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Autore: heyyouthere    18/02/2013    14 recensioni
"Aspetti un invito scritto per caso? Non perdere questa occasione, perché questi miei scatti di bontà non capitano spesso." "Tutto merito del mio fascino." disse, alzandosi anche lui e mettendosi lo zaino in spalla. [Dal II capitolo]
Prima ff che scrivo. Ditemi cosa ne pensate, tutte le critiche sono ben accette. :)
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonsalve (?) dolci persone! Come va? Siete ancora tutti vivi? Spero di sì, anche perchè già ci sono troppo poche persone intelligenti a quasto mondo, quindi se mi sparite anche voi, mi lasciate circondata da troppi stupidi nella vita quotidiana.
Sto cercando di fare molto la persona casual e tutta tranquilla, facendo finta di non essere stata via per più di un mese.. Lo so che sono orribile dal punto di vista della costanza (non la persona, la qualità. voglio dire, se c'è una qualche ragazza costanza che ho aiutato in vita mia, probabilmente dal suo punto di vista non sono poi così orribile. ok). Il fatto è che quasto capitolo è stato lungo e faticoso, come il viaggio fino a scuola di mattina nel freddo e nel gelo. Non riuscivo a trovare nessun finale che mi convicesse abbastanza e non trovavo le parole giuste e boh, il mio cervellino si rifiutava di collaborare perchè è più pigro di un bradipo (però i bradipi sono così carini che ti viene da abbracciarlim perchè se no senti che ti si spappola il cuoricino)
Ah, già questo è il finale. *Stappa venticinquemila bottiglie di champagne, versandoli addosso a tutte voi e a se stessa, corre per la strada abbracciando la gente e fa un sacrificio a Zeus* (scusate per il sarificio, non volevo ferire i sentimenti di nessuno, ma Zeus lo voleva)
Finalmente è arrivato anche questo ultimo capitolooooo (è anche per questo che sto scrivendo all'inizio, almeno così arrivate alla fine in pace e tranquillità, senza il mio papiro snervante ad ogni fine di capitolo).
Volevo solo dire che sono molto contenta di aver condiviso questa storiella con voi, e spero che sia stato lo stesso anche per voi. E sono strafelice e volevo ringraziare tutte le persone che l'hanno messa in seguite/ricordate/preferite/mi piacciono gli unicorni, e anche a chi l'ha solo semplicemente letta senza fare niente. E soprattutto voi donne, piccole creature meravigliose che avete recensito, perchè è stato molto bello leggere i vostri commenti stupendi. *voce in lontananza: non hai mica ricevuto un oscar! vai a casa!*
Oooooook, adesso vado e vi lascio leggere.
Ci vediamo presto però, perchè ho decisamente intenzione di scrivere altro, magari oneshot questa volta.
Adesso vado.
Ohhhhh.
Adesso.
Ok, basta, vado.
Siete molto belle. Ciao.
-xo

 









“Every aching wound will cauterize and bruise
In memory of what we used to call in love
And only time will tell if violins will swell
In memory of what we used to call in love
We used to call it...”


Motion City Soundtrack

 

 
 
Salita sull’autobus, presentai l’abbonamento al signore corpulento seduto al posto di guida, ricevendo in cambio un sorriso che mise ancora di più in mostra le sue guance paffute.
Percorsi il corridoio sotto lo sguardo indagatore di una vecchietta con ovvie manie di persecuzione. Dopo la mia analisi completa da capo a piedi, in cerca di un potenziale minaccia, mi lasciò perdere, evidentemente decretandomi inoffensiva, per tornare a tenere d’occhio il ragazzo seduto dalla parte opposta del corridoio: i suoi capelli lunghi sulle spalle, la musica alta nelle cuffie e i vestiti trascurati la mettevano a visibile disagio, e quindi in guardia in vista di un possibile attacco da parte di quel poveretto.
Siamo sempre stati abituati così, diffidare del prossimo, esprimere i nostri giudizi e trarre conclusioni del tutto relative è nella nostra natura. Non possiamo farne a meno. Questo è un istinto che c’è dentro, che è sempre all’erta e che erige una barriera quasi protettiva tra la nostra persona e l’altro, l’estraneo.
È una paura incosciente e incontrollabile, una paura nera, quella di essere feriti. Mostrarsi troppo vulnerabile è una cosa spaventosa, una cosa che si cerca di fuggire con tutte le forze.
Forse proprio per questo in quel momento mi abbandonai sui sedili trasandati della linea D7. Trovai un posto adatto ai miei gusti, un posto in fondo, uno di quei posti che il bagliore fastidioso delle luci di emergenza non colpiva.
Mi infilai le cuffie, principalmente per ignorare il terribile canale radio che l’autista aveva scelto, e provai ad far partire la musica dall’mp3 malconcio. Doveva essere di buon umore, perché decise di farmi un favore e accendersi al primo colpo, nonostante fosse ridotto in condizioni davvero pessime.
Cosa potevo ascoltare?Lasciai scorrere l’elenco di quei pochi album che la sua povera memoria riusciva ancora a contenere, ma non mi decisi per nulla. Lo lasciai andare sushuffle.
‘Cattiva idea. Pessima.’recitò paziente la vocina nella mia testa, quando le prime parole di Pony cominciarono a risuonarmi nelle orecchie.
Ripensai al fatto che il rosso sarebbe partito il giorno seguente e non potei fare altro che notare come il mio senso di autoconservazione mi aveva guidata fuori di casa, fino alla fermata, solo per prendere un autobus che mi portasse in nessun luogo in particolare. Solo un pretesto per uscire e allontanarmi dalla sua stupida faccia, perché, dicevo a me stessa, almeno così il distacco sarebbe stato più facile.
Quando l’autista arrivò al capolinea, scesi anch’io. Entrai nel supermercato all’angolo ed esaminai gli scaffali. Alla fine mi decisi per la bottiglia di vino che c’era sullo ripiano davanti ai miei occhi e la esaminai per qualche secondo. ‘Prenderne un’altra non farà di certo del male a nessuno.’ mi dissi mentre la mia mano si stringeva intorno alla seconda bottiglia.
Usai una cassa rapida, giusto per evitare la signora che sembrava aver depredato l’intero negozio, per poi prendere qualcosa da portare via al Mcdonald’s che fiancheggiava l’uscita.
Durante il viaggio di ritorno, l’autobus era questa volta miracolosamente pieno, così dovetti tenermi in equilibrio nel piccolo spazio tra la coppia di fidanzatini che sembravano voler procreare sul lurido corridoio di un mezzo di trasporto pubblico e un ragazzino che continuò a sbattere il suo zaino contro il mio fianco, fino a quando non lo guardai in modo così truce da fargli mettere tra di noi una distanza di sicurezza.
 
Finalmente arrivata a casa, mi diressi direttamente in cucina, stappai la prima bottiglia e, abbandonato l’istinto di attaccarmici direttamente, riempii un bel bicchiere, di quelli fatti appositamente per il vino bianco, visto che mia madre non aveva mollato fino a quando non era riuscita a comprarli.
“Hei, piccola alcolizzata.” mi salutò Ed, arrivando alle mie spalle e avvolgendomi tra le sue braccia. “Come mai stasera hai scelto il vino?” Mi posò un piccolo bacio sulla tempia, mentre io mandavo giù l’ultimo sorso.
“Dovremmo bere più vino. Fa bene alla salute, sai?” Versai un altro bicchiere per me e ne presi uno anche per lui. “Certo, non come la verdura. Però tanto l’alcol lo beviamo lo stesso. Almeno il vino è buono e salutare.” conclusi, passandogli il suo. Incrociai le mie dita con le sue. “Allora, hai finito? I bagagli sono a posto?”
Gli davo ancora le spalle, ma lo sentii mentre svuotava il suo bicchiere.
“Più o meno.” rispose, infine. Mi girai per guardarlo, sfoggiando un sorriso rassicurante. Nota per me stessa: vadano anche le cose male all’università, ti resta ancora una brillante carriera da attrice. Complimenti.
Andai in camera sua e la vidi quasi vuota. “Beh, almeno questa stanza è finalmente pulita.” lo presi in giro, facendo dondolare la bottiglia in mano, mentre andavo a sedermi sul letto.
Mi raggiunse in un attimo, facendomi ribaltare all’indietro, mentre io cercavo di sfruttare le mie doti da acrobata per non rovesciare il vino sulle lenzuola verdi.
“Sei felice che finalmente sgombero la stanza? Almeno non darlo così tanto a vedere. Puoi darti alla pazza gioia non appena avrò varcato quella soglia.” Mi mise un braccio intorno alle spalle, per tenermi più vicina.
“Quindi vuoi rinunciare a me che ti saluto addolorata, sventolando un fazzolettino bianco mentre il tuo treno sparisce in lontananza?” Scoppiai a ridere, più per la stupidità di quella battuta e per  l’effetto inebriante dell’alcol che per effettiva ilarità.
Mi fermai per prendere un altro sorso, questa volta direttamente dalla bottiglia, visto che il bicchiere lo avevo abbandonato in cucina, e, dopo averla posata sul mobiletto, mi girai per guardarlo, sorprendendolo a fissarmi , con la bocca piegata in un mezzo sorriso.
“Sheeran, non fare quella faccia.”
“Quale faccia?” cercò di assumere un’espressione indifferente.
Quella faccia. La faccia da ‘sto formulando dei pensieri profondi’. Ecco quale faccia.”
“Ma..”
“Non ci provare nemmeno, dolcezza.” lo ammonii.
“Non erano pensieri profondi.. pensavo solo al fatto che mi manch..”
“Shhhshsh.” cercai di zittirlo, coprendogli la bocca con le mani. “Non dirlo. Dillo e ti farò del male, rosso. Molto male.” Alzò le sopraciglio con aria interrogativa. “Quelle parole renderebbero il tutto molto più reale, mi faranno sbattere il muso nella realtà, e io non voglio. Voglio che il mio muso sia al sicuro. Almeno per stasera.”
Sorrise di nuovo. “Tanto lo sai. Non c’è bisogno che te lo dica.”
Spalancai gli occhi con finto sdegno, volendo sembrare offesa dal modo in cui aveva trovato un modo per violare la mia legge.
Lo presi per il colletto e lo tirai vicinissimo alla mia faccia. Sentivo le sue braccia tenermi stretta, come se stessi per scivolare via da un momento all’altro. Quando mi resi conto dello spazio praticamente inesistente rimasto tra di noi, le parole insignificanti che avevo intenzione di dire mi morirono in gola e cancellai quella distanza, attaccandomi avidamente alla sue labbra.

 

Mi svegliai di soprassalto, scattando a sedere. Quel terribile baccano infernale mi aveva di nuovo trascinata via dal mondo dei sogni. Era come uno schiaffo in piena faccia di prima mattina. Quello dell’appartamento accanto stava di nuovo obbligando tutto il primo piano a sentire la sua musica da due soldi, solo per suo diletto personale.
Mi alzai dal letto bruscamente, facendo brontolare Ed probabilmente ancora in dormiveglia, e mi infilai addosso le prime cose che trovai.
Uscii di casa, senza preoccuparmi di chiudermi la porta dietro. Avrei fatto in fretta.
Mi piazzai davanti alla sua e cominciai a suonare il campanello insistentemente. Una, due, tre, quattro volte. Bussai violentemente un paio di volte, per poi ritornare a schiacciare con forza il campanello, come se fosse colpa sua.
Quando finalmente si decise ad aprirmi, mi si piazzò davanti con aria sorpresa, senza però rinunciare all’aria da fighetto.
“Non so se è perché la mattina hai la casa tutta per te perché tua madre va a fare la spesa o esce solo per non vedere la tua faccia per un po’! O forse sei solo troppo stupido e privo di empatia per capirlo!
In ogni caso te lo dico io visto che sembra che tu non ci possa arrivare da solo: dacci un taglio, cazzo! Nessuno di questo piano o di questo condominio ha voglia di sentire la tua musica martellante che sveglia anche i morti. Provaci ancora e giuro che entro dentro casa tua, ti lego stretto stretto alle tue belle casse potenti e ti lascio lì finché non ti si spappola il cervellino!”
Mi guardava con orrore. Si allontanò piano dalla soglia, come se un suo movimento brusco comportasse il mio conseguente attacco. Chiuse la porta e dopo qualche istante tutto quel rumore fastidioso cessò. Un silenzio beato prese il suo posto. Sentii un grido di ringraziamento provenire da uno degli appartamenti confinanti.
Rientrai e tornai in camera, trovandomi davanti al rosso seduto sul letto leggermente disorientato e un po’ divertito. Aprì le braccia, facendomi segno di ritornare vicino a lui.
“La sveglia avrebbe suonato fra poco comunque.” costatò, guardando le cifre rosse dell’orologio e togliendo la sveglia, ormai inutile.
“Tanto prima o poi gliel’avrei detto. Non è che se adesso tu te ne vai, qui non vivrà più nessuno.” Notai l’acidità della mia frase.
Alzai lo sguardo su di lui e vidi che anche lui aveva fatto lo stesso.
Mi sfiorò piano il braccio da sopra i vestiti.
Rivolsi lo sguardo in giro per poi riprendere. “Tu invece faresti meglio a prepararti. Sicuramente Elliot sarà qui fra poco, visto che è sempre in anticipo.” Mi passò una mano tra i capelli, accarezzandomi la linea del collo.
Mi guardai le mani e mi resi conto di avere addosso la sua felpa. “Merda, hai dimenticato di metterla in valigia. Ero sicura che avresti dimenticato qualcosa. Voi uomini non sape..” mi fermò prima che potessi sfilarmela.
“In realtà volevo lasciartela. È la felpa degli imprevisti. Non posso partire e lasciarti senza una felpa per gli imprevisti.”  Giocherellava con le mie dita, senza mai staccare completamente la sua mano dalla mia. Alla fine la lasciò per alzarsi, e andò a prendere qualcosa dalla tasca del suo borsone.
Mi porse dei fogli, scritti, ripiegati, consumati. “Credo che dovresti tenerli tu, gli originali.” Fece una pausa, accarezzando la mia mano stretta intorno a quelle pagine. “In fondo erano, sono per te.”
“Oh, al diavolo, Sheeran.” sbottai, afferrandogli il viso e stampandogli un lungo bacio.
“Quanto ti sono sembrato idiota?” chiese, con uno sguardo arrendevole.
“Oh, lo sai che sei il mio idiota preferito.”
Il campanello suonò due volte, segnale dell’arrivo di Elliot.
Una mezz’ora ed era tutto pronto, il pulmino che aspettava di sotto insieme a tutti gli altri.
“Mi mancherà averti tra i piedi.” Circondai il suo busto con le mie braccia, infilandole sotto la felpa lasciata aperta.
“Pensavo che non fosse concesso dirlo. Ieri sera eri sul punto di linciarmi quando stavo per farlo.” sorrise, dandomi un bacio a fior di labbra.
“Ormai è andata. Negli addii tutto è concesso.. come sono poetica.”
“Non era in amore e in guerra?”
“Anche..”
Sfiorò il suo naso con il mio. “Allora è finita?”
“Sai una cosa, Sheeran? Se c’è una cosa che ho capito, è che non puoi decidere quando una cosa finisce o comincia. Ci sono, accadono e basta. Vivi come viene.”
Mi guardò per un po’, le labbra sottili storte in un sorriso. “Vivi come viene o no, anche io so una cosa. Questo non è di certo un addio.”
“Ah, no?”
“Non sperarci nemmeno.”
“Allora vai a spaccare un po’ di culi e poi chissà, magari ci incontreremo in giro da qualche parte.”
“Io sarò quello con i capelli arancioni e la chitarra.”
Sorrisi contro le sue labbra. “E io quella che forse apparirà a un certo punto, solo per sventolarti le canzoni in faccia, giusto per non farti dimenticare le parole.”
Mi diede un ultimo bacio prima di salutarmi. “Non vedo l’ora.”

 
  
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