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Autore: Stella cadente    16/02/2013    5 recensioni
"Non posso più vivere così, non posso più andare avanti così. Questo dolore mi uccide, mi soffoca, mi pervade.
E io non voglio. Non voglio sentire più niente."
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Faith: una ragazza che soffre, schiacciata dal dolore di una forte delusione. Fino a che tutto quello che le rimane è un gesto estremo, un gesto di cui si pentirà.
Ma nella vita, non si può tornare indietro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Troppo persa per essere salvata 






 






“Ti rendi conto che lui non provava niente per te, vero? Io lo avrei già mandato a quel paese”
“Si è preso gioco di te, ti ha usata, Faith. Non posso crederci. Devi fargliela pagare a quel bastardo, assolutamente”
“Non tornerà mai più, è inutile che tu lo cerchi. Lo so che ci stai male, ma devi andare avanti”
Le parole delle mie amiche Rachel, Amy e Cathy mi rimbombano come un incessante ritornello nella testa, decise a non andarsene. So che vorrebbero solo il mio bene, ma ogni parola è come un colpo di pistola sul cuore, proiettili di dolore che mi trapassano e mi distruggono.
E ciò che mi fa più male, è che riconosco che hanno ragione. Jason mi ha soltanto usata.
Mi ha abbandonata, come un vecchio oggetto in una qualche scatola di un magazzino.
I suoi baci, le sue carezze e le sue dolci parole sono soltanto ricordi che rimangono artigliati al mio corpo e alla mia mente, come a volermi trascinare ancora di più nell’oblio e nella tenebra delle mie emozioni.
Credevo che fosse una notte d’amore, una notte romantica, quella che abbiamo passato. O almeno, per me è così, ma a quanto pare non per lui.
Lui ora non c’è. Non è qui, quando prima sembrava volermi stare accanto per tutta la vita.
La mia anima è offuscata da un’ opprimente angoscia, il mio cuore è schiacciato dall’ansia, un macigno enorme che sembra pesare sempre di più al passare dei minuti. Sento che mi manca il respiro, dentro di me si agitano mostri che urlano cose che non voglio sentire, dentro me c’è dolore, dolore, tanto dolore. E ho provato ad uccidere questo dolore con insistenza, con tenacia, ma non ci sto riuscendo e mai ci riuscirò. Sono debole, esausta. Non vivo più.
Tremo, soffro, soffoco. Soffoco in questa morsa d’angoscia che mi attanaglia e fa sanguinare la mia anima.
Mi richiudo dietro la porta di casa con un debole gesto. Il silenzio è spettrale, denso, insopportabile. Sembra lo stesso silenzio che sento nella mia testa, un silenzio di inerzia, dolore e morte. Un silenzio talmente fitto che persino il mio respiro sembra far rumore.
Cammino lentamente fino al corridoio, mi guardo allo specchio, e ciò che vedo è un orribile riflesso di malessere. I capelli castano scuro ricadono scomposti lungo le spalle, la faccia è assente, gli occhi vuoti di tutta quella felicità che era in me poco più di un mese fa.
Si può provare tutto questo a soli sedici anni? Il mio spirito è vuoto. Qualcosa, dentro di me, si è rotto, e non potrà più essere aggiustato. Il cuore sembra battere a fatica, ogni battito è come uno spasmo che per qualche secondo fa bruciare i polmoni, come se stessi annegando.
Chissà se Jason sta pensando a me. Probabilmente no. È stata tutta una messinscena, una finzione senza significato e senza valore, almeno per lui. Il tremito si fa incontrollabile, la borsa mi cade dalle mani atterrando sul pavimento con quello che mi sembra un tonfo sordo, il mio corpo è scosso da singhiozzi talmente forti che mi fanno male le costole e la mia vista è appannata dalle lacrime.
Mi lascio cadere a terra, accasciandomi debolmente sul freddo pavimento del corridoio, senza più forze.
Un urlo nero mi scivola via dalla bocca, un urlo che mi spaventa e che mi scuote in una miriade di brividi di puro terrore. Perché quello che c’è in me, nella mia testa, ciò che contamina il mio cuore è nero. Una fitta patina di petrolio che annulla me stessa, che annulla tutto l’amore che viveva in me, prima. Quando ancora Jason era accanto a me.
Con ogni probabilità mi avrà già dimenticata. E sono troppo persa per essere salvata, troppo sola per essere rialzata da una mano dolce e delicata. Voglio calmarmi, ma i pensieri continuano a ronzarmi in testa come fastidiosi insetti, senza dar segno di volersene andare. E improvvisamente, l’occhio mi cade attraverso la porta aperta del bagno: sul ripiano in marmo bianco e immacolato, uno scintillio ha catturato la mia attenzione. Le pupille si dilatano in un’immensità color nocciola, sento una luce sadica e innaturale animarmi lo sguardo.
Sono un paio di forbici.
E sembrano chiamarmi, sussurrando con le loro lingue di ferro.
Mi alzo con uno scatto, come se quell’oggetto metallico e pericoloso fosse il mio unico appiglio, e con foga le prendo in mano. Non posso più vivere così, non posso più andare avanti così. Questo dolore mi uccide, mi soffoca, mi pervade. E io non voglio. Non voglio sentire più niente.
Ho provato ad uccidere il dolore, ma ne ho solo attirato di più, tanto, troppo. La rabbia si fa spazio nel mio petto.

Un colpo.
Il cuore perde un battito, come se mi stesse affondando in petto.
Guardo il sangue che inizia a sgorgare dal mio braccio, piccole gocce cremisi e velenose che ricoprono il pavimento. Mi sembrano trapassare le piastrelle blu, come acido solforico, in un lago rosso scuro che si allarga pian piano.
Ma non sento niente. Inorridisco, ma è come vedere una grave ferita sul corpo di qualcun altro; sono totalmente inerme, insensibile di fronte all’inquietante spettacolo, che come un filmato dell’orrore mi scorre davanti agli occhi.
E sebbene non voglia, qualcosa mi incoraggia a sferrare un altro colpo, più forte, più deciso.
Questa è la mia salvezza. Morire.
Riconosco che sto morendo. Il sangue ora scorre a fiotti, come una macabra cascata. Ma sto bene, e continuo a non sentire niente.
E’ come una scena surreale; quello che sto versando non è sangue, ma tradimento e rimorso per quello che ho fatto, una punizione alla mia ingenuità.
Una scossa elettrica mi attraversa rapidamente il braccio, come a volerlo ridurre in cenere, una scossa che mangia la mia carne, la brucia, come se mille pezzi di vetro mi avessero trapassato.
Getto un altro urlo, stavolta di dolore, ma è troppo tardi. Il respiro mi si fa affannoso, il braccio continua a sanguinare, io mi sento sempre più debole. Sono sull’orlo dello svenimento, quando vedo la ferita sconcertante che mi guarda dal mio braccio, come piegata in un ghigno assassino. I muscoli non rispondono più ai comandi, le forbici cadono a terra, il sangue mi invade anche le unghie e mi si riversa sulla camicia bianca che ho messo stamattina.
Sento il cuore battere sempre più lentamente, ogni battito come un tamburo ormai stanco di suonare.

Sto morendo.

Inizio a pregare, cercando di usare al meglio le poche forze che mi rimangono e sperando che qualcuno mi aiuti, che io venga assolta da ciò che ho fatto. E’ un gesto automatico, innocente e istintivo, mentre sono accasciata a terra, e sento il sangue imbrattarmi anche i capelli, denso e lento, come un presagio di morte.
Gli occhi cedono. Si fanno pesanti, come se ad ogni ciglio che adorna le mie iridi nocciola avessi appeso una pietra. Mi sto addormentando, ed è per sempre. Sto cadendo in un sonno eterno, pesante, un sonno che mi porta via, che mi fa scivolare nei più profondi abissi del mio spirito tormentato e sanguinante.
Cerco di aggrapparmi allo sportello in basso dell’armadietto del bagno, come a voler tornare indietro, lasciando una striscia rosso vermiglio sulla superficie di plastica bianca.
Con la mano destra, rimasta non ancora del tutto insensibile, cerco un laccio emostatico, per fermare tutto ciò. Voglio fermare quelle stille di sangue che scivolano una dopo l’altra lungo il mio braccio esile e pallido, come lacrime dense, ogni goccia un agglomerato di intensa sofferenza e disperazione.
Ma è inutile. Sto morendo.
Tuttavia so che è la mia unica salvezza, la salvezza che da tanto aspettavo, e che finalmente è arrivata a prendermi. La morte sembra essere l’unica fuga all’inferno che è diventata la mia esistenza.

Ora non ho più paura. Eppure piango; l’acqua salata delle mie lacrime si mescola al colore scarlatto del sangue, in una soluzione di rimpianto e puro dolore.
Sento la vita che ormai mi abbandona, la sento scivolare via con uno sgradevole calore mescolato all’odore acre del sangue, che ormai ha allagato l’intero bagno in un agghiacciante e doloroso quadro rosso cremisi.
Il quadro del mio suicidio.

 


 

 

Salve a tutti, sono Sara e sono una fan degli Evanescence molto fissata.
Come potete vedere sono comparsa in questo fandom. Se devo essere sincera, era da un po’ che volevo scrivere qualcosa su di loro, ma non avevo lo straccio di un’idea e non mi veniva in mente niente :’(
Ho scelto di scrivere una shot su Tourniquet perché in primis è una canzone con cui ultimamente sono fissata (la ascolto e la riascolto ossessivamente) ma anche perché, nel complesso, il testo mi ha colpita molto e non ho potuto fare a meno di scrivere qualcosa al riguardo. La trama è straziante, profonda e molto malinconica, che racconta di quanto l’angoscia possa arrivare a schiacciarci e a distruggerci.
Una trama cruda, difficile, ma che mi auguro di aver scritto in maniera adeguata.
Detto questo, mi congedo e vado a fare latino ^-^
Grazie a tutti quelli che hanno letto e che sono arrivati vivi e vegeti fino a qui. Un bacio,

Stella cadente

 

 

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