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Autore: White Gundam    07/09/2007    3 recensioni
(serie a cui si ispira: Baldios Robot)
Marin e un ragazzo dolce e sensibile, ma al contempo è soldato in una guerra, e lì la dolcezza e la sensibilità sono annullate dalle armi e dalla paura, dal'uccidere per non essere uccisi.
E' una riflessione, scritta in versi, del protagonista di questo vecchio cartone robotico, davanti al mare, luogo che sembra ancora rievocare nel giovane Marin la pace, la calma e l'invito alla riflessione.
Genere: Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora questa è una poesia che ho scritto quest'estate una sera in cui ero un pò giu, infatti i toni sono drammatici, e non c'è neanche uno spiraglio di speranza, che viene soffocata dalla situazione nella quale si trova il protagonista.
Molto in linea però col cartone da cui è presa, molto tragico e dal finale davvero malinconico che non lascia la luce della speranza, ma l'avvolge nell'ombra più scura.
Poesia antibellica, sicuramente non la prima di questo genere e senz'altro non l'ultima, spero abbiate voglia di recensirla, e se lo farete vi ringrazio in anticipo, dato che, come da regolamento non potrò rispondere dopo... Sperando vi piaccia ecco a voi:


MARIN E IL MARE

I tuoi occhi si rispecchiano nell’azzurro del mare,
è l’unica pace che trovi nelle pause di quella guerra spaziale.
Guardi le onde, immagini le correnti,
trattieni le lacrime e stringi i denti.

Ti chiedi se mai potrà finire,
quella guerra che tanti fratelli fa morire.
Una guerra spazio temporale,
che porta il futuro e il passato della Terra a doversi affrontare.

Quindi i tuoi occhi lasciano spazio a quella pioggia di dolore,
quella pioggia fitta, che bagna i tuoi occhi, che stringe il tuo cuore,
quella pioggia che gli uomini “lacrime” hanno chiamato,
quella pioggia che fa tremare quel tuo animo straziato.

E quelle tue lacrime amare si rispecchiano
nel verde azzurro del mare.
I tuoi capelli mossi del vento,
ondeggiano in quella sera, in quel mare, fatti di silenzio.

Chiudi le palpebre in quell’attimo infinito,
sperando che non ci sia più bisogno di chiamare gli altri il nemico.

Ti richiama però la voce dei tuoi compagni d’armi,
che ti incitano a combattere, a rispondere agli allarmi.
Sospiri,
e con la coda dell’occhio, per un ultimo momento il mare ammiri.

Poi stacchi i piedi dalla banchina,
per tornartene in quella che di pilotaggio è la cabina.
E mentre le leve del robot tiri pian piano,
per un minimo attimo ti trema la mano,
ma poi torni quell’arma da guerra che di te hanno fatto,
al posto di quel tuo limpido cuore di ragazzo.

Un ultimo sguardo lo rivolgi verso il mare,
un’onda enorme da lì si vede alzare,
quell’onda che spazza via ciò che è rimasto del tuo romanticismo,
per portarti al della fazione nemica lo stragismo.

Sai nel tuo cuore che questo è sbagliato,
ma il tuo spirito è stato, dai fatti, annullato.
E mentre spingi sui pedali l’acceleratore,
hai gia perso il tuo cuore,
hai gia dimenticato cosa sia il di perdere gli altri il dolore.
E mentre usi la tua arma spaziale, per poter il nemico ammazzare,
hai gia dimenticato cosa vuol dire sorridere, cosa vuol dire amare.

Lo puoi ricordare solo una volta effettuato l’atterraggio,
ed essere uscito da quella maledetta cabina di pilotaggio.
Solo allora può tremarti il cuore,
per ciò che hai dovuto, che hai osato, che forse hai addirittura voluto,
fare.
   
 
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