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Autore: Fiore Blu    09/02/2013    5 recensioni
«Ultima chiamata per il signor Bell!» sbottò esasperato il preside. Intanto, tra gli studenti si alzò un vociare fastidioso.
Le ragazze bionde ossigenate si guardavano intorno, incuriosite.
I ragazzi, invece, se la ridevano, e scambiavano commenti con i loro vicini di posto, ragazze comprese.
«Secondo me se l’è squagliata perché aveva troppa paura di parlare davanti a tutti!».
«Ma sei scemo! Bell … spaventato? Guarda che è lui quello che fa spavento!».
«Già forse hai ragione». Dicevano due.
«Spero che si presenti quel bellimbusto, vorrei tanto mandarlo a quel paese in pubblico!» diceva una lady bionda e molto arrabbiata ad un’altra.
«Ancora con quella storia? Non prendertela Jane, alcune voci dicono che sia gay!» rispondeva l’amica.
«Sei impazzita? Non è proprio possibile! L’hai guardato bene? Quello stronzo non è affatto gay!»rispondeva civettuola la prima.
O ancora : «Spero tanto che non si presenti, lo odio quel bastardo!».
«Già, è troppo pieno di sé, non lo sopporto».
Opinioni diverse e contrastanti.
Vigliacco, mostruoso, stronzo, figo, gay, bastardo, pieno di sé … beh aveva una bella reputazione!
Nell'attesa della seconda parte di ali d'argento, eccovi la combattuta storia di un ragazzo e una ragazza ... non del tutto normali. Grazie e buona lettura. ^^
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un amore di mostro 
 
 

 

 

Capitolo 1
 
 
Un cruento incontro

 
 
 
 
 
Il mio primo giorno nella nuova scuola, non fu propriamente normale.
Il collegio in cui mi avevano spedita i miei, era una specie di carcere, per me, perché ero una dei pochi studenti entrati grazie ad una borsa di studio, e quindi ero già consapevole che sarei stata costretta a frequentare giorno per giorno, gente totalmente diversa da me, e abituata ad un altro tenore di vita.
Per esempio, la mattina del primo giorno di apertura  –  che non era la prima mattina dopo le vacanze estive, perché queste si passavano nel collegio stesso  –  era d’obbligo una specie di cerimonia, dove tutti gli studenti e il collegio amministrativo scolastico (preside, professori, collaboratori scolastici, finanziatori e rappresentanti), si incontravano per dare luogo ad una specie di cerimonia di benvenuto, e proprio in quel frangente,lo studente con il massimo dei voti in tutte le materie avrebbe dovuto fare un breve discorso, seguito poi da tutti i rappresentanti più il preside.
Nella mia vita avevo lasciato fuori qualsiasi cosa. Amici, hobby, e … ragazzi.
Nel mio mondo c’ero solo io, io e l’ossessione per i voti.
“Tesoro, sei stata la più brava! Allora sei la nostra stella! … Continua così e diverrai una persona di spicco che ci renderà fieri di te! … Sei la migliore, continua ad esserlo, non deluderci”. I miei genitori avevano sempre voluto il massimo da me, spronandomi a fare sempre meglio.
Poi successe l’irreparabile, ed io mi ritrovai a vagare per l’entrata principale del collegio più in e più restrittivo e soffocante della terra: l’Orpheus.
La struttura era circondata da un parco bellissimo e verdeggiante, le aule erano spaziose e luminose, ben ordinate e con ottimo materiale, i corridoi larghi e con armadietti blu oltremare dipinti alla perfezione, la palestra era gigantesca, munita di docce, spogliatoi, stanzette per il materiale e attrezzi nuovi di zecca.
Le stanze dei dormitori erano singole e perfettamente ammobiliate con un letto ad una piazza e mezza, un armadio, uno scrittoio, e naturalmente un bagno.
La mensa era davvero di classe con tavoli ampi e grigio chiaro, e il cibo era davvero ottimo. Durante l’anno erano previsti gite, uscite didattiche per lo studio della natura, corsi di cucina, teatro, musica, cucito.
Le lezioni si tenevano di mattina dalle otto alle tredici, e dopo la pausa pranzo ogni studente poteva scegliere se ritirarsi per studiare o frequentare uno dei club disponibili.
Insomma … non era affatto un carcere per quanto riguardava l’organizzazione o la “vita” lì.
Questo era ciò che spiegava il volantino di presentazione, consegnatomi da mio padre, in auto, prima di scaricarmi lì.
“Tesoro, questa è la tua opportunità. Cambiare aria ti farà bene, e stare tutto il tempo a contatto con il sapere, aiuterà il tuo geniale intelletto ad evolversi e a superare i tuoi limiti!”.
Niente “Mi mancherai tanto, ti voglio bene” oppure “Spero che ti piaccia andare qui, e spero che non ti sentirai sola”.
Avevo annuito decisa, mascherando l’amaro che avevo in bocca, e poi avevo sbattuto forte lo sportello della Fiat Panda bianca e vecchia di mio padre.
Mia madre non era venuta a salutarmi, ma mi aveva fatto il suo discorsetto la sera prima, dicendomi più o meno le stesse cose che mi aveva detto papà.
Mi guardai intorno, in cerca della sala immensa che avrebbe ospitato gli ottocento studenti frequentanti il collegio.
Probabilmente ero in ritardo, perché tutti gli studenti erano già allineati, schiena dritta e petto in fuori, con l’aria di chi sa di appartenere alla nobiltà.
Le bionde ossigenate con capelli assurdi, erano presenti in gran numero, e i ragazzi alti, possenti e altezzosi che lanciavano sguardi incuriositi verso parecchie delle loro compagne, che innocentemente avevano dimenticato di allacciare gli ultimi bottoni delle loro camicette striminzite.
Naturalmente c’erano anche ragazzi normali, con una statura normale, che avevano una divisa normale che guardavano ragazze normali che avevano allacciato tutti i bottoni in modo normale.
Sì, anche loro appartenevano alla classe High.
Mi scoraggiai subito.
“Chissà se tutti questi ragazzi ricchi hanno anche ricchi risultati in ambito scolastico!” mi domandai, cominciando a sentirmi a disagio.
«Buongiorno a tutti voi, cari studenti e benvenuti alla ventitreesima cerimonia di apertura del Collegio Orpheus. Quest’anno …» il preside, che aveva preso parola dall’alto di un palco, era un uomo dall’aspetto fiero e intransigente, ed era sudato in maniera rivoltante. Era sicuramente agitato anche se dalla sua voce non traspariva, ma il suo nervosismo, traspirava di sicuro dalla sua pelle olivastra e lentigginosa.
Il suo discorso durò a lungo, e fu ricco di ringraziamenti e di inviti per i rappresentanti a prendere parola.
La cerimonia si dilungò per circa un’ora, e poi verso la fine, dopo che tutti ebbero salutato la platea di studenti assonnati e annoiati a morte, il preside riprese la parola.
«Bene, ora sono orgoglioso di presentarvi lo studente che l’anno scorso ha ricevuto i voti più alti in tutte le materie, vincendo gare di decatlon di scienze, e arrivando primo nel punteggio del credito scolastico» il mio cuore perse un colpo.
Avevo avuto il massimo dei voti in tutte le materie l’anno precedente, nella mia scuola, e avevo vinto parecchi decatlon, inoltre il mio credito scolastico era eccellente … possibile che … !?
L’idea di salire su quel palco e di salutare i miei nuovi compagni da vincitrice e non da nuova arrivata povera, mi allettava come la nutella spalmata sul pane bianco e immerso nel latte caldo.
Possibile che io …
«Inoltre, ha ricevuto un riconoscimento per aver commentato brillantemente l’ultima scoperta sui neutrini, commento pubblicato su un quotidiano scientifico di qualche mese fa. Ha vinto, arrivando primo, le gare scolastiche di salto in alto, salto in lungo, cento metri, staffetta, pallavolo, pallanuoto, basket. Ha conseguito con il massimo dei voti, l’esame di patente europea ECDL del computer. E infine si è dimostrato eccellente nelle arti, realizzando pezzi musicali e opere d’arte davvero notevoli» impallidii.
Una persona del genere non poteva esistere!
Era inumano essere bravi, anzi i migliori, in tutti quei campi.
Era assolutamente impossibile!
Non era normale essere tanto esperti in tanti campi, non era normale essere i migliori in tutto … in tutto! Non era … non ero io la studentessa più brava di quella scuola. Non ero la migliore, non lo ero.
Punto.
«Signor Lucius Yuki Bell, la prego di avvicinarsi al microfono, e di salutare gli studenti, spronandoli a prendere esempio!» disse fiero il preside, abbracciando tutta la folla con il suo sguardo febbrile. 
Lucius Yuki … che razza di nome era? Era bizzarro, totalmente incoerente, ma … singolare.
Era quasi affascinante, composto da un nome nordico e da un nome orientale. Yuki.
Giapponese, era un nome giapponese. Mi chiesi immediatamente che aspetto avesse, immaginando che sua madre o suo padre fossero giapponesi.
Magari era un tipo basso e magro, con un fisico forte e agile.
Il viso sarebbe stato un miscuglio tra gli occhi a mandorla tipici degli orientali e gli occhi azzurro ghiaccio dei nordici. I capelli sarebbero stati biondi oppure neri, o magari entrambe le cose …
All’improvviso nella mia mente si formò l’immagine di una specie di mostro. Il ragazzo-genio si materializzò nella mia mente, sottoforma di uno sgorbio orrendo e sformato.
Incuriosita volsi lo sguardo al palchetto. Nessuno si era ancora avvicinato.
«Signor Bell, si avvicini prego» lo incitò il preside, ancora più sudato, ancora più frenetico nei movimenti.
«Ultima chiamata per il signor Bell!» sbottò esasperato. Intanto intorno a me, tra gli studenti si alzò un vociare fastidioso.
Le ragazze bionde ossigenate si guardavano intorno, sognanti ed eccitate, con l’ammirazione e le stelline negli occhi ricoperti di “stucco”, come di solito determinavo quel quintale di trucco che appesantiva gli occhi delle mie coetanee vanitose.
I ragazzi, invece, se la ridevano, e scambiavano commenti con i loro vicini di posto, ragazze comprese.
«Secondo me se l’è squagliata perché aveva troppa paura di parlare davanti a tutti!».
«Ma sei scemo! Bell … spaventato? Guarda che è lui quello che fa spavento!».
«Già forse hai ragione». Dicevano due.
«Spero che si presenti quel bellimbusto, vorrei tanto mandarlo a quel paese in pubblico!» diceva una lady bionda e molto arrabbiata ad un’altra.
«Ancora con quella storia? Non prendertela Jane, alcune voci dicono che sia gay!» rispondeva l’amica.
«Sei impazzita? Non è proprio possibile! L’hai guardato bene? Quello stronzo non è affatto gay!»rispondeva civettuola la prima.
O ancora : «Spero tanto che non si presenti, lo odio quel bastardo!».
«Già, è troppo pieno di sé, non lo sopporto».
Opinioni diverse e contrastanti.
Vigliacco, mostruoso, stronzo, figo, gay, bastardo, pieno di sé … beh aveva una bella reputazione! Magari scoprivo che sapeva persino volare!
«Sai … » mi sentii toccare il braccio, e mi voltai verso la ragazza dai lineamenti orientali che mi stava accanto. « … spero che Yuki - sama si presenti. Non voglio che gli altri sparlino di lui in questo modo. Lui è … un splendida persona» i suoi occhi erano tristi e preoccupati, e nonostante fosse davvero carina e ben vestita, dal fisico snello e dagli occhi intelligenti, la ragazza del sollevante sembrava a disagio.
«Yuki – sama?» cercai di non sembrare fredda. I rapporti interpersonali non erano mai stati il mio forte. D’altro canto non avevo mai sentito il bisogno di farmi degli amici.
«Sì, … oh scusami tanto. Il fatto è che sono in questo collegio solo da due anni e ogni tanto mi sfugge qualche parole in giapponese. “Sama” è una forma di rispetto per qualcuno di superiore o di più anziano» spiegò velocemente, sorridendo timidamente.
La cosa mi incuriosì. Ai terribili aggettivi di prima, come bastardo o mostruoso dovevo aggiungere anche … splendida persona? Contrastava davvero tanto con … stronzo!
«Capisco» annuii. La ragazza sembrò illuminarsi. I suoi capelli lunghi e lisci, di un nero lucente, ondeggiarono sulle sue spalle.
«Io mi chiamo Mayu e tu?» chiese amichevole, con la sua vocina acuta da giapponesina. Gli occhi neri fissi nei miei, marroni ed esitanti.
«Ania» farfugliai, rivelando il mio diminutivo. Non volevo spaventare la gente con il mio nome, lungo e orrendo. Almeno mi sarei data tempo per socializzare prima di presentarmi in classe, quando il professore di turno, avrebbe recitato il mio nome come una poesia, facendo sghignazzare tutti i miei compagni, come accadeva sempre.
«Sei nuova, vero Ania?» chiese gentile. Io annuii.
«Il tuo amico … dov’è? Il preside sta impazzendo, sembra disperato!» scherzai.
«Oh no! Yuki – sama non è affatto mio amico. Anzi. Lui non ha amici. Tutti dicono che fa paura, per questo gli stanno lontano. Ma in realtà sono tutti in errore. Yuki – sama non fa del male alla gente senza motivo» disse la ragazza.
Bene, dalle sue parole capii che lo stava proteggendo dal mio giudizio affrettato.
Questo Lucius Yuki Bell faceva paura, e faceva del male se gli si proponeva un buon motivo. Eppure la ragazza ne parlava con riverenza quasi, come se fosse davvero un suo superiore.
E poi … non aveva amici. Beh, non mi sembrava strano. In fondo non ne avevo neanche io.
Una donna in tailleur, si avvicinò di soppiatto al preside disperato, e chinandosi su di lui, dal metro e ottanta che le regalavano i tacchi neri, bisbigliò qualcosa.
Il preside annuì, e sussurrò nel microfono, senza farlo apposta, il suo disappunto.
«Non cambierà mai! È davvero incorreggibile!» poi rivolgendosi a noi tutti con un «Andiamo avanti» si immerse nella lettura di nuovi ringraziamenti, fino alla fine della cerimonia.
Prima, la delusione e poi la curiosità, scaturite da questo misterioso personaggio, mi fecero sentire diversa, interessata per la prima volta a qualcosa di estraneo da un compito o da un libro.
Era diverso.
«È stato un piacere conoscerti, Ania. Spero che faremo amicizia» sorrise Mayu.     
«Sì» sussurrai. Poi lei prese la sua strada ed io la mia.
Non conoscevo nessuno a parte Mayu, ma non mi ero azzardata a chiederle di farmi da guida. Non volevo che pensasse che non sapessi cavarmela da sola.
Uscii dall’auditorium e mi incamminai verso il parco. L’aria era fresca, ma non fredda. Era rilassante.
Tutti gli studenti si erano riversati in mensa, ma io non avevo decisamente fame.
Decisi invece di godermi il panorama del parco e della scuola.
Sembrava un castello visto da fuori, e i dormitori erano davvero eleganti.
E pensare che mi trovavo lì solo grazie al mio impegno e alle ore impiegate nello studio costante!
Il parco era davvero grande. Gli alberi erano secolari e ben curati. C’erano olmi, querce, faggi e anche dei ciliegi rosa.
L’erbetta era brulla in alcuni punti e selvaggia in altri, ma nell’ultimo caso costeggiava cespugli di rose o arbusti.
Il cielo si intravedeva tra i rami e il sole filtrava la luce tra le foglie, creando bellissimi giochi di luce sui tronchi e sull’erba. Era quasi magia.
Mi voltai di scatto, quando il pensiero di essermi persa si insinuò in me.
La scuola … non riuscivo più a vederla perché gli alberi erano troppo fitti in quel punto.
Poi …
Guardandomi intorno, scorsi un ragazzo addormentato, abbandonato tra le radici di un grande e bellissimo ciliegio.
Sembrava così sereno e rilassato che temetti di svegliarlo, tanto era meraviglioso il suo riposare.
La sua bellezza era disarmante.
I lineamenti erano morbidi, delicati e nobili. La sua pelle sembrava non avere pori, diafana e perfetta. Vellutata. Sembrava emanare luce, come un angelo.
Le labbra disegnate, di un caldo colore, a metà tra il marrone e il rosa.
Il naso dritto ed elegante, gli zigomi alti, le guance asciutte.
I suoi occhi avevano una forma dolce, sembravano essere due fessure perfette e armoniose, incorniciate da ciglia lunghe e scure.
I capelli, di un biondo cenere che si scuriva sulle punte e alla base del collo, sembravano leggeri e morbidi, e cadevano, in tutta la loro lunghezza sul viso, a mo’ di ciuffo, conferendogli un non so ché di seducente e allo stesso tempo delicato.
Il corpo, steso supino sull’erba soffice, era smilzo ma vigoroso. Le braccia lasciate lungo i fianchi e le gambe intrecciate, una in equilibrio, con il ginocchio piegato e l’altra leggermente piegata a terra.
La testa appoggiata con la tempia all’albero.
«Wow» sussurrai senza accorgermene.
Il ragazzo misterioso e bellissimo indossava la divisa scolastica.
Pantalone grigio argento, camicia grigio perla e giacca blu. Le scarpe nero lucido.
Non volevo svegliarlo, così indietreggiai, cercando di andarmene.
A me i ragazzi non dovevano interessare. Non dovevo distrarmi.
E non volevo nemmeno svegliare quella specie di alieno bellissimo.
Intanto dietro di me sentii dei passi avvicinarsi. Non vedi nessuno, così mi affrettai ad andarmene, ma …
Inciampai in un ramoscello e caddi sul fondoschiena con un tonfo imbarazzante.
Il ragazzo aprì gli occhi, di scatto, come fosse sveglio da un pezzo.
Il grigio chiari dei suoi, cambiò repentinamente, scurendosi verso il blu  … non seppi dirlo al momento … ma mi investì come un vento gelido, come una bufera di neve o semplicemente come un proiettile.
Restai immobile a fissarlo da seduta.
Nonostante anche lui fosse a terra, sembrava torreggiare su di me, sovrastandomi.
Pochi metri ci dividevano.
I suoi occhi avevano un taglio particolare, sembravano due fessure, nonostante fossero spalancati.
«Cos’hai da guardare?» disse brusco. La sua voce era profonda, seducente ma anche … spaventosamente fredda.
«Ni … niente, scusami!» sussurrai quasi, ma lui riuscì comunque a sentirmi.
«Cosa sei venuta a fare qui?» sembrava adirarsi sempre di più, la sua voce era ancora più glaciale. L’avevo disturbato e fatto arrabbiare di brutto.
“Bel caratterino!” pensai.
Mi alzai di scatto, e presi a correre nelle direzione opposta.
«S … scusami tanto» gridai voltandomi un’ultima volta verso di lui. Poi …
Andai a sbattere contro qualcosa di grande, ma non era un albero.
Finii di nuovo a terra, con un gemito. Il mio fondoschiena ne aveva abbastanza.
«E tu chi saresti? Mi hai sporcato la giacca razza di scarafaggio!» tuonò sua grassezza, un ragazzo tarchiato con un peso forma inesistente, grasso, brufoloso e … arrabbiato.
La cioccolata che stava sorseggiando, era sparsa sulla sua giacca blu, e il colore marrone scuro creatosi, richiamava molto quello delle sue pupille, circondate da ciglia biondissime, come i capelli corti.
Il suo sguardo mi lasciò un secondo e si posò alle mie spalle.
«Ti ho trovato razza di bastardo! Abbiamo un conto in sospeso io e te. Ma prima … » si abbassò goffamente e mi prese un braccio violentemente, facendomi alzare con uno strattone.
«Ehi!» sbottai, dimenandomi per liberarmi.
«Però … per essere uno scarafaggio hai energia!» Mi schernì, stringendo la presa «E sei anche carina! Sei la ragazza di quel mostro? Povera te!» scoppiò a ridere e poi mi attirò a sé. Oh no … voleva … baciarmi!
«NO!» urlai, ma prima che potesse accadere l’irreparabile, mi sentii strattonare via.
L’angelo, poco prima addormentato, si scagliò come una saetta verso il ciccione e lo colpì in pieno viso con un pugno fortissimo che lo fece roteare e fece cadere il ragazzone.
Poi, non contento, il ragazzo dagli occhi grigi, si abbassò su di lui e prendendolo per il colletto, con una forza impossibile da credere per un corpo tanto delicato alla vista, lo fece alzare da terra, e poi lo colpì sullo sterno. Il suoi bicipiti sembrarono gonfiarsi di poco, rendendo quella scena ancora più inverosimile. Il ragazzo della cioccolata, si alzò dileguandosi.
«Me la pagherai razza di demone!» intimò mentre correva.
Demone.
Forse era un nomignolo più appropriato per il ragazzo violento che poco tempo prima, mentre era addormentato, avevo scambiato per un angelo.
Avevo il cuore che mi batteva all’impazzata, ed ero diventata rossa come un peperone.
Mi sentii prendere per le spalle, e trasalii.
Dopo quella scena davvero violenta, avevo paura facesse del male anche a me.
Mi aiutò ad alzarmi e poi mi fissò ancora intensamente. I suoi occhi erano imperscrutabili.
«Gra …» azzardai.
«Vattene!» sbottò seccato, indifferente «Voglio essere lasciando in pace! Non mi piace essere svegliato! Chiaro ragazzina?» era davvero irritato, ma non si scompose più di tanto. Bastò il tono che aveva per farmi impallidire.
«Mi dispiace» farfugliai «vedi … sono nuova e … mi sono persa nel parco. Non volevo svegliar …».
«Non mi interessa chi tu sia … voglio solo essere lasciato in pace!» rispose secco e scontroso. Tralasciai il fatto che mi avesse chiamata “ragazzina” solo perché mi aveva appena salvato da un primo bacio orrendo e assolutamente non voluto.
«Va bene!» pigolai. Mi sentivo offesa dal suo comportamento «Grazie comunque per prima. Addio» dissi titubante e poi gli voltai le spalle.
«Nts …» lo sentì lamentarsi, e poi senza degnarmi di uno sguardo mi passò davanti, incamminandosi chissà dove. Seguii con lo sguardo la sua andatura elegante e di portamento, e mi meravigliai di quanto fosse alto e … di quanto fosse bello, avevo provato attrazione anche quando mi aveva aggredita.
Sospirai quando lui sparì.
Allora mi incamminai nella stessa direzione, e ritrovai la scuola.
 
 
 
                                                   **************
 
 
 
La giornata alla Orpheus era terminata e finalmente mi sarei potuta incamminare verso il dormitorio.
Tutti gli studenti si trascinavano lungo i corridoi, apatici.
Sulle scalinate dell’uscita, però c’era un’atmosfera tesa, e mi accorsi immediatamente che intorno a me, tutti i ragazzi erano eccitati e incuriositi da qualcosa che stava accadendo non molto lontano da dove mi trovavo.
«Allora! Piccolo miserabile … dov’è il tuo padrone? Voglio spaccargli la faccia assieme ai miei amici! Diccelo! Diccelo! Dove si è nascosto?» il ciccione di quella mattina, colui a cui il “demone” aveva dato una bella lezione, teneva per il bavero un ragazzino gracile e con gli occhiali, ed era circondato da altri ragazzacci dallo sguardo imbestialito.
«I … io non so niente … io … non ho un padrone … mettimi giù, ti prego, ti prego!» squittiva il ragazzino. Nessuno dei presenti interveniva, nessuno diceva nulla.
Alcuni studenti passavano addirittura davanti, senza guardare, impegnati nei loro affari.
«Va bene» sogghignò il ragazzone, preparò un gancio, diretto proprio al ragazzo occhialuto.
Una saetta si fece largo tra la folla, e riconobbi i capelli color biondo cenere.
Il “demone”.
Occhi grigi, fermò il braccio del ragazzone e lo impietrì con gli occhi.
Poi scoppiò un rissa.
Il ragazzo che avevo visto dormire nel parco, scagliò un pugno al grassone, atterrandolo all’istante,  e poi si occupò degli altri ragazzi.
I suoi avversari sembravano molto più grandi e corpulenti di lui, ma nonostante ciò caddero a effetto domino sotto i suoi pugni e calci.
La violenza che emanava il “demone” dagli occhi di ghiaccio, sembrava distruttiva e alimentata da un odio profondo e velenoso.
C’era qualcosa di disperato nei suoi colpi, come se picchiando quei bulli potesse far cessare una sofferenza nascosta, e allo stesso tempo alimentarla.
Il ragazzino, in ginocchio ai suoi piedi, si teneva la testa, tremante, e cercava di allontanarsi, ma le gambe gli tremavano convulsamente.
«Basta! Che succede? Che sta succedendo !?» il preside, seguito da uno degli insegnanti presentati alla cerimonia d’apertura, si intrufolò tra la folla, inchiodando il ragazzo bellissimo con lo sguardo.
«Lucius! Smettila, basta!» urlò l’insegnate donna, con un tono a metà tra l’affettuoso e l’impaurito.
«Signor Bell! Questo atteggiamento è davvero inconcepibile e totalmente incivile! Lei è davvero un violento!» lo rimproverò il preside con sdegno.
Lucius? … Quel ragazzo bellissimo e violento si chiamava Lucius! Era cruento e forte, ed era bellissimo e virile … lui era Lucius Yuki Bell, il genio che aveva vinto tutti quei premi, il ragazzo che aveva avuto i voti più alti in tutte le materie!
«Voglio sapere qual è stata la causa di tutta questa carneficina!» il preside era paonazzo.
«Si … signor White, lui mi ha … solo aiutato» balbettò il ragazzino con gli occhiali, indicando Lucius.
«Questo è alquanto irrilevante» rispose freddo il preside, fulminando il ragazzo.
«Signor Bell … visti i suoi precedenti …» cominciò il signor White.
«Preside …» cercò di intervenire la professoressa.
«Sarà sospeso per due giorni!» urlò il preside, sovrastando i tentativi di difesa della prof.
Lo sguardo di Lucius Yuki Bell, era ancora indemoniato. Poi chiuse gli occhi, sospirando, e assunse un’aria sicura di sé.
«Solo due? Che seccatura! Speravo di meritarmene qualcuno in più!» disse schernendo il dirigente «La prossima volta ci metterò più impegno» soffiò suadente e minaccioso, rivolto ai ragazzi malconci, che trasalirono per la paura.
I suoi occhi di demone promettevano vendetta, e rendevano un incubo ad occhi aperti, vero. Quegli occhi rendevano le sue parole, ancora più reali.
La sua assomigliava ad una promessa.
Senza neanche un graffio sul viso, né sulle mani, Lucius si riavviò i capelli setosi.
Poi sotto gli occhi scioccati di tutti, sotto gli sguardi impauriti e intimiditi della folla, si allontanò con passo deciso ed elegante.
Il mio cuore batteva ancora all’impazzata.
Ripensai alla violenza che aveva riversato sui bulli, al suo sguardo sconvolto che cercava sfogo attraverso i pugni.
Sapevo cos’era.
Quello era dolore.



-------------------------------------------------- angolo dell'autrice -------------------------------------------------
salve a tutti! io sono fiore, e saluto tutte le lettrici di ali d'argento che sono passate di qui a dare un'occhiata.
a chi invece ancora non mi conosce, porgo i miei più sentiti ringraziamenti.
spero che questo primo cap vi abbia incuriosito!
è la prima volta che scrivo una storia normale, e spero che mi lascerete commenti, buoni o cattivi che siano.
risponderò ad ognuno, qui sotto ad ogni capitolo nuovo, e via mess privato.
tanti bacini a tutti e grazie per il vostro tempo
 
 
 
 
 
 

  
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