Anime & Manga > Death Note
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Autore: MadLucy    12/02/2013    1 recensioni
Giappone, 2025. Nel vecchio quartier generale dell'SPK cresce una bambina, consegnata quindici anni prima da Mello al suo più acerrimo rivale.
Inghilterra, 2025. Un misterioso studente della Wammy's House parte per il Giappone, portando con sè un quaderno nero e una Shinigami petulante.
Usa, 2025. Un esperimento genetico iniziato nove anni prima, il cui scopo era creare un essere umano dall'intelligenza devastante, ha esito positivo.
Spagna, 2025. In seguito a una serie di barbari e atroci omicidi, una ragazza dagli occhi rossi viene internata in un manicomio.
E Death Note può ricominciare lì dov'è finito.
Genere: Generale, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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epilogo.

Dunque... ringrazio HellGirl96, Maiko e neki niku_dango, coloro che hanno ricordato la storia; Angel666, balim_hnevz, Black98, chiaraelle99, ChibiRoby, Cichan, Devil_Inside, DPotter, Eru Roraito, Isangel, Kira4ever, Maiko, Mars_16, MikuSama, Robthereaper, sbrixi, Skylar87, soniuccia, St_rebel, SuorMaddy2012, Synapsis, Wiamy e yako_chan per averla seguita e Alexiel94, balim_hnevz, ChockyLawliet, Deneuve, Donixmadness, FullmetalBlue13, Gatta Blu, Namine23, Robthereaper e _Eileen per averla preferita. Un grazie speciale a Robthereaper per aver recensito ogni capitolo! Questa storia, miei lettori, è per voi. Ora prego, vi lascio alla lettura.

Epilogo.




Kyoto, 21 Maggio 2030.

Si accingeva a dare una superficiale spazzolata alla chioma bionda, che proprio quel mattino opponeva una tenace resistenza ai denti di plastica del pettine, quando il cellulare attaccò a strillare una musica a tutto volume che la irritò e che si appuntò mentalmente di cambiare nell'immediato futuro. Proveniva da sopra la lavatrice e ciò la stupì; frugò disorientata in mezzo ad un groviglio di asciugamani umidi e t-shirt da smacchiare e finalmente sgusciò fra le sue mani, lampeggiante e scosso dalle vibrazioni. Rammentò d'averlo dimenticato lì mentre faceva il bucato e scrutò sospettosa il display. Ecco, appunto. Craig. Marion accettò la chiamata stringendo i denti, già pronta ad un'eventuale sfuriata.
-Pronto?-
-Ehi, bellissima!-
-Cosa è successo?! Ti prego, dimmi che non sei riuscito a distruggere la macchina nelle ultime dodici ore!- supplicò ringhiando.
Craig scoppiò a ridere. -Tranquilla, è tutto a posto. La tua macchina sta meglio di me. Non te la chiederò in prestito più, se devo essere sottoposto a queste intimidazioni ogniqualvolta ti chiami...-
Marion tirò un sospiro di sollievo. -Grazie a dio. Allora, stai arrivando?-
-Ti chiamavo per dirti che sono qui sotto. Voi siete pronte?-
Marion lanciò un'occhiata preoccupata al suo riflesso allo specchio macchiato di dentifricio, osservando con disappunto l'ammasso di capelli scomposti e arruffati che ricadevano senz'arte oltre le spalle. Poi allungò lo sguardo oltre il corridoio, intercettando con gli occhi una Harmony saltellante dalle lunghe gambe nude sotto l'orlo della felpa color carota che indossava.
-Più o meno... facciamo in un lampo! Dacci tre minuti.- concluse con le sopracciglia aggrottate.
Craig si limitò a sospirare. -O magari venti... fa niente, attenderò con fiducia.-
-Arriviamo fra un attimo.- ripetè Marion in fretta, facendo per riattaccare.
-Ah, sì, Marion?-
-Mmh?-
Immaginò un sorriso increspare le labbra di Craig. -Ti amo.-
Marion non riuscì a trattenere il rossore di piacere che si diffuse sulle sue guance come una goccia di vino sulla stoffa.
-Sì, lo so.- rispose alzando lo sguardo al soffitto. Terminò la chiamata, mollò con malgarbo il cellulare sul ripiano dello spazzolino, afferrò la spazzola e la appese nella chioma, strappando e tirando bruscamente finchè gli occhi non bruciarono di lacrime. Mentre le ciocche scompigliate si lisciavano e volteggiavano leggere ed inerti, arrendendosi all'ordine, iniziò ad accertarsi che fosse tutto a posto.
-Harmony! Ti sei vestita?! Craig ci aspetta giù!-
Le giunse all'orecchio un silenzio esitante, spiazzato. -Ehm... see.- rispose infine la voce di Harmony, asciutta di convinzione.
Marion scosse la testa con aria di rimprovero. -Muoviti.-
Dopo un attento esame decise di lasciare i capelli sciolti. Sistemò un cerchietto rosa carne sul capo e sorrise a disagio alla sua immagine riflessa: un sorriso pallido, quasi la Marion nello specchio s'impietosisse al pensiero di dove l'alter ego sarebbe andata e volesse infonderle un po' di coraggio.
Si riscosse da quell'inquieta malinconia e uscì dal bagno, dirigendosi in salotto. Harmony stava infilando un paio di pantaloni mimetici, i codini fiammanti a sferzare l'aria ai lati della sua testa.
-Hai finito?-
Nel vederla arrivare, l'amica sorrise divertita. -Mio fratello vuole invitarti a cena, stasera.- cominciò con tono insinuante.
Marion scrollò le spalle. -Ah, okay.-
-E farti la proposta. Ho visto l'astuccio del gioielliere ieri sera nella sua giacca.- esplose, come incapace di trattenersi, con un barlume di feroce entusiasmo negli occhi azzurri.
Lei avvampò, sconcertata. -Ma cosa dici... sei proprio una deficiente. Potrebbe essere qualsiasi cosa! Cosa ti dice che sia un...- Deglutì, e il fiato per pronunciare l'ultima parola le mancò.
-Credi che non sappia riconoscere la custodia di un anello?! Fidati, fidati. Vuole mettere su famiglia, quel marpione...- sghignazzò Harmony, cogliendo nell'intera storia qualcosa di estremamente esilarante che a Marion sfuggiva. Lei scosse ancora la testa, con scettica decisione. Non poteva essere... semplicemente, non poteva.
Ma se fosse...?
Il citofono strillò impazzito, segno che Craig si stava spazientendo. Marion decise di rimandare ogni riflessione e di lasciar perdere, per il momento. Dopotutto, Harmony poteva anche esserselo inventato per farle pigliare prima un infarto e poi un'infantile delusione. Era proprio nel suo stile, in effetti, fare uno scherzo tanto spietato.
Harmony infilò distratta il suo giubbotto di jeans e Marion fece lo stesso con un piumino avorio; poi avanzò in corridoio e picchiettò con le nocche sulla superficie di una porta.
-Emi? Ci sei? E' ora di andare.- chiamò.
All'interno della camera, una ragazzina sollevò lo sguardo dal libro di biologia e lo spostò verso l'orologio da polso, realizzando di avere perso la concezione del tempo. Si alzò in piedi lasciando tutto com'era, il libro aperto e l'evidenziatore abbandonato nella rilegatura delle pagine, così da poter riprendere il lavoro appena tornata a casa; aggiustò con un gesto rapido la sua lunga coda di cavallo corvina e si diresse verso la porta, una giacca celeste stretta in una mano. In corridoio, Harmony e Marion la aspettavano.
Le guardò con gli immensi occhi senza fondo, gli stessi occhi che Marion tanto aveva amato e si era abituata a rivedere ogni giorno anche dopo la morte del suo tutore, da quando Emi era stata prelevata dal laboratorio genetico ed aveva deciso di restare ad abitare con loro dopo la cattura di Kira. Ormai non era più una gracile, silenziosa bambina di nove anni, ma una quattordicenne alta e graziosa che portava i capelli lunghi ed andava a scuola nell'istituto poco lontano. Marion l'aveva lasciata libera di scegliere, e lei aveva deciso di non farsi mancare nessuna delle esperienze che ogni adolescente affrontava a quell'età ed aveva accettato. A scuola eccelleva spaventosamente, com'era ovvio, e avrebbe potuto tenerle lei le lezioni, ma non era per imparare che ci andava. Si era fatta diverse amichette, sebbene continuasse a preferire gli indovinelli e i rebus.
C'era una sorta d'interrogativa attesa in sospensione nel suo sguardo immobile e inflessibile.
-Andiamo?- domandò, mentre la pallida fronte si corrugava sotto la frangetta mora, quasi aspettandosi un no come risposta.
Marion annuì con il capo e, con la solita risoluta stanchezza con la quale aveva sempre affrontato la nostalgia dell'eternità, precedette le altre verso l'ascensore che le avrebbe condotte al piano terra.


Sotto le suole la ghiaia sibilava a bassa voce scricchiolii di pietra rotta, nelle orecchie una brezza fugace sospirava le sue storie senza trama intinte di nostalgia palpabile. Il silenzio era calato con l'ineluttabilità compunta d'un ordine silenzioso ma inderogabile, e nessuno fece intendere di volerlo contrastare. Le parole erano fuggite dalle loro labbra, sostituite dai pensieri duri e gravosi che scorrevano difficili negli occhi meditabondi. Le lapidi erano troppe, e davanti all'evidente inesorabilità della morte nessuno osava parlare. L'atmosfera impregnata di malinconia e rispetto si trascinava viscosa fra i viali sterrati del cimitero, colmando le narici dei presenti e inoculando negli animi quella stagnante opprimente compassione per i morti, i vivi e sè stessi.
Marion avanzava con un coraggio freddo ma logoro davanti alla prospettiva di doversi voltare di nuovo indietro, a scrutare quel passato come una pozzanghera di pece. Non temeva più di rimanerne sconfitta, ma era una ferita lunga e instabile quella che i ricordi stuzzicavano armati di rasoio e realtà. Era esausta, però non poteva risparmiare quelle poche gocce di sangue ed energia che il dolore le stillava dalla carne e rifiutare di fare visita ad una delle persone più importanti della sua vita.
Cercò di non pensare a nulla mentre procedeva a passo lungo e fermo, ma era suggestionata troppo dall'esile figura di Emi a camminare accanto a lei, dai suoi occhi d'ombra tondi e indecifrabili. Le aveva procurato un duro colpo ed insieme una sommessa commozione riconoscere Near nei più semplici, comuni gesti di vita quotidiana della sua figlia legittima. Ora le sembrava che quel qualcosa che la morte di Near aveva strappato alla sua vita fosse stato, in parte, recuperato. Perchè l'anima nera e magnanima del suo tutore scintillava acuta in quegli stessi occhi che Emi sembrava quasi avergli rubato.
Marion aveva vissuto anni di serena, piatta felicità e ne pretendeva molti altri. Un giorno Kira sarebbe tornato, magari, perchè è impossibile che non venga versato del sangue dove appare un Death Note. Però non lì, non in quel momento, non lei. Altra gente, altre vite. Un'altra era.
Era venuto il momento di tributare le lacrime che doveva al suo passato ed a quella storia sorta e affogata negli omicidi, nella quale aveva fatto una comparsa breve eppure decisiva.
Un libro chiuso da sfogliare, una leggenda macabra da raccontare. Gli altri la seguivano, una processione di silenziosi perchè comprendevano di non comprendere.
Sorrise con nostalgia davanti ad una lapide adamantina, colpita dalla luce sbiadita e polverosa di un sole assorto. Marmo bianco venato di grigio e azzurro, una dignità altisonante e diritta nella sua eleganza asciutta e disadorna. N. Una lettera, una vita seppellita ai ciechi occhi di un mondo ignaro e indegno.
N. Le persone che avrebbero saputo dire a chi apparteneva quella lapide si potevano contare sulle dita di una mano.
Non è giusto, pensò Marion. E ancora: troppe cose non sono giuste. Emi, al suo fianco, le strinse delicatamente la mano come intuendo i suoi pensieri. Le sue dita bianche e sottili erano tiepide al tatto e la sua presa era gentile e partecipe. Marion rispose al gesto imitandola, mentre quell'unica lettera incisa nel marmo diveniva troppo gravosa da sostenere con lo sguardo.
-Eccoci qui, anche quest'anno. Tu l'avresti voluto, vero? Avresti voluto così.- La voce raschiò dolorosamente la gola otturata delle stesse lacrime aspre che premevano all'altezza delle sopracciglia contro le palpebre, ed uscì sottile e roca. Fissò con insistente aspettativa il marmo, nell'insfaldabile speranza che ovunque Near fosse l'avesse udita e sorridesse il suo sorriso raro e prezioso. Avrebbe dovuto conoscerla, sua figlia. Emi, che avrebbe potuto fare parte della sua vita ed era arrivata troppo tardi, contrasse le labbra alle parole di Marion. Le emozioni erano state una novità amara per lei, e nonostante con gli anni si fosse rassegnata all'idea che ogni essere umano poteva e doveva combattere il malessere disordinato, inquieto e faticoso che a volte travolgeva e frastornava il suo animo, non riusciva ancora a dosarle, controllarle e valutarle come avrebbe voluto, come sapeva fare con la trigonometria e la grammatica russa.
Entrambe avvertivano l'urgenza dolorosa di piangere, ma nessuna delle due lo fece perchè non sarebbe servito a nulla.
Marion si chinò e posò sul prato fresco di verde squillante, ai piedi della lapide, un piccolo giglio bianco che dondolò leggiadro nell'aria prima di posarsi con la ineguagliabile grazia delle farfalle al suolo, impigliandosi fra gli steli d'erba. La ragazza sorrise con forza, piegando la malinconia, e Emi tentò di fare lo stesso. Nei suoi occhi si agitavano troppe domande, troppi dubbi.
Marion si rendeva conto che, pur essendo sua figlia biologica, di lui non sapeva praticamente nulla e non l'aveva mai nemmeno incontrato: cercava perciò di rispondere a tutti i suoi interrogativi, la esortava a chiedere ogni cosa le interessasse sapere, le raccontava tutto ciò che poteva. Ma la verità era che Near era troppo imperscrutabile per essere oggetto di analisi e descrizioni, e c'erano domande alle quali Emi non avrebbe mai trovato risposte. La capiva.
Spostò lo sguardo verde salvia sul piccolo memoriale accanto, dedicato a M. Sorrise con maggior serenità, pensando all'uomo che stava imparando a conoscere attraverso i ricordi ed i racconti degli altri e riconoscere in sè stessa. Stava costruendo con pazienza l'intero passato di Mihael Keehl, alla ricerca della sua anima, alla ricerca di lui. Dalla nascita alla Wammy's House a Kira. Tutto. Molte persone, fra cui Linda, la madre di Craig e Harmony, si era dimostrata disponibile a parlarle di Mello.
Nella sua tasca, giaceva una pistola scarica. Alla quale è attaccato un rosario di pietre nere, pensò intenerita fra sè. E fu felice, felice, di non aver sparato quel dannato giorno in cui si era ritrovata il male davanti ed aveva trovato la forza di voltargli le spalle. Non perdonare, non dimenticare. Voltare le spalle.
-Sarebbero felici di vederci insieme.- commentò Marion, lanciando un'occhiata ad Emi. -Dopotutto, penso che si fossero riappacificati.-
Tante cose durano per sempre, pensò, ma non l'odio. Non l'odio. Avvolse la mano di Emi con la sua, forte.
-Pace.- mormorò Emi, come se sentenziasse un'imposizione al futuro, come se stringesse una promessa con il destino.

Vienna, 21 Maggio 2030.

Un prolungato, metallico biiip annunciò che qualcuno aveva accesso al sotterraneo del carcere di sicurezza di Vienna. E il detenuto speciale della cella numero 113 sapeva anche chi era, il misterioso visitatore, semplicemente perchè la stessa persona si presentava lì da due anni allo stesso giorno alla stessa ora d'ogni mese.
Una figura ammantata di nero, un lungo soprabito a svolazzarle insistentemente fra le caviglie e un cappuccio calato sul volto, scese le alte e ripide scale tonando passi svelti ad ogni gradino lucido d'umidità, infrangendo il silenzio sepolcrale che fino ad un secondo prima gravava nelle gallerie. Molti dei prigionieri che sonnecchiavano svogliatamente dentro le loro celle si scossero ed affacciarono alle fessure sbarrate sulle grosse porte blindate, nel vano tentativo di intravedere l'ormai abituale visitatore: ma era troppo denso e fuligginoso il buio che soffocava il sotterraneo, troppo scuro ed indefinibile il suo mantello per riuscire a distinguere la persona che lo indossava, troppo stretta la finestra a loro disposizione verso i corridoi infestati di nebbia buia ed odorosa di muffa. La figura proseguì, sfilò spedita davanti ad una serie di celle e poi, ad un angolo, svoltò a sinistra. Ancora avanti. Il suo passo era affrettato, breve, quasi nervoso. Il soprabito si gonfiava alle sue spalle, i tonfi sonori e attutiti dal buio delle calzature contro il pavimento tracciavano il suo percorso e si perdevano urtando le pareti ed il soffitto.
Arrivato davanti alla cella numero 113, il visitatore si fermò d'un tratto. Rimase un attimo lì davanti, fermo in piedi, il suo sguardo nascosto dal cappuccio a fissare la porta.
Il detenuto della cella 113 sogghignò. -Sei in ritardo di nove secondi.- Era un appuntamento, ormai.
La figura s'inginocchiò a terra, nella stessa posizione che dall'altra parte della porta anche il prigioniero assumeva, così che il suo volto fosse all'altezza della fessura attraverso la quale due occhi castani la osservavano sarcastici. La figura lasciò scivolare il cappuccio: una chioma di folti capelli azzurro cielo, dai ciuffi irregolari, fu scoperta e ricadde contro il mantello nero.
-Stai diventando sempre più patetico.- commentò con voce incolore.
Lawrence si passò una mano fra i capelli biondi, spettinandoli. -Già. E' la monotonia, L. Queste pareti ormai mi stanno strette, e ci sono solo i miei noiosi pensieri a distrarmi... potrei descrivere questa stanza con la stessa precisione di chi l'ha costruita, non scherzo. Ho iniziato anche a contare le piastrelle, a dire la verità, ma ho fatto un segno fin dove sono arrivato perchè mi sono stufato, ad un certo punto. Per tua informazione, l'ultima che ho contato era la trecentosettantotto.-
-Smettila con questi melodrammi, Yagami, come se la colpa fosse mia. Se sei qui dentro, c'è solo una persona responsabile.- L lo fissò con i suoi occhi bicolori, con seccata severità.
-Non sono completamente d'accordo. O almeno, non sono stato io a chiudermi in una cella muffosa di tre metri per tre. Diciamo che non ce la faccio proprio, a perdonarti.- si lagnò Law, con un'espressione placida. L scosse la testa, accigliata.
-Ricorda che era la condanna a morte ad attenderti dopo l'arresto. Se non fosse stato per me, a quest'ora staresti ad annoiarti in una bara dieci metri sotto terra. E' stato patetico quanto infruttuoso sperare in una tua redenzione, o qualcosa di simile... non sei cambiato per niente. Il tuo pensiero non è cambiato. A nulla sono serviti questi cinque anni di reclusione, e chissà se altri cinque serviranno... spiegami a cosa è servito tenerti in vita, allora, Yagami.-
Law la osservò negli occhi bicolori, quello pallido e argenteo e quello scuro e buio, e premette il viso contro la grata rugginosa della finestrella. Le sfiorò fugacemente le labbra attraverso essa; L non si ritrasse ma sostenne il suo sguardo, come in un gioco di sfide e audacia. Il contatto delle loro labbra fu impercettibile ma inequivocabile, nonostante la coltre d'oscurità che li avvolgeva. 
-Oh, ma non c'è alcuna ragione nobile... tu mi hai salvato per tuo capriccio, L. Perchè ti sei invaghita di me. Anche le eroine hanno le loro debolezze... le loro frivolezze... anche loro sono umane, in fondo, ed umano è il loro gretto desiderio. Cosa sarei, cara la mia detective, il tuo gingillo? Il tuo trastullo?- Sorrise sprezzante.
L ricambiò il sorriso tristemente. C'era qualcosa di vero in quello che lui diceva, ma la devastante religiosità di quel prepotente sentimento, stucchevole di acerba e infantile ingenuità, non si poteva liquidare con tale impietosa arroganza, con tali condiscendenti parole. L non aveva mai rinnegato sè stessa, nemmeno quando aveva scoperto di non riuscire a consegnare Kira al boia, di gradire il contatto caldo e vibrante del suo respiro sul viso.
-Un giorno non ti accontenterai più di baciarmi, Lisbeth.- sussurrava il ragazzo, con il cipiglio indolente e serafico dei veggenti. -Un giorno mi farai evadere, e io attenderò finchè non arriverà.-
-Attendi, attendi. Se preferisci convincerti di queste fantasie per avere ancora qualcosa in cui sperare, nessuno può proibirtelo.- L inarcò le sopracciglia divertita.
Ormai quelle visite troppo rare e brevi, che si faceva violenza per ridurre ad una al mese e basta, erano continuo oggetto di riflessione e ossessioni incomprensibili se non adducendovi come causa febbre e follia. Sognava il suo sorriso, sognava le sue dita. Attraenti incubi che le toglievano il fiato e la ragione al mattino. 
-Il tempo darà ragione ad uno dei due.- Law allungò l'indice oltre le strette sbarre e le sfiorò il labbro superiore, il suo sguardo magnetico una ragnatela rappresa del sangue di troppe vittime. L pensò a Rowena, suicidatasi due settimane dopo l'arresto. Si era strappata gli occhi e aveva aspettato una morte esasperante e miserevole, che non sarebbe augurabile neanche nei confronti del proprio peggior nemico. L ricordò la frustrazione paralizzante e torbida che le aveva assalito le braccia inerti e al morso che le aveva chiuso lo stomaco alla visione di quel cadavere straziato dalle sue stesse mani, imbrattate di un copioso viscido rosso.
-Tu marcirai per tutto il resto della vita in questo buco schifoso, Yagami.- pronunciò beffarda lentamente, incidendolo con gli occhi.
-Lo vedremo.- ripetè Law con voce mellifua, carezzandole lascivo una guancia. -Finchè la mia carceriera resti tu, nulla è perduto.-
L ghignò, davanti alla sua invincibile sfacciataggine. -Stai zitto.-
Riaccostò le labbra a quelle di Kira ed entrambi tacquero, soffocati dalla potenza disarmante ed implacabile di quel qualcosa più grande di loro che, in un'altra situazione, in un altro posto e in un'altra epoca, altre persone avrebbero definito amore. In quell'istante dilatato ed impigliato nel punto più sottile del collo della clessidra, lo giudicarono solamente l'alchimia ribelle di due elementi destinati a respingersi ancora prima di nascere.



Mondo degli Shinigami, 21 Maggio 2030.

Molto, molto lontano da lì due Shinigami pensosi erano affacciati al buio, invitante portale che conduceva al mondo degli umani.
Uno dei due, con un sospiro che somigliava ad uno sbuffo, addentò un frutto grigiastro ed avvizzito. L'altra sollevò gli occhi, apatica.
-Mmh. Buona?-
-Proprio no. Fa schifo.- bofonchiò l'altro dio della morte, fissando con sguardo truce l'odiosa merenda. -Come mi mancano le mele, accidenti! Non hai idea di quanto fossero deliziose... rosse, lucenti, succose... Non hai proprio idea.- Scosse il capo, disintegrando quella fantasia con rassegnata stanchezza.
-Oh sì, che posso.- ribattè la Shinigami laconicamente.
-Cosa? Anche tu sei scesa nel mondo degli umani?- si stupì Ryuk. Lei annuì con il capo, malinconica.
-E cosa ti manca di più, Rail?- domandò ancora lui, lieto di avere trovato qualcuno che potesse capire la sua nostalgia.
Rail aveva un'espressione insondabile. Un volto le attraversò la mente, un ricordo troppo lontano e troppo prossimo; e ricordi erano anche le emozioni che aveva provato quel tempo, capaci solo di sfumarsi in un vortice di atroce, alienante nulla.
Sorrise, una smorfia di infelice amarezza che fece rabbrividire Ryuk.
-Vorrai dire chi, Ryuk.- concluse Rail in un sussurro, mentre mentalmente scriveva la parola fine al termine dell'ultimo capitolo di quella storia e ne chiudeva con le unghie lunghe il libro.















Fine.



































Note dell'Autrice: Ed ecco a voi il finale, cari lettori. Con questo epilogo la storia si conclude. ^-^
E sì, Marion e Craig si sposano. Non potevo mancare di confermarvelo! *-* Come potete vedere, è stato dato un nome alla figlia di Near (ovviamente!): Emi in giapponese significa bellissima benedizione, se non sbaglio. Anche Law può dirsi contento, in fondo lui ed L hanno il loro lieto fine. L'idea di concludere la storia con un accenno a questa eccentrica relazione, senza specificare come potrebbe evolversi, mi intrigava un sacco, così l'ho fatto. ^-^ Volevo scrivere un finale che chiarisse bene alcune cose, ma fosse anche aperto, sotto altri aspetti. Che lasci anche spazio all'immaginazione del lettore. Le uniche che non possono dirsi troppo soddisfatte del finale della storia sono Rowena e Rail. Inizialmente avevo pensato di aggiungere la scena del suo suicidio nel capitolo precedente, poco prima che la arrestassero, ma così sarebbe risultato esageratamente lungo e non avrebbe avuto nemmeno troppo senso, che una si ammazzi così. Ma che dovesse morire, purtroppo, era già in programma da un po'. Oh, non credetemi insensibile, eh. Sono pur sempre i miei personaggi, mi spiace farli soffrire, però! Però qualcuno doveva.
Rail invece, come tutti gli Shinigami, non poteva proprio restare lì. Doveva tornare al suo mondo. Però ho voluto che l'estrema conclusione fosse la sua amareggiata malinconia, perchè questa storia a causa sua è iniziata e con lei doveva finire. Che dire, Law le manca. T.T Poooovera Rail.
Con questa lunga nota volevo rifarmi per tutte le volte che vi ho un po' trascurati, miei adorati lettori! Spero che questo finale vi sia piaciuto e vi sia sembrato adeguato. Se qualcosa non vi sembra giusto/non vi va a genio/non vi soddisfa potete insultarmi a piacimento con l'ausilio delle recensioni. La vostra opinione ha grande rilevanza per me!
Grazie mille per avere letto fin qui, per me è stato molto importante il vostro appoggio. Adesso che è giunto il momento di lasciare i personaggi proseguire per la propria strada, senza più rendervi note le loro avventure, la malinconia è inevitabile. Anche per voi è così?
Mi interesserebbero molto delle vostre opinioni conclusive sulla storia... personaggio più simpatico? Più odioso? Robe così. 
Grazie, grazie mille volte ancora. Spero che qualcuno sia disposto a lasciarmi un'ultima recensione. ^-^
Lucy
ps: I capitoli di questa storia sono ventuno. Ventuno. Come il giorno della morte di Near.
Spaventoso. o.o Non l'ho fatto apposta, chiaro. Non sono così macabra. XD
  
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