Titolo: Le couleur du Désir
Rating: Arancione.
Betareader: ElfoMikey
Avvertimenti: Ho
modificato alcuni eventi, rispetto all’opera originale, cercando però allo
stesso tempo di mantenere integre le personalità originali dei protagonisti e di
dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo personaggio.
Disclaimer: Non possiedo la maggior parte dei personaggi di questo
racconto, poiché essi sono usciti in un primo momento dalla penna di Victor
Hugo e, successivamente, rielaborati dal genio di Claude-Michel
Schönberg. I soli personaggi che mi appartengono sono
quelli che ho io stessa inventato, ovvero Camille
Dupont e la sua famiglia. I fatti narrati sono in parte inventati da me e
in parte sempre ispirati dall’opera ‘Les Miserables’ di Hugo, seguendo però il filone narrativo del
musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’ anche secondo Grantaire.
Ma, come ogni uomo mortale, egli ha anche un lato umano….
Il rosso è il colore degli uomini irati e del
cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le sfumature di un’anima
innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo Enjolras
lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius
glielo spieghi alla vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il sentimento umano più forte
dell’amore?
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Enjoy…
Le couleur du Désir
Part One: The first glance.
1828,
Paris.
La pioggia le
scendeva sul viso come una lenta carezza, portando con se l’odore forte del
marciapiede fetido e delle zolle di terra smosse del vicino campo santo.
I capelli le si
attaccavano continuamente al collo, nonostante fossero parzialmente raccolti in
uno stretto chignon, e lei li scostava infastidita, cercando di frenare il
tremore alle labbra causato dal freddo e, al tempo stesso, di scaldarsi le
braccia sotto allo scialle leggero nella quale si era avvolta per uscire.
Camminava veloce,
cercando di tenere stretto il piccolo cestino di vimini che portava
sull’avambraccio. Era mattina presto, l’alba non aveva ancora tinto con spruzzi
rosati la tela celeste.
Doveva sbrigarsi a
comprare il pane e tornare a casa per preparare qualcosa di caldo per il padre,
prima di vederlo recarsi come ogni giorno al lavoro.
Per poi dedicarsi
alla sua, di giornata.
A lei sarebbero
toccati i soliti compiti giornalieri. Essere la seconda figlia, per Camille Dupont, era una benedizione e una maledizione allo
stesso tempo. Mentre suo padre lavorare presso Monsieur Leblanc
alla conceria di pelli sulla Senna e sua sorella maggiore Eloise
cuciva le vesti dei soldati presso una sartoria alla fine Rue De Battignolles, lei passava la giornata tra le quattro mura della
loro modesta casa, ad occuparsi di sua sorella minore Odette
e della loro madre, Yvonne.
Da qualche tempo,
la donna era malata e Camille iniziava ad avere cupi
presagi su quella malattia che in molti chiamavano Tisi. Ne aveva sentito
parlare, si era a suo malgrado informata e nell’apprendere che il degenerare
progressivo di quella tosse vermiglia avrebbe condotto sua madre tra le braccia
del Signore, una fitta al cuore l’aveva quasi fatta piegare su se stessa.
Cosa poteva fare?
Erano poveri.
Non così tanto da
dover passare le giornate sui marciapiedi a chiedere l’elemosina o a vendere un
po’ di amore a soldati e gentiluomini dal dubbio onore, ma abbastanza da
impedire che un dottore potesse occuparsi di quel morbo con le opportune cure.
Era così concentrata
su quei pensieri tristi, da non accorgersi che aveva smesso di piovere e i
primi raggi di sole caldo presero ad illuminare i marciapiedi di Place de la Concorde, facendoli brillare.
Passando accanto
alla fontana al centro della piazza vi si fermò, sedendosi un istante per
concedere ristoro ai suoi piedi, infreddoliti a causa della pioggia che aveva
impregnato il tessuto logoro delle scarpe che indossava.
Appoggiò accanto a
sé il cestino, levandosi lo scialle. Sospirò, scostando una ciocca che, sfuggita
al concio, le dava fastidio. Poi si voltò verso sinistra, sentendosi
improvvisamente osservata.
Fu allora che li
incontrò.
Un paio di
bellissimi occhi grigi, che spuntavano appena sopra il bordo di un libro dalla
copertina rossa ed eleganti scritte dorate sul dorso.
Passarono diversi
istanti prima che la giovane potesse trovare la forza di rompere quell’incanto
venutosi a creare in modo tanto inaspettato, potendo così rimirare infine la
figura del giovane che sembrava a sua volta così interessato dalla sua presenza.
Non credeva di
averlo mai visto – un volto così bello non se lo sarebbe dimenticata
facilmente. Aveva un viso dai tratti decisi, ricci capelli color grano e un bel
portamento.
Era senza ombra di
dubbio ricco, lo poteva notare dalle vesti che indossava.
Poi sapeva senza
dubbio leggere e l’istruzione era un bene che solo i privilegiati potevano
avere.
Sembrava uscito da
una di quelle favole che suo padre raccontava ad Odette
in quelle sere in cui non era troppo stanco da andare a dormire subito dopo un
piatto di zuppa.
Ed era, al tempo
stesso, fuori luogo.
Cosa ci faceva un
ricco da quelle parti? Al mercato, poi. La Rue Des Champs-Elysees iniziava proprio alla fine di quella piazza,
erano un covo di prostituzione e malavita. Non erano un posto dove un giovane
di buona famiglia doveva cercare il suo svago.
Quel giovane,
invece, sembrava quasi possedere quella fontana, visto il modo in cui vi sedeva
sopra. Sicuro, fiero.
Aveva un’aria
decisa.
Camille sentì il viso
andarle a fuoco, constatando che erano parecchi minuti che i due si stavano
studiando a vicenda. Abbassò lo sguardo, sentendo la ciocca di prima ricaderle
nuovamente sugli occhi, mentre le guance si tingevano di rosso vermiglio.
Trovò il coraggio
di guardarlo nuovamente solo dopo aver cercato inutilmente di frenare il suo
cuore, che correva più veloce di quattro giovani purosangue al traino di una
carrozza, e ancora lui la stava guardando con interesse.
Un piccolo sorriso
si disegnò sulle labbra rosee del ragazzo, e lei non riuscì a non ricambiarlo.
Il giovane abbassò il libro, poggiandolo sulla coscia e muovendosi in avanti
con il busto e alla ragazza mancò il fiato.
Che stesse per
andare da lei? A parlarle?
Istintivamente alzò
lo scialle rimettendolo sulle spalle affinché lui non notasse quel vestito
vecchio e sbiadito che indossava, ma non accadde nulla. Un altro ragazzo si
affiancò al biondo, sedendosi accanto a lui e iniziando a parlargli
concitato di qualcosa, distogliendo del tutto il suo interesse da Camille.
Lei sospirò,
spostando di nuovo i capelli indietro e alzandosi dalla fontana. Aveva
indugiato anche troppo, doveva assolutamente tornare a casa per portare il pane.
Si avviò così verso
il banco del panettiere, sospirando al pensiero di quegli occhi freddi che
l’avevano fissata per lungo tempo. Freddi, certo, ma con una scintilla di pura
passione ad illuminarli e renderli più vivi del fuoco scoppiettante.
Stava per
avvicinarsi alla bottega del fornaio quando, sulla sinistra, notò una piccola
bancarella, quasi nascosta tra le altre. Tra i piccoli scaffali di cui era
composta, notò tanti piccoli barattoli di erbe così, incuriosita, si avvicinò.
La Belladonna faceva mostra di sé, appesa accanto a moltissime altre erbe
e la giovane riuscì a riconoscerla solo dalla forma singolare delle foglie
larghe.
La guardò, pensando
che sarebbe stata un ottimo rimedio all’insonnia di sua madre. Non dormiva bene
a causa dei frequenti colpi di tosse e si svegliava di soprassalto, non
riuscendo più a conciliare il sonno. Aveva così tanto bisogno di dormire…
Prese il borsellino
di cuoio conciato che aveva nel cesto e contò le monete, notando che non ne
aveva abbastanza per comprarsi poi il pane.
Sospirò, alzando di
nuovo gli occhi verso i rametti della pianta, appesi e lasciati ad essiccare.
Lanciò uno sguardo alla donna che gestiva la bancarella e la trovò troppo
impegnata a discorrere con quella che pareva un’amica per poterle prestare
attenzione.
Si morse il labbro,
decidendo che nessuno si sarebbe accorto della mancanza di un paio di foglie.
Si avvicinò
maggiormente, fingendosi interessata ad una particolare varietà di fiore e
appena la proprietaria distolse lo sguardo da lei allungò la mano oltre lo
scialle strappando una foglia e nascondendola sotto di esso.
Fece per prenderne
un’altra ma il suo polso venne catturato da una mano quasi scheletrica.
Sobbalzando per lo stupore, Camille si voltò
trovandosi davanti la proprietaria che la guardava con sguardo crudele “Cosa
vedo qui? Una ladra!” disse a voce alta, facendo sbiancare la giovane e
attirando molti sguardi.
“No,Madame, io-”
“Conserva il fiato
per la corte, ladra!” inveì la donna, strattonandola lontana dalla bancarella e
spinta. Cercando di conservare l’equilibro pestò sulla veste e caddè, rovesciando il cestino e perdendo così la
foglia.
Si guardò attorno
intimorita mentre un crescendo di mormorii si alzava sempre di più e una
piccola folla la accerchiava.
Tentò di rialzarsi
e andarsene, ma una voce la bloccò, lasciandola impietrita in quanto la
riconobbe immediatamente “Cos’è questo scompiglio? Fate rapporto a me!”
L’ispettore Javert.
Camille deglutì, alzandosi
in piedi, reggendo con le mani tremanti il cestino; l’ispettore aveva una
triste fama, tra il popolo. Non c’era mai pietà nel suo sguardo e sicuramente
l’avrebbe portata in galera anche solo per una misera foglia di belladonna.
Quando apparve tra
la folla, seguito da un paio di poliziotti, Camille
si sentì venir meno e solo la paura la tenne in piedi, come bloccata. Strinse
di più il cestino.
“Questa giovane ha
tentato di derubarmi!” la proprietaria si fece subito avanti, dopo aver
raccolto la foglia da terra, come prova del reato appena commesso ai suoi
danni.
L’ispettore la
guardò per un istante, prima di ruotare il busto e rivolgersi a Camille “Avete qualcosa da dire Madamoiselle?”
domandò con voce sottile l’uomo, fronteggiandola con sguardo duro “Potete
giustificarvi?”
La giovane
socchiuse le labbra, cercando di spiegarsi ma sapeva che era inutile. Sarebbe andata
in galera, avrebbe deluso la sua famiglia e chissà cosa sarebbe potuto
accaderle. Cosa ne sarebbe stato di lei se sui suoi documenti avessero letto,
in futuro, che era una ladra?
Abbassò lo sguardo,
sapendo che solo quello sarebbe stato inteso come un evidente segno di
colpevolezza e aspetto di sentire la sentenza.
Ma essa non arrivò.
Una mano calda le
si poggiò sulla spalla, mentre una voce nuova arrivava alle sue orecchie come
un balsamo “Sono io a cui dovete rendere conto.”
Si voltò quasi di
scatto ed eccoli di nuovo. Un paio di occhi grigi, su di un volto stupendo.
Enjolras aveva iniziato a
non condividere più la visione della vita dei suoi genitori da parecchio tempo,
ormai. Loro lo giustificavano quando si assentava dalle cene e dai balli, sostenendo
che a diciotto anni l’animo ribelle si risveglia in ogni giovane di buon cuore,
ma non mancavano mai di rimproverarlo per quell’atteggiamento.
Era il loro unico
figlio, l’onore della famiglia e colui che avrebbe portato avanti il nome della
casata, non potevano permettersi di vederlo mandare tutto al diavolo.
Come un uccellino,
non potevano stringerlo troppo o lo avrebbero soffocato. Non potevano nemmeno
concedergli troppa libertà, però, o sarebbe volato via, lontano da loro, così
come continuava a giurare che avrebbe fatto alla prima opportunità.
Era stufo di vivere
in una gabbia dorata.
Non era quello il
suo posto.
La Francia non era
come i suoi genitori la dipingevano, ma così come la vedeva lui giorno dopo
giorno, per le strade.
Scappava presto, la
mattina presto quando ancora il sole non aveva bussato alle imposte delle case,
per evitare le lezioni con il precettore e per leggere in pace i diari di Robenspierre, ispirato da quell’uomo che aveva dato tutto
per la Francia, fino alla sua vita. Aveva fatto di tutto per liberarla dai
tiranni oppressori e che poi si fosse lasciato un po’ calcare la mano era un
dato di fatto, certo, ma era giusto ciò che aveva tentato di fare.
Ridare la patria
alla gente, poiché erano egli stessi la patria.
Ogni uomo doveva
essere un re, era nell’ordine naturale delle cose.
Quella mattina non
fece eccezione, naturalmente.
Camminando
velocemente per i corridoi ancora bui aveva lasciato alle spalle il cancelletto
di casa, alla volta di Place de la Concorde, dove sicuramente
non lo avrebbero rincorso. Suo padre sarebbe uscito come ogni mattino senza
nemmeno controllare che il caro figlio fosse ancora vivo, figurarsi nei suoi
alloggi. Sua madre invece lo avrebbe atteso per colazione fino a quasi all’ora
di pranzo, prima di inveire verso le serve come se la colpa fosse loro.
In ogni caso,
nessuno lo avrebbe mai seguito.
Arrivato alla
fontana, vi si era seduto come era solito fare, aprendo il libro e
posizionandolo davanti al naso, elargendo di tanto in tanto qualche moneta
d’argento ad ogni mendicante che chiedesse la carità.
Amava trascorrere
il tempo in mezzo alle persone comuni, sentendo lo scalpitio degli zoccoli dei
cavalli lungo il viale ciottolato e il profumo di pane appena sfornato uscire
dal panificio di Madame Chartier.
Voltò pagina dopo
essersi inumidito l’indice con la punta della lingua per facilitare la presa
sulla carta ruvida e si concesse un istante per alzare gli occhi.
Ma poi non riuscì
più ad abbassarli poiché, davanti a lui, era appena apparsa la giovane più
bella che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Era molto magra,
fragile a prima vista, con la pelle più bianca dell’alabastro più puro.
I capelli scuri,
quasi neri, erano stretti in un alto chignon, ma da esso ne sfuggivano molti,
dando alla ragazza un’aria più vera, ma non per questo trasandata. Una ciocca
poi le cadeva in avanti, sul profilo reso netto dal naso perfetto. Poi gli occhi…
Enjolras credette per un attimo di naufragare nell’oceano blu che
erano gli occhi di quella ragazza, non appena essa lo notò ricambiando lo
sguardo.
Erano grandi, di un
taglio particolare, sottili e allungati.
Non ne aveva mai
visti di così stupefacenti.
Cercò di mantenersi
distaccato come per sua attitudine, sentendosi però lusingato nel constatare che
la giovane sembrava interessata quanto lui.
Non notò la veste
logora, lo scialle tarlato o le scarpe zuppe; Vide solamente la bellezza più
pura mista alla semplicità.
Il suo cuore perse
di un battito.
Per un istante
riprese a fissare con sguardo fisso le pagine del libro che, in un batter
d’occhio, sembrava esser stato scritto in una lingua a lui sconosciuta. Tornò a
guardarla, incapace di negare ai suoi occhi tale spettacolo e arrischiò un
pallido sorriso che venne ricambiato.
Doveva forse andare
a parlarle? Chiuse il libro, appoggiandolo accanto a sé.
Poteva essere una
possibilità unica, quell’incontro. Doveva sapere di più di lei, quanto meno il
suo nome. Così fece per alzarsi, ma una mano lo trattenne.
“Enjolras, sei qui! Che gran giorno oggi, ho sentito che
l’esercito sfilerà per il Re, magari potremo tentare di…”
Perse metà del
discorso di Cambeferre perché, riportati gli occhi
sulla fontana, notò che la giovane era sparita. Si alzò in piedi tenendo un
dito tra le pagine del libro e prese a guardasi attorno stranito.
L’amico lo guardò
senza capire “Cosa ti prende, oggi? Non hai mai rifiutato di creare un po’ di scompiglio…”
“L’hai vista?”
domandò appoggiando una mano sulla spalla di Cambeferre,
che subito trasalì, meravigliato.
“Vista?” chiese, prima
di soffocare una risatina “Ti conosco da quando non eravamo altro che due
bastardi che si rotolavano nella polvere, nel giardino dei Coudrier
e non ti ho mai sentito parlar di nulla che non fosse politica. Hai per la
prima volta visto una donna, Enjolras?”
Il biondo scosse il
capo, distanziandosi dall’amico di un passo prima di guardare verso la folla
che iniziava a formarsi nel mercato “Non è nulla di che, Cambeferre.
Fingi che io non abbia detto nulla. Di cosa mi stavi parlando?”
“Sei distratto come
il più maldestro degli innamorati?” sussurrò con un pizzico di malizia Cambeferre, beccandosi un’occhiataccia “Almeno il nome
della giovane che ti ha distratto a tal punto potresti confidarmelo.”
“Non posso
soddisfare questa tua curiosità, mi dispiace.”
“Oh andiamo!
In segno della nostra amicizia!”
Enjolras scosse di nuovo il
capo, tornando a guardare speranzoso verso il mercato “Il suo nome mi è sconosciuto… E qui si sta ingigantendo la cosa. Ho solo
trovato una giovane molto graziosa. Non ho di certo chiesto la mano di nessuna.”
“Una giovane
graziosa?” domandò divertito l’altro “Parli come mio nonno, Ras! Dovremmo fare
qualcosa per questi tuo modi austeri. Devi uscire più spesso da quella
bellissima villa in cui vivi.”
“Come posso uscire di più di casa, se mai mi trovo la?” chiese con un
pizzico di sarcasmo il biondo, mentre un terzo giovane si avvicinava, con le
mani ben piantate nelle tasche e un sorriso luminoso.
“Courferyac! Arrivi giusto in tempo” esordì Cambeferre, voltandosi verso il moro che li aveva
rapidamente raggiunti.
“In tempo per cosa?”
“In tempo per
goderti uno spettacolo più raro di Grantaire sobrio! Enjolras innamorato!”
Il morettino lo
guardò stranito “Stai scherzando voglio sperare? E dov’è il giovane Don
Giovanni?” chiese divertito, pronto a elargire anch’egli battute.
Non era una cosa da
tutti i giorni.
Cambeferre lo guardò stranito
“Perché mi chiedi dove si trova? Lui è…” si voltò
verso Enjolras, ma dell’amico non c’era più nemmeno
l’ombra.
Aveva voltato le
spalle per pochi secondi ed eccolo, si era volatilizzato come suo solito.
“Dovremo far
qualcosa per queste sue fughe…”
Enjolras non aveva saputo
trattenersi.
Appena notata la
piccola folla che era venuta a crearsi vicino all’ingresso del panettiere, si
era diretto lì ignorando Cambeferre che nel frattempo
si era rivolto a Courferyac.
Si era insinuato
tra le persone lì ferme, con un brutto presentimento che si era rapidamente
tramutato in certezza alla vista della ragazza dai capelli neri e i grandi
occhi.
Ma non solo.
Con lei c’era Javert e questo non presagiva nulla di buono.
“Che succede qui?”
sussurrò ad una donna che osservava maligna la scena, sussurrando nell’orecchio
ad un’amica.
Questa si voltò
verso il ragazzo, guardandolo attentamente con un certo interesse prima di
rispondere. “Quella giovane è stata sorpresa a rubare, Monsieur.” Rispose
immediatamente.
Enjolras riportò di nuovo
gli occhi sulla figura della ragazza, incredulo. Era davvero una ladra?
Cercò di capirlo.
Dallo sguardo
che aveva non sembrava avvezza ai furti. Era spaventata, la paura le
impregnava gli occhi. Cercò di capire quale fosse il motivo della
contesa, ma non gli fu chiaro.
Ma doveva rischiare.
“Permesso,
scusatemi, lasciatemi passare…”
Si fece strada
ancora di più tra la calca e riuscì ad arrivare laddove Javert
fronteggiava la giovane. Appoggiò con sicurezza una mano sulla spalla,
rivolgendosi direttamente all’ispettore “Sono io a cui dovete rendere conto.”
La ragazza si voltò
stupita, guardandolo come se fosse al pari di un angelo sceso sulla terra per
aiutarla, mentre Javert raddrizzava le spalle,
guardandolo con gli occhi resi sottili come due fessure “A cosa vi riferite,
Monsieur Enjolras?”
“Questa è una serva
alle mie dipendenze.” Rispose sbrigativo, per nulla stupito dal fatto che Javert conoscesse bene il suo nome. Quando era più giovane
e fuggiva nel cuore della notte, sua madre si era spesso rivolta alla polizia
per trovarlo e Javert lo aveva più e più volte
ricondotto a casa, tirandolo per un orecchio. “Le ho chiesto io di prendere ciò
che ha preso. Stavo finendo di discorrere con una persona, poi sarei
personalmente passato io per pagare.”
Javert lo guardò per
nulla persuaso, appoggiando il manganello alla spalle e facendo un passo
avanti, con espressione quasi minacciosa. Istintivamente, Camille
fu percossa da un tremito, ma Enjolras non avrebbe
permesso che le accadesse nulla. Portò un braccio dietro alle sue spalle e una
mano appena sotto al gomito della giovane, sostenendo fiero lo sguardo
dell’ispettore. “Mi state dicendo… Che questa
donna ha preso per voi una singola foglia di belladonna e che voi sareste
passato a pagare? Una sola foglia?”
Il biondo fece per
rispondere, ma in un sussurro delicato, fu Camille a
parlare “Non ero certa che la pianta fosse di gradimento al mio signore, così
ho pensato di portarne un campione da lui per domandargli se poteva andare.”
Enjolras la guardò
brevemente, prima di tornare a voltarsi verso Javert
“Credo sia tutto, ispettore.”
L’uomo guardò
entrambi i ragazzi con severità, prima di drizzare le spalle “Portate i miei
saluti a vostro padre, Monsieur Enjorlas.”
“Sarà fatto…” Poi Javert si
sbrigò a dissipare la folla e sparire, lasciando i ragazzi al centro di quel
piccolo spiazzo improvvisato. Subito il biondo prese le distanze, voltandosi
verso la ragazza “Come vi sentite, Mademoiselle?”
Lei lo guardò
ancora un po’ scossa, arrossendo lievemente “Bene, vi ringrazio per ciò che
avete fatto per me, Monsieur.”
“Non vi è nulla di cui
ringraziarmi.” Rispose lui, calamitando i suoi occhi a quelli di Camille “Perdonatemi l’imprudenza, ma non conosco il vostro
nome…”
“Io-”
“Enjolras!”
Il ragazzo alzò gli
occhi al cielo, riconoscendo fin troppo bene quelle voci. Si voltò, dando per
un attimo le spalle alla ragazza e vide arrivare i suoi amici, passando tra le
persone che passeggiavano per la via e dirigendosi verso di lui.
“Sei sparito nel
nulla!”
Enjolras sospirò “Non
credevo di dover rendere conto a voi dei miei spostamenti. Siete più esigenti
dei miei genitori.”
“Lo sai che abbiamo
molto a cuore la tua salute” disse divertito Cambeferre
mentre Courfeyrac ridacchiava “Dove eri fuggito? Hai
ritrovato la tua dama?”
Enjolras lo guardò
stranito. Perché gli poneva quella domanda invece di presentarsi?
Si voltò e si
rispose da solo.
Della ragazza non
c’era più traccia “Era qui fino ad un istante fa…”
sussurrò più a se stesso che agli amici, i quali si scambiarono uno sguardo
divertito.
“Beh, quantomeno
avete qualcosa in comune…”
Camille si appoggiò con la
schiena alla parete di cemento del negozio, stringendosi addosso lo scialle e
sospirando. Peggior figura non la poteva fare.
Non solo era
passata per ladra agli occhi dell’intera città e di Javert,
che sicuramente l’avrebbe sempre tenuta d’occhio da lì in poi…
Ma anche a quelli
di quel giovane di buona famiglia.
Enjolras…
Non conosceva
nemmeno il suo nome di battesimo.
Prese un respiro,
vergognandosi un po’ anche di quella fuga, ma non sapeva come reagire sotto
quello sguardo limpido. L’aveva aiutata nonostante l’accusa.
Nonostante fosse
una totale sconosciuta.
Si sporse oltre la
parete, stando attenta però a non farsi vedere, e spiò il ragazzo circondato da
altri due giovani. Guardò uno di essi, che sembrava anche più giovane, con qui
riccioli capelli scuri, mentre appoggiava una mano sulla spalla del biondo
prima di incitarlo a seguirlo con un cenno del capo.
Enjolras però attese un
istante, guardandosi nuovamente attorno e lei si sbrigò a nascondersi alla sua
vista, appoggiandosi totalmente alla parete.
Quando trovò il
coraggio di guardare ancora, però, dei tre non vi era più traccia.
Si appoggiò con la
schiena al muro esterno, prendendo un respiro profondo e sopprimendo un piccolo
sorrisetto.
Cos’era quel
sentimento che sentiva nascerle in petto, scaldandola?
Si ci poteva
innamorare così in fretta?
Era una sensazione
nuova, mai provata e forte.
Così intensa da
inebriarla più del vino.
Si strinse sotto
allo scialle, decisa ad andare al fornaio più vicino a casa, nonostante il pane
fosse meno buono, sperando di non aver perso tutto il tempo e chiedendosi,
contemporaneamente, quante possibilità avessi di scontrarsi di nuovo con quello
sguardo di ghiaccio.
Si incamminò lungo
il sentiero ciottolato tra le case, sorridendo.
Quasi non si
accorse che aveva ripreso nuovamente a piovere…
Quella mattina la
pioggia portava con sé l’odore forte della rinascita. Scivolava delicata lungo
la linea nivea delle guance, lavando via lo sporco e l’affanno lasciato dai
giorni vuoti, risanando il così presente.
Continua….