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Autore: Marceline    14/02/2013    1 recensioni
Ma Athos non ascoltò nemmeno una sillaba di quello che d’Artagnan stava raccontando tutto trafelato. Si perse a guardare le labbra piene, il labbro inferiore leggermente più sporgente, labbra rosso cremisi che erano più adatte ad una duchessa che ad un aspirante moschettiere.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia la dedico al mio ragazzo
È grazie a lui e la sua dolcissima storia
se la mia qui sotto è stata scritta
Buon San Valentino

 
 
 
 


 
Athos osservava la giornata trascorrere attraverso la finestra del salone. Era da quando aveva sconfitto e ucciso quell’inglese che non muoveva un dito per fare qualcosa. Aveva donato anche le pistole dell’inglese ai suoi lacchè, senza nemmeno pensarci due volte. Non poneva il minimo problema al cercare l’equipaggiamento per la campagna pressappoco imminente.
Grimaud bussò leggermente alla porta, com’era suo uso per non disturbare il padrone. Ovviamente Athos non rispose, completamente immerso nelle sue riflessioni, mezzo stravaccato sul divano imbottito. Il lacchè fece capolino, il busto mezzo nella sala e le gambe fuori. Sapeva che in quei momenti, disturbare il padrone, era altamente rischioso.
« Padrone, d’Artagnan è venuto a farvi visita » Disse sommessamente il servo.
Athos, al sol nominare d’Artagnan, impallidì e riprese colore con una velocità preoccupante. Fece un cenno affermativo a Grimaud e poi prese un respiro profondo, cercando di darsi un tono.
Il guascone entrò in gran carriera nella stanza: le guance arrossate e gli occhi luminosi. Athos si preparò a subire un racconto dettagliato della bellezza di Milady, della bontà della cameriera Ketty e del dolore procuratogli dalla scomparsa della signora Bonacieux. Athos si chiese come un ragazzo di a stento vent’anni potesse stare dietro a tante donne contemporaneamente. Arrossì da solo al suo pensiero e tossì, cercando di soffocare la propria gelosia.
« Mio caro amico, a cosa devo l’onore? » Athos si mise a sedere compostamente sul divano, con un cenno invitò il ragazzo a fare lo stesso. D’Artagnan gli sorrise – oh, che sorriso! – e si sedette al suo fianco, abbandonando il cappello con l’unica piuma floscia sul bracciolo del divano. Si passò una mano tra i capelli ispidi e ribelli e richiamò a sé le forze: doveva aver corso fino a lì.
« Non potete capire, Athos! Ne sono successe così tante, sentite! » Gli occhi di d’Artagnan erano giunti al massimo dello sgranamento. Athos rimase in silenzio, com’era solito fare, e attese che il ragazzo iniziasse a parlare. D’Artagnan non ebbe bisogno di altri inviti per iniziare a raccontargli nei minimi dettagli la vendetta che aveva preparato per Milady.
Ma Athos non ascoltò nemmeno una sillaba di quello che d’Artagnan stava raccontando tutto trafelato. Si perse a guardare le labbra piene, il labbro inferiore leggermente più sporgente, labbra rosso cremisi che erano più adatte ad una duchessa che ad un aspirante moschettiere. Gli occhi erano di taglio piccolo ma le iridi, di un colore così chiaro e cangiante, erano così immense da divorare il bianco che le circondava. La carnagione chiara, quasi lattea, nivea, si sposava perfettamente con le guance quasi sempre rosse, a volte colorate per l’imbarazzo, la rabbia o dalla vergogna della sua poca cultura. E poi c’era quel nasino infantile, che sembrava essere lì solo per ricordare quanto fosse piccolo, innocente e guascone quel ragazzo.
« Allora, Athos, me lo date un consiglio? Non so a chi appellarmi, se non a voi. Sapete che vi considero come il mio padre parigino e nobile! » D’Artagnan fu colto da uno slancio d’affetto, causato dalla narrazione di tutti quei fatti pieni di intrighi e amori falsi, e prese le mani di Athos tra le sue.
La pelle ruvida e fredda strideva contro quella morbida e incandescente. Le mani di d’Artagnan erano il suo perfetto ritratto, morbide e focose esattamente come il ragazzo.
Athos restò stordito in un primo momento, poi la consapevolezza lo colpì in pieno. Non era proprio per d’Artagnan che era in raccoglimento da giorni? Non era l’unico che volesse incontrare, evitando addirittura Porthos e Aramis? Era per colpa – colpa per così dire – di quel giovane guascone se passava giornate intere a rievocare alla mente gli occhi perfetti, vispi, limpidi e pieni di screziature. Colpa sua se erano giorni che stava male, covando gelosia su gelosia, per colpa di quella donna o quell’altra donna. E quello? Quello non era il momento adatto per dichiararsi?
Ma come al solito qualcosa lo fermò. D’Artagnan lo vedeva come un padre, una persona da prendere come riferimento, non qualcuno con cui passare una notte d’amore. Qualcuno a cui dedicare parole dolci e da vendicare per il minimo torto recatogli.
« Athos, state bene? » D’Artagnan si sporse ancora di più verso di lui, in modo tale che quasi poteva contare quelle piccole e leggere lentiggini spruzzate sul naso e sugli zigomi. Athos si diede dello sciocco per essersi dimenticato di rispondere a d’Artagnan. Ma cosa poteva rispondergli se nemmeno sapeva di cosa stesse parlando il ragazzo? Come poteva giustificare che sapesse quante volte si era toccato i capelli, strizzato gli occhi e arricciato il naso, quando non sapeva nemmeno una parola che il giovane avesse pronunciato da quando aveva varcato la soglia del suo salone?
« Non troppo, d’Artagnan. Sto male, sono giorni e giorni che sono in questa profonda convalescenza » Athos decise di non mentire più, ma nemmeno di dire la verità. Quindi optò per la bugia più veritiera che aveva potuto trovare.
« Perdio, ancora la spalla? O qualche ferita infertavi dall’inglese? » D’Artagnan, con la sua solita innocenza, prese a tastare il braccio che fino a poco tempo prima era fuori uso. Athos si compiacque della preoccupazione che il guascone provava nei suoi confronti. Una cosa alquanto sadica, ma al cuore non si comanda.
« Magari, mio caro d’Artagnan! » E Athos si diede la pena di assumere un tono afflitto. « È un male intenso; un male all’anima del quale non posso parlarvi »
D’Artagnan aggrottò le sopracciglia e rimase ad osservare il suo amico. Dapprima fu confuso, incapace di capire il perché di quel dolore dato che di problemi di cuore, Athos non doveva minimamente averne: stava ben lontano dalle donne. Poi si sentì offeso. Offeso perché lui gli diceva tutto, compresi i più immorali sotterfugi che era costretto a fare. Considerava d’Artagnan un indegno confidente? L’animo guascone e perciò irruento del ragazzo, gli impose di allontanare le mani da Athos e di alzarsi in fretta dal divano, agguantando il cappello fino a poco prima abbandonato. Athos si rizzò come un fuso, sconvolto dalle mani di d’Artagnan che lo abbandonavano.
« Signore, allora vi prego di scusarmi. A quanto pare non sono degno delle vostre confidenze, non verrò più ad annoiarmi con le mie. Buona serata e buona vita, addio! » Ma il ragazzo non fece in tempo ad infilarsi il cappello che l’uomo gli prese una mano, completamente pallido in volto.
« Vi prego, non ve ne andate! Il mio cuore ne risentirebbe da morire, se lo faceste » Gli occhi di Athos erano così profondi e pieni di dispiacere che bloccarono d’Artagnan. Il ragazzo si sedette nuovamente sul divano e attese che Athos parlasse.
Athos era un uomo di poche parole, una persona che aveva avuto così tanti problemi in passato da essere apposto per il resto della propria vita. Ma non voleva rischiare di perdere d’Artagnan, il suo unico amore che gli riempiva la testa dalle prime luci dell’alba fino alle ultime del crepuscolo. Se non avesse parlato, lo avrebbe perso, se lo avesse fatto anche. La possibilità che d’Artagnan ricambiasse era così remota che Athos nemmeno ci sperava più da tempo.
« Vi parlerò di ciò che mi addolora, ma vi avverto, ciò potrebbe addolorare anche voi » Athos conosceva d’Artagnan abbastanza da provare pena per lui, e questo lo rattristava ancora di più.
« Amico mio, sarei felice di dividere le vostre pene in modo tale da alleggerire di un poco il vostro cuore » E il sorriso con cui accompagnò con queste parole, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
« Sono innamorato di voi, d’Artagnan » Gli occhi liquidi di Athos non si erano staccati da quelli puri di d’Artagnan mentre aveva parlato.
La reazione di d’Artagnan fu diversa da quella che si aspettava Athos. L’uomo si aspettava delle domande, uno schiaffo, una sfida a duello o una risata fragorosa. Invece d’Artagnan rimase immobile, senza proferire parola, sbattere le ciglia o semplicemente respirare.
Athos si alzò dal divano e prese a passeggiare nervosamente avanti e indietro, mangiucchiandosi nervosamente le dita di una mano. Dopo aver passeggiato per buoni cinque minuti, si girò a guardare d’Artagnan: era una statua di sale. Athos non resistette, si avvicinò e s’inginocchiò ai piedi del ragazzo, posando le mani sulle gambe dell’altro. Ma quello non lo guardò nemmeno, perso com’era a fissare il vuoto. Allora fu ancora più audace, gli prese il mento tra due dita e lo voltò verso di lui.
« Vi prego, d’Artagnan, dite qualcosa, qualsiasi cosa. Anche un insulto o un invito a duello! » La disperazione nella voce di Athos era tangibile. Anche il guascone se ne accorse, nonostante il suo stato di catalessi, e cercò di tornare in sé. Si schiarì la voce e si passò nuovamente una mano tra i capelli.
« Athos, » la voce era così flebile da essere a mal’appena udibile « vi siete accorto che io sono un uomo? »
D’Artagnan volse lentamente lo sguardo su Athos. Ora quello in catalessi era l’uomo, bloccato dalla semplicità della domanda del ragazzo. Athos era diviso tra il ridere e il piangere. Optò per la prima opzione e scoppiò a ridere, reggendosi alle ginocchia di d’Artagnan che cercava di calmarlo con dei leggeri colpetti sulla schiena.
Athos finì la voce per ridere e, con una lentezza disarmante, si avvicinò al viso del ragazzo, così vicino che i loro nasi erano a meno d’un filo d’aria. Gli occhi ambra dell’uomo si fusero con quelli cielo del ragazzo.
« Con tutto il tempo che ho speso a guardarvi, secondo voi, potrei non aver notato che siete un uomo? Secondo voi, non riconoscerei il vostro tono di voce leggermente roco e maschile? E allora che mi dite della vostra barba, ancora giovane e appena visibile? Del vostro petto glabro ma ampio e delle vostre mani grandi e morbide? Diavolo se sono consapevole che voi siete un uomo! »
Il petto si gonfiava e sgonfiava in fretta, le gote cremisi e gli occhi lucidi: ecco a cosa si era ridotto Athos. Il ragazzo era semplicemente abbacinato da quelle parole. Era così che si sentivano le donne? Lusingate da tutte quelle attenzioni, quei particolari insulsi che diventano ragione di vita per chi li guarda così scrupolosamente?
« Athos, gli uomini non si amano » D’Artagnan voleva suonare risoluto, ma quella anziché che un’affermazione, voleva essere una domanda. Cosa ne sapeva lui dell’amore? Lui, che un giorno amava una duchessa, quello dopo una merciaia e quello dopo ancora una cameriera? Cosa ne sapeva lui di tutte quelle emozioni che Athos stava provando?
« Amore mio, non siate così dispiaciuto » Athos azzardò da morire a chiamarlo in quel modo, ma aveva atteso troppo per farlo e ora che d’Artagnan sapeva tutto, non poteva più resistere « Perché il nostro amore dovrebbe essere meno giusto di quello tra un uomo e una donna? »
D’Artagnan era oltremodo frastornato. Non sapeva più cosa pensare. Cercò di fare chiaro nella sua mente e di ragionare lucidamente. Tutte le volte che sentiva la necessità di parlare con Athos, di avere la sua approvazione, tutte le volte che provava quel piacere immenso a passare del tempo con lui. Ogni volta che si abbracciavano fraternamente, quando voleva a tutti i costi essere di bell’aspetto per far piacere ad Athos... Era anche lui innamorato?
« Athos, io non so se vi amo... Il mio cuore appartiene a- »
« Non dite alla signora Bonacieux, a Ketty o, ancora peggio, a Milady! Le vostre non sono altro che infatuazioni. E sono convinto che esistano soltanto perché siete convinto che è giusto amare una donna. Non meriterei più io, il vostro amore? Io che so tutto di voi e che vi amo in tutto e per tutto, negando ogni vostro singolo difetto! » La voce di Athos era carica di passione e fervore, pronto a lottare per il cuore dell’uomo che amava.
D’Artagnan non sapeva cosa rispondere di nuovo. Non poteva dare conferma al povero Athos; era così confuso che avrebbe anche potuto dire il contrario di quello che voleva. Aveva solo bisogno tempo per riflettere, allontanarsi da tutto e tutti, proprio come aveva fatto Athos per capire se lo amasse o no.
« Devo andare, spero a presto » E sparì, lasciando il cappello sul bracciolo del divano.
 
Passò così una settimana. Athos veniva consumato dalla febbre giorno dopo giorno, abbandonato nel suo letto, con solo il cappello di d’Artagnan da stringere. Aramis e Porthos passavano a trovarlo spesso, magari portandogli qualche buon brodo di gallina o di vegetali. Ma Athos non mangiava, chiedeva notizie del guascone e basta. I due moschettieri rispondevano che non lo vedevano da qualche giorno e che ogni volta che passavano da casa sua non c’era.
I due moschettieri non sapevano cosa pensare. Non avevano idea del comportamento strano dei loro due migliori amici. Così si limitavano ad accudire Athos e ad andare a casa di d’Artagnan nella speranza di trovarlo.
D’Artagnan, al contrario di Athos, passava giornate intere fuori casa, a volta si fermava anche in qualche locanda per la notte. Cavalcava per ore: attraversava ponti, s’insinuava in vecchie stradine disusate, passava per città e per campi. Ogni volta che trovava un confortevole riparo dal clima sgradevole, si fermava e si sedeva e restava lì per il resto del tempo, finché non si faceva notte e iniziava a starnutire.
Pensava e ripensava a tutte le parole che Athos gli aveva detto, soffermandosi ogni volta su dettagli diversi. Rivisitava frasi, i pro e i contro di qualsiasi eventualità, ogni minimo dubbio veniva analizzato e spiegato.
Il settimo giorno da eremita di D’Artagnan non fu diverso dagli altri. Era seduto all’ombra di un vecchio melo, il prato secco che gli solleticava le gambe attraverso il tessuto leggero dei pantaloni. Con la testa appoggiata al tronco, rifletteva come al solito sulle frasi di Athos. Ma dopo un quarto d’ora si rese conto del cambiamento del suo battito cardiaco.
Non stava pensando alle frasi, non stava analizzando situazioni ipotetiche; si era perso a pensare alle labbra sottili di Athos, allo sguardo pieno d’ardore, alle mani che avvolgevano le sue in un modo protettivo e pieno d’amore. Pensò al suo tono di voce dolce, ripassò per bene le parole “amore mio” e arrossì di un rosso intenso, proprio come una mela che gli pendeva sopra la testa.
Sorrise come una sciocca ragazza sorride al primo amore. Nascose quella felicità dietro le mani, vergognandosi di quello che stava provando. Era giusto, era sbagliato, era immorale? Poteva amare il suo migliore amico? Il battito del suo cuore gli diede l’ennesima conferma.
Si alzò in fretta, si spolverò i pantaloni e montò in fretta il cavallo.
 
Athos aveva deciso che sette giorni erano abbastanza. Si alzò dal letto e si fece un lungo bagno ristoratore. Mangiò un pranzo abbondante e scelse un libro dalla sua fornita biblioteca personale. Poi andò nel salone, spalancò la finestra e si mise a leggere. O almeno, ci provò.
Doveva iniziare a togliersi d’Artagnan dalla testa. Doveva prendere atto dal rifiuto che aveva ricevuto, dell’amore che gli era stato negato. Dopotutto, era riuscito a sopravvivere all’amore già una volta.
« Signor d’Artagnan! » Grimaud non aveva fatto in tempo ad aprire la porta che il ragazzo si era infilato in fretta dentro la casa.
« Dov’è Athos? » Il tono di voce era impaziente e Grimaud non osò non rispondere o obiettare i modi così tanto scortesi.
« Nel salone, signore » E il lacchè fece per precederlo per annunciarlo, ma il guascone lo superò con grandi falcate e apri la porta da solo.
Athos sobbalzò al rumore che la porta sbattuta contro il muro aveva fatto. Il libro gli cadde a terra e rimase immobile sulla sedia, le mani poggiate al piccolo tavolo rotondo.
« Athos » Esalò il ragazzo, guardando il colorito malato dell’uomo. Voleva infilzarsi da solo con il ferro più affilato che avesse trovato in tutta la Francia; se Athos era stato male, era solamente colpa sua. « Oh, Athos » Disse di nuovo, incapace di dire altro se non il nome dell’uomo che amava. L’uomo che amava, d’Artagnan ancora non riusciva a crederci.
« Ebbene, signore, cosa volete ancora da me? » Il gelo era uscito dalla bocca di Athos insieme alle parole. D’Artagnan si sentì scoraggiato da morire.
« Ma come, già non mi amate più? » Il ragazzo non riuscì a trattenere il tono lagnoso e dolorante della sua voce. Ora che aveva capito tutto, non poteva aver perso tutto!
Athos rise tristemente e si alzò dalla sedia, facendo un solo passo avanti.
« Mi prendete per una stupida donna volubile? Come potrei smettere di amarvi in una sola settimana? Vi amo, vi amo ancora e di più di sette giorni fa »
« E allora perché mi negate il vostro amore e siete così freddo con me? » D’Artagnan si avvicinò, tentando di prendere una mano di Athos. Ma quest’ultimo la scansò e abbassò il volto.
« Perché vi prendete gioco di me? Perché dovrei mostrare il mio amore a qualcuno che non lo vuole? Voi non mi amate, D’Artagnan »
D’Artagnan si sentì rincuorato da quelle parole. Athos si mostrava freddo solo per paura che lui fosse andato lì per comunicarli la fine della loro amicizia!
« Oh, amore mio, certo che vi amo! Sono stato così cieco davanti all’evidenza! Vi amo e l’ho sempre fatto, ma mai me ne ero reso conto, preso com’ero a rincorrere la gonna di qualsiasi donna incontrassi. Vi prego, perdonatemi e accettate il mio umile amore »
Gli occhi di Athos non erano mai stati così luminosi, le sue guance più rosee o il suo sorriso più sincero. L’uomo si avvicinò al ragazzo, colmando la distanza con pochi passi, e circondandogli il viso con le mani e lo baciò.
Lo baciò con dolcezza, mettendoci dentro tutto l’amore di cui era capace, tutto l’amore che aveva tenuto dentro di sé per troppo tempo. Lo baciò come se fosse stata l’unica cosa per cui voleva essere ancora in vita, come se il resto del mondo non fosse importante. Stringendolo a sé, tenendolo il più vicino possibile al suo cuore scalpitante.
D’Artagnan sentiva la testa leggera, come se fosse stata una piuma al vento, pronta a volare via da un momento all’altro. Il cuore che gli batteva all’impazzata, in sintonia con quello di Athos che sentiva così vicino a sé. Come poteva aver vissuto prima, senza aver avuto quelle braccia forti che lo stringevano? Come aveva potuto non capire che Athos era tutto ciò di cui aveva bisogno? Ma ora era stretto a lui, i loro cuori battevano all’unisono e non poteva chiedere nulla più.
« Ti amo » Sussurrò Athos sulle labbra piene di D’Artagnan. Il ragazzo arrossì e gli diede un fugace bacio a fior di labbra.
« Anche io ti amo, Athos »
 
 
 
 
 
*scuote la mano timidamente in segno di saluto*
Allora, ehm, devo davvero commentare quello che ho scritto? Cioè, è zucchero dall’inizio alla fine lol
Diciamo che sono vittima del San Valentino e che ero in vena di cose dolci HAHAHAH e poi oggi ho letto il XXXV capitolo e bho, ho preso ispirazione da una frase di Athos che diceva di amare d’Artagnan più di un figlio.
E poi, mi ripeto, è grazie al mio ragazzo che scrive delle cose dolcissime e mi ispira cose altrettanto fluffluose e dolci c’:

Con affetto, Marceline.
  
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