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Autore: Callie_Stephanides    16/02/2013    17 recensioni
[Thor/Loki] Sconvolto dalle parole di Frigga, Loki sceglie di abbandonare Asgard e, soprattutto, Thor: se restasse al suo fianco, infatti, il figlio di Odino non potrebbe mai essere felice. Tornato su Jotunheim solo per morire, tuttavia, l’erede rinnegato di re Laufey diventa il cuore di una nuova strategia di guerra. E di pace.
(...) “Symrer.”
“È bello. Ti si addice.”
Loki si puntellò sul gomito. “Come fai a dirlo?”
“Anch’io ho pensato a un fiore, quando ti ho toccato.”
Loki schiuse le labbra, ma non riuscì a rispondere.
“Chi te l’ha dato doveva amarti molto, per vederti come sei.” (...)
[ATTENZIONE: questa fanfiction s'inserisce nell'universo narrativo di Anemone. La comprensione degli eventi raccontati è dunque subordinata alla lettura della one-shot succitata e del sequel, But never doubt I love]
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Sif, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest, Mpreg
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fiorirà la neve'
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There is just as much beauty in birth as there is in death,
and it changes our lives just the same.
They both add things to us and take things away.
― Brooke Taylor, Undone

*


5. Il ritorno del Figliol Prodigo

Curiosità?
Follia?
Stupidità?
Chiunque abbia vissuto anche un solo giorno dovrebbe rassegnarsi all’ineluttabile evidenza di un coraggio suicida chiamato ‘tristezza’.
Quando non hai legami né terra sotto i tuoi piedi; se, soprattutto, non t’importa di perderti, allora non agirai più mosso dalla paura ma dal sollievo.
Ci sei quasi: basta allungare la mano e accettare la stretta possessiva dell’amica Morte.
Eppure non fu solo il bisogno d’annullarsi nel buio a sciogliere la lingua di Loki e a premere perché, tra tutte le soluzioni possibili, scegliesse quella più disperata.
Se è vero che tutti i bambini – persino i cuccioli di mostro, persino quelli offerti in sacrificio alla notte e alla brina – hanno bisogno della mamma, è altrettanto vero che un uomo cerca il rispetto del padre. E quello pretendeva, Loki Laufeyson: guardare nelle vive braci di Laufey e cogliere almeno il segno della sorpresa.

Forse sono un figlio maledetto, padre; un nano, uno scherzo di pessimo gusto.
Forse sono un’aberrazione della razza e un agente del Caos che ci ha condannati al declino, ma più che mai sono fiero di dirvi che nessuno potrebbe mai chiamarmi ‘vigliacco’.
Questo, padre, vuol dire portare sangue di re.

Oh, sì, proprio un bel discorso. Resta da vedere quanto tempo avrai prima che ti schiacci il cranio per darti in pasto ai lupi, suggerì una voce gelida e subdola nella sua testa, mentre la via per il Nord, sempre più lontana dagli accoglienti fuochi di Brant, si spiegava innanzi ai suoi passi.
Jotunheim era roccia, ghiaccio e l’infinito candore di abissali solitudini. All’oro e al verde di Asgard rispondeva con i suoi boschi neri, i silenzi irreali, il denso manto di predatori implacabili e discreti.
Loki respirò a pieni polmoni l’aria gelida della notte e si scoprì più sereno di quanto non fosse stato negli ultimi mesi.
Io sono Jotunheim, pensò con fierezza. Io sono questa notte e questa neve.
Stava guarendo: non l’aveva voluto, né preteso, eppure era vivo e scopriva di non rimpiangerlo.
Sebbene la tristezza pungesse ancora, a tratti, l’emorragia si era arrestata – e se capitava che il cuore riprendesse a sanguinare, colava comunque tra i cordoli neri di una sutura rozza ma efficace.

Mi avete tolto ogni cosa, padre, e come voi mi hanno spogliato gli Æsir.
Nessuno, tuttavia, può strapparmi quello che sono.
Nessuno può cavarmi dal petto quanto ho ottenuto per lo stesso motivo.

Non era un fiore fragile, né un cerbiatto, ma un lupo: ecco cosa avrebbe visto Laufey. Se poi avesse scelto comunque d’ammazzarlo, avrebbe avuto la soddisfazione di sputargli in faccia lo sguardo affamato e rabbioso di un sangue migliore del suo.

Attraversò la stenta boscaglia di pianure desolate, poi la fitta foresta del Settentrione.
Sfidò il silenzio carico di minaccia di una terra che conosceva bene, attendendo un’imboscata che non giunse mai.

Il decrepito Padda aveva legato alla zampa di una gazza marezzata un cartiglio indirizzato alla corte di Útgarða: si annunciava il ritorno del principe maledetto e si ricordava alla corona la pavida lealtà di un borgo di cacciatori e contadini alla fame. Eppure nessun esercito gli venne incontro, né erano state disposte trappole a ricordargli la prossimità di una casa che non gli era mai appartenuta.
Loki non era educato alla fiducia, né alla speranza: se ti considerano un mostro manipolatore persino dopo che hai salvato il Principe dei Cieli, puoi farti ancora illusioni sulla gratitudine?
Quella pace imprevista, dunque, lo inquietava quasi più dell’eventualità d’affrontare la creatura che l’aveva chiamato nel mondo per pentirsene subito dopo.

“Riposatevi un poco, principe, e accettate la nostra devota ospitalità.”

Oltre l’Ifing, là dove un tempo stavano accampati gli Æsir – là dove Thor era cresciuto, riempiendogli gli occhi d’invidia e bellezza – lo aspettava una legazione di tre Jötnar. Nessuno di loro impugnava armi o denunciava nell’abito lo status di soldato. Nessuno, soprattutto, pareva intenzionato a reclamare la sua testa. A capo chino, invece, e in ginocchio quasi credessero davvero all’untuosa ipocrisia dell’offerta appena porta, lo chiamavano ‘principe’ e sangue scelto.
Non errore.
Non obbrobrio.
Portò d’istinto la mano alla coscia e cercò la rassicurazione del coltello d’osso che Gríma gli aveva donato prima di scoprire che il suo cuore non era in vendita – né aveva comunque un buon prezzo.
“Re Laufey vi attende con ansia e si è raccomandato di accogliervi con la premura che merita il primogenito della corona.”
“Immagino,” sussurrò, mentre rinnovava la stretta attorno all’impugnatura dell’arma; il più anziano della legazione, tuttavia, gli offrì uno splendido mantello di pelliccia di lupo, inoculandogli l’inquietante sospetto che le sorprese fossero appena cominciate.

Cosa avete in mente, padre?
Che vi aspettate da me?

L’istinto gli suggeriva di tenere la guardia alta e l’espressione immobile dei simulatori e dei bari.
All’istinto – gliel’aveva insegnato Fenrir – conveniva obbedire sempre, senza porsi inutili domande.

*


Fu Thor Odinson ad aprirgli gli occhi e a indicargli una via che non avrebbe mai creduto altrimenti di poter percorrere: Thor Odinson, con la sua incredibile fregola e l’improbabile ostinazione del bambino viziato.
Thor Odinson e la sua voglia di Loki.
Se l’erede dei Nove Regni non avesse rischiato la vita e persino un futuro da re per trarre in salvo l’aborto scivolato dai suoi lombi, Laufey avrebbe seguitato a considerare Loki appena un umiliante errore: offrire una discendenza degna alla corona di Jotunheim era compito del sovrano, ma un Áss perverso gli aveva avvelenato il ventre, dandogli un saggio della propria abilità con la magia non meno che con la spada.
Prima ancora della disfatta rovinosa sofferta su Midgard, Laufey non avrebbe mai perdonato a Odino d’averlo non solo privato della gioia di generare, quanto esposto al più umiliante dei compromessi: poiché il trono non poteva restare privo di eredi, aveva dovuto accettare che il principe consorte si accoppiasse con il più forte dei generali dell’esercito, per generare un figlio che fosse all’altezza della razza – un figlio alieno al suo sangue, dunque immune alla maledizione.
Un figlio, però, che non gli sarebbe appartenuto e che mai avrebbero chiamato ‘Laufeyson’.
Poi, quando si era rassegnato all’idea che quel patronimico fosse morto con l’unico che avrebbe potuto portarlo, aveva scoperto che lo sgorbio era sopravvissuto ed era persino arrivato a sposare la causa del nemico.

La prima volta in cui l’aveva visto, l’aspetto di Loki l’aveva colpito come un pugno nello stomaco.
Nell’immaginare il proprio erede, Laufey vedeva uno Jotun di almeno quattordici, quindici piedi, dalle poderose corna piatte sulla sommità del capo e solchi profondi a ornare la pelle di un azzurro intenso. Il detestabile aborto somigliava mille volte più a un elfo nero che a uno della sua razza: aveva la testa piena di peli, la pelle liscia e troppo pallida e la stazza di un cucciolo di pochi anni.
Gli occhi, però – quegli occhi – erano davvero degni del principe degli Jötnar.

La rabbia, la vergogna e persino l’incredulità della scoperta avevano a tal punto offuscato la sua lucidità che il desiderio di cancellarlo era stato più forte della ragione; più forte persino del buonsenso, anzi, perché se lo scaltro guercio gli imbandiva una preda così succulenta, non poteva non cercare un personale tornaconto.
Aveva ripensato più volte a quello strano patto e si era vergognato della miopia con cui, per l’ennesima volta, aveva accettato d’essere sconfitto.

Tu temi mio figlio, lurido ipocrita.
Tu non vuoi che un principe di Jotunheim concepisca un erede per gli Æsir.

Quando la verità l’aveva illuminato, tuttavia, Loki era già al sicuro tra le braccia del principe di Asgard, lontano da chi l’aveva cacciato come una bestia, senza immaginare quanto valesse davvero ogni palmo della sua pelle. Una gran fortuna, dunque, che le Norne fossero volubili ma eque, e all’antica beffa avessero sostituito un’opportunità preziosa: Loki era tornato a casa.
Loki era di nuovo sotto il suo controllo.


“Sembri turbato.”
La voce di Fárbauti lo riscosse. Inginocchiato ai piedi della scranna, il principe consorte aspettava a capo chino un cenno. Arretrati stavano Helblindi e Býleistr (1), eredi al trono di Jotunheim – gli eredi ben riusciti. Con i loro cinquantadue e quarantotto anni, non potevi ancora dirli adulti, ma possedevano entrambi i crismi migliori della razza.
Loki, con ogni probabilità, arrivava loro appena alla vita.
Loki.
Il primogenito.
Un fallimento.

Forse.

“Ho inviato Skrýmir ad accoglierlo,” disse. “Raggiungeranno il palazzo prima di sera. Voglio che ciascuno osservi un contegno adeguato alle circostanze.”
“Dovremmo abbracciarlo, forse, padre? La legge di Jotunheim non sanziona più il fratricidio?” ironizzò Helblindi.
Fárbauti, senza una parola, si volse e zittì il maggiore dei figli con un ceffone in piena bocca.
“Ti ringrazio. L’insolenza dei conigli è sempre fastidiosa.”
Helbindi si asciugò il labbro rotto e si chiuse in un vergognoso silenzio.
“Loki Laufeyson è il vostro fratello maggiore e il primo erede in linea successoria. Vi consiglio di pensare bene, molto bene, a quel che direte.”

*


Le guide si presentarono come Skrýmir e Þjazi (2), e somigliavano a due nevai su cui qualcuno avesse lasciato colare acqua bollente.
Loki dovette piegare il capo secondo un angolo innaturale per trovarne i volti e anche allora non fu certo d’averne messi del tutto a fuoco i lineamenti – non fino al punto da riuscire a distinguerli.
“Saremo la vostra scorta, principe,” disse Skrýmir, accennando un goffo inchino. “Ci manda re Laufey in persona.”
“Il vostro re mi ha condannato a morte,” replicò, “ma ammetto di averlo sottovalutato: il suo senso dell’umorismo è notevole.”
Il mostro lo scrutò con l’espressione assente delle creature insensibili al sarcasmo.
“Odino non si è preoccupato d’allestire una gioiosa farsa per mandarmi a morire con il sorriso sulle labbra. Almeno in questo, riconosco al vostro sovrano una grazia davvero regale.”
I due Jötnar si scambiarono un’altra occhiata perplessa, poi gli indicarono uno splendido maschio di cervo bardato con pelli di volpe.
“Per voi, principe. Le genti di Útgarða salutano il vostro ritorno.”

Cominciò così, la sua nuova vita: come uno scherzo di pessimo gusto, come un’allucinazione; si inaugurò con un’accoglienza troppo generosa persino per un figlio amato.
Si aprivano i suoi giorni da erede di Jotunheim: e Loki era troppo intelligente per non domandarsi piuttosto come si sarebbero chiusi.

6. Un cuore in vendita

“Odio Svartálfaheimr (3),” brontolò Fandral. “Mi chiedo perché a Hogun e Volstagg tocchino sempre i posti migliori.”
Sif inarcò un sopracciglio. “Forse perché non seminano bastardi per i Nove Regni?”
Fandral sorrise. “Sono un amante generoso e non guardo alla razza. Dovresti prendere esempio da me e dimenticare Thor.”
Sif strinse le labbra e preferì il silenzio a una risposta che le sarebbe comunque parsa patetica e ferita.

Thor mancava da oltre un anno. Heimdall le aveva assicurato che non era mai stato ferito e che aveva conquistato tra i midgardiani una fama simile a quella che ne faceva il vanto degli Æsir. Non poteva dirle, tuttavia, se e quando sarebbe tornato. Se, soprattutto, l’avesse dimenticato.

Nei primi mesi dalla scomparsa di Loki, Sif aveva creduto che non sarebbe stato difficile rintracciarlo: Eir la guaritrice le aveva confidato che, data l’entità delle ferite riportate, non avrebbe potuto evocare il Seiðr per almeno sei mesi. Se lo Jotun non poteva cambiare forma, dunque, non aveva che da domandare di un giovane uomo molto bello, simile agli Æsir d’aspetto ma vestito di colori innaturali per la loro razza.
Nessuno, però, l’aveva visto ad Asgard, né oltre i confini della Capitale, sino alle più sperdute regioni di Ásaheimr (4).
Quanto a Heimdall, il guardiano non ricordava di avergli aperto il Bifrost e, alla richiesta d’individuarlo, come già a Thor, aveva risposto: “C’è solo nebbia. È un incantesimo che non posso penetrare.”
Un incantesimo che Loki non era nelle condizioni d’evocare.

Lady Frigga?
È stata la regina a…

Thor, d’altra parte, era partito per Midgard prima che potesse comunicargli l’esito delle proprie indagini e inoculargli il dubbio che l’amore della sua vita non l’avesse mai davvero abbandonato.

Perché dovresti darti tanta pena? Pensaci bene: la sua delusione può essere la tua forza, perché più si sentirà ferito, prima vorrà dimenticarlo. E quando tornerà…
Non posso accontentarmi di un amore di ripiego.
Non io.

“Non accetto consigli da chi giacerebbe persino con un’elfa nera, pur di soddisfare la fregola.”
“Piano con gli insulti,” la redarguì Fandral. “Tanto più che, come ambasciatori di Ásaheimr, non possiamo abbandonarci ad apprezzamenti poco generosi nei riguardi dei nostri ospiti.”
“Oh, lord Fandral, come resistere alla vostra saggezza?” ironizzò, prima di abbandonare la cavalcatura.

Svartálfaheimr era un dedalo di grotte dall’odore solforoso, cunicoli angusti e ombre sinistre. Nani e døkkálfar, tuttavia, erano artigiani di eccezionale valore e fabbri cari a Odino: in cambio di un’adeguata quantità d’oro, avrebbero potuto filare una rete in grado di trattenere persino un drago.

“Come fanno a chiamare ‘Capitale’ una cava?” sospirò Fandral. “E che odore…”
Sif gli fece cenno di tacere e indicò un nutrito consesso di døkkálfar riuniti attorno a un nano banditore.
“Be’? Da quando t’interesserebbero le aste?”
“Da quando l’articolo in vendita appartiene a qualcuno che amo.”

Sebbene ritratto nell’originaria forma di Jotun, il soggetto dell’arazzo decantato dal nano era senza dubbio Loki Laufeyson.

*


“Si dice che tu abbia rinunciato all’investitura.”

Guy Fabre, occitano dall’accento marcato almeno quanto la cicatrice che ne fendeva a metà il volto – ricamo di un infedele poi sventrato, a suo dire. Ricordo di una puttana mai pagata, secondo la verità storica – gli offrì una pinta di sidro e si accomodò al suo fianco.
Dopo quasi due settimane di marce ininterrotte si erano acquartierati tra campi paludosi e miseria. La voce popolare insinuava che da quelle parti la peste fosse già passata due volte a mietere e ti mancava la voglia d’indagare oltre: gli effetti erano evidenti.

“Ho sempre pensato che non avessi tutte le rotelle al posto giusto, ma questo…”

Thor vuotò il boccale e abbandonò il bivacco.
Cominciava a stancarsi di quella vita, del fango e della miseria che non gli erano comunque bastati a digerire una delusione dagli occhi verdi – occhi tristi e bugiardi.
Aveva visto uomini morire, cadere a pezzi, violentare e saccheggiare.
Aveva ucciso solo per il gusto di strizzare tra le dita un cuore che non fosse il suo.
Aveva vinto mille battaglie, ma restava un perdente: patetico, per giunta, come chiunque non sappia rassegnarsi.
“È ora che torni a casa,” mormorò, quand’era ormai a pochi passi dalla propria tenda.
“Sì, lo penso anch’io,” gli fece eco una voce nel buio.
“Sif?”
La guerriera si scoprì il capo e l’oro dell’Ásynja bevve ogni fiamma del bivacco.
Dopo mesi passati ad annaspare nella merda dei mortali, pareva ancora più bella.
“Ho trovato Loki, ma quanto sto per dirti non ti piacerà.”
“È morto?”
“Peggio: siede al fianco del padre, in attesa di diventare il compagno del guerriero più forte dei Nove Regni.”
Thor sorrise. “Allora non è il caso di farlo aspettare.”
“Aspetta… Tu non hai capito: Laufey lo sta offrendo di proposito; nella peggiore delle ipotesi, gli troverà un marito abbastanza nobile e forte da aggiungere, alla dote di un pianeta di mostri, uomini e armi sufficienti a espugnare Asgard. Nella migliore, un idiota di mia conoscenza…”
“Che è stato disposto di preciso?”
Sciolse i legacci della cottardita, liberò le clavicole dall’ingombro delle protezioni metalliche. Puzzava come un caprone e aveva i capelli a tal punto sporchi di sangue e terra da parer quasi neri.
“Un bando… Un torneo di lotta aperto ai rappresentati di tutte le razze dei Nove Regni.”
“Meglio per me: chi partecipa alle competizioni gode dell’immunità, poiché sotto la diretta protezione delle Norne. Non potrà farmi prigioniero, né uccidermi.”
“Ah, no? E come farai a iscriverti senza che provveda prima?”
“Donald Blake, da Midgard. Vorrà dire che rimanderò il bagno a quando potrò rotolarmi in un letto vero.”

*


Dunque è così che doveva andare?

Loki si cercò nella lucida superficie di cristallo.
Occhi rossi come il sangue gli restituirono uno sguardo sorpreso, velato di malinconia.

“Immagino che ti debba delle spiegazioni, figlio,” erano state le prime parole che suo padre gli aveva rivolto. “Avrai imparato di sicuro a detestarmi e a conoscermi attraverso la memoria dei nemici.”
Loki aveva fissato il mostro imponente che avrebbe chiamato ‘padre’, se solo quel padre non l’avesse abbandonato senza nemmeno prendersi il disturbo di guardarlo in faccia.
“Sono abituato a giudicare secondo l’esperienza,” aveva risposto, poi si era sfilato la giubba di pelo.
All’altezza degli omeri e del petto s’indovinava ancora la sottile rete di cicatrici che aveva guadagnato su Jotunheim; un ricamo d’odio e rifiuto che diceva della persecuzione cui era stato esposto più di mille parole.
“Ho fatto un errore: permettimi di rimediare.”
“E come?”
“Restituendoti quanto ti è dovuto, figlio.”

Si era lasciato comprare?
No, quello mai, né avrebbe abbassato la guardia.
Chi abbandonava un neonato non era diverso da chi colpiva alla schiena, come un coniglio mordace sarebbe rimasto pur sempre un coniglio: il morso, però, lasciava ferite infette.

“Purtroppo le tue particolari condizioni – che bella perifrasi per non dire che lo riteneva una creatura deforme! – ti consentirebbero di avere un figlio solo a rischio della tua stessa vita,” gli aveva detto Laufey un pomeriggio, mentre gli mostrava le sale di ghiaccio e pietra destinate ad accogliere gli Jötnar di nobile lignaggio.
“Uno Jotun, per quanto delicato, potrebbe non essere adatto a te, ma questo non esclude che tu possa legare la nostra razza a un sangue di pari valore.”
Loki aveva sentito l’onda del panico invaderlo, ma non si era concesso un fiato.
“Dovrebbe anzi essere questo il tuo fondamentale contributo alla nostra gloriosa stirpe.”
“Io… Io non desidero prendere marito, padre.”
Laufey aveva ostentato una perfetta indifferenza a una risposta che era piuttosto una supplica.
Devi, perché è il destino di ogni principe… Pensavo allora d’inviare banditori in tutti e nove i Regni, perché non si dica di noi Jötnar che siamo un popolo di barbari predatori, incapaci di ricorrere alle armi della diplomazia.”
Su quell’armi, la voce metallica di Laufey si era colorata di accenti sinistri.
“Anche Thor Odinson potrebbe essere interessato, non credi?”
“Odino non glielo permetterebbe mai.”
Laufey l’aveva guardato: attraversato dagli occhi di brace del re, si era sentito nudo e vulnerabile come mai prima.
“È la triste sorte d’ogni padre, quella d’essere tradito dal figlio più amato.”

*


“Ricordami perché ho accettato di assecondare questa follia…”
Thor si grattò una barba che persino Odino avrebbe trovato oltraggiosa, e si strinse nelle spalle. “Perché altrimenti sarei andato solo?”
“Ottima risposta, Th…”
“Donnie. Da Midgard.”
“Potevi almeno scegliere un nome che non suonasse ridicolo.”

Jotunheim era la terra freddissima che ricordava, ma le analogie con il luogo in cui aveva trascorso buona parte della propria vita finivano lì.
L’estinguersi dei fuochi della guerra aveva permesso al rigoglio di una natura selvaggia e inarrestabile di prendere di nuovo il sopravvento. Le mura di Útgarða erano state ricostruite e la via che conduceva alla Capitale era ora invasa da genti che in passato non avrebbero mai accettato di negoziare con gli Jötnar.
“A quanto pare non sei il solo ad avere un debole per quegli occhi.”
Thor si guardò intorno. Tra gli aspiranti c’erano numerosi elfi neri e persino una rappresentanza dei nani.
“Non sembrano concorrenti pericolosi,” sogghignò, prima che uno dei døkkálfar, annoiato dalla lunga attesa, desse fuoco a metà dei malcapitati che lo precedevano nella fila.
Seiðr, ricordi?”
“Dovrebbe essere più rapido di me e ho motivo di dubitarne: che io sappia, non ci sono maghi in grado di lanciare incantesimi con il collo spezzato.”
“Aspetta a parlare e guarda alle tue spalle… Una corona cambia l’opinione di parecchi…”
Jötnar.
Ce n’erano almeno due dozzine ed erano a dir poco… Imponenti?

“Come pensi di cavartela? Al loro confronto sei…”
Determinato, Sif. Voglio riportarlo a casa e ho il pessimo vizio di ottenere sempre quello che voglio.”

*


“Devo ammetterlo, fratello… Non avrei scommesso una piastra sull’iniziativa di re Laufey. Immagino che ti abbia assegnato una dote ben più consistente di quel che si favoleggia a corte… Per compensare il resto, intendo…”

Loki lisciò con cura i capelli di nuovo lunghi e li raccolse in due grosse trecce, fermate alla base della nuca da un fermaglio d’oro e osso.
Gli occhi di Helbindi si riflettevano derisori nello specchio, ma decise di non curarsene.

“Se vincesse uno Jotun, mi piacerebbe assistere all’accoppiamento nuziale. Potrebbe essere istruttivo.”

Loki si volse a guardarlo: tredici piedi d’idiozia per cinquant’anni d’arroganza.

Lattante ridicolo.

“Temo di no, perché per guardare servono gli occhi.”

Lo spillone d’avorio che guarniva il collo del mantello attraversò l’aria con un sibilo secco e si piantò nella parete, a un dito dall’orecchio dello Jotun.

“E potrei sempre cavarteli nell’attesa di godermi il resto. Un pezzo dopo l’altro.”

Helblindi gli diede le spalle e si defilò con tanta rapidità da non permettergli quasi di assaporarne la ritirata.
Patetico, pensò; poi fissò la propria immagine riflessa e comprese di dover piuttosto volgere a sé quel disprezzo.
“Agghindato come una puttana,” sussurrò, e si odiò per una speranza che puzzava ancora d’inganno e morte.

Sarebbe bello, se lui…
Perché dovrebbe, però?

Si guardò le mani: le unghie laccate di nero, le dita troppo sottili e delicate per essere quelle di un guerriero.
Se dovesse vincermi uno Jotun, potrei sempre tagliarmi la gola, si disse.
E quel pensiero, dopo ore lunghe eoni, lo rassicurò.

*


“Midgard? E come può un mortale pensare di…”
“Sua madre era un’Ásynja,” disse Sif, prendendolo sottobraccio. “Siamo fratellastri.”
Il grosso Jotun che si occupava della registrazione la squadrò con interesse. “Ti ho già visto o sbaglio?”
Sif sorrise elusiva. “Non credo, ma immagino che agli occhi di voi Jötnar le valchirie si somiglino tutte, no?”
Lo scrivano bofonchiò un assenso e gli fece cenno di procedere.

“Perché hai detto…”
“Per le Norne, quanto sei ingenuo! Un midgardiano non parlerebbe l’Alltongue (5) e, soprattutto, avrebbe tagliato la corda davanti al più piccolo di quei mostri. So che mentire non è la tua vocazione, ma le mezze verità aiutano più di una spada affilata, qualche volta.”
“Sì, forse hai ragione.”

La zona destinata ai combattimenti era un vasto anfiteatro. Lungo il perimetro esterno stava una sequenza di cerchi tracciati nella sabbia, uno per ogni coppia di combattenti: il numero diminuiva via via che si procedeva verso l’interno, là dove stava l’ultima circonferenza, quella decisiva. Là dove doveva arrivare a ogni costo.
Le tribune degli spettatori cominciarono a riempirsi; solo il palco reale restava sguarnito.

“Ora dobbiamo separarci; tuttavia, sappi che, se dovessi avere la peggio, nessuno potrà impedirmi di scendere in campo, salvarti la pelle e disonorarti per sempre davanti ai rappresentanti dei Nove Regni.”
Thor rise. “Non ce ne sarà bisogno… E, se proprio ne avessi la necessità, suppongo di doverla considerare comunque un’offerta più generosa dell’alternativa.”
“Cioè?”
“Diventare carne da lupi.”

7. D’amore, onore e polvere

“Per quanto appaia curioso il tuo aspetto ai miei occhi, figlio, possiedi davvero un fascino innegabile.”
Loki abbassò lo sguardo e ringraziò con un filo di voce.
“Nessuno dei tuoi pretendenti potrà dirsi deluso, né si risparmierà per averti: fai onore al nome che porti e a tutto quel che rappresenti.”
Per quel che vale.
L’espressione di Laufey era indecifrabile; nel palmo, ruvido e freddissimo, la sua mano naufragava come una piccola conchiglia.
“Andiamo ora: aspettano solo di poterti ammirare.”
Annuì a testa bassa. Quali fossero ormai i suoi desideri, le sue più riposte speranze, non aveva importanza: era una vacca da vendere a un buon prezzo e da macellare alla svelta, finché le carni fossero rimaste morbide e appetitose – finché la stella non fosse calata o le sue dita l’avessero spenta per sempre.
“Mi hanno informato della presenza di un guerriero midgardiano.”
La voce del re faticava a contrastare il mugghio cacofonico della folla raccolta. C’erano Jötnar ovunque e genti che non aveva mai visto, poiché aveva vissuto poco e in un universo così angusto da non contemplare altro che giganti di brina e divinità dai capelli d’oro.
“Midgard? Non è il regno dei mortali?” domandò Helbindi, seduto al suo fianco, eppure prudentemente discosto.
Laufey annuì e aggiunse: “Si vede che per qualcuno il tuo ventre vale davvero una vita, figlio.”
Loki fissò l’arena, il velo di sabbia rossastra e ghiaia che rivestiva la pietra; uno sguardo cieco, il suo, poiché non c’era traccia dell’oro dell’unica creatura per cui si fosse concesso il disturbo di un amore.
Proprio nessuna.

*

La colpa era un peso grave, che si faceva di giorno in giorno più schiacciante.
Frigga scrutò il limpido cielo di Asgard e lesse in quella primavera profumata di sole l’invito a espiare un crimine che le schiacciava il petto come una pietra, ma che nulla – nemmeno Mjolnir – avrebbe potuto sbriciolare.
Aveva contato l’uno dopo l’altro i giorni dell’assenza di Thor; per la prima volta, nella sua lunghissima esistenza, aveva sentito il gravame del tempo e di un fardello chiamato affetto.
Era stato per amore di Thor che aveva commesso mille errori; per amore, solo per amore, che l’aveva infine condannato all’infelicità e poi perduto.

Mi dispiace: non avevo compreso, figlio, e forse non c’è rimedio per quello che ho fatto, ma torna a casa, te ne prego.

Quante volte aveva formulato quella preghiera, senza tuttavia riuscire a confessare – a confessarsi?
Loki portava già in grembo un figlio di Thor, quando Odino l’aveva destinato a un’iniziazione suicida. L’aveva perso – Frigga l’aveva percepito come ne aveva sfiorato il ventre per curarlo e ricevuto, in cambio, una rassicurante sensazione di vuoto – ma non bastava. Se il figlio di Laufey fosse davvero riuscito a dare un erede a Thor, il principe sarebbe rimasto per sempre incatenato a una creatura ambigua, sfuggente e pericolosa.
Loki amava suo figlio e la forza di quel sentimento la inteneriva, ma restava una madre: non poteva preoccuparsi di sacrificare troppo poco al futuro di chi aveva generato.

Che mostro saresti, tu, per approfittare…

La voce della coscienza urlava, eppure non era bastata a fermarla: le ferite e il cucciolo mai nato avevano reso Loki vulnerabile e fragilissimo.
Erano bastate poche parole – quelle parole – a distruggerlo.
Un invito, niente di più, ma era stato quasi precipitarlo dal Bifrost.
L’aveva seguito sino al palazzo di Heimdall e atteso che il guardiano officiasse il compito che gli era stato destinato, poi aveva osato quel che mai sarebbe arrivata a concepire quand’era ancora solo una regina fiera e una madre piena d’orgoglio, non una donna spaventata: aveva usato il Seiðr per incantare il custode; gli aveva chiesto di dimenticare quel giorno e di chiudere le palpebre innanzi ai passi di Loki Laufeyson.
Introvabile: ecco lo status che competeva ora allo Jotun.
Introvabile.
Per questo, però, Thor non avrebbe mai smesso di cercarlo, né Frigga di perdere un figlio.

Ora basta. Ora è tempo che confessi la mia viltà al Padre degli dei e domandi la sua intercessione per salvare il cuore e il futuro del principe.

*


Il suo primo avversario fu un massiccio nano dalla fluente barba fulva e dall’insidiosa ascia bipenne. A dispetto della taglia, era forte come un toro e menava fendenti micidiali.
Thor si accontentò di subirne gli assalti per mezza clessidra, poi, sotto lo sguardo interdetto degli scommettitori, certi di vederne rotolare il capo ai limiti dell’arena, afferrò l’ascia per il manico, gliela strappò di mano con ridicola facilità e lanciò poi il nano ben oltre il perimetro destinato agli scontri.
“Un altro!” ruggì trionfante.
Sif si coprì gli occhi e scosse il capo.
Loki, immobile al fianco del padre, invece, non aveva ancora mai sollevato lo sguardo nella sua direzione.
Era bello com’era certo di non averlo mai visto; splendido da Jotun, eppure qualcosa di diverso, perché su di un punto, senz’altro, il bando non mentiva: era la creatura più rara dei Nove Regni.
E l’avrebbe avuta.

“Non ti distrarre, mortale. Non è tesoro su cui la tua razza possa accampare pretese.”

Coperto da una scintillante armatura d’argento, avanzò un sinistro elfo nero. Se era vero quanto si mormorava dei døkkálfar – e aveva visto abbastanza da convenire sulla fiducia – non era delle armi che doveva preoccuparsi.

*


“Il favorito è Eldr, il figlio più giovane d’uno dei nostri migliori soldati,” disse Laufey, indicandogli una montagna semovente coperta da cuspidi di ghiaccio. “Sono onorato e sorpreso che abbia scelto di partecipare. È davvero molto bello, non ti pare?”
Helbindi soffocò a stento una risata.
Sarà un accoppiamento interessante, ripeteva un’eco maligna nella sua testa.
Loki raccolse le mani in grembo per contrastarne il tremito.
Eldr aveva schiacciato l’avversario quasi fosse un frutto marcio. Il capo sgranato dell’elfo nero imbeveva ora la rena dei suoi umori, sotto gli sguardi affamati ed entusiasti degli Jötnar.
“Non devi avere paura: non sarà così brutale, quando…”
Sto per vomitare, pensò, e chiuse gli occhi.
Lontani, cori entusiasti sostenevano un certo Donnie da Midgard.
Non era quello, però, il nome che aspettava.
Il nome che avrebbe potuto salvarlo.

*


“Riconosci il peso di quanto mi hai confessato, Frigga?”
La voce di Odino era carica d’incredulità e di un dispiacere umanissimo: avrebbe dovuto odiarsi anche solo per quella delusione.
“Sì,” mormorò a capo chino.
“E sai che il guardiano è sacro e che ingannarlo legittima una pena capitale?”
Annuì di nuovo. “Sono pronta a pagare per le mie colpe, Padre degli dei.”
Odino abbandonò il trono. Ed io, Frigga? sembrava domandare l’unico occhio, lucido di pena e di tristezza.
“Mi sottoporrò al giudizio degli Æsir, come vuole…”
Le porte della sala si aprirono. Trafelato, Fandral si inginocchiò al loro cospetto. “Domando perdono, se non rispetto il protocollo, ma ho notizie gravi e urgenti che riguardano il destino del principe.”
“Thor?”
“È su Jotunheim, scortato da Lady Sif, per il torneo che assegnerà la mano di Loki Laufeyson. Laufey ha inviato banditori ovunque, fuorché nella Capitale,” aggiunse Fandral. “Lady Sif lo ha accompagnato, ma mi ha inviato un corvo prima di partire. Teme che sia…”
“Uccellagione pura e semplice… E non gli sarà difficile imbrigliare quello stupido merlo,” tuonò Odino. Frigga rimase in silenzio, lo sguardo volto a terra e le labbra strette in una smorfia disperata.
“Dovevo sperare in una femmina: resistono meglio alla fregola,” mugugnò Odino, poi le tese la mano. “Partiamo per Jotunheim. Forse è ancora possibile rimediare ai nostri errori.”
Nostri, aveva detto, e nella luce calda di quell’unico occhio riconobbe il ragazzo che era stato, che aveva amato e il sentimento che li aveva travolti, quando i cieli erano giovani e gli Jötnar, un incubo lontano.
Era stata quella, l’emozione che aveva riconosciuto Thor? Quello, l’incantesimo che aveva preteso di neutralizzare?
Stupida, Stupida Frigga.
“Sì,” disse.
Sì, riconduciamoli a casa. Insieme.

*

“Un altro!”
L’arena si era spopolata. Lagune brunite indicavano i luoghi in cui si erano tenuti gli scontri più cruenti. I corpi dei caduti erano stati trascinati oltre il perimetro destinato ai combattimenti.
Erano rimasti in quattro.
Quattro, per una chimera che valeva i Nove Regni.
Thor si asciugò un rivolo di sangue che gli correva lungo lo zigomo. Era esausto, indolenzito, eppure era certo di non aver mai lottato con altrettanta forza.
Gli occhi da lupa di Sif non l’abbandonavano un solo istante, come quelli di un nano bolso che scommettere su di lui – il midgardiano dal nome ridicolo – aveva coperto d’oro.
I pretendenti rimasti erano tre Jötnar – ai suoi occhi, dunque, indistinguibili.
Sputò sui palmi e portò lo sguardo al cielo: era candido come nei suoi ricordi.
Candido come dopo un’inattesa alba d’amore.
Per la prima volta da che il torneo aveva avuto inizio, Loki si volse nella sua direzione. Fu un attimo, un battito di ciglia, poi lo vide portarsi le dita alle labbra e restare così, sospeso tra incredulità e orrore.

Te l’avevo detto, ricordi? Puoi provare a scappare mille volte, e ogni volta riuscirei a trovarti.
È il nostro destino.

*


“Questa è davvero una sorpresa,” disse Helbindi. “Chiunque otterrà la tua mano, sarà all’altezza delle grazie che offri: uno storpio o un mortale.”
Loki strinse i denti e deglutì con difficoltà.
Se anche avesse osato ricredersi su un Destino maledetto, le Norne avevano deciso di rinverdirgli la memoria: al centro dell’arena stavano ora Thor e Gríma.
L’amore della sua vita e il cacciatore cui doveva la propria sopravvivenza.
Laufey socchiuse le palpebre e scrutò i contendenti.
“Ho sentito parlare di quello Jotun. Se non cado in errore…”
“È stato lui a trovarmi,” mormorò. “È molto forte e agile.”
“È vero che non vede nulla?”
Loki scosse il capo. “Al contrario: vede molto più lontano della maggior parte di noi.”
“Il midgardiano ha una fisionomia conosciuta.”
Loki distolse lo sguardo. “È la prima volta che ne vedo uno, padre.” La sua voce, tuttavia, era troppo flebile e incerta perché il re non intravedesse l’ombra delle emozioni che avrebbe preferito soffocare.

8. Primi raggi di sole

Solo uno. Ne mancava ormai solo uno.
Thor sollevò il viso e studiò lo Jotun, senza essere ricambiato. Il nano che continuava a far soldi sulla sua pelle gli aveva assicurato fosse cieco, dunque una preda facile.
Thor gli avrebbe risposto volentieri che un avversario da poco non avrebbe atterrato e travolto i migliori esemplari della propria razza, ma era troppo teso per perdersi in chiacchiere.
Non sotto quegli occhi, poi. Non a un passo da Loki.
Si spostò sulla destra, al fine di valutare la rapidità con cui il gigante avrebbe reagito. La sensibilità dello Jotun ai rumori, acuita dalla cecità, era quasi sovrannaturale: avrebbe dovuto puntare tutto su velocità e violenza; mirare alle gambe e poi alla gola.
Loki, le labbra strette e lo sguardo perso, era vicino e irraggiungibile al tempo stesso.

Guardami, stupido, e smettila di credere d’essere il solo a saper amare.

Thor coprì la distanza che lo separava dall’avversario e spiccò un salto per agganciarlo al collo. Il pugno dello Jotun, tuttavia, lo colpì al centro dello sterno, schiantandolo al suolo. Fu un miracolo, anzi, se non precipitò oltre il perimetro di gara.
Sarebbe stata più dura del previsto.

*


“Cosa ti turba, figlio? Non sembri interessato al combattimento, eppure è un confronto di prim’ordine.”

Laufey sa.

Quel pensiero lo investì con una tale violenza da mozzargli il fiato.

L’ha riconosciuto. Ha capito che il midgardiano è…

“Forse lo annoiano i tornei,” suggerì Helbindi. “Chi non è adatto alla guerra…”
“Potrei cominciare con lo strapparti la lingua,” sibilò all’indirizzo del fratello.
Il giovane Jotun chinò il capo e tacque.
“Non è lo scontro che mi aspettavo.”
Laufey sorrise – il sorriso di uno squalo. “La freddezza del tuo sangue è davvero quella di un sovrano, Loki,” disse, “ma ti manca l’esperienza per…”
In quel momento un boato fece tremare la tribuna: Thor era riuscito a rovesciare Gríma e ne minacciava la giugulare con un corto pugnale.
“Dichiarati vinto e vivrai,” fu l’offerta dell’Áss.
Era lurido, coperto di polvere e ferite, eppure restava la creatura più nobile e bella dei Nove Regni.
Gríma, però, non avrebbe mai chiesto pietà: ne era certo.
Gríma non meritava di morire.
Prima che Laufey potesse comprendere le sue intenzioni, il mantello era già in terra.
Una spoglia inerte, come mai più sarebbe stato il suo cuore.

*

Aveva ustioni da gelo ovunque, una clavicola slogata e il folle desiderio di una vasca d’acqua calda, ma era a un passo dalla vittoria e non avrebbe mai accettato di tirarsi indietro.
“Appellati alla mia misericordia, per le Norne!” ringhiò, poi qualcuno lo afferrò per la spalla, lo costrinse a voltarsi e si presentò con un eccellente gancio destro.
“Il vostro scontro si chiude qui. Il tuo ultimo avversario sono io.”

Loki.

Un denso silenzio scese sull’arena, gravido d’incredulità e curiosità morbosa.
Thor si strofinò lo zigomo offeso. “Sarà un piacere,” rispose, mentre lo allacciava al collo e lo schiacciava a terra. “… E complimenti per l’acconciatura: peccato che dovrò rovinartela.”
Loki accusò il colpo, ma si rialzò subito. Gli occhi di sangue brillavano inquietanti e seducenti come non mai.
“Vedremo, Thor Odinson.”
Fu quasi gli avesse detto: ‘Ti amo’.

*

Laufey non l’avrebbe ammesso volentieri, ma Loki era riuscito a conquistarlo, perché in una spoglia minuta e fragile stavano l’intelligenza e il coraggio di cui gli eredi di Fárbauti parevano del tutto sprovvisti.
Era astuto, tenace e manipolatore. In poco tempo era riuscito a guadagnarsi il rispetto dei dignitari e a ridurre al silenzio quella linguaccia di Helbindi.
Era gracile, eppure forte in un modo che in passato non avrebbe nemmeno preso in considerazione.
Sarebbe stato un sovrano perfetto, se…

“Ordino alle guardie d’intervenire?”

Fárbauti gli si accostò. Al centro dell’arena, gli eredi di Jotunheim e di Asgard si colpivano con violenza selvaggia, eppure raccontavano un sentimento ben diverso dall’odio.
Ripensò ai giorni in cui, al termine di duelli estenuanti, aveva piegato e vinto il principe consorte.
Ripensò all’ebbrezza con cui si era abbandonato al sollievo e al giubilo d’aver trovato il compagno adatto a un re: il seme perfetto per il fiore di una nuova vita.
Loki era di nuovo a terra. Cavalcioni sul suo petto, Thor Odinson ricordava agli Jötnar la superiorità di una razza dorata, eppure era, insieme, vincitore e supplice.

“È così. Quello che vedono i tuoi occhi è giusto. Potremmo continuare a farci la guerra nei secoli, ma un giorno la nostra carne sarà polvere.”

Piegò il capo. Odino sostenne il suo sguardo.

“… E la loro – indicò l’arena: chino su Loki, le dita intrecciate ai lunghi capelli d’ossidiana, Thor divorava le labbra che aveva rovinato. Sangue nel sangue: un patto che valeva una vita intera – ha scelto una via diversa.”
Laufey annuì. “Se è in tuo potere, allora, Padre degli dei, separali almeno per qualche clessidra,” aggiunse subito dopo. “Non so quali siano i costumi della tua barbara gente, ma la mia preferisce accoppiarsi nella discrezione dell’alcova.”

*


“Che razza di accoglienza…”
Thor spiò critico la propria immagine riflessa. Aveva il viso livido, un occhio semichiuso; dalle spalle al coccige era un solo dolore e avrebbe avuto bisogno di un sonno letargico che valesse quelli di Odino, per raggranellare qualche briciola d’energia.
Eppure non rimpiangeva una sola di quelle ferite.
“Non sei stato più delicato,” gli fece eco una voce che avrebbe riconosciuto tra mille. Anche Loki si era ripulito e, dall’andatura claudicante, accusava i postumi della loro surreale riunione.
“Queste pelli sono state cucite per me, perciò suppongo che possano andarti bene. Di sicuro hanno un odore migliore dei tuoi quattro stracci.”
Thor inclinò il capo e si concesse il lusso di squadrarlo. Nonostante le ecchimosi e i tagli derivanti dai colpi che gli aveva inferto, aveva un magnifico aspetto.
“Non hai sentito la mia mancanza, a quanto pare.”
Il tono risultò più teso e rabbioso di quel che avrebbe voluto; la disperazione maciullata e mai digerita di un abbandono immeritato gridava di nuovo.
Ripensava all’esilio volontario su Midgard, alla violenza e alla miseria in mezzo alle quali era precipitato quasi dovesse scontare il più infamante dei crimini.

Ma quale?
Era solo amore.

Loki gli offrì gli abiti senza una parola.
“Hai idea di quello che ho rischiato a presentarmi su Jotunheim?”
Lo sguardo dello Jotun si indurì. “Sì e non avresti dovuto.”
Thor strinse i denti e lottò contro l’istinto brutale di schiacciarlo a terra e tempestarlo ancora di colpi.
“Che significato avevano, allora, quelle parole? Quanto mi hai detto…”
Loki gli diede la schiena. “Ho sangue d’elfo nero. Sono una creatura corrotta e bugiarda… Non lo sapevi?”
Thor lo afferrò per una spalla e lo strattonò con violenza. “Guardami in faccia e ripetilo!”

“Basta così, Loki: sono io che ti ho mentito.”

Thor sollevò il capo. Frigga, immobile sulla soglia della camera che gli era stata destinata, lo salutò con un cenno.

“Se n’è andato perché gli ho lasciato credere che il suo amore ti avrebbe rovinato. Se n’è andato perché ti ama: probabilmente meglio di quanto non abbia fatto la tua stupida madre.”

Thor portò di nuovo lo sguardo su Loki. Lo Jotun, però, non lo ricambiò.

“Non voglio il tuo perdono, Loki, perché di tutti i torti che ti ho fatto, questo è stato senz’altro il più crudele. Voglio solo che tu sappia che mi dispiace di non aver compreso prima chi fosse il vero mostro tra noi.”

Loki schiacciò il viso contro il suo petto.

“E non mentivo, quando ti ho detto che sei magnifico, perché sei davvero unico e bellissimo, Loki.”

“Madre…”

Frigga sorrise, poi gli indicò lo Jotun che singhiozzava tra le sue braccia.

“Quando sarà nelle condizioni di ascoltarti, digli che avrete altri figli… E che tutto andrà bene, questa volta.”
“… Altri… Figli?”
“La neve protegge sempre il buon seme, Thor: poi basta un raggio di sole, perché gli anemoni fioriscano.”

*


Curiosamente, per Loki non fu facile lasciare Jotunheim.
In quegli ultimi mesi aveva vissuto accanto agli Jötnar, ne aveva conosciuta la brutalità e scoperta la selvatica bellezza.
Aveva letto una storia diversa da quella che aveva sfogliato tra le rune degli Æsir: il destino di un popolo che non riusciva più a vivere di notte e di neve; che cercava una stella più calda e una terra più ricca, un futuro di luce per i cuccioli che sarebbero arrivati.
Non scusava il gesto di Laufey, ma non provava più rancore: era sopravvissuto comunque e, soprattutto, aveva vissuto.
Aveva lottato, imparato, sbagliato, trionfato e respirato la polvere della sconfitta.
Sapeva di essere vento e tempesta e lupo, però.
Conosceva la voce del proprio cuore.

“Quando vorrai tornare, sarai sempre il benvenuto, figlio.”

Il palmo di Laufey era freddo al punto da ustionare la sua pelle da Áss, ma non si ritrasse.
“Vi ringrazio, padre,” mormorò a testa bassa.
Thor gli allacciò le spalle: una stretta decisa, che valeva più di mille parole.
Non era un addio, come non sarebbe stato un guinzaglio il futuro di calore che l’aspettava.
Se avesse sentito la nostalgia della neve, avrebbe dovuto solo attraversare un ponte di speranza e polvere di stelle: Thor sarebbe stato al suo fianco e ovunque sarebbe stata casa.
“È tempo di andare, ora,” disse Odino.
Loki annuì, ma il richiamo di una voce nota lo riportò sui propri passi.
“Gríma?”
Il cacciatore gli offrì uno splendido cucciolo di lupo bianco.
“Il mio dono di nozze,” disse. “Per non dimenticare quello che siamo.”

Lupo. Figlio di lupo. Cuore di lupo.

“Grazie,” sussurrò e baciò con devozione la mano che l’aveva salvato dal buio.
Soffice e tiepido tra le sue braccia, il cucciolo bevve l’ultima lacrima.
Felice.

9. Miracolo inevitabile

“Fenrir! Io ti ordino, stupida bestia…”
Il lupo, che era ormai grosso come un orso e altrettanto distruttivo, scoprì le zanne e oppose alla sua ingiunzione il brontolio feroce dei predatori senza padrone.
“Non mi pare che sia propenso a prenderti sul serio,” rise Sif, reclamando l’attenzione di Fenrir con un fischio. Nemmeno a dirlo, il lupo non esitò a obbedirle e a leccarle le mani quasi fosse un servo devoto.
“Vedi? È un bestione proprio intelligente.”
“È un sabotatore,” mugugnò Thor, prima di affiancare la guerriera.
“Povero Fenrir! Il principe è geloso!”
“Lo saresti anche tu, se… No, evito di raccontartelo: di sarcasmo ne sopporto già abbastanza.”
Sif gli rifilò un’occhiata obliqua. “Non è quello cui sto pensando, vero?”
“Se ha a che fare con il giaciglio del cane, sì.”
Fenrir gli allungò una musata poco amichevole.

Tu diventerai il mio nuovo coprisella, me lo sento…

“Ma anche quando…”
“Soprattutto quando! E l’unico in imbarazzo sono io, perché quell’altro…”
“Ti supplico, principe degli Æsir: che i segreti della tua alcova restino tali!”
Thor scosse il capo. “Finché non nasce il bambino, comunque, che ci sia o meno quest’impiastro di mezzo non fa differenza.”
Sif accarezzò il testone di Fenrir, ricambiata da un gorgoglio d’apprezzamento. “Ti ha cacciato dal letto?”
“Quasi.”
“Esce di rado, ormai. Una volta gli piaceva passeggiare per i giardini di Fensalir.”
“Preferisce evitare di mostrarsi. A suo dire, un popolo che associa la gravidanza al sesso femminile, troverebbe il suo aspetto grottesco.”
“Brutale e saggio come di consueto. Che avrà trovato in te…”
Thor le rivolse un’occhiataccia. “Vorrei che fosse meno intelligente. Di questo passo, mio padre lo adotterà davvero per diseredare me.”

“Potrebbe essere un’eccellente soluzione.”

Sif si esibì in uno scherzoso inchino. “Salute a voi, principe consorte.”
Loki la ricambiò con un sorriso e Thor ricordò quanto rara fosse stata, un tempo, la luce che vestiva invece ora ogni suo gesto. Tutto si era come ammorbidito in lui, levigato dalla tenerezza e dall’attesa.
Desiderava quel figlio con un’intensità che non avrebbe mai potuto comprendere, perché era cresciuto nel calore di una famiglia, non nella desolazione del buio.


La prima notte in cui si erano ritrovati insieme, dopo una separazione che gli era parsa tanto più crudele quanto meno l’aveva desiderata, mille domande premevano in gola come bocconi avvelenati.
“Perché non me l’hai detto?”
Stretto tra le sue braccia, Loki non aveva risposto. Respirava piano nel buio; le sue labbra erano fredde e le sue lacrime lava.
“Se solo l’avessi immaginato, non avrei mai permesso che…”
“Ma tu… L’avresti desiderato davvero?”
“Cosa?”
“Vuoi che ti dia un figlio?”
Thor gli aveva accarezzato le spalle, la schiena ossuta, la linea spigolosa dei fianchi. “Tutti quelli che verranno,” aveva sussurrato al suo orecchio.
“E se somigliassero a me?”
“Dovrei stare attento… Tirerebbero pugni di tutto rispetto.”
Le labbra di Loki gli avevano sfiorato il petto e lì deposto un bacio tiepido e grato; poi un lamentoso bioccolo bianco ne aveva reclamata l’attenzione e l’idillio era finito.
L’infelice esordio di un altro assedio infinito.


“Non mi aspettavo di vederti.”
Loki gli offrì la mano: la baciò con tenerezza, poi la trattenne nella propria.
“E lasciarti solo con Fenrir? Non credo di potermi fidare.”
Sif ridacchiò complice. “Chissà perché…”
Thor scosse il capo, rassegnato alle mille sfumature di un amore che somigliava sempre troppo a una guerra e a un costante gioco di forza. Era stato proprio quello, tuttavia, ad attrarlo: Loki era un lottatore; un guerriero spietato, spesso scorretto.
Era una sfida continua e un mistero. Ora, soprattutto, la culla in cui riposava il loro inevitabile miracolo di sole e di neve.
Sif lanciò un altro fischio, cui il lupo replicò con un latrato entusiasta. “Posso tenerlo per qualche ora? Ho una classe di valchirie da addestrare e un ospite così speciale mi aiuterebbe a movimentare la lezione.”
“Con piacere,” rispose Loki. “Immagino che qualcuno te ne sarebbe grato.”
Thor finse un morboso interesse per una gazza solitaria che lo fissava, derisoria, dai pinnacoli del Tempio dei Titani.
“Allora? Vuoi accompagnare il principe consorte nella sua passeggiata?”
“Se senti ancora il bisogno di esercitare il tuo sarcasmo…”
Loki arricciò le labbra in una smorfia scontenta; poi, quando Sif e Fenrir abbandonarono i giardini, cercò le sue braccia e la sua bocca. “Ti domando perdono, ma non ho poi molto da fare e il mio carattere peggiora.”
Thor lo allacciò alla vita; oltre la tunica di lino, il ventre ingrossato sporgeva ormai in modo evidente e, non appena vi portò la mano, un colpetto rispose al suo tocco.
“Piano: ci sono io di mezzo,” borbottò Loki, eppure lo invitò a osare una nuova carezza. “Lo senti? Ha la grazia di un pentapalmo… Proprio come te.”
“Non potrebbe aver ereditato il tuo temperamento?”
“Forse… Chi lo sa?”

10. Come il vento d’estate

Quando il bambino reclamò un posto nel mondo, Loki si scoprì terrorizzato come nemmeno davanti all’antro di Fáfner, perché quella nascita era quanto mancava a una felicità perfetta.
Perché i sogni che si avverano lasciano sempre alle spalle una dolce malinconia.

“Non devi avere paura: Fulla ed io ti aiuteremo e tutto andrà bene.”

Frigga gli allontanò i capelli dal viso e gli strinse la mano. Non l’abbandonò nemmeno quando la sua pelle si coprì d’azzurro e cristalli di neve.
“È la tua natura,” gli disse con dolcezza. “Sopravvivrò a qualche bruciatura: non è un dolore insopportabile.”

Loki chiuse gli occhi e pregò perché dal calore che gli straziava le viscere nascesse il fiore più bello di Asgard.
Un fiore degno dell’inverno più gelido e della più sfolgorante estate.

*


“Ma… Madre!”
Frigga lo cacciò dalla camera con ruvida efficienza. “Fuori: non sono affari da uomini,” grugnì, chiudendogli le porte sul muso quasi fosse un postulante molesto; poi, colta da un rigurgito tardivo di maternità, si affacciò di nuovo e disse: “Lo faccio per te, perché Loki soffrirà e tu non vorrai vederlo. Perché, soprattutto, ti maledirà mille volte per averlo ridotto in tali condizioni e non ti piacerebbe comunque saperlo.”
“Che?”
“Domanda a tuo padre, se vuoi, ma allontanati da questa stanza. E in fretta.”

Quanto a Odino, la consolazione che gli offrì fu, insieme, un ricordo e una scusa imbarazzata.
“Mentre nascevi, io ero su un campo di battaglia a sterminare Jötnar.”

Un grido lacerante attraversò l’aria immobile del mattino, gettando in un panico confuso persino i corvi del Padre degli dei.

“Dunque… Non abbiamo altri regni da conquistare?”
Odino gli rise in faccia. “E questo è appena l’inizio, figlio. Appena l’inizio.”

*


Il neonato urlava con forza sorprendente, ma ai suoi sensi, ottusi dal dolore e dalla stanchezza, giungeva appena un’eco vaga.
Frigga gli tamponò il viso con una pezzuola gelata e gli baciò la fronte.
“È un maschio bellissimo. Immagino che tu non veda l’ora di conoscerlo…”
Fulla si avvicinò al letto con un cosino urlante tra le braccia – una piccola cosa meravigliosa.
“Sai già come chiamarlo?”
“Forse dovrei domandare a Thor,” rispose con un filo di voce.
Frigga sollevò il neonato e glielo depose sul petto. Era morbido e caldissimo, tanto che quasi non osava toccarlo.
“Sarà un Thorson, dunque è giusto che tu scelga un nome che dica solo di te, perché sappia che ti appartiene.”
Loki tese la mano e accarezzò la testolina del neonato, coperta da una fitta peluria scura.
“Minn (6),” disse.

Perché sei mio.
Perché sarò tuo per sempre.

*


“Ti odio,” bisbigliò Loki, ma la bocca lo tradì: il disprezzo non gli avrebbe mai sorriso con altrettanto calore.
Thor si inginocchiò accanto al suo letto e gli strofinò la guancia, là dov’era ancora evidente la traccia salmastra del sudore e delle lacrime.
“Come stai?”
“Come se Fáfner mi avesse calpestato. Preferirei affrontare altre mille volte quel mostro, che ripetere l’esperienza.”
“Dici sul serio?”
Loki gli allungò uno schiaffetto dispettoso. “No, sono un bugiardo.”
Thor si rialzò. Stretto al petto dello Jotun, il neonato pigolava lamentoso.
“Un altro con cui dovrò dividerti,” sospirò, prima di accoglierlo tra le proprie braccia.
Era piccolissimo, eppure perfetto: sul capo portava la notte, sotto le palpebre, il cielo estivo.
Era l’ultimo punto di una storia infinita, sbocciata su di un fiordo lontano, in un tempo di cui nessuno aveva più memoria, ma che continuava con loro, in un sangue che nessuno avrebbe più maledetto e diviso.
“Si chiama Minn.”
“Minn Thorson. Mi piace.”
“Ora, però, restituiscimelo.”
Abbandonato tra i guanciali, Loki reclamava e blandiva una vita che dava senso a tutto: alla solitudine, al rimorso, all’abbandono, alla guerra, alla pace, al sole e persino alla neve. In quegli occhi verdi, privi d’ombra e tristezza, Thor colse infine il segno di un’inaspettata, straordinaria vittoria, e ne fu fiero.
Come il vento d’estate trascina via con sé le nubi e restituisce al cielo l’azzurro dei giorni migliori, così al suo amore era riuscito il più incredibile dei miracoli: tra le sue braccia era davvero fiorita la neve.

Note:
(1) Secondo la mitologia norrena, tali sono i nomi dei fratelli di Loki.
(2) Giganti che appaiono legati alle imprese di Thor e Odino.
(3) Patria degli elfi oscuri e dei nani, è uno dei Regni inferiori.
(4) Il regno delle divinità celesti, di cui Asgard è Capitale.
(5) Mitica lingua comune a tutti i Regni.
(6) In norse arcaico, mio.

   
 
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