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Autore: SilverAngel    15/02/2013    3 recensioni
[Btooom!][Btooom!]Ogni nostra azione ha delle conseguenze. Le mie mi hanno portato su un'isola maledetta e costretto ad uccidere per sopravvivere. Non potete capire cosa sia la vera fame! Sapete cosa vuol dire aver paura di chiudere gli occhi anche solo per pochi secondi? Con il terrore di poter saltare per aria in qualsiasi momento? No, non è Battle Royale, è molto peggio. Questo è BTOOOM! E il prossimo, potresti essere tu!
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Luogo: Isola X – Oceano: X

Giorno 1

Ho trovato per caso questo diario bianco sulla spiaggia, non so a chi appartenesse, ma da oggi sarà il mio tesoro più prezioso. Sopra ho trovato scritti solo degli ideogrammi incomprensibili. Ho strappato le cinque pagine usate dal precedente proprietario, o proprietaria e ho impresso il mio nome con la stessa penna che ho trovato in mezzo al diario.

Mi chiamo Angelo, è un nome con cui mi hanno spesso preso in giro a scuola e con le persone con cui uscivo in passato. Soprattutto perché il mio cognome è d’Argento. Conosco poche persone che hanno un apostrofo nel proprio cognome, e posso assicurarvi che è una maledizione. Quando si deve dire il proprio nome a qualcuno, si deve specificare che c’è l’apostrofo, per l’iscrizione in molti siti internet ho sempre avuto problemi. Anche quando dovevo semplicemente prenotare un volo in aereo ho avuto delle difficoltà, e speravo che all’agenzia viaggi potessero fare qualcosa, ma fu tutto inutile. Sono italiano, e anche se il mio sembra un nome altisonante, in realtà sono il tipico signor nessuno. Ecco perché mi trovo su quest’isola a scrivere su questo diario di seconda mano con la speranza che l’inchiostro della penna non finisca troppo presto.

Queste potrebbero essere le mie ultime, perché molto probabilmente quest’isola sarà la mia tomba. Portiamo indietro gli orologi all’inizio di tutto, anzi, ancora prima dell’inizio. Sono nato in un piccolo comune italiano, un po’ famoso per l’arte ma invivibile dal punto di vista sociale, piccolo, monotono, noioso. Un autentico fallimento di paese, in mezzo al nulla, lontano chilometri da qualsiasi città interessante. Le mie prospettive di vita non erano eccezionali, come molti nella mia stessa situazione, sarei stato un precario con un lavoro mediocre, una casa mediocre e una famiglia mediocre, finché non avrei preso una pensione mediocre morendo in un mediocre ospizio. Così decisi di passare gli ultimi anni della mia giovinezza, prima di gettarmi a capofitto sul magico e meraviglioso mondo del lavoro e delle responsabilità, sui videogiochi.

Fin da piccolo mi hanno sempre appassionato, giocavo con il vecchio Sega Master System II, adoravo le avventure del piccolo Alex Kidd integrato alla console. Poi venne la Playstation e grazie agli extracomunitari che vendevano copie pirata al mercatino avevo la possibilità di giocare con centinaia di giochi senza dover spendere cifre spropositate. Poi con la PlayStation2 ero io direttamente dalla rete che prendevo i giochi che mi piacevano, non finivo mai di appassionarmi a quel mondo virtuale che consideravo migliore, e forse anche più reale di quello vero. Quando cominciai a passare le mie giornate con i videogiochi avevo appena passato i 20 anni, iniziai su internet con i giochi di ruolo online, prima World of Warcraft e simili, come Rappelz o Lineage 2. Ma dopo qualche mese tutto quello aveva cominciato a stufarmi, anche Medal of Honor era diventato noioso, sempre a sparare, nascondersi, piazzare mine, i giocatori online poi urlavano come pazzi nei microfoni e spesso non si capivano gli ordini perché si accavallavano le voci. Ero sul punto di mollare tutto, ma il ritorno alla realtà sarebbe stato ancora peggio.

Era il natale di un anno fa, quando un mio amico mi vendette di seconda mano la sua DXBOX 720, all’epoca dell’uscita era troppo costosa e non potevo permettermela. Nello stesso periodo era anche uscito un gioco giapponese, che aveva venduto oltre tre milioni di copie in tutto il mondo, sapevo poco su questo gioco, solo che era un genere TPS, ovvero Third-Person Shooter, anche se chiamarlo sparatutto non è il termine esatto. Non esistono armi da fuoco, solo bombe chiamate BIM, è strano per un gioco sulla guerra, ma giocandoci la prima volta capii perché il titolo fosse BTOOOM!
E’ lo stesso suono che emette una bomba quando esplode, infatti nel gioco si potevano solamente usare bombe di diverso tipo e funzionavano in modo diverso. Passai dei mesi a giocare a questo stupendo gioco, ero così contento che mandai una mail di complimenti alla Tyrannos Japan, cioè la casa produttrice del videogioco. E loro mi risposero in giapponese, con traduzione inglese, che erano contenti che fossi così entusiasta del loro prodotto. Comunque sia, il gioco raggruppava tutti gli RPG con cui avevo giocato in passato senza mostri o magie, facendo intravedere solo un pizzico di fantascienza per via della strumentazione altamente tecnologica in possesso agli avatar. Come ad esempio il sonar, o radar che permette di localizzare i nemici se non sono nascosti e sono in movimento, poi con le bombe una volta trovato il bersaglio si deve riuscire a farlo saltare in aria. Si acquistano dei punteggi, soprattutto se si lavora in una squadra, o per meglio dire, Team. All’inizio giocavo da solo, gli altri utenti erano troppo forti e mi uccidevano di continuo. Stavo quasi per mollare tutto e cambiare gioco quando mi arriva un messaggio privato, un invito alla squadra italiana della mia regione, a cui serviva un altro componente con i Timer.

I Timer, come suggerisce il nome sono bombe a tempo con un margine di 10 secondi, di forma cubica, possono essere disattivate se prese in tempo e il nemico che le disattiva diventa il possessore di quel BIM, solo le bombe di un giocatore morto o quelle disattivate personalmente possono essere utilizzate dal nemico, per questo sono in pochi ad usare quelle facilmente disattivabili, e preferiscono usare i BIM Cracker, cioè delle piccole sfere con un potenziale esplosivo più basso del Timer ma che esplode all’impatto con qualsiasi oggetto o persona. Il che rende quasi impossibile la disattivazione.
Pensavo che usando i Timer rendevo il gioco più figo, ma non ero bravo ad usarli, per niente, e a volte mi sono fatto esplodere una delle bombe in mano, perché non avevo calcolato bene i tempi.

Quando ricevetti quell’invito ad unirmi ad un Party non lo credevo possibile, avevo forse il più basso profilo in tutto il gioco, ma accettai comunque. Il nostro capo mi insegnò ad usare le bombe a Timer, e imparai a tarare i secondi a 3 anziché 10, così rendeva l’esplosione più sicura e letale. In un solo mese raddoppiai il mio punteggio, accumulavo esperienza, aumentavo di agilità, destrezza e tattiche. In una guerra vera avrei ucciso da solo un intero esercito, bhe, si fa per dire. In una guerra vera non userebbero mai solamente bombe grandi come il palmo di una mano.
Persi la cognizione del tempo, avevo anche smesso di fare esercizio fisico per qualche settimana, prima mi allenavo almeno un ora al giorno fra corsa, addominali e flessioni per evitare di diventare un mollaccione obeso che gioca tutto il tempo ai videogiochi, sarebbe stato un cliché disgustoso. Eppure l’assuefazione a quel gioco mi portò a saltare anche quel poco esercizio fisico che facevo prima, non vedevo più i miei amici, anche se non penso di aver mai avuto veri amici. Li consideravo più che altro conoscenti con cui avevo una certa confidenza e continuai a giocare a BTOOOM! fino a non riconoscermi più davanti allo specchio. Ero deperito, e la pancia cominciava ad aumentare, mi sentivo sempre stanco e gli occhi mi bruciavano da morire. A volte lacrimavo apposta mentre giocavo per poterli lubrificare, ma solo quando ero in una zona sicura e nessuno poteva rintracciarmi.

Un giorno ricevetti la richiesta di un giocatore per unirsi al team dove giocavamo io e gli altri membri della squadra. Il nickname scelto da quel ragazzo mi sembrava di averlo già visto da qualche parte. Comunicando con lui con cuffie e microfono scoprii sentendo la sua voce, che era una mia vecchia conoscenza, ai tempi del liceo. Fu anche per causa sua che mi fiondai nel mondo dei videogiochi rifiutando la realtà. Accadde qualche anno prima, frequentavo il liceo vicino casa mia, così era più comodo andare e venire e conobbi questo ragazzo, gli diedi troppa confidenza, un grosso sbaglio. Giocavamo assieme ai videogiochi, eravamo due nerd patentati, parlavamo di giochi, computer, programmi, e tutta roba che le cosiddette persone “normali” trovano noiosa, stupida, poco interessante o da sfigati.
Un giorno i suoi genitori gli regalarono un bel motorino, che attirò le attenzioni dei nostri compagni di scuola, bel colore, bel modello, non male. Ma quella notorietà aveva un prezzo, cominciare ad avere una vita sociale con le persone “normali” significava anche tagliare i ponti con il passato, presto non ci furono più i pomeriggi passati a giocare, o gli intervalli dove discutevamo di computer e dei nuovi giochi usciti sul mercato. Aveva cancellato tutti i suoi avatar nei giochi online che facevamo assieme, un vero peccato, possedeva anche molti oggetti molto rari con se, alcuni glieli avevo regalati io. Oltre al danno la beffa, cominciava a ridacchiare assieme ai suoi amici ogni volta che entravo e uscivo da scuola, ero diventato l’appestato, per rendersi più simpatico raccontava anche i miei segreti e le cose che ci eravamo ripromessi di non raccontare in giro. Per fortuna era l’ultimo anno, e non vidi l’ora di lasciare quella maledetta scuola, dimenticare tutti e andare via il più lontano possibile. Di lui seppi solo che si era fidanzato prima di diplomarsi, e che la sua ragazza era rimasta incinta, solo che il figlio non era suo, ma lo aveva scoperto dopo. Immagino che anche lui se ne sia andato in depressione se ha ripreso in mano i videogiochi.

Accettai la sua richiesta di entrare nel team, oramai ero diventato molto forte e potevo prendermi dei privilegi da Master. Lo invitai ad una partita a squadre, invitando una squadra che in quel momento si trovava già li sul posto per essere i nostri nemici. Nell’arena della città assediata.
La squadra era composta da otto membri, con il mio nickname non mi aveva ancora riconosciuto, l’altra squadra aveva invece sono cinque membri. Tutto eccitato nel voler partecipare si scagliò conto i membri avversari. Rimase sorpreso quando li vide disconnettersi contemporaneamente prima di poterli colpire, infatti era solo un esca per attrarlo in un luogo isolato. Accerchiandolo con i membri della squadra cominciammo a bombardarlo usandolo come un bersaglio, nella modalità arena non si esce dal gioco fin quando il Master non certifica la vittoria, e il personaggio continua a rimanere collegato anche se il proprietario si disconnette, quindi l’avatar rimane fermo e immobile mentre viene ucciso. Non potendo disconnettersi cercò il modo di contrattaccare, ma essendo da solo contro sette poteva solo guadagnare tempo. Dopo un ora il suo avatar era morto così tante volte che la barra di vita non si ricaricava più, e da li a poco tempo sarebbe stato cancellato. Se voleva giocare di nuovo a BTOOOM! avrebbe dovuto creare un nuovo personaggio, e il suo gli era costato almeno dai sei agli otto mesi di gioco. Riattivando la comunicazione vocale sentivo attraverso le cuffie che piangeva e si disperava, chiedendo il perché di quel massacro insensato su un membro della squadra. A voce alta gli dissi che era ciò che si meritava per aver creato una squadra sua dove il giocatore più debole veniva schernito e umiliato, ricordandogli i fatti avvenuti al liceo. Riconoscendo la mia voce mi maledisse e urlando qualche scusa volendo apparire come una vittima delle circostanze, ad esempio disse che non era colpa sua, e che gli altri lo hanno costretto a darmi contro, io scollegai la comunicazione e annullai la partita. Io e i miei compagni prendemmo tutto il suo equipaggiamento e i suoi punti esperienza, fummo marchiati per una settimana con dei punti di penalità per aver ucciso un membro della squadra, un piccolo compenso per una grande vittoria interiore, la vendetta a volte è così dolce.

Quella sera stessa non volli più giocare, mi sentivo troppo bene, non mi andava di far esplodere altre bombe, volevo fare un giro per le vie del centro di BTOOOM! oltre a case normali c’erano anche palazzi e chiese, luoghi per fare delle feste, ed era più facile manovrare l’avatar all’interno della città, il joystick è sempre un po’ duro e lento durante le missioni.

Per caso capitai davanti ad una delle chiese dove si era riunita una quantità spropositata di avatar, doveva esserci qualche evento speciale. Leggendo il manifesto sulla chiesa vidi che si trattava di un matrimonio, capitava spesso che due personaggi si sposassero nel gioco, potevano condividere i punti esperienza, l’equipaggiamento sottratto ai nemici e nel caso di una penalità sarebbe stata condivisa, così risultava essere meno grave. Quello che non sanno è che non si sa sempre al 100% chi si trova dall’altra parte, la maggior parte si sposano fra uomini anche se hanno un avatar maschile e uno femminile, si può benissimo camuffare la voce infatti con qualche programma aggiuntivo. Io per fortuna non ho mai corso di questi rischi, non mi è mai interessato sposarmi con un avatar, lo trovo stupido, i videogiochi, soprattutto quelli violenti come questo non dovrebbero fare delle romanticherie del genere, non stiamo giocando con le bambole. Ma andai lo stesso al matrimonio, leggendo i nomi dello sposo e della sposa rimasi a bocca aperta, era il campione in classifica giapponese Sakamoto, e la sua compagna di squadra, la famosa Himiko, conosciuta per essere l’avatar femminile più bello di tutto BTOOOM! alla fine del matrimonio ci fu un gigantesco applauso da parte di più di diecimila avatar. Non avevo mai visto gli spalti della chiesa così pieni, gli sposi ricevettero molti regali e donazioni di punti da parte dei giocatori ammiratori. Io poco dopo dovetti uscire perché mia madre mi aveva chiamato per la cena. Dopo essermi scollegato scesi di sotto e vidi che sul tavolo c’era una lettera indirizzata a me. Pensavo che fosse pubblicità e la lasciai li dove era, la ripresi dopo cena e la portai in camera mia. Dentro c’erano più copie di una specie di contratto, l’italiano non era molto corretto, sembrava scritto da un extracomunitario, o tradotto usando il traduttore di google. La misi da parte perché sembrava una cosa assurda come le catene di san Antonio, non avevo voglia di fare stupidaggini simili, non credevo a quelle sciocchezze. Eppure l’idea mi stuzzicava, perché il mittente era giapponese. Nella lettera potevo scrivere il nome, cognome e dati personali di una persona che conoscevo, sia in amicizia che in famiglia, che desideravo potesse sparire per sempre. All’inizio mi venne in mente il mio ex amico, poi pensai a tante altre persone che mi avevano tradito in passato, ragazze che meritavano di sparire, o parenti che odiavo magari. Se avesse funzionato sarebbe stato come usare un Death Note, più o meno.

Feci una prova scrivendo il nome del mio ex amico e alcuni suoi dati personali, richiusi il tutto in una busta per spedirla all’insolito indirizzo giapponese, e con un bel po’ di francobolli la imbucai senza pensarci due volte.
Passò un mese, e da una settimana avevo già ricominciato a fare esercizio fisico. Dovevo anche ridurre la quantità di zuccheri e cibi grassi. Ero appena passato come primo nella classifica italiana di BTOOOM! e presto sarei andato in Giappone ad incontrare gli altri membri del gioco in cima alla classifica provenienti da tutto il mondo, volevo rimettermi in forma per fare bella figura, e per rappresentare al meglio il mio paese.

Era tutta una manovra pubblicitaria dell’azienda che ha prodotto il gioco, ma il viaggio e l’alloggio erano tutti a spese loro, e in più avrei avuto anche un compenso per il disturbo, adoro questi giapponesi. Peccato che fosse tutto una farsa. Non c’era nessuna presentazione dei giocatori più forti, nessun premio, nessun compenso. Una volta sull’aereo mi sono addormentato e al mio risveglio mi ritrovai assieme ad altre dieci o forse venti persone legato al sedile con delle catene. La mia mano sinistra aveva un escrescenza verde che fuoriusciva dalla pelle sotto le nocche, di forma ovale allungato, liscia come il vetro e dura come un diamante. Un intera squadra di tizi vestiti di nero e armati con delle strane pistole ci minacciavano di fare silenzio e di ascoltare. Avevano un forte accento asiatico e ripetevano sempre le stesse parole, forse neanche loro sapevano esattamente quello che dicevano, era solo per tenerci buoni e calmi. Uno di loro uscì un grande schermo che ricopriva completamente la zona della cabina di pilotaggio. Sullo schermo apparse un giapponese sorridente che sembrava stesse presentando uno spettacolo comico. Non capivamo nulla di quello che diceva, dal fondo della cabina uscì un giapponese che parlando l’italiano alla buona traduceva quello che diceva il tizio sullo schermo, per chi faceva troppo chiasso o urlava c’erano riservate delle potenti scariche elettriche, quegli infami non avevano problemi a scaricare le loro stun gun sulla faccia di quei poveretti o sui genitali.

Una volta che ci fu silenzio spiegò che stavamo partecipando ad un gioco al massacro tipo Battle Royale, dove ci dovevamo ammazzare a vicenda usando un marsupio bianco con dentro le bombe che facevano parte del nostro equipaggiamento e per lasciare l’isola avremmo dovuto collezionare sette di quei cosi verdi che avevamo impiantati nella mano uccidendo chiunque avessimo di fronte. Solo con la morte veniva via automaticamente. Era un assurdità, non potevo crederci, sembrava un BTOOOM! ma dal vivo. Pensavo di stare sognando, o meglio, un incubo, il peggiore della mia vita. Le ultime parole non furono chiare, parlava di un paracadute automatico credo, c’è ne accorgemmo quando subito dopo averci tolto le catene aprirono il portellone a bassa quota e spinsero tutti giù, chi non scendeva di propria volontà lo faceva da svenuto dopo aver ricevuto una scarica in testa. Io venni spinto da una donna che aveva inciampato sulla sua stessa figlia che gli si era aggrappata alle gambe. Mentre precipitavo tutta la vita mi è passata davanti, e sapete una cosa? Che vita noiosa.
Il paracadute si aprì automaticamente, assieme a quello di tutti gli altri, doveva esserci un qualche dispositivo che a una certa altitudine li faceva scattare, come un dispositivo d’emergenza. Da quell’altezza potevo vedere che si trattava di un isola in mezzo all’oceano, ma non saprei dire esattamente quale.

Atterrai sulla spiaggia, graffiandomi un braccio e una gamba sulla sabbia rovente e sui piccoli ciottoli ruvidi, il marsupio bianco attorno alla mia vita non si fece nemmeno un graffio, doveva essere un tessuto altamente resistente. Non riuscivo a staccare quel maledetto paracadute e il vento mi stava trascinando via, non riuscivo nemmeno a opporre molta resistenza sulla sabbia, scivolavo di continuo, alla fine sono riuscito a sganciarlo, e volò via scomparendo su una scogliera rocciosa. Non feci in tempo a fare tre passi che davanti a me cadde come una pera matura un uomo di mezz’età visibilmente molto grasso. All’impatto, il sangue fuoriuscito, schizzò tutta la mia maglia e i miei pantaloni, sembravo appena uscito da un film horror, e più che la vittima sembravo il serial killer. A quanto pare non tutti i paracadute sono affidabili, il suo meccanismo non ha funzionato. Notai che la cosa non mi lasciò turbato più di tanto, forse perché la droga che avevano usato per addormentarci era ancora in circolo, forse perché l’adrenalina non mi faceva più stupire di nulla, o forse perché era accaduto tutto così in fretta che non avevo realizzato che fosse tutto vero.
Ma era tutto vero, il sangue, le bombe, il chip verde incastonato nella mano. Tutto vero, tutto reale, da troppo tempo non assaggiavo il mondo reale, abituato al mondo virtuale, fra le sparatorie, le esplosioni, gli attacchi magici, e quelli con la spada avevo dimenticato il gusto dolce-amaro della realtà, fondendomi in un mondo tutto mio, dove qualunque cosa accadesse non poteva farmi soffrire a livello emotivo o fisico.
Un ora dopo infatti cominciai ad urlare a squarciagola, non riuscivo a smettere, piangevo e urlavo. La mandibola mi faceva malissimo, non ricordo di avere mai avuto una crisi isterica così grande e così lunga. Quando ripresi il controllo mi accorsi che ero nella stessa identica posizione di prima, non avevo fatto un passo, ed ero ricoperto di sangue con un cadavere ai miei piedi, mentre andavo via calpestai qualcosa di liscio, sotto il mio piede infatti si trovava uno di quei chip verdi. Si era staccato dalla mano del grassone e non me ne ero accorto, non so perché lo presi e me lo misi in tasca, in quel momento non pensavo a nulla, nemmeno quando mi spogliai nudo come un verme senza nessuna vergogna o imbarazzo, dirigendomi verso il mare per ripulirmi da tutto quel sangue. Ritornato sulla spiaggia mi asciugai con il telo del paracadute del tizio morto, facendolo scattare usando una pietra per rompere il dispositivo mal funzionante che gli aveva causato la morte. Poi gli presi anche il marsupio bianco, così ne avrei posseduti due, ripresi anche i miei vestiti che erano macchiati in modo irrecuperabile e mi diressi vicino ad una grotta che dava sulla scogliera poco più avanti, l’avevo notata durante il bagno.

Stesi il paracadute del tizio all’entrata, usandolo come tenda. Un rumore di aereo mi fece uscire scrutando avidamente il cielo, non so cosa mi aspettassi, aiuti, soccorsi, o magari militari che cercavano quei pazzi assassini per arrestarli con l’accusa di crimini contro l’umanità. Invece era solo un aereo carico di altri sfortunati partecipanti al gioco, questo però sembrava giapponese dalle scritte sulla fiancata. Vidi aprirsi una ventina di paracaduti, quindi sull’isola dovevamo essere più o meno quaranta in totale. Prendendo dalla tasca il chip del cadavere lo misi di fronte a me, facendo in modo che potessi vederci attraverso il sole del tramonto, creando uno strano miscuglio di colori all’interno, c’erano anche delle strane venature, tipo filamenti elettronici molto complessi, mai visto nulla del genere in vita mia.
Quando mi svegliai fra le rocce era già giorno, avevo moltissima fame e pregavo con tutto me stesso che quello del giorno prima fosse solo un orribile sogno. Ma vedendo il sole filtrare dal paracadute rosso riempiendo la caverna col suo fascio vermiglio, mi misi a piangere rannicchiato su me stesso come un bambino. Il grande Angelo d’Argento, alias Silver Angel, primo nella classifica italiana di BTOOOM! adesso era ridotto ad un poppante che frignava e voleva tornare a casa nella sua cameretta al sicuro.

Passai così anche il giorno seguente, mi vergognavo di me stesso, e avevo paura, ma non potevo farci nulla, ero paralizzato. Il ritrovamento di questo diario è avvenuto esattamente due giorni dopo il mio arrivo, lo trovai sulla spiaggia, al posto dell’uomo grasso che il mare aveva portato via con l’alta marea. Per fortuna dentro c’era una penna, altrimenti il suo unico uso sarebbe stato quello di una fastidiosa e ruvida carta igienica. Ma in quel momento non avevo assolutamente voglia di scrivere, avevo solo fame e sete, l’acqua che gocciolava  dalle stalattiti era poca e sapeva di bicarbonato di sodio. Ma sempre meglio dell’acqua salata del mare.

  
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