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Autore: Soqquadro04    10/02/2013    3 recensioni
Libro primo.
Damon ed Elena, nella palestra della scuola, mentre Bonnie e Meredith cercano l'origine del guasto alle luci.
Nell'originale, Elena respinge Damon. Qui vedremo come sarebbe andata se non si fosse opposta.
Dal testo:
"...C'era qualcosa che sentiva premere per uscire dalla sua mente, un nome, forse un ricordo.
Sapeva che era importante, ma proprio non rammentava. Non riusciva a concentrarsi su altro che non fossero le lievi scosse di piacere che la attraversavano, partendo dalla bocca di lui e poi diramandosi in lei come lampi temporaleschi, intrisi della potenza della tempesta..."
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon Salvatore/Elena Gilbert
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Baci rubati


La vita è fatta di cose straordinarie e allo stesso tempo di cose inaspettate. Ognuno di noi immagina una vita da favola, fa dei progetti che vorrebbe con tutto il cuore realizzare, ma si trova davanti tutto l’opposto di quello che immaginava. Tutto va a finire secondo ciò che decide il nostro destino, che spesso non racchiude nulla di quello che si desidera.
Ma di ogni incontro, o di ogni cosa che è scritto nel destino, nulla avviene per caso.”

(Maria Carmen C.)


...Elena non riusciva a respirare. Lui le stava molto vicino. Abbastanza vicino da toccarla. Sentiva un leggero aroma di acqua di colonia e il cuoio del suo giubbotto. E quegli occhi tenevano incatenati i suoi... non riusciva a distogliere lo sguardo.
Erano diversi da tutti gli occhi che avesse mai 
visto, neri come la notte fonda, le pupille dilatate come quelle di un gatto.
Riempivano la sua visuale mentre lui si chinava su di lei, piegando la testa sulla sua.
Elena si accorse di avere gli occhi socchiusi, la vista sfocata.

Sentì la testa piegarsi all'indietro, le labbra aprirsi..” *



Quando le sfiorò le labbra con le sue, in una domanda muta, lei gli si strinse inconsapevolmente addosso.
Gli allacciò le braccia al collo, le dita infilate fra i morbidi capelli scuri, gli occhi chiusi e il corpo abbandonato alle sue carezze sensuali. Cautamente, eppure senza perdere quel velo d'arroganza che lo contraddistingueva, lui chiese l'accesso al suo palato. Non glielo negò.

Aveva la mente stranamente intorpidita, e qualcosa spingeva per uscire dal buio. Un nome, forse un viso. Solo una forma indistinta nella cappa di nebbia asfissiante che le impediva di ricordare.
Sapeva che era importante, ma proprio non rammentava. Non riusciva a concentrarsi su altro che non fossero le costanti scosse di piacere che la attraversavano, partendo dalla bocca di lui e poi diramandosi in lei come lampi temporaleschi, intrisi della potenza della tempesta.
Come un tarlo, quella sensazione di ansia per qualcuno, o qualcosa, le picchiettava in testa. Cercò di non farci troppo caso.

Si rese conto di essere avvinghiata a lui -ad uno sconosciuto- senza provare alcun timore. Non le parve sbagliato. Le sembrava di aver trovato, finalmente, il posto giusto per se stessa. Il luogo dove doveva rimanere per essere sempre in tana, al sicuro dal lupo.
Lui le accarezzò piano i denti, graffiandole al contempo il labbro inferiore coi canini troppo appuntiti. Un gemito ribelle echeggiò nel silenzio della palestra, un piccolo suono ingigantito dall'eco.

La sua lingua era quasi prepotente, mentre coinvolgeva quella di lei in una scherzosa partita a prendi-prendi; i loro respiri si confondevano fra loro, creando un magico intreccio di aromi, strano ma perfetto nella sua anormalità.
Con delicatezza, si staccò da lei, senza allontanarsi troppo dal suo viso, giocherellando pigramente con una bionda ciocca indisciplinata. Elena gemette di nuovo, lievemente, stavolta di disapprovazione.

-Mi ritengo lusingato dal tuo entusiasmo- la sua voce era un solo un sussurro roco e sardonico, che pareva assordante nella calma silente dell'ambiente. Non gli rispose.

Lei aveva ancora gli occhi chiusi, eppure percepì il suo sorriso. Un bagliore fugace di bianco nell'oscurità, le iridi brillanti come stelle che spiccavano sull'incarnato innaturalmente pallido. Improvvisamente, sentì che quel sorriso diventava parte di lei. Le s'insinuava sottopelle, la confondeva, spiazzandola. Distruggeva le sue convinzioni senza alcuna pietà, con gelida metodicità.

Le respirò piano sulle labbra, il suo fiato fresco che le entrava dentro, accarezzandole le papille gustative.
Sapeva di menta, con un leggero retrogusto che non seppe identificare a inselvatichire quell'aroma troppo domestico per essere associato a lui.

La baciò di nuovo, con foga, la bocca carnosa -vellutata come un petalo- che si muoveva decisa sulla sua in un tango passionale. Le prese il volto fra le mani, stringendo ai lati della testa come per non farla scappare. Come se avesse intenzione di fuggire, poi.
Con i pollici le disegnava, lento, piccoli cerchi sulle guance, in uno slancio d'intimità eccessivo. Sembrava assurdo, visto ciò che stava accadendo, ma un lato di lei se ne sentì infastidito. Il resto era in estasi. La pace dei sensi doveva essere simile a ciò che stava vivendo in quel momento.

Lui si allontanò per farla respirare, separando le labbra dalle sue per appoggiarle sulla mandibola di lei, leggero.
Trattenne il fiato, vinta dalle sensazioni assurdamente forti, poi sospirò rumorosamente. Era affannata, le mani calde ancora intrecciate sulla nuca di lui. Anche il sentore di allarme che aveva provato solo pochi secondi prima -o erano minuti? Ore? Non avrebbe saputo dire da quanto si trovava in quella situazione- era sparito.


Dov'erano, poi? Non lo sapeva.
Non esisteva niente intorno a loro. Erano completamente soli in un universo dal cielo nero come i suoi occhi, un universo a parte dove niente aveva realmente importanza, neanche il suo comportamento libertino (lo definì così in mancanza di un termine migliore) nei confronti di quell'uomo estremamente affascinante ed estremamente scortese. Non si era neppure degnato di dirle il suo nome.

Malizioso, percorse con la punta del naso il profilo del suo volto, dalle tempie al mento, poi più giù, fino a sfiorare piano con le labbra la carotide. Lei gettò il capo all'indietro, istintivamente, permettendogli di appoggiare meglio la bocca.

Contro ogni logica, Elena immaginò cosa sentisse lui. Immaginò la sensazione dei capelli biondi, lunghi che gli sfioravano la fronte, del profumo alla lavanda che gli solleticava piacevolmente le narici, del pulsare accelerato che scaldava l'epidermide delicata, fredda, delle sue labbra, del sangue che scorreva veloce nell'arteria, in una corsa infinita, necessaria per la sopravvivenza. Sentì che lui era consapevole di quella corsa forsennata, consapevole di ogni singola stilla di nettare che le occupava il corpo, consapevole del valore di ogni più piccola goccia, consapevole anche del battito potente e veloce del suo cuore. Le sembrava che fosse lui stesso a renderla partecipe.

Udì un sibilo ben distinto provenire da lui, un soffio d'aria trattenuto fra i denti, non umano e non animale, quasi una mescolanza fra i due. Ne ebbe, per un'infinitesimale frazione di secondo, paura. Poi un flusso di calma innaturale scese a intorpidirle il corpo, a scacciare i suoi pensieri negli angoli più remoti della psiche stanca. Spalancò gli occhi, cogliendo di sfuggita il movimento di lui, poi riabbassò le palpebre. Era sfinita, ma non capiva cosa avesse provocato la stanchezza.

Un dolore improvviso alla gola. Il simil-dormiveglia nel quale era caduta s'interruppe bruscamente. Come due tizzoni ardenti, i denti di lui le trapassarono la carne. Bruciavano, con violenza, senza alcun riguardo la violavano. Si rianimò improvvisamente, improvvisamente i ricordi le invasero la mente come ruscelli di montagna. L'acqua brillante di attimi strappati glieli riconsegnò, ligia al dovere cui aveva mancato.
La palestra. Le misure per la festa di Halloween. Le luci che, di punto in bianco, erano saltate. Bonnie e Meredith sparite per cercare il signor Shelby. La sua diffidenza verso quel...ormai, era certa che non fosse un essere di questa terra, ma non aveva il coraggio di ammettere le sue convinzioni. E poi, Stefan. I suoi bei lineamenti, le sue mani, la dolcezza infinita dei suoi occhi, le morbide labbra diafane.

Elena gridò, cercando di liberarsi, ma lui strinse la presa sui suoi fianchi, impedendole i movimenti.
Lo colpì, cercando di sottrarsi alla gabbia di ferro nella quale l'aveva rinchiusa con le braccia. I pugni e i deboli calci che gli rivolgeva non sortirono alcun effetto.

Era assetato, e lei era ciò che poteva spegnere quella sete. Il concetto le era sorprendentemente chiaro, anche mentre il panico raggiungeva le gambe, il torace, strisciava sulle spalle, immobilizzandola. Percepiva con assoluta limpidezza la sua sofferenza, e il rimedio a questa.
Stava spingendo il dolore verso di lei, dentro di lei, mentre il sollievo lo riempiva, non curandosi dei rantoli disperati del suo pasto.

Elena sentiva il sangue lasciare il corpo, passare a lui con un lento ritmo cadenzato. Impotente, sentiva le forze venir meno. Inerme, sentiva la vita allontanarsi da lei.
Proprio mentre stava per perdere i sensi, lui ritrasse i denti. Inaspettato, veloce, il sangue ricominciò a fluire nelle sue vene prosciugate, facendole girare la testa.

Lei era terrorizzata, il respiro affannato che formava nuvole di condensa nell'aria troppo, troppo fredda. Quel gelo non aveva senso. Non ne aveva.
L'orrore aumentò vertiginosamente, tanto da superare il limite massimo. Tanto da farla quasi impazzire di paura. Gli occhi chiari, sgranati ed enormi d'angoscia, osservavano il viso impassibile di lui senza vederlo veramente. Tremò mentre leccava, quasi languido, un poco del rosso raggrumatosi sul mento appuntito. Il suo sangue. Le lacrime iniziarono a sgorgare, una alla volta, mentre lo shock le impediva di urlare.

Lui spostò le mani dalla sua vita, sostenendole la schiena, in un moto insensato di preoccupazione. Sembrava quasi..ansioso, mentre la prendeva in collo per sdraiarla sulle gradinate di cemento. Si lasciò cadere pesantemente dalla posizione seduta nella quale l'aveva adagiata.
Le rimaneva vicino, chinato su di lei, mormorando parole senza senso, spaventandola ancora di più. Avrebbe voluto gridare, gridare fino a sentire i polmoni strapparsi, gridare fino a farlo indietreggiare. Ma non poteva muoversi, non poteva parlare. Era una bambola in balìa del burattinaio.
Dopo qualche minuto, la voce di lui si fece più comprensibile.

-Diavolo...pensavo di averne preso meno. Dannazione!-..si era raddrizzato di scatto, gli occhi che scandagliavano la stanza e i muscoli tesi, come fosse pronto a scappare.- Dannazione!- ripeté. Era frustrato, pareva quasi allarmato. Con un movimento fulmineo, si portò il polso alla bocca e squarciò la vena. Il liquido cremisi imbrattò la manica della sua camicia, gli macchiò i pantaloni e colò lentamente sulle sue dita.

Avvicinò il taglio alle labbra di lei che, ferma, lo fissava. Il sangue le striò il volto, disegnando sentieri rossi di colpa sulla pelle impallidita. Non capì cosa volesse fare fino a che, insistente, non la obbligò a deglutire. Il sapore metallico di ruggine le invase il palato, mentre una ventata di energia nuova, sconosciuta, le invadeva le membra. Riusciva di nuovo a sentire il suo corpo, le corde vocali.
Provò a dimenarsi, a sottrarsi da quel contatto non voluto, ma lui le bloccò lo sterno, sorridendo.
Strinse le labbra, cercando di non ingoiare, e voltò il viso di lato.

Lui la lasciò, per poi trattenerle le spalle. Era ancora sdraiata sul gradone di cemento.
La guardò negli occhi, intensamente, le iridi nere che si confondevano con la pupilla. La incatenò con corde invisibili di attrazione, mentre scandiva lento le parole, con un accenno di urgenza nel tono di voce.

-Non è successo nulla. Hai aspettato le tue amiche, seduta qui, tutto il tempo. Non mi hai mai visto.- lei cercò di distogliere lo sguardo, ma lui le bloccò il mento in una morsa d'acciaio- No, ascoltami. Non mi hai mai visto. Quando me ne sarò andato, tu andrai a cercare le altre e poi raggiungerai Stefan, capito?- Elena lo guardava, impassibile, ma si sentì annuire.
Lui sospirò.
-Ottimo. Ora, datti una ripulita e vai.- la liquidò con noncuranza, poi si voltò, cominciando ad allontanarsi, ma lei lo stupì con una domanda. Legittima, certo, ma non credeva fosse in grado di formulare un pensiero di senso compiuto, in quell'istante.

-Come ti chiami?- sentiva le pareti della gola secche, affaticate, e la voce le uscì quasi gracchiante e sicuramente spiacevole.
Le lanciò un'occhiata da sopra la spalla, nella semi-oscurità baluginò per un secondo un ghigno inquietante.
-Damon. Damon Salvatore.- per la sorpresa, si strozzò con la saliva. Salvatore.

Udì una risata soffocata, poi più nulla.
Chiuse gli occhi, e un velo di foschia andò a depositarsi sulla sua mente. Occultò tutto ciò che era avvenuto negli ultimi minuti. Lei cercava disperatamente di aggrapparsi ad ogni fotogramma, ad ogni sensazione, ma quelle le scivolavano inesorabili fra le mani, perdendosi nei meandri della memoria.
Quando riaprì le palpebre, lui -lui chi?- non c'era più e un vuoto immenso le occupava il cervello.


Un nome che non rammentava di aver mai sentito le irrompeva prepotentemente nei pensieri.
Damon. Damon. Damon.
Sentiva che c'era qualcos'altro, ma non sapeva cosa. Si concentrò con forza su quelle cinque lettere, fino a che non riuscì a strappare un pezzetto di ricordo alla nebbia.
Salvatore. Damon Salvatore.
Come Stefan.

Elena si toccò la guancia, dove avvertiva un fastidio. Si sfiorò la pelle col polpastrello e la trovò bagnata. Si guardò il dito, per quanto le permetteva il buio, e vide che era colorato di rosa.
Per qualche motivo, sapeva che era il rosso del sangue mescolato al cristallino colore delle lacrime.

Sangue e lacrime. Sangue e lacrime. Sangue e lacrime.

Le due parole, insieme, le rammentavano vagamente qualcosa. Ma era stanca, doveva trovare Bonnie e Meredith e tornarsene a casa.
Si era certamente addormentata mentre le aspettava. Sì, era sicuramente così.
Mentre raccoglieva le sue cose, cercando di convincersi, le luci si riaccesero.

Per un attimo, prima che la luminosità dei faretti l'accecasse, ebbe l'impressione di aver visto un corvo appollaiato sulle travi del soffitto. Un grande, enorme, corvo reale che la scrutava coi suoi occhietti penetranti, neri e insondabili. Occhi che la facevano pensare a qualcuno. Un qualcuno che non ricordava.

Quando guardò di nuovo in alto, il presunto corvo era scomparso.
Sospirò, sconsolata dalla sua pazzia, e andò a cercare le sue due migliori amiche.
Non si accorse del battito d'ali che annunciò il trasformarsi del corvo in un uomo dal volto magnetico. Un uomo che, dopo aver riservato un ultimo sorrisetto alla sua schiena, scomparve nella notte come se non fosse mai esistito.

 

Angolo Autrice:

Buon pomeriggio a tutti voi lettori appassionati ^^
Siete sopravvissuti a questa FF assurdamente assurda? Visto che siete arrivati fino alle Note..direi di sì.
Che posso dirvi?
La situazione è chiara XD I comportamenti altrettanto chiari XD
Del resto, i momenti Delena sono sempre i momenti Delena XD
Loro sono loro, punto. Io non ci posso far nulla, a meno di non andare OOC. E proprio non mi va, perciò...
Nel libro tutto ciò che succede in questa storia non accade. Non ci va neanche lontamente vicino. Però mi sono chiesta come sarebbe andata se Elena non fosse una cocciuta testa di rapa ^^
E sono giunta a questa brillante conclusione, che voi dovrete sorbirvi XD
Non credo sia saltata fuori così male, oltretutto.
Non è che mi lascereste una recensioncina per dirmelo? *occhi da Cocker Spaniel*
Va bene anche un "fai schifo" o un "la prossima volta evita".
Contate anche che è la mia prima volta su questo fandom XD Di solito sono orientata verso la versione cinematografica del libro XD

So04

* Brano tratto dal libro.
Nell'originale, dopo quel momento Elena respinge Damon, ed è da lì che la mia storia inizia a diventare una What if? XD

 

   
 
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