mica io quello che sta per morire!- Il pubblico rise e da qualche parte qualcuno alla batteria fece un "ba dum tss!" che fece perdere le staffe al nostro sfortunato amico. Nonostante fosse un po' sconvolto dall'aver appreso che Rabbia era a metà tra un pessimo cabarettista e un bulletto da scuola superiore, prese il microfono e se ne impossessò.
-Come osi anche solo venire nella mia cucina e mettere tutto a soqquadro?! Non solo! Mi prendi anche per i fondelli! Io non sono spacciato, è chiaro? Non può succedere a me! E se succede a me non lo permetterò, perchè sarebbe soltanto un'altra affermazione dell'ingiustizia di questo mondo di merda!- Impercettibile, un sorriso maniacale si fece largo sulle labbra rosso sangue di Rabbia. Nel frattempo che Rabbia continuava con il suo triste numero comico, l'uomo aveva iniziato a spaccare un po' di roba con un'ascia che non si è ancora ben capito chi gliel'avesse fornita. Una volta che la conficcò dentro al televisore da quaranta pollici del soggiorno, si afflosciò a terra e pianse. Allora Rabbia schioccò le dita e fece sparire tutto il teatro che aveva creato e si accovacciò accanto a lui.
-Magari...magari c'è qualcosa che posso fare...- Rabbia si stizzì un po' e storse il naso. Era appena stato cacciato. L'altro pianse così tanto che si addormentò. 
Quando si svegliò vide tutto verde. Si tirò su asciugandosi un rivolo di saliva al lato della bocca e tentò di mettere a fuoco l'immagine che si trovava ad osservare. Davanti a lui c'era un tavolo da gioco, lungo e verde. Sulla destra c'era un sacchetto di pelle chiuso in cima che sentiva particolarmente suo. Dall'altra parte del tavolo, un uomo con un cappello da croupier gli sorrideva con i suoi basettoni Elvis Years. Con un anello per dito, si passava tra le mani sacchetti come quello dalla sua parte del tavolo, ma in un numero indefinibile.
-Tu devi essere Contrattazione.- sbiascicò ancora intorpidito dal sonno.
-Esatto, mio caro. Che ne dici di iniziare a giocare? Cos'hai da darmi?- L'uomo inarcò il sopracciglio e poi puntò gli occhi sul sacchetto chiuso. Lo slegò e ne rovesciò il contenuto sul tavolo. Quello che si mostrò ai suoi occhi sul verde campo da gioco, erano miniature. Miniature di tutto ciò che aveva in quel momento della sua vita. Una miniatura particolarmente accurata, era quella di sua madre, intenta ad urlare contro qualcosa con in mano un mattarello. Sospettava che sarebbe stata una delle prime ad essere scambiate.
-Cosa mi offri?- fece Contrattazione sornione. L'altro razzolò un po' tra le statuine e ne prese tre. La sua casa, la sua auto e il suo conto in banca. Li mise sul tavolo e li indicò con un cenno della testa.
-Oh oh oh.- fece Contrattazione. -Per quelli posso darti...-frugò nei suoi sacchetti e ne estrasse un numero 2 e un'altra miniatura che tenne nascosta.
-Posso darti 2 mesi di tempo e una banana.- annunciò mentre mostrava la banana nel suo palmo. Quel patto era conveniente solo per la banana. Se voleva ottenere di più doveva rilanciare con qualcosa di eccezionale. A malincuore si preparò a fare il grande gesto. Frugò tra le miniature in cerca di quello che sapeva essere da qualche parte e quando lo trovò ebbe un attimo di titubanza, un fremito, un brivido. Poi lo gettò sul piatto.
-Offro tutta la mia collezione in DVD di "Star Trek".- Contrattazione sorrise a mezza bocca.
-D'accordo, aggiungo una banana.- e gettò un'altra piccola banana sul piatto.
-Capisci che è una partita che non puoi vincere, vero?- l'altro non battè ciglio e riprese tutte le statuine dal piatto. Con un gesto plateale e teatrale le rimise dentro al sacchetto, senza mai distogliere lo sguardo dal suo aguzzino. Poi gettò tutto il sacchetto sul piatto.
-Ultima offerta.- tuonò sicuro delle sue azioni. Contrattazione si fece serio per un attimo. Tolse dal piatto i 2 mesi e le due banane e frugò dentro al suo sacchetto. Mise sul piatto un'unica statuina: due individui, stretti l'uno contro l'altro.
-Questo è il massimo che otterrai da questa partita. Un abbraccio.- A quel punto capì davvero che non poteva contrattare e la partita si dissolse in una fumata di bianco.
 
Quando Depressione lo andò a trovare non fecero niente per giorni. Stavano entrambi sdraiati per terra, raggomitolati su loro stessi a guardarsi negli occhi. Depressione, che era un ragazzo scarno, con la barba sfatta e le occhiaie fino ai ginocchi, si annoiava terribilmente ma era troppo depresso per parlare. Si guardavano per ore e nient'altro. A volte si sfioravano con la punta delle dita, a volte piangevano insieme, a volte semplicemente fissavano un punto nel vuoto (Depressione lo credeva un gioco, nel quale si reputava anche molto bravo. Chi guarda di più nello stesso punto senza lamentarsi della terribile noia, vince. Anni e anni di esercizio l'avevano trasformato in un vero e proprio campione.) Un giorno si ritrovarono l'uno davanti all'altro, a gambe incrociate, sguardo nello sguardo.
-Che senso ha tutto questo?- chiese a Depressione.
-...non ne ha...- rispose l'altro.
-No, dico. Tutto! Il senso della vita, sai! E le altre cose! Tutto, insomma!- poi si rese conto che chiedere a Depressione non era proprio la mossa più furba da fare.
-...non credo ci sia qualcosa...avresti dovuto chiederlo a Rabbia...dicono che...abbia sempre una battuta per tutto...- Poi un pensiero lo sfiorò. Probabilmente Depressione aveva ragione. Se aveva ragione non si perdeva niente del mondo, se non del tempo, tempo che avrebbe sprecato in qualche modo. Fu allora che accettò la cosa e Depressione svanì con un broncio infantile dipinto, che lo rendeva soltanto più patetico. Sentì bussare alla porta e sorrise al pensiero di ciò che l'aspettava, al pensiero che questo viaggio che gli era sembrato lungo anni si fosse finalmente concluso. Dietro la porta, l'aspettava la donna più bella che avesse mai visto. Accettazione aveva i capelli del miglior colore, sciolti sulle spalle. Indossava un vestito di latte che le cadeva sui fianchi come un'onda si infrange sugli scogli. La sua pelle era pura e terribilmente rilassante, i suoi occhi due diamanti dai riflessi splendidi. Si presero per mano senza dire una parola e uscirono sul pianerottolo di quel piccolo appartamento che ormai pareva un ricordo sbiadito. Lì, dove prima non c'era altro che una moquette color vomito e qualche porta sbattuta, adesso c'era una scala che saliva verso qualcosa, saliva e saliva, con lo scorrimano ornato di arcobaleni. I due salirono in silenzio, gradino dopo gradino. Si sorrisero. 
E lui pensò che, dopotutto, ovunque la scala li avesse portati, non sarebbe stato tanto peggio di dover pagare l'affitto ogni mese.
   
 
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