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Autore: Wandering_Child    09/02/2013    3 recensioni
Christine Daaé è tormentata: dovrebbero essere per lei momenti sereni e felici accanto al suo amato Raoul, che lei ha scelto al posto del suo maestro, ma non è così, la giovane soprano non riesce a darsi pace. Per questo sceglie di tornare un'ultima volta da Erik, il Fantasma dell'Opera, per dirgli addio per sempre, sperando in questo modo di lasciarsi definitivamente il passato alle spalle. Ma resistere alla musica di Erik sarà più difficile del previsto.
Questa storia è ambientata pochi mesi dopo la conclusione del Fantasma dell'Opera e dieci anni prima che inizi Love Never Dies.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beneath a Moonless Sky

 

Christine

 

Il vento freddo era impietoso nei confronti del mio corpo. Ero ben coperta, ma il gelido alito dell’aria quasi mi feriva raggiungendomi impassibile, nonostante i vestiti. I riccioli dei miei capelli, fino a poco prima ben ordinati, erano completamente sconvolti dal movimento continuo del vento. Era una notte buia, terribilmente oscura e non c’era la luna. Mi ero ritrovata a camminare sotto un cielo senza luna. Dinnanzi a me non avevo niente, se non la totale oscurità.
Eppure, dentro di me, sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Ero uscita per cercare lui, Erik. Scioccamente, avevo creduto di potermi dimenticare di lui e lasciarmi alle spalle tutto ciò che era accaduto tra noi, ma i ricordi tornavano incessantemente a tormentarmi. E il suono della sua voce, la sua bellissima voce, durante la notte, silenziosamente entrava nei miei sogni e mi possedeva e io non potevo fare niente, niente per difendermi.
Erano passati mesi, ma la sua presenza era percepibile ovunque andassi. Mi sentivo continuamente il suo sguardo addosso e questo mi spaventava e contemporaneamente mi faceva sentire al sicuro. Erik… il mio Angelo della Musica, il mio maestro, il mio protettore… perché il suo ricordo non mi lasciava in pace? Ci eravamo detti addio per sempre e io avevo scelto consapevolmente la mia strada. Il nostro era stato un addio. Invece il suo spirito, la sua musica… mi ossessionavano più di prima, con più violenza di quanto ne avessero mai avuta in precedenza.
Avrei mai trovato pace? Mi chiedevo se sarei mai riuscita a dimenticare.

Il giorno dopo mi aspettava il mio matrimonio con Raoul ed ero certa di quello stavo facendo, ero assolutamente sicura di volerlo sposare. Avevamo passato dei bellissimi e teneri giorni insieme, durante il nostro fidanzamento, rievocando i tempi della nostra infanzia. Tutto andava a meraviglia, non c’erano più stati incidenti. E adesso… ci attendeva il matrimonio.
Sarebbero dovuti essere giorni felici per me, ma non fu affatto così. La presenza di Raoul al mio fianco era rassicurante, ma Raoul non poteva proteggermi o nascondermi dai miei sogni, il riflesso di me stessa e dei miei sentimenti. Io sapevo cosa non andava in me, ma non volevo ammetterlo. Non dopo tutto ciò che era successo tra me ed Erik, non dopo tutto ciò che Raoul aveva fatto per me. Come avrei potuto rovinare tutto? Non potevo e mi convincevo di non volerlo. Eppure, ero per strada, ero uscita a cercarlo, a cercare Erik. Nonostante tutte le buone promesse e tutti i giuramenti, volevo vederlo un’ultima volta, volevo dirgli addio per sempre e questa volta sarebbe stato un vero addio. A quel punto, forse, avrebbe smesso di inseguirmi nei miei sogni. E io sarei stata felice con Raoul, il mio promesso sposo. Ma dovevo dirgli addio e dovevo farlo quella sera.
Sapevo dove trovarlo: tutti lo credevano morto, dopo l’incendio divampato nel teatro dell’Opera, ma io sapevo bene che non era così. La sua musica sarebbe morta con lui e invece non era così, perché io potevo udire quella sua incantevole musica ovunque andassi. Erik era vivo. Lo sapevo.
Camminai a lungo per la città prima di trovarlo, prima di sentire la sua musica, la sua presenza farsi più forte e potente. Era vero, lui non aveva mai abbandonato il teatro, ma non era morto con esso. Erik era ancora lì, nascosto da tutto e tutti, invisibile per tutti, tranne che per me. Nessun altro avrebbe potuto udire la sua musica, eccetto me. Solo io potevo ascoltarlo, solo io.
Seguii il suono della sua musica fino nei tetri sotterranei del teatro, come un tempo: non aveva abbandonato casa sua, il suo teatro, non avrebbe potuto farlo. Avevo lasciato l’oscurità della città per entrare nell’oscurità del suo rifugio. Tutto era immerso nel buio, non vedevo quasi niente. Udivo solo la sua musica e fu quella che mi guidò definitivamente a lui. Non mi sentì arrivare, e riuscii a riconoscere la sua sagoma: era seduto davanti al pianoforte, intento a suonare una dolcissima e struggente melodia, che mi rendeva sempre più difficile realizzare i miei propositi e che non mi aiutava nel dovergli annunciare il mio eterno addio. Il mio cuore prese a battere velocemente e io cominciai a tremare: le mie certezze stavano venendo meno, l’insicurezza mi fece sua improvvisamente, senza che io potessi fare niente per fermarla.
Erik mi sentì, doveva avermi sentita perché smise di suonare di colpo e io sentii che la mia forza di volontà si indeboliva sempre di più e sentivo che non sarei riuscita a sostenere il suo sguardo.
Perché, perché mai ero dovuta uscire? Perché? Ero una sciocca, credevo che sarei riuscita a controllarmi davanti a lui, che sarei stata ferma nelle mie decisioni.
Erik mi si fece vicino, sempre più vicino, finché non fissò direttamente il suo sguardo nei miei occhi: non indossava più la maschera. Eravamo vicinissimi, ma nessuno dei due osava sfiorare l’altro, quasi avessimo paura di noi stessi e dei nostri sentimenti.
“Christine… sei tornata…” sussurrò Erik, guardandomi come solo lui sapeva guardarmi. Non sembrava triste o felice di vedermi: forse lievemente sorpreso. Sul suo viso non c'era neanche l'ombra di un sorriso. Io sospirai profondamente. Tutto era più difficile del previsto. Presi coraggio e distolsi lo sguardo da lui, limitandomi a guardare da un'altra parte.
“Sono tornata per dirti addio per sempre”.
Le parole suonarono vuote e sciocche persino a me. Lui non disse nulla, si limitò ad osservare il mio profilo. Pareva che non avesse più voglia di vivere, sembrava perso nel vuoto. Ed era colpa mia.
“Allora, questo è un addio” disse con voce tetra.
“Sì, io… devo andare” replicai, incapace di dire altro. Avvertii la sua disperazione farsi più forte. Non dovevo assolutamente alzare lo sguardo verso di lui: sapevo bene che se lo avessi guardato di nuovo, non me ne sarei più andata. E invece io dovevo, dovevo andarmene… dovevo sposare Raoul, dovevo mantenere fede alla promessa. Ora che avevo visto Erik e che gli avevo detto addio definitivamente, dovevo andarmene e tornare a casa, tornare da Raoul. Era quella la cosa giusta da fare.
Alzai lo sguardo su di lui. E quello fu il mio secondo errore. Il primo era stato credere di potercela fare, credere di potergli dire addio, credere di poter resistere alla sua musica.
La mia mano, senza che glielo comandassi, gli sfiorò la guancia e in quell’istante, tutto il freddo che aveva stretto il mio cuore in una morsa si tramutò in un calore che non avevo mai avvertito prima d’ora, e mi dimenticai del freddo patito fino a poco fa.
Erik prese la mia mano tra le sue. L’ultima e unica candela che faceva luce in quell’oscurità si spense silenziosa. E con lei, anche la mia ragione si fece muta.

Le mie dita cominciarono a cercare Erik, a cercare il suo calore e sentivo che anche lui cercava me. Io lo sfiorai di nuovo e lui mi carezzò, entrambi immersi nel buio, entrambi ormai senza difese. Sapevamo bene che cosa stava accadendo, ma nessuno dei due si fermò, niente importava in quel momento, se non noi e i nostri sentimenti, finalmente usciti allo scoperto.
Mi baciò e io risposi al bacio come non mi era mai successo prima; ci abbracciammo, completamente persi l’uno per l’altra, e io sentivo la musica dei palpiti del suo cuore e non ero più spaventata come prima ma anzi, ero sicura di ciò che stavo facendo. I sentimenti che avevo provato per la prima volta cantando con lui il suo “Don Juan Trionfante” mi assalirono di nuovo, più violenti e autoritari di prima. Non c’era modo per me di sfuggirgli, non potevo far altro che accettare ciò che stava succedendo: l’avevo voluto io stessa. Mi baciò ancora e ancora, e io lo carezzavo, avvertivo i fremiti del suo corpo, e così ci stringemmo l’uno all’altra, con un desiderio, una necessità di essere finalmente un tutt’uno troppo palese per poter solo provare a negarla. Ad ogni suo nuovo bacio, rispondeva una mia carezza, un mio abbraccio. E poi, Erik, non più timido, mi fece sua una volta per tutta e io sentii che niente in quel momento importava, tranne noi due.
Il mio canto, la mia voce, non poteva allontanarsi dalla sua musica. Quante volte avevo provato, quante volte avevo tentato di dimenticare? Non c’ero mai riuscita. Io dovevo appartenergli, io gli appartenevo già, ma ero stata così sciocca da non volerlo vedere.
I nostri respiri, i nostri gemiti si unirono e le nostre anime furono insieme. Per la prima volta lo vidi come era in realtà, puro e bellissimo. Mi baciò, e io lo tenni stretta tra le mie braccia. Ci dicemmo cose in quell’oscurità che mai avrei solo osato pensare e ancora e ancora, mi fece sua.

 

Mi svegliai non so quanto tempo dopo, e sulle labbra mi affiorò un sorriso che io non avevo previsto. Non avevo ancora aperto gli occhi: quando l’avrei fatto, sapevo che chi mi sarei trovata accanto era l’uomo che amavo davvero, e lo amavo con tutta me stessa. Mi decisi ad aprire gli occhi, pronta a giurare il mio amore, pronta a dirgli che l’avrei seguito dovunque, pronta a dirgli che non l’avrei lasciato mai più. Non avrei sposato più Raoul, sarei stata soltanto sua e della sua musica. Ero decisa e sapevo che quella, questa volta, era la scelta giusta.
Ma, quando mi svegliai per dirgli che lo amavo più della mia stessa vita, al mio fianco non c’era nessuno. Erik non c’era più. Mi aveva abbandonata.
Non c’era niente, né un biglietto né una rosa rossa, una delle sue. Accanto a me c’era solo l’anello che gli avevo donato io un tempo. E quello… era il suo addio.
Erik se n’era andato per sempre. Mi aveva avuta, mi aveva amata, baciata, toccata e stretta a sé ma adesso se n’era andato. Senza una parola, senza neanche sussurrare un addio.
Ad accogliere il mio risveglio, solo il vuoto silenzio.
Piansi. Piansi come non avevo mai pianto in vita mia. Nessuno vide le mie lacrime, se non il tetro buio e la cupa solitudine in cui Erik mi aveva lasciata.

 

Quando uscii dal teatro, il sole non era ancora sorto nel cielo. Le sferzate gelide del vento sottolinearono la presenza delle lacrime sulle mie guance.
Volsi uno sguardo al cielo: la luna non si vedeva ancora, ma l’oscurità se ne stava lentamente andando. Eppure, il mio cuore era cupo e triste. Erik mi aveva lasciata. Sapevo nel profondo del mio cuore perché se n’era andato, ma non volevo dirlo a me stessa. Mi avrebbe soltanto ferito di più.
Mi incamminai verso casa, verso il destino che mi attendeva. Stavo andando verso un matrimonio in cui, adesso potevo dirlo, non credevo. Avevo passato la notte con un altro uomo, l’uomo che amavo più di ogni cosa al mondo ed ero rimasta ferita, con il cuore sanguinante. Cercavo di capire, cercavo di ricordare cosa mi avesse spinto a tornare da lui e cosa mi avesse spinto a fare ciò che avevo fatto.
Non ottenni alcuna risposta.
E, con disperazione, mi accorsi che, per la prima volta, non riuscivo più ad udire alcun suono. Neanche una singola nota, un leggero accenno di melodia, un flebile canto… niente.
C’era… silenzio. Un cupo silenzio. Nient’altro.
Erik se n’era andato. Mi aveva lasciata. E questa volta, lo sapevo, per sempre.
Un cielo senza luna accolse le mie lacrime.
Era finita.

  
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