Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: oneisnone    09/02/2013    15 recensioni
[Kurtbastian]
Voleva vederlo un’ultima volta e dirgli quello che non aveva mai avuto il coraggio di dire.
Quelle due semplici parole che spingevano da troppo tempo all'interno della sua gola.
Voleva abbracciarlo, baciarlo un’altra volta ancora e stringerlo tra le braccia per non farlo andare via, mai più.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
N/A: Avevo questa oneshot in testa da… troppo, davvero. Stavo solo aspettando il momento giusto per scriverla, e con ‘momento giusto’ intendo un momento di tristezza/depressione/pianto. Quindi scordatevi risate e gioia. Davvero, dimenticatele xD.
Ora, voglio chiedervi di leggere mentre ascoltate Far Away dei Nickelback (e se finisce prima non importa, la fate ripartire, okay? *sguardo minaccioso*) Fatelo però T__T



Dear Diary… I love you, Sebastian.
oneisnone
.

 

“Cos’è il ricordo se non uno spettro nascosto in un angolo della mente,
pronto a irrompere durante il giorno, o a disturbare il nostro sonno,

con un atroce dolore, una gioia, qualcosa che non abbiamo detto o che abbiamo ignorato?”
(A.N. - Le cose che non ho detto)

 
Sebastian fermò l’auto davanti a casa Hummel, vuota e buia esattamente come Burt aveva promesso il giorno prima.
Voltò lentamente la testa e la guardò attraverso il finestrino appannato della macchina; la cassetta delle lettere era chiusa e il dondolo sul portico oscillava silenziosamente mosso dal vento tiepido.
 
Si morse un labbro e gemette mentre colpiva il volante con la fronte. Voleva urlare e liberarsi dal peso che opprimeva costantemente il suo petto, voleva urlare e dire tutte quelle parole che non aveva mai detto.
 
Strinse la presa sul volante mentre le nocche iniziavano a sbiancarsi e la pelle a tendersi. Doveva trovare la forza per uscire ed entrare in quella casa, doveva farlo per lui.
 
Sfilò le chiavi dal quadro con mani tremanti e aprì lo sportello, respirando l’aria fredda e pungente che lo colpì appena si richiuse lo sportello alle spalle, si strinse nel cappotto pesante e infilò le mani nelle tasche.
 
Non sapeva esattamente come ma si ritrovava spesso a chiudere gli occhi, concentrandosi sui rumori e i profumi che lo circondavano.
Non voleva ammetterlo - e mai lo aveva fatto fino a quel giorno- ma aveva iniziato a prendere quella strana abitudine il giorno in cui strinse per la prima volta la mano morbida di Kurt.
Chiudeva gli occhi, semplicemente, e sperava di sentirlo nell’aria. Pregava un Dio qualsiasi pur di sentire quel suo profumo dolce e pungente, il profumo della sua pelle invadergli un’altra volta le narici e inebriarlo come quando si abbracciavano, come quando lo stringeva a sé e lo baciava fino a rimanere senza fiato.  
 
Sorrise a quel pensiero masochista, era passato così tanto tempo e tante, troppe cose erano cambiate da quel giorno al Lima Bean. Non era importante, comunque, non più almeno. Cacciò i pensieri giù in un angolo remoto e buio della mente e tornò a guardare con aria di sfida la casa davanti a sé.
 
Poteva sentire il cuore stringersi in una morsa dolorosa, lo sentiva contorcersi, stringersi e tuffarsi nel fondo del suo stomaco per rimanere lì inerme.
 
Nessuno gli aveva mai detto che il cuore potesse fare così male, forse se l’avesse saputo prima non si sarebbe mai innamorato di Kurt.
L’amore non era felicità, beatitudine? Perché quello che provava lui era dolore, lacerante, straziante e amaro dolore.
E sembrava così lontano dalle favole che sentiva raccontare.
Lontano da lui.
 
Non sapeva come si sentiva in quel momento, era confuso e stanco e non capiva per quale motivo l’aria non riusciva ad entrare nel suo corpo. Non capiva per quale motivo il suo cuore aveva improvvisamente smesso di battere, gelando il sangue nelle vene. Ma forse aveva già smesso di battere tempo prima, forse non l’avrebbe più sentito scalpitare all’interno del proprio petto.
 
Forse non ne avrebbe avuto bisogno in futuro.
Non voleva che battesse ancora, non per un’altra persona.
 
Chiuse gli occhi, le lunghe ciglia accarezzarono le sue morbide guance e conficcò le unghie nella tenera carne delle mani, serrò le labbra e costrinse un piccolo lamento a ritornare giù nella gola.
Respirò, ci provò davvero ma qualcosa si squarciava nel suo petto ad ogni boccata d’aria. E faceva male, da morire.
Poteva sentire lo stomaco accartocciarsi e la vista appannarsi mentre le dita iniziavano a tremare.
 
Aveva ingenuamente creduto che sarebbe stato più facile. Non meno doloroso solo… più facile.
Perché faceva male anche solo immaginare di dover tornare in quella casa mentre lui non c’era e non sarebbe più tornato.
Perché faceva male pensare di non poter più vedere il suo sorriso o i suoi occhi cerulei illuminarsi quando lo prendeva e lo baciava senza un reale motivo, solo perché lo desiderava e voleva sentire quelle labbra morbide, calde e profumate premute sulle sue.
Quelle labbra che sentiva ancora sulle sue, come un fantasma che lo seguiva ogni giorno, in ogni momento della sua vita, per ricordargli che non avrebbe più potuto averle.
 
“Sto togliendo le cose dalla sua camera, se vuoi tenere qualcosa puoi passare domani. Io... non saremo a casa e lascerò la porta aperta. Sebastian puoi… puoi stare tutto il tempo che vuoi. Quando ti sentirai pronto.”
 
Quando si sarebbe sentito pronto.
 
Ma lo sarebbe mai stato?
 
Aprì la porta d’ingresso e strofinò la suola delle scarpe sul tappetino. Non perse tempo a guardarsi intorno, salì le scale e camminò svelto verso la camera di Kurt.
 
E Dio, il cuore continuava a stringersi ogni volta che il suo nome risuonava armonico nella sua mente.
 
Scosse la testa e si fermò davanti alla porta della camera.
Alzò una mano e la poggiò sul legno, stringendo le dita e battendo violentemente il pugno sulla superficie bianca e liscia.
 
«Kurt» sussurrò mentre la mano scivolava via per ricadere lungo il fianco. Si sentiva uno sciocco perché aveva sperato per un secondo di vedere la porta aprirsi e trovare il suo magnifico e perfetto ragazzo che sorrideva dolcemente dall’altra parte, in quel modo che riusciva a riscaldargli il cuore.
 
Ma non accadde e la porta rimase chiusa, silenziosa.
Respirò profondamente e abbassò la maniglia, accompagnando la porta mentre si apriva lentamente.
Rimase ad osservare la camera, fermo sulla soglia.
 
Sarebbe mai stato pronto per qualcosa del genere?
 
Entrò e si richiuse la porta alle spalle mentre sentiva il cuore tornare a battere come impazzito. Accese la luce e si guardò attorno osservando quella stanza che conosceva fin troppo bene.
 
Era ancora come Kurt l’aveva lasciata.
Era ancora come se lui fosse lì e non se ne fosse mai andato.
 
Scivolò lungo la parete e si sedette sul pavimento freddo della camera.
 
Non era pronto, non lo sarebbe mai stato.
 
Nascose il volto tra le gambe e le abbracciò, cullandosi nel silenzio mentre spingeva indietro le lacrime che lottavano per riversarsi copiose sulle sue guance.
 
Emise un lamento simile al piagnucolio di un cucciolo e tirò su con il naso, appoggiandosi contro la parete e tornando in piedi.
 
Vagò per la stanza, sorridendo amaramente quando trovava una foto di Kurt che sorrideva felice insieme a qualche amica o a Burt.
 
Prendere qualcosa che mi ricordi di lui,si ripeté quando cadde sul letto.
Come poteva prendere qualcosa che gli ricordasse Kurt?
Come poteva racchiudere Kurt in un oggetto?
Come poteva racchiudere il sole in una scatola?
 
Aveva bisogno dei suoi sorrisi, dei suoi occhi, delle sue labbra e della sua risata cristallina.
Aveva bisogno di sentirlo ancora sulla sua pelle, del suo profumo e dei suoi dolci gemiti quando facevano l’amore.
Era questo che voleva ricordare di lui, voleva Kurt.
Lo voleva con tutto se stesso.
Avrebbe potuto riavere indietro tutto quello che gli era stato tolto?
Poteva riavere indietro la sua vita?
 
E sapeva che ogni risposta alle sue domande era negativa, lo sapeva ma non riusciva a non porsele perché era così ingiusto, così crudele vivere quando dentro si sentiva morto, svuotato di ogni energia.
 
Si sdraiò sul letto e immerse la testa nel cuscino, inspirando profondamente contro il tessuto leggero e avvertendo il suo profumo accarezzargli il volto.
Sapeva che era impossibile sentire ancora il suo profumo ma, a volte, preferiva lasciarsi cullare da quelle sensazioni. Perché lui non c’era e la realtà era peggio, perché era solo e qualcuno gli aveva portato via l’unica persona importante per lui.
 
«Mi manchi.» sussurrò con voce flebile.
 
Sorrise amaro e infilò le mani sotto al cuscino, stringendolo a sé in un abbraccio disperato.
 
Aggrottò le sopracciglia quando le sue dita sfiorarono qualcosa di rigido. Scattò in piedi, sedendosi sul letto a gambe incrociate e spostando il cuscino.
 
Incastrato tra il materasso e la testiera del letto c’era un quadernino nero.
Lo afferrò e se lo rigirò tra le mani come una bomba pronta ad esplodere.
Non si chiese se fosse giusto o meno, se fosse il caso aprirlo o magari rimetterlo al proprio posto. Non si domandò nulla, semplicemente, sfilò il piccolo elastico che lo teneva chiuso e aprì la prima pagina.
 
Si sentì morire (un po’ di più) quando riconobbe la calligrafia impressa nel piccolo quaderno.
 
22 novembre 2011
 
Caro Diario,
Non è assurdo che un ragazzo di diciassette anni tenga un diario?
Non so nemmeno per quale motivo lo sto facendo. Ho solo… io ho solo bisogno di parlare con qualcuno che possa capirmi e ascoltarmi veramente. Sento di poter scoppiare, nessuno capisce, nessuno si accorge di me o di quello che sta accadendo.
 
Sebastian rilesse quelle poche righe un paio di volte.
Kurt non gli aveva mai detto di avere un diario segreto e, sentendosi improvvisamente curioso e anche in colpa, iniziò a sfogliare le pagine del quaderno.
 
Voltò rapidamente le pagine leggendo le date riportate in alto e diede un’occhiata veloce alle parole scritte. C’erano spazi vuoti, mesi in cui Kurt non scrisse nulla, altri in cui si limitava ad appuntare qualche pensiero.
 
11 gennaio 2012
 
Caro Diario,
Oggi ho ricevuto il mio primo bacio. Dovrei essere felice, dovrei… sentire le farfalle nello stomaco?
Non è stato comeimmaginavo… le sue labbra erano fredde e le sue mani mi tenevano prepotentemente il volto, erano forti, troppo forti e mi facevano male. Non sapevo cosa fare e io… non so cosa mi sia preso, l’ho spinto via e ho urlato qualcosa.
Non ricordo nemmeno di essermi seduto a terra, con la schiena contro gli armadietti dello spogliatoio e le dita premute contro le labbra.
Karofsky mi ha baciato, forse devo aiutarlo perché i suoi occhi erano così confusi e impauriti, così simili ai miei.
Non so cosa fare.
 
Sebastian strinse tra le mani il piccolo quaderno quando lesse il nome di Karofsky. Sentì i polpastrelli pizzicare e un leggero tremolio invadergli le braccia e le gambe, ma quella volta non era dovuto al freddo o a un ricordo doloroso… era la rabbia che cresceva dentro il suo corpo, era il desiderio di alzarsi e fare qualcosa di cui si sarebbe pentito. Chiuse gli occhi provando ad allontanare la rabbia e ricordandosi il motivo che lo aveva portato in quella casa: Kurt.
 
Aprì gli occhi solo quando si sentì veramente libero da quella sensazione distruttiva. Sfogliò altre pagine del quaderno, leggendo i pensieri del suo ragazzo e fermandosi quando riconobbe una data in particolare.
 
3 febbraio 2012
 
Caro Diario,
Sono incazzato, da morire. Questo pomeriggio ho incontrato un ragazzo al Lima Bean, dice di chiamarsi Sebastian ma… Dio, è così odioso che se non fosse per la mia politica anti-violenza l’avrei già preso a cazzotti su quel muso da mangusta che si ritrova al posto della faccia. Ha avuto il coraggio di chiamarmi “faccia da checca”… un gay che offende un altro gay, è assurdo!
 
Sebastian rise, rise veramente per la prima volta da una settimana.
Avevano passato così tanto tempo a far finta di odiarsi, lui e Kurt, quando potevano amarsi dal primo istante in cui si strinsero la mano, sfruttare ogni secondo di quel tempo che improvvisamente aveva deciso di accorciarsi. Gli anni trasformati in mesi, i mesi in settimane e le ore in minuti.
 
Se avesse saputo che non c’era tempo da perdere avrebbe speso ogni minuto possibile per stare con lui e viverlo.
Se solo avesse saputo…
Se solo non glielo avessero strappato via.
 
7 aprile 2012
 
Caro Diario,
Credo di essere impazzito.
Non posso aver veramente associato la parola “simpatico” a Sebastian Smythe. Forse è… credo di trovare divertenti i nostri siparietti, quando ci divertiamo ad offenderci senza motivo.
Potrebbe piacermi. Forse Sebastian non è poi così male come sembra.
P.S. non credevo che Sebastian fosse in grado di sorridere come tutti gli esseri umani, è bello quando lo fa, è… diverso.
Forse anche le manguste hanno un cuore, chissà se il suo batte.
 
Sebastian sorrise senza neanche rendersene conto, in quel piccolo quaderno c’era il suo Kurt e poteva sentirlo vicino in quel momento, anche se era così lontano... per sempre.
 
Le manguste avevano un cuore e quello di Sebastian batteva, sì, ma solo per una persona impazziva e scalpitava nel petto.
 
Dio, avevano sprecato così tanto tempo prezioso e Sebastian aveva così tanto da dirgli, tutte quelle parole che si era tenuto dentro e ora sentiva il bisogno di liberare.
 
Avvicinò il quaderno e respirò il profumo delle pagine macchiate dall’inchiostro nero, immaginando le mani di Kurt passarci sopra e rileggere ogni parola.
Immaginando la sua risata perfetta quando scriveva di uno dei battibecchi con Sebastian.
Avrebbe donato la sua stessa vita per risentirla, quella risata.
 
Continuò a sfogliare il diario, fermandosi solo quando l’inchiostro sbiadito in alcuni punti attirò la sua attenzione.
 
Lacrime.
 
29 aprile 2012
 
Caro Diario,
Credevo di aver chiuso quella porta per sempre, credevo che finalmente la fortuna avesse iniziato a girare anche dalla mia parte, pensavo di essere libero e poter finalmente iniziare a vivere.
Sebastian, il provino per la NYADA, le regionali… sembrava andare tutto alla perfezione.
Non credo di aver mai ricevuto una minaccia di morte, forse questa è stata la prima e… non so cosa fare. Dovrei dirlo a qualcuno, forse a mio padre o Sebastian. 
 
Sebastian guardò la cicatrice su una delle nocche della mano destra e strinse il pugno, conficcando le unghie nel palmo.
Accarezzò silenziosamente quella piccola striscia di pelle più chiara e in rilievo rispetto al resto della pelle.
Ricordava come Kurt l’aveva pregato di non fare nulla che lo mettesse in pericolo, ma quando Sebastian l’aveva visto piangere e aggrapparsi a lui, indifeso e impaurito, era corso da Karofsky e l’aveva preso a pugni.
E ogni pugno era una fitta al cuore, ogni parola una lacrima che aveva bagnato le guance pallide di Kurt.
Sentiva quel folle desiderio anche a distanza di mesi, perché Karofsky aveva mantenuto la promessa. Se lo era portato via.
Un battito di ciglia, una parola, un soffio o un sussurro e Kurt non c’era più.
 
Chiuse di scatto il diario e lo lanciò contro la parete.
Non voleva piangere, non voleva farlo.
Infilò le mani tra i capelli, tirandoli con forza e iniziando a dondolare sul letto, le ginocchia piegate vicino al viso e gli occhi serrati per impedire alle lacrime di uscire.
 
Voleva vederlo un’ultima volta e dirgli quello che non aveva mai avuto il coraggio di dire.
Quelle due semplici parole che spingevano da troppo tempo all’interno della sua gola.
Voleva abbracciarlo, baciarlo un’altra volta ancora e stringerlo tra le braccia per non farlo andare via, mai più.
 
Imprecò a bassa voce e, respirando profondamente, si alzò per raccogliere il quaderno. Era aperto su una delle ultime pagine, la data in alto risalente a dieci giorni prima. Si piegò sulle ginocchia e afferrò il quaderno, avvicinandolo al volto per leggere quelle poche parole.
 
Sentì gli occhi pizzicare e strinse il labbro inferiore tra i denti mentre un sorriso spontaneo si dipingeva sulle sue labbra.
Richiuse il diario e lo infilò nella tasca del cappotto.
Non aveva bisogno di altro, quello era Kurt.
Quello era e sarebbe stato per sempre l’amore della sua vita.
Il ricordo dei suoi baci, dei suoi occhi e del suo sorriso.
Era tutto racchiuso in quel piccolo quaderno.
Sorrise anche quando si richiuse alle spalle la porta di casa Hummel.  
E Dio, avrebbe potuto sorridere per mille anni ancora, senza stancarsi, senza averne mai abbastanza.
 
«Ti amo.» disse con lo sguardo rivolto al cielo mentre una piccola e solitaria lacrima bagnava il suo volto. Salata e calda.
 
Non importava dove fosse o quanta vita li dividesse.   
Sapeva che Kurt era lì da qualche parte, magari lo guardava e rideva delle sue lacrime o desiderava poterle asciugare dolcemente e sorridergli come solo lui sapeva fare.
Infilò una mano nella tasca del cappotto, quella contenente il diario, e lo strinse tra le dita con tutto l’amore che aveva in corpo.
 
2 giugno 2012
 
Caro Diario,
Ti amo, Sebastian.

 
 







N/A: non so se state piangendo, ma io lo sto facendo. Cioè, sto cercando di non piangere ma ho le mani che mi tremano e non so più nemmeno quello che sto scrivendo. Non so se è colpa della canzone o della oneshot ma credo che ora mi chiuderò in camera e andrò a piangere fino a quando non avrò più lacrime.

   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: oneisnone