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Autore: Lys40    21/02/2013    1 recensioni
Poco dopo il ritorno dalla guerra su Naboo, Obi-Wan deve ripartire per una nuova missione, accompagnato dal suo nuovo padawan, Anakin. Strane storie e leggende nascono su Kanodian, piccolo pianeta poco frequentato, ora al centro di preoccupanti voci. Eppure per Obi-Wan è l'inizio di un viaggio a ritroso all'interno di se stesso, quando sul pianeta scopre di non essere solo nel proprio dolore...
Genere: Angst, Avventura, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Anakin Skywalker/Darth Vader, Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi, Yoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da quella notte in cui la sua mente aveva percepito con terribile certezza che lui stava morendo, Ary sapeva che non avrebbe più dimenticato quelle sensazioni: sgomento, incredulità e infine la consapevolezza.
Sola, avvolta dal silenzio sicuro della foresta, lei era morta con lui. Ed era rinata: egli le aveva insegnato a riconoscere la paura, l’ira, l’odio, ma non aveva potuto negare le sue facoltà. Le aveva insegnato come sopportare la solitudine e la consapevolezza di quello che era, come usarle per non farsene dominare. Il dolore, l’ostacolo più duro, costituiva l’ultima prova: ne avrebbe fatto il suo alleato e l’avrebbe domato.
Il suo Maestro era con la Forza adesso e stava aspettando. Ary guardava le stelle e, come le era stato detto, sapeva che presto sarebbe venuto qualcuno a cercarla. Era fuggita per tanto tempo, ma il Destino le veniva incontro e lei non poteva più nascondersi.
 
1)
Su Tatooine le lame gemelle dei due soli si insinuavano a fatica tra le finestre polverose delle case di sabbia e bruciavano crudelmente fin dalle sette del mattino. Anakin aveva sognato un posto dove il caldo non lo tormentasse e le mattine fossero fresche e piacevoli.
Ormai erano passati sei mesi e ancora non si era adattato alle camerette dagli alti tetti del Tempio dei Jedi e non si era abituato all’aria di Coruscant. Appena alzato il bambino eseguì con zelo i propri esercizi: respiro, rilassamento e concentrazione, poi fece quello che faceva tutte le mattine. Corse alla grande finestra, la sola della sua stanza, si arrampicò su una sedia e guardò in su, verso la Torre Centrale, sede del Consiglio, che troneggiava su quel piccolo microcosmo.
Non si stancava mai di contemplare la vetta scintillante e le lucide vetrate su cui il primo sole scherzava con i suoi raggi multicolori. A Tatooine il paesaggio era sempre uguale e il giorno non aveva mai fine; qui Anakin non vedeva mai l’ora di iniziare.
 “Anakin! Sei pronto?” lo chiamò Obi-Wan da dietro la porta chiusa.
“Arrivo subito... Maestro.” si ricordò in tempo di aggiungere. Con un balzo fu giù dalla sedia. Si preparò in fretta e si rivestì del suo abito di apprendista. I pantaloni e la casacca bianca erano facili da indossare, ma solo da un mese aveva imparato come annodare la complicata fascia che chiudeva la giacca. Ricordava ancora, con un po’ di rossore, i brevi sorrisi divertiti di Obi-Wan, quando lo aiutava a vestirsi. E Obi-Wan non rideva più tanto facilmente, da sei mesi a questa parte.
Si affrettò lungo il corridoio, dove affacciavano la sua e le stanza degli altri Padawans, fino alla spoglia camera del suo Maestro, il Cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi, che lo aspettava come sempre per gli esercizi.
Ogni giorno sedevano e meditavano insieme, in silenzio, per almeno un’ora. Anakin imparava a riconoscere e a controllare il flusso vivente delle cose che lo circondavano e a dominare la Forza e i suoi istinti più ribelli grazie all’addestramento costante e tenace di Obi-Wan. Talvolta il giovane Jedi gli faceva provare a muovere le cose, ma era una pratica lenta e faticosa e il piccolo ex-schiavo di Tatooine si stancava in fretta.
La mente del ragazzo cresceva e maturava lentamente, ma i pensieri, i troppi sentimenti che si agitavano forti in lui erano fonte continua di distrazione e i rimproveri del Maestro erano frequenti. “Impara il controllo, Anakin. Non lasciare che la tua mente ti conduca dove vuole, devi essere tu a dominarla, non il contrario.”
Anche quella mattina il piccolo apprendista era riuscito nella meditazione per mezz’ora solamente, prima che le consuete immagini del suo mondo e del suo passato venissero a togliergli la concentrazione. Alla fine, come sempre, imperava il ricordo e la cocente nostalgia della madre e questo lo avviliva profondamente.
Il Cavaliere Jedi allora lo guardava e diceva con la sua voce tranquilla e persuasiva, “Nessuno ti chiede di dimenticare, piccolo Padawan. Sappiamo tutti quanto ti manchi, non è riprovevole questo. Ma devi imparare a dominarti. La Paura, Anakin, è la Paura che devi controllare, non dimenticare quanto ti ha detto il Maestro Yoda. La Paura è la via per il Lato Oscuro.”
Il volto del Maestro a quel punto si faceva sempre serio e Anakin non osava dire altro, ma si riprometteva di non farsi più cogliere dalle distrazioni e soprattutto prometteva a se stesso che mai avrebbe avuto paura.
Quel giorno tuttavia Obi-Wan pareva un po’ preoccupato e lo congedò prima del solito.
“Sei libero per un paio d’ore, Anakin, proseguiremo i nostri esercizi più tardi. Sono stato convocato alla Torre e non posso continuare il tuo addestramento oggi. Puoi stare con gli altri Padawans, se vuoi.”
“Yipee!” esclamò d’impulso il ragazzo, felice. Poi arrossì e aggiunge umilmente, “Chiedo scusa... sì, Maestro.”
Il Cavaliere Jedi ebbe un rapido sorriso e lo guardò uscire con passo solerte. Si alzò da terra e raccolse la lunga cappa marrone appoggiata a una sedia. Yoda gli voleva parlare non appena terminati gli esercizi mattutini e Obi-Wan sapeva che al vecchio Maestro non piacevano i ritardatari.
Si avviò verso la Torre Centrale, mentre intorno a lui uomini e donne andavano e venivano in quella tranquilla atmosfera di concentrazione e di impegno che caratterizzava il Quartiere. Erano appena le nove, ma la Torre risuonava già delle varie attività: l’edificio era costruito in modo che i vari piani permettessero un’affinità e un rispetto totale di chiunque vivesse e lavorasse lì. L’addestramento fisico si svolgeva al pianterreno mentre i piani superiori erano dedicati allo studio delle varie discipline che costituivano l’immenso sapere dei detentori della Forza. Solo all’ultimo piano si trovavano le sale di meditazione e soprattutto la Sala del Consiglio.
Sull’ultima rampa di sale Obi-Wan incrociò la lunga figura di Mace Windu. Il giovane si piegò in un saluto rispettoso. “Il buon giorno sia con te, Onorevole Windu.”
“E con te pure, giovane Kenobi.” L’imponente Jedi di colore lo guardò serio e accennò alla porta dietro di sé. “Il Maestro Yoda ti aspetta. È importante, Obi-Wan. Fai attenzione.” aggiunse.
Obi-Wan ebbe un rapido sguardo sorpreso, ma Mace Windu lo aveva già superato e scendeva rapidamente le scale. Così non ebbe altra alternativa che bussare alla porta della Sala del Consiglio ed entrare.
Yoda gli dava le spalle come al solito, lo sguardo rivolto al di là delle finestre. Il giovane piegò un ginocchio a terra e attese.
“Dov’è Skywalker?” chiese il vecchio Jedi, senza preamboli.
“Con gli altri Padawans, Maestro...... gli ho concesso libertà per due ore.”
“Tanto tempo non servirà per quello che dire ti devo. Ma è bene che non sia qui, segreta questa conversazione restare dovrà.”
Solo allora Yoda si voltò e guardò Obi-Wan dritto negli occhi. “Portare il ragazzo su Tatooine tu ancora vuoi?” chiese.
“Sì, Maestro,” rispose il giovane, un po’ perplesso. Era un argomento che era stato già affrontato; il Consiglio aveva acconsentito alla richiesta del giovane di prendere Anakin come Padawan, ma non voleva che fosse addestrato su Coruscant, così Obi-Wan aveva pensato di riportare il bambino a casa e di continuare lì l’addestramento.
“Partire tu potrai, ma non per Tatooine, non ancora, no.” disse Yoda. “Qualcosa di importante... un’altra missione devo affidarti.”
Tacque e il tempo si dilatò tra di loro. Obi-Wan scrutò quel volto alieno e realizzò che Yoda era profondamente turbato. Questo lo mise a disagio. La sua mente sensibile avvertì un tremito in quella del vecchio, quasi una nota di commozione.
Allora comprese. Chinò il capo e disse quietamente, “Ha a che vedere... con il Maestro Qui-Gon, è così?”
Il Maestro Jedi lo guardò attentamente e disse, “Sì, su Kanodian, il suo pianeta, è necessario che tu vada. Sarai ospite presso la famiglia Jinn. Già provveduto a questo io ho.”
“Kanodian... è lì che è nato il Maestro?” chiese Obi-Wan, poi aggiunse, tra sé e sé, “Non lo sapevo...”
“Nessuno lo sapeva.” replicò il vecchio, “Qui-Gon un Jedi molto riservato era. E non voleva domande. Ma ora è necessario che tu sappia. Con una persona parlare dovrai: essenziale essa è per il Consiglio.” Fece una pausa e si accostò al giovane. Il suo metro scarso di altezza gli consentiva appena di stare al livello del suo viso, quando Obi-Wan era in ginocchio come ora, ma i suoi occhi avevano una sfumatura di intensità così forte da intimidire chiunque. E Obi-Wan più che intimidito ora era spaventato dall’emozione che leggeva in essi e dalla risolutezza del tono che Yoda assunse, “Obi-Wan, la battaglia con i Sith finita non è. Altri ce ne sono, lo sento. La Forza è troppo grande, troppo varie e misteriose le sue vie, troppo mutevoli e imprevedibili i suoi agenti: aiutare e dire cosa ci aspetta la persona su Kanodian può. La Forza è potente in lei, ma anche pericolosa e imprevedibile. Qui-Gon questo sapeva e mai a nessuno detto ha... solo al vecchio Yoda.”
“Questa persona... è un uomo? Una donna? E’ parente del mio Maestro?” chiese sconcertato il Jedi.
“Anche questo nessuno sa. Dirti con chi parlerai non posso. Dirti cosa troverai nemmeno, ma andare devi, per il bene di tutti.”
Obi-Wan soffocò un sospiro e distolse lo sguardo, per non tradirsi. “Sì, Maestro.” mormorò.
Yoda avvertì il turbamento nella mente del giovane e d’impulso gli pose una mano sulla spalla. “E’ bene che tu vada anche per questo. Laggiù il tuo dolore affrontare dovrai e sconfiggere. Pericoloso esso è per te e per il ragazzo. Non ignorare questo devi, giovane Padawan.”
Obi-Wan lo guardò. Nessuno lo chiamava più così ormai, da quando aveva ricevuto la qualifica di Cavaliere Jedi, solo una persona l’aveva fatto finora. E Yoda questo lo sapeva. Lo fissò di nuovo e per un attimo scorse nel suo sguardo un affetto profondo e doloroso che minacciò di fargli perdere il controllo così faticosamente raggiunto.
“Ora puoi andare.” disse bruscamente il vecchio, allontanandosi.
“E di Anakin che ne sarà?” chiese ancora Obi-Wan.
“Il tuo apprendista esso è. Su Kanodian con te verrà, responsabile per lui tu sei.”
 
2)
I preparativi furono rapidi, una nave messa a disposizione dalla stessa regina Amidala li aspettava. La regina non sapeva, come chiunque altro, dove fossero diretti, ma aveva acconsentito immediatamente a fornire il mezzo di trasporto.
Anakin aveva avuto il tempo di andarla a salutare: non c’erano state molte parole, ma sguardi carichi di affetto e di incoraggiamento.
Presto furono sistemati a bordo e la nave partì, abilmente guidata da Zara, la pilota di bordo. Coruscant scomparve come un puntino luminoso nelle immensità nere dello spazio e ad Anakin non rimase che incollare il naso al vetro e contemplare lo scintillio delle stelle.
“Maestro, è lontano dove andiamo?” chiese al Cavaliere Jedi, occupato con le trasmissioni di bordo.
“Quanto basta, Anakin. Tra poco faremo il balzo nell’iperspazio.” rispose questi.
Il bambino gli si venne a sedere accanto e per un po’ lo stette a guardare mentre comunicava con la pilota e poi con le navi di passaggio in quel settore.
Una di queste, una nave del Senato, li precedeva, diretta a Naboo. Il nuovo Cancelliere Supremo, Palpatine, era stato molto solerte con gli aiuti alla popolazione devastata dalla guerra mercantile, ma Obi-Wan sospettava da tempo che dietro vi fossero motivi tutt’altro che umanitari. Il suo periodo di Cancelleria era appena cominciato e certamente una buona pubblicità doveva aiutarlo; il trattato di sostegno economico con la regina Amidala era stato firmato appena una settimana dopo l’elezione di Palpatine.
Obi-Wan ascoltò distrattamente gli ultimi aggiornamenti sulla situazione al Senato e poi chiuse le comunicazioni. Anakin avvertì la sua preoccupazione, e per la missione che li aspettava e per qualcosa di indefinibile che si agitava ai margini dei suoi pensieri.
Rabbrividì e il Maestro lo guardò con una punta di sollecitudine. “Hai freddo?”
Il ragazzo si agitò in sconforto. “Sì... pensavo di essermi abituato, ma lo spazio è sempre così freddo...”
Obi-Wan sorrise. “Hai ragione, è freddo... ma non è lo spazio a farci rabbrividire.” Prese una coperta e gliela avvolse intorno, come un tempo aveva fatto Padmé, l’ancella della regina. Tornò a sedersi e i suoi occhi chiari scrutarono quelli azzurri del ragazzo. “Ti capiterà spesso di provare freddo, Anakin. Fa parte di quello che siamo: la paura, i timori e le preoccupazioni fanno parte della Forza, ma non sono nostri alleati. Riconoscile e affrontale. Controlla la mente e controllerai il corpo.”
Il bambino lo guardò, improvvisamente serio e Obi-Wan avvertì che la sua mente si era avvicinata inconsapevolmente alla sua. “Maestro... anche tu hai freddo?”
Per un attimo il giovane non rispose, perché la sua mente era tornata alla conversazione con Yoda, a quello strano sguardo che gli aveva lanciato e alla sua mano posata sulla spalla. “Sì, Anakin, ho freddo.” Tacque e distolse lo sguardo. ‘E ho anche paura.’ pensò.
La nave sfrecciava tranquilla nello spazio senza stelle dell’iperguida. Anakin non aveva avuto difficoltà a farsi amica Zara, la donna pilota. Ora era accanto a lei e Obi-Wan li ascoltava scambiarsi informazioni su comandi e rotte interstellari; non era raro trovare donne pilote a Coruscant, provenivano dalla zona mineraria e facevano servizio di trasporto e rifornimento tra i vari sistemi. Ma certamente questa era la prima volta che Zara trasportava passeggeri e Jedi per di più; ogni tanto lanciava uno sguardo curioso al giovane che sedeva nell’area di soggiorno, immerso nella meditazione: scrutava il suo abito severo, il viso giovanile, un po’ più posato e stanco da qualche tempo, gli occhi chiari leggermente segnati, la figura snella e vigorosa.
Obi-Wan sentì su di sé i suoi occhi e ricambiò lo sguardo. “Saremo fuori dall’iperspazio tra cinque minuti. Poi sarà questione di poco.” annunciò la donna, tornando a studiare la propria consolle di comando.
“Grazie, Zara. Ti prego, dirigi la rotta nell’emisfero nord. Mi è stato detto che il pianeta è interamente montagnoso e che solo in quella zona sono state costruite piattaforme di atterraggio per le astronavi.”
“Davvero? Strano posto, davvero. Fra l’altro è al di fuori di qualunque rotta commerciale. Conoscevo a mala pena il sistema. È un pianeta vostro vero? Voglio dire, è abitato da Jedi?” chiese Zara, con una punta di imbarazzo.
Obi-Wan ebbe una breve scrollata di spalle. “A dire il vero, non ne so più di te; so che siamo attesi ed è quanto mi serve di sapere per il momento.”
La donna fece una smorfia di perplessità, ma non aggiunse altro. Lo spazio riprese le proprie leggi e davanti a loro si delineò la limitata massa di Kanodian, quinto pianeta di un sistema a sole doppio, da quanto potevano dire gli strumenti di bordo. Un pianeta piccolo, nessuna tecnologia, ma sicuramente un pianeta ‘vivo’.
Obi-Wan prese posto accanto a Zara e contattò quella che pareva essere una stazione di servizio.
“Incrociatore in servizio diplomatico chiede il permesso di atterrare. Rispondete prego.”
Dopo qualche momento giunse la risposta. “Fornite le vostre credenziali.” Zara regolò alcuni comandi e comunicò la nave, la provenienza e il carico.
“Il Cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi è a bordo?” chiese ancora il tecnico di Kanodian.
“Affermativo.”
“Permesso accordato. Direzione nord, piattaforma 1. Benvenuti.”
“Anakin, vai di là e allacciati le cinture. Siamo arrivati.” ordinò il giovane Jedi.
Il ragazzo corse a sedersi e guardò fuori dal vetro. L’atmosfera di Kanodian era composta di strati sottili e attraversarla fu questione di pochi secondi, ma sotto di loro il paesaggio era quanto di più strano Anakin avesse mai veduto. Obi-Wan gli aveva detto che il pianeta era prevalentemente composto di montagne e infatti, per quanto gli riusciva di vedere, non vi era una sola terra pianeggiante. Ovunque creste montagnose e profondi pendii innevati; tuttavia, parevano esserci differenti zone di temperatura e umidità, perché a montagne verdi e lussureggianti si alternavano senza posa e senza ordine vette rocciose e aspre: la neve cedeva il posto alla roccia e poi di nuovo alla vegetazione. Dalle discipline geografiche che il piccolo Padawan andava apprendendo, sapeva che questo doveva costituire un caso pressoché eccezionale; si chiese che genere di clima e di aria vi fossero laggiù.
Nella cabina di pilotaggio Zara e Obi-Wan erano chini sugli strumenti. Anche per loro quell’affastellamento di montagne era stato una sorpresa, avendo scoperto che nell’emisfero sud erano presenti zone pianeggianti, dove un’astronave avrebbe avuto certo più facilità ad atterrare.
“Mi chiedo dove sia questa piattaforma di cui parlava il tizio alla radio.” borbottò la donna, “Qui si vedono solo montagne e non si può fare atterrare un’astronave su un albero!”
“Aspetta un attimo...” Obi-Wan scrutò con attenzione le vaste terre che andavano sorvolando ormai a bassa quota. “Non ti sembra di vedere delle costruzioni laggiù?”
Effettivamente presso una delle creste più larghe cominciava a notarsi un complesso di edifici, circondato da cinque piste per astronavi, che sembravano costruite sul nulla.
“Speriamo che ci regga.” concluse Zara, iniziando le manovre di atterraggio.
Ma chiunque aveva eretto quell’incredibile piattaforma di atterraggio doveva sapere il fatto suo, perché l’incrociatore si ritrovò in un attimo su una pista solida e sicura.
“D’accordo,” disse Obi-Wan, con un leggero sospiro di sollievo, “Anakin ed io scendiamo. Parlerò con il controllo a terra per farti avere il rifornimento di carburante, in modo che tu possa partire appena pronta.”
“Sì, signore, grazie. Buon soggiorno.” La donna si voltò e abbracciò Anakin con lo sguardo, “Fai attenzione eh, piccolo Skywalker?”
“Lo farò. E ricordati di non andare troppo vicino a un asteroide quando farai il salto di ritorno!” aggiunse di rimando il ragazzo.
La pilota ridacchiò e tornò alla sua consolle.
“Allora, Padawan, sei pronto?” domandò il Maestro Jedi, allacciando la spada alla cintura.
Anakin assentì, eccitato dalle novità e guardò con aspettativa il portello che iniziava ad aprirsi.
La costruzione centrale del complesso si trovava proprio di fronte a loro, sormontata da una torretta di osservazione. Un uomo era fermo in attesa. D’istinto Obi-Wan si pose davanti ad Anakin, ma non ve n’era bisogno. Erano ancora lontani e già l’uomo si era piegato in un profondo inchino.
“Onorevole Kenobi, io sono Rurek, aiutante personale di Mastro Jinn. Ho avuto l’ordine di ricevervi e di condurvi alla dimora.” La parlata era secca e le consonanti aspre, ma sicuramente il linguaggio apparteneva alla Repubblica, così come gli abiti e la razza stessa dell’attendente, probabilmente un importato da pianeti più vicini a Coruscant.
Obi-Wan ricambiò il saluto e segnalò ad Anakin di fare altrettanto e si guardò intorno. “E’ lontano da qui, Rurek? Non vedo alcun mezzo di trasporto...”
“Uno sprinter aspetta fuori dal Centro di Controllo. Ma devo attendere la mia signora, che sta provvedendo a fare avere il rifornimento alla vostra nave.”
“Comprendo.”
L’umanoide li invitò a seguirlo e si incamminò verso l’edificio. Anakin osservava tutto con grande interesse, specialmente le grandi macchie di vegetazione che sembravano sovrastare l’intera zona e il colore pallido del cielo. Obi-Wan invece era più interessato alla costruzione, massiccia e circondata da campi di forza.
“Vi sono creature ostili qui?” chiese
“Solo alcuni tipi di forme di vita minori, che i campi di forza bastano a tenere lontani. Gli indigeni sono stati da lungo tempo organizzati sotto la famiglia del mio padrone e sotto quelle degli altre famiglie che risiedono qui.” rispose tranquillo l’uomo.
Era la tipica strategia dei pianeti di frontiera: l’ordine e la sicurezza erano necessari, ma sicuramente il codice Jedi non avrebbe mai permesso di tenere schiavi; Obi-Wan si domandò come avessero fatto le famiglie Jedi del pianeta (perché non vi erano solo i Jinn dunque) a ottenere questa sorta di pacifica convivenza.
Entrarono nella vasta e unica sala che costituiva il Centro di Controllo, dove molti tecnici, appartenenti a svariate razze erano al lavoro. Rurek confabulò per qualche minuto e più volte gli venne indicata la nave di Obi-Wan.
“Gli addetti al Controllo domandano quanto ci vorrà alla vostra nave per poter partire,” chiese poi, con un gesto di scusa, “Sta causando qualche difficoltà alle piccole navi da rifornimento che devono atterrare.”
“Hai sentito, Zara?” chiese Obi-Wan al trasmettitore, che aveva acceso.
“Sì, signore. Sto già iniziando le fasi di partenza. Se mi danno il via, leverò subito il disturbo.”
Seguì un’altra rapida discussione che si concluse apparentemente con la soddisfazione di entrambe le parti.
Qualcuno si avvicinò alle spalle di Obi-Wan. “Ho il piacere di incontrare Obi-Wan Kenobi?” chiese una gentile voce di donna.
Nel voltarsi il giovane comprese subito che a parlare era Liann Jinn, la madre del maestro Qui-Gon. A dirglielo non fu tanto la fisionomia familiare della donna, gli occhi azzurri, la bocca energica e sensibile, così simili a quelli del figlio, quanto l’aura di nobiltà e fermezza che la circondava, la tranquilla grazia con cui portava la sua età e soprattutto l’intenso flusso di Forza che proveniva dalla sua figura.
“E’ un onore per me, Signora.” rispose, con un profondo inchino. Poi, con qualche esitazione aggiunse, “Non ho potuto vederti al funerale su Coruscant... “
“Non ero su Coruscant.” disse Liann con un fuggevole sorriso che non raggiunse gli occhi. Ma il suo sguardo era morbido, quasi tenero.
Obi-Wan si guardò bene dal manifestare stupore e si limitò ad inchinarsi ancora.
“Questo giovane Padawan è forse Anakin Skywalker?” chiese ancora la donna, inginocchiandosi al livello del ragazzo, che era rimasto rispettosamente indietro.
“Sì, Signora.” rispose questi e abbassò gli occhi, intimidito.
“E’ un piacere averti qui, Anakin.” La mano di Liann indugiò per qualche secondo sulla testa del ragazzo.
“Signora, lo sprinter è pronto, possiamo andare.” li interruppe Rurek.
Con un sorriso la donna si rialzò, dicendo, “Vi è un tratto di foresta che va percorso da qui alla nostra casa. Usiamo gli sprinter perché gli alberi sono fitti... e non sicuri.” Il tono con cui pronunciò quelle parole suonò strano e Obi-Wan prese un appunto mentale su quell’informazione.
Lo sprinter in effetti non assomigliava a quelli che il giovane Jedi e il bambino di Tatooine conoscevano. Aveva una forma ancora più affusolata, simile a uno spillo e l’abitacolo di guida era coperto interamente; sorprendentemente però l’interno si rivelò vasto abbastanza per contenere comodamente tre persone più vario materiale di rifornimento.
Liann si mise personalmente alla guida del mezzo: in pochi secondi si lasciarono indietro lo spiazzo squadrato in cui sorgeva il Centro di Controllo e si addentrarono nella foresta. La luce, ormai prossima al tramonto, dei due soli che li aveva accolti su Kanodian improvvisamente scomparve, soffocata dall’intricatissimo complesso di alberi, fronde e arbusti di ogni genere che si innalzavano sulla loro via. Spesso piccoli animali, simili a lucertole del deserto, forme variabili e mutanti, si paravano davanti al mezzo, sostavano un istante e poi riprendevano la loro corsa sopra gli alberi, o sparendo dentro qualche tronco.
Obi-Wan si rese conto che lo sprinter aggirava abilmente tutti gli ostacoli, senza reciderne neppure uno; sarebbe stato logicamente più facile tracciare una rotta in linea retta, dal momento che un sottobosco non costituiva certo un problema per gli scudi e l’intelaiatura di uno sprinter. Diede un’occhiata a Liann Jinn, che guidava silenziosa e concentrata sulla guida. Anche troppo concentrata, realizzò il giovane.
Già da qualche minuto la sua mente vibrava di profonde risonanze che egli pensava fossero dovute semplicemente alla naturale vicinanza della Forza presente in Liann; ora però cominciava ad avere la sensazione che il flusso aumentasse fino a dividersi in più correnti di Forza che circondavano l’intero mezzo e la via davanti a loro. A Coruscant, nella Torre Centrale, meditando talvolta in gruppo in una delle sale predisposte aveva avuto un’esperienza simile, ma questa volta i flussi erano più disordinati, talvolta vacillanti e deboli, talvolta vibranti di energia.
Nonostante il suo addestramento Obi-Wan iniziò a provare un leggero disagio e improvvisamente guardò Anakin preoccupato; la Forza era potente in lui, ma privo ancora delle necessarie tecniche di controllo, avrebbe potuto sopportare quell’incredibile campo di energia?
Incontrò gli occhi del ragazzo con un sussulto: Anakin era impallidito per il dolore con cui la sua testa aveva cominciato a pulsare. “Maestro...” cominciò a dire il bambino.
Ma prima ancora di poter terminare la frase, la sua testa fu improvvisamente libera e lucida, come se nulla fosse mai accaduto; lo stesso Obi-Wan non avvertì più alcuna pressione intorno a loro.
Si voltò e vide Liann riaprire gli occhi. “Sono veramente dispiaciuta,” disse questa, “Sono stata una sciocca: noi non ci facciamo più caso, ma è stato imperdonabile da parte mia esporvi così ai campi di Kanodian senza prendere delle precauzioni. Va tutto bene, Anakin?”
“Ora sì, signora, grazie.” disse il ragazzo, con un sorriso di sollievo.
Tornando a guardare il sentiero davanti a loro Obi-Wan sussurrò piano alla donna, “Hai usato uno scudo mentale, Signora, non è così?”
Liann assentì brevemente. “Come avrai capito, onorevole Obi-Wan, tutti i Jedi di Kanodian hanno sviluppato naturalmente uno scudo mentale con cui riparare la propria mente dai campi di energia che su questo pianeta sono fortissimi.”
“Ogni creatura qui presenta dunque un alto conteggio di midichlorians nella sua composizione... è per questo che lo sprinter non calpesta gli arbusti?” chiese ancora il Jedi, lo sguardo fisso alla foresta che serpeggiava intorno a loro, sottile e vibrante come un serpente.
Liann distolse per un attimo gli occhi dai comandi e lo guardò, con uno sguardo attento e grave che gli ricordò bruscamente tutte le volte che Qui-Gon lo aveva fissato nello stesso modo. Distolse in fretta gli occhi, imbarazzato. “Hai capito una parte di Kanodian, Obi-Wan. È una parte importante, ma questo è un pianeta difficile: la Forza è assai più imprevedibile qui che non in altri luoghi.”
 
3)
Il viaggio durò solo mezz’ora, anche se attraversarono quasi mezzo pianeta, sempre immersi nelle fitte giungle che dominavano quelle terre. Obi-Wan aveva notato che Liann sembrava seguire un percorso ben tracciato, anche quando il precario sentiero davanti a loro, segnato da guide volanti, scompariva divorato da arbusti talvolta alti quanto un grattacielo.
Lo sprinter svoltò bruscamente, abbandonando il tracciato praticabile e si inoltrò destreggiandosi tra gli enormi tronchi che formavano come un muro solidissimo di fronte a loro. Incredibilmente però, dietro quelle prima fila intricate, il sottobosco non c’era più, come estirpato o semplicemente mancante. In quella parte del costone il bosco cedeva alle costruzioni rocciose e davanti a una di queste Obi-Wan riconobbe nel tremolio dell’aria un campo di forza.
La donna aveva acceso un trasmettitore. “Gordie, apri il campo. Siamo arrivati.”
“Ricevuto.” rispose una voce maschile.
L’aria vibrò ulteriormente e improvvisamente la roccia parve dividersi. Anakin si sporse interessato quando vide apparire la costruzione, intagliata nella roccia. Lo sprinter si fermò davanti a una porta, da cui uscì una creatura dalla pelle rossiccia e dalla testa allungata, ‘Gordie’ pensò Obi-Wan, quando lo udì parlare.
“Posso far riattivare il campo, mia signora?” chiese questi.
“Sì, non aspettiamo altri rifornimenti per oggi.”
A un invito di Liann Obi-Wan saltò giù dal mezzo, seguito immediatamente da Anakin. Poi offrì il braccio alla padrona di casa per appoggiarsi nella discesa.
Davanti a loro, come comparsa dal nulla, si ergeva una costruzione imponente che pareva forgiata dalla stessa roccia che l’ospitava. Almeno quattro piani, che con il color ocra e arancio della pietra e degli alberi circostanti si confondevano a regola d’arte e parevano un unico pezzo della montagna che si innalzava dietro la casa. A fianco della costruzione però spiccava una torre più alta di almeno cinque metri, costruita invece secondo i materiali più resistenti e moderni della Repubblica; non era troppo diversa da una delle Torri del Tempio dei Jedi su Coruscant, ma Obi-Wan dubitava che fosse un semplice tempio di meditazione come queste.
Stava per raggiungere il gruppo costituito da Liann, Rurek e Anakin che aiutavano i droidi da lavoro a trasportare il rifornimento in casa, quando avvertì una profonda vibrazione nella Forza. Lasciò che i suoi sensi lo guidassero e istintivamente alzò gli occhi sulla terrazza del terzo piano: un uomo era affacciato e il suo sguardo era rivolto in basso, verso Obi-Wan. Questi indovinò, prima ancora di vederli, l’alta statura, i lunghi capelli raccolti dietro la nuca, la cappa scura svolazzante per l’aria della sera che si avvicinava. Per un attimo, solo un attimo, il cuore del giovane Jedi si fermò e il tempo scivolò all’indietro; Obi-Wan scrollò la testa e controllò il proprio respiro, dominando quei pensieri irrazionali.
Poi una mano si appoggiò leggera sulla sua spalla. “Quello è mio marito.” disse Liann, “Il cavaliere Jedi Tran Jinn. Credo ci stesse aspettando.”
La figura sulla terrazza era scomparsa, ma un attimo dopo una porta laterale, seminascosta, si aprì e l’uomo comparve. Visto da vicino ovviamente le differenze erano evidenti: i capelli erano striati di bianco, la barba era più lunga e soprattutto i lineamenti erano più duri, gli occhi neri. Tuttavia Obi-Wan dovette piegare il capo per non tradire il suo sguardo: come Liann lo aveva colpito per la grazia e la gentilezza della sua figura, alla stessa maniera Tran Jinn emanava autorità, indiscusso potere e prestigio mentale, forgiato da una volontà ferrea che si indovinava nei suoi movimenti e nella piega severa del capo, prima ancora che dal viso.
Sfiorò con un gesto leggero il braccio della moglie, poi posò gli occhi sul giovane Jedi e sul piccolo Padawan, che si teneva come sempre alle spalle del Maestro. Entrambi si inchinarono, salutando.
“Onorevole Jinn, io sono Obi-Wan Kenobi e....”
“Conosco il tuo nome, onorevole Kenobi, e le tue coraggiose imprese.” lo interruppe senza scortesia, ma con fermezza l’anziano Jedi. “Sono lieto che tu abbia risposto al nostro invito.” Indicò la casa dietro di loro, “E’ bene che siate arrivati prima della notte. Sarete nostri graditi ospiti per il pasto serale e intanto potremo rialzare gli scudi. La foresta di notte non è sicura.”
‘Non lo è neanche di giorno.’ Il pensiero proveniva dalla mente meravigliata del piccolo Anakin e fu fermato con uno sguardo di rimprovero da Obi-Wan.
Nel frattempo un’altra donna, di razza umanoide, che indossava un grembiule da lavoro, si era accostata a Liann e le aveva mormorato qualcosa. “La cena è pronta,” annunciò quest’ultima, “I nostri ospiti potranno finalmente rifocillarsi e riposare, dopo questo lungo viaggio.”
Obi-Wan colse uno sguardo tra i due coniugi e una breve scrollata di spalle di quest’ultimo.
Quando passarono all’interno della dimora il giovane si rese conto che il colore caldo e l’aspetto levigato della facciata esteriore si fermava lì. Davanti a loro si diramava un vasta sala di ingresso con larghe vetrate e pareti quasi prive di ornamenti; un’ampia arcata conduceva in un’ulteriore sala di soggiorno con una grande libreria piena di telenastri e soprattutto un lungo tavolo basso apparecchiato. Il secondo salone era curiosamente circondato da piccole colonne che delimitavano un perimetro ben preciso intorno alla tavola. Fu probabilmente anche per questo che i due ospiti non si accorsero subito delle altre tre persone che aspettavano.
Tran si fece avanti e segnalò al gruppo di avvicinarsi.
“Shawn e Kolya Jinn, i miei due fratelli maggiori. E questi è Kelal, il fratello di mia moglie.” disse.
Shawn e Kolya erano due venerandi Jedi, con i capelli completamente bianchi, la pelle appassita, ma gli occhi vivi quasi quanto quelli di Tran. Kelal aveva la stessa figura senza tempo di Liann, forse un paio di anni più vecchio, ma appariva infinitamente più stanco.
Non vi furono ulteriori convenevoli e tutti presero posto, i due padroni di casa a capotavola, Anakin vicino a Liann, il suo maestro dall’altra parte vicino a Tran.
Il pasto, molto semplice e praticamente privo di piatti di carne, fu servito e consumato in assoluto silenzio. Obi-Wan non faticò a riconoscere l’usanza del lutto: l’assenza di parola e di comunicazione era un’antica consuetudine delle grandi famiglie Jedi; era considerato sconveniente disturbare la mente già turbata dei parenti di un morto con inutili discorsi e con pensieri inopportuni.
Anakin lanciava frequenti occhiate a destra e a sinistra, ma era stato influenzato anche lui dall’atmosfera malinconica e silenziosa. Obi-Wan fu grato a Liann, che con i suoi piccoli gesti affettuosi e la sua sollecitudine comunicava tranquillità al piccolo Padawan in quell’ambiente così strano.
“Giovane Kenobi, gradirei vederti nelle mie stanze, subito dopo la fine della cena.” La voce era bassissima per non disturbare gli altri, ma il tono e gli occhi di Tran Jinn non ammettevano replica. Obi-Wan annuì in silenzio.
La cena terminò senza altre interruzioni e gli altri commensali si ritirarono con un inchino nelle proprie stanze.
Intercettando uno sguardo di Liann Obi-Wan disse ad Anakin. “La signora ti accompagnerà nella tua camera, Padawan. È stata una giornata faticosa, hai bisogno di riposo.” Il ragazzo, con gli occhi semichiusi, non si fece pregare e i due scomparvero su per le scale.
 
4)
Intorno a Obi-Wan la casa parve farsi anche più vuota. Lanciando un rapido sguardo fuori dalla finestra, si rese conto che la notte era ormai scesa, non si vedeva più nulla, nemmeno il pallido baluginio del campo di forza che li aveva accolti all’arrivo. La foresta con le sue molteplici e misteriose forme di vita si era zittita come di colpo, con l’incombente oscurità.
Obi-Wan si appressò ulteriormente alle vetrate, senza però aprirle. C’era qualcosa, non proveniva dalla casa, ma da fuori. La sua mente vibrò per l’improvvisa consapevolezza di un’altra mente vicina: uno spirito potente, non ostile, ma nemmeno da sottovalutare. Ondate di curiosità, di una strana aspettativa e di una sottile angoscia sfiorarono per un attimo la mente del giovane. No, non si era ingannato, doveva esserci qualcuno là fuori. Qualcuno che lo conosceva bene e soprattutto che conosceva bene la casa.
Obi-Wan fece per spalancare i vetri, ma dietro di lui vi fu un impaziente colpo di tosse. “Da questa parte.” disse Tran, avviandosi su per le scale.
Il giovane si fermò a metà del gesto, ma mentre si incamminava dietro l’alta figura del vecchio, non poté fare a meno di lanciare un’occhiata dietro di sé. Chiunque ci fosse là fuori non aveva fretta, lo stava aspettando. Avvertì una grande capacità di pazienza e di sopportazione e poi, con una breve fitta al cuore, avvertì anche il dolore, pure se molto bene nascosto.
 
“Nessuno può uccidere un Jedi!” aveva detto il bambino, convinto.
“Vorrei che fosse così...”la voce del Maestro Jedi era sommessa e molto triste.
 
Non aveva mai dimenticato il racconto di Anakin a riguardo né quella frase. Possibile che Qui-Gon avesse saputo, avesse potuto prevedere? E perché ricordarlo proprio ora? Era forse la casa? Quella famiglia così raccolta e quieta nel suo lutto a influenzare la sua mente?
 
La stanza di Tran Jinn si trovava al secondo piano, e non al terzo, come aveva creduto, ricordando la prima apparizione del vecchio.
Obi-Wan si fermò sulla soglia, aspettando l’invito dell’ospite prima di entrare nella camera nuda, priva di mobili se non per una bassa stuoia e un piccolo scrittoio. Un paio di sedie e molti libri alle pareti completavano l’arredamento.
“Cosa ti interessava così tanto fuori dalla finestra?” chiese improvvisamente Tran.
“Io... ho percepito qualcosa. Posso essermi sbagliato; i campi magnetici di questo pianeta sono così forti, ma mi sembrava ci fosse qualcuno.”
Il vecchio gli lanciò uno sguardo penetrante. “Siediti, Obi-Wan.”
 
*****
 
“Perché dalla finestra?” chiese incuriosito il piccolo Anakin, seduto sul letto.
“Mi spiace di averti spaventato, ma la tua stanza è il punto più accessibile per entrare in casa. Mi capita spesso di stare fuori la notte... a guardare le stelle. E quando torno, cerco di non svegliare la gente di casa. Capito?” gli sorrise e scavalcò il balcone.
“Hanno qualcosa di speciale le stelle di qui?” domandò ancora il ragazzo alla figura ammantata di nero.
Due occhi scuri lo fissarono un po’ interdetti, poi un sorriso piegò i lineamenti sottili “Vieni a vedere.”
Il bambino non se lo fece dire due volte. Scivolò giù dal letto e si affacciò alla finestra. La figura gli indicò il cielo e Anakin sgranò gli occhi. “E’ vero! Come mai non me ne sono accorto prima?”
“E’ visibile solo di notte e poi... che ti succede, hai freddo?” chiese improvvisamente, vedendo il ragazzo rabbrividire.
“Non so, è come se avessi sentito qualcosa... il mio Maestro dice che devo concentrarmi sul momento presente, però a volte mi capita lo stesso.”
Il misterioso visitatore richiuse la finestra e accompagnò Anakin a letto. Si sedette sul bordo e lo guardò, serio. “Tu sei il Padawan di Obi-Wan Kenobi, vero?”
“Sì, sono Anakin.”
Un sorriso e una carezza accolsero la sua risposta franca, ma il bambino avvertì una grande preoccupazione in quella strana figura davanti a lui. “La Forza è potente in te, Anakin. Lo sento chiaramente.” disse questi.
“Sei uno Jedi anche tu?”
“No... temo di no. Mi sarebbe piaciuto...” la voce tremò un poco e la frase non fu terminata.
Il cappuccio del mantello scuro ricadde indietro rivelando un viso pallido e fine e corti capelli color del rame. “Non volevo disturbarti, Anakin, ma ti ringrazio di avermi aperto la finestra stanotte. Io sono Ary.”
Si strinsero in silenzio la mano.
 
*****
 
“Ary è una... lontana parente. Il grado non è definibile, io la considero mia nipote. Non l’hai incontrata stasera, qui in casa, perché ha richiesto la forma più stretta di lutto per la morte di Qui-Gon e sta terminando un periodo di solitudine nella foresta. C’è una casa, non lontano di qui, approntata a questo scopo. È probabile che fosse la sua presenza quella che hai avvertito fuori poco fa. Qualche volta è passata a trovare Liann. La Forza è con lei, giovane Kenobi, ma non le è mai stato insegnato come controllarla”
“Capisco...” il giovane aggrottò la fronte, domandandosi se poteva osare chiedere di più, ma Tran lo prevenne.
“Io non so perché Yoda ti abbia indirizzato qui. Non posso dirti se sia lei la persona cui si riferiva e quale utilità abbia questo per la tua missione.” Tacque per un momento e fissò il giovane con la fronte corrugata. Infine si decise. “Obi-Wan, la famiglia Jinn in questo momento è riunita per rendere onore alla memoria di Qui-Gon. Non ho il diritto di rivelarti le nostre usanze più profonde e devo chiederti di non fare domande: nei prossimi giorni sono previsti... alcuni riti e dovrai perdonarci se talvolta mia moglie ed io saremo assenti. Vi sono delle cose cui dobbiamo presiedere.”
“Onorevole Jinn, sono consapevole di questo. Non mi permetterei mai...”
Il vecchio lo fermò con uno strano sorriso. “No, vi sono cose che non puoi sapere” Una espressione ansiosa gli attraversò per qualche secondo il viso, ma così veloce che Obi-Wan non poté essere sicuro di aver visto bene. “Spero che tu possa riferire con successo a Yoda, ma devo chiederti rispetto e discrezione.... So che mio figlio ti stimava molto,” aggiunse poi in tono quieto, “E sono convinto che il suo affetto fosse pienamente contraccambiato.”
Il viso del giovane aveva acquistato un’espressione cortese ma chiusa e Tran decise di non proseguire. “Hai il mio permesso di parlare con Ary,” concluse con un breve sospiro, “Che la Forza ti accompagni, giovane Kenobi.” concluse poi.
“Ti ringrazio, Maestro Tran. Farò quanto in mio potere per non disturbare il lutto di questa casa; le mie facoltà sono al tuo servizio se dovessi ritenerlo necessario.”
Tran annuì con un gesto distratto e a Obi-Wan non rimase che salutare e uscire.
 
5)
Lo sentì di nuovo mentre scendeva le scale diretto al suo alloggio. Stavolta però si trattava di altro; c’era del rumore nella camera di Anakin. Con una certa inquietudine Obi-Wan aprì piano la porta: non pensava che il suo Padawan stesse dormendo, ma certo non si era aspettato di vederlo intento alla conversazione con qualcuno dalla finestra.
“Anakin!”
L’esclamazione in parte sorpresa in parte preoccupata sconcertò leggermente il bambino che si volse indietro. Ma il suo sguardo non rivelò alcun turbamento, forse un leggero imbarazzo. “Obi-Wan, Maestro...” disse in fretta.
Il giovane Jedi si accostò rapidamente alla finestra, ma chiunque vi fosse lì di fuori doveva essere passato dai balconi superiori poiché poté solamente distinguere un’esile figura avvolta in un mantello scuro che si infilava in una delle stanze buie al piano di sopra.
“E’ una cugina del Maestro Qui-Gon. Non è un’estranea, Maestro.” aggiunse ancora Anakin, forse timoroso di un rimprovero.
Obi-Wan richiuse i vetri e squadrò il ragazzo. “E’ stata lei a dirti questo?”
“Sì, certo.”
“Come è entrata qui?”
“Dalla finestra. Ha bussato prima.” Il tono ora era meno sicuro, ma la verità era evidente in quello sguardo innocente e Obi-Wan si sorprese a sorridere lievemente.
“Beh, pare che la tua amica sia una persona molto educata, anche se sarebbe meglio usasse le porte. Non hai freddo qui?” La stanza si era considerevolmente raffreddata.
“Oh, no, Maestro.” Anakin pareva essere stato molto contento di quell’incontro notturno e Obi-Wan decise che valeva la pena approfondire un po’ di più quell’inaspettata fonte di informazioni.
“Anakin, che impressione ti ha fatto questa signora. Voglio dire, hai sentito qualcosa?” Insistette particolarmente su quell’ultimo verbo, per far comprendere al suo giovane allievo che si stava riferendo a una delle consapevolezze che ogni Jedi ha del mondo vivente che lo circonda. Fin dal primo giorno di addestramento un Padawan veniva messo in grado di non sentirsi mai ‘solo’ nel mondo controllato dalla Forza.
La domanda sortì l’effetto sperato perché il ragazzo si concentrò leggermente e guardò ancora la finestra. “Io non sono sicuro. Mi è sembrata un’amica, voglio dire... non c’era niente di cattivo o sgradevole in lei, solo...”
‘Dolore’ completò nella sua mente il suo Maestro. “Hai notato qualcosa di particolare, qualcosa che ti faccia pensare a lei come a una persona diciamo un po’ speciale?”
“Mi ha fatto vedere le stelle.” Obi-Wan lo fissò incuriosito e il ragazzo proseguì, un po’ più animato. “Dopo che mi ha chiesto di farla entrare mi ha detto che qui di notte le stelle sono speciali. Ho guardato dalla finestra e ho capito che aveva ragione.”
Gli occhi azzurri di Anakin erano ancora fissi ai vetri, Obi-Wan non poté fare a meno di guardare dietro di sé la volta stellata ed ebbe un piccolo movimento di stupore. Le stelle che si vedevano da Kanodian erano come le altre certo, ma molto più luminose e soprattutto sembravano muoversi in un continuo gioco di attrazione e repulsione. Non ci volle molto al giovane per comprendere che era un altro degli effetti dovuti ai campi magnetici del pianeta, tuttavia lo spettacolo era impressionante: un continuo rifrangersi di colori scintillanti che andavano dal blu all’arancio al violaceo cambiava di quando in quando la naturale oscurità del cielo. Le stelle andavano e venivano in un debole baluginio di lampi azzurri, verdi e blu, come un’enorme aurora boreale che coprisse tutto il firmamento e parevano animarsi di vita propria.
Obi-Wan si rese improvvisamente conto che Anakin era diventato molto serio e lo guardò preoccupato. “Tu li vedi, Maestro?” chiese il ragazzo, la voce leggermente tesa.
“A cosa ti stai riferendo? Ai giochi dei campi magnetici?”
“No, no. Parlo di quei lampi neri in fondo alla valle.” Il giovane guardò di nuovo, ma non riuscì a distinguere nulla. Dietro di lui la voce del bambino proseguì, “Anche Ary li ha visti.”
“Cos’hanno di speciale quei lampi, sono solo giochi di luce più scuri...”
Gli occhi di Anakin erano diventati più grandi mentre lui diceva con una piccola voce spaventata, “Non sono un buon segno, io... mi è venuto mal di testa quando li ho visti e anche Ary è diventata pallida.”
“Vuoi dire che hai avvertito come un tremito, una perturbazione nella Forza che ti circondava, non è così?” riassunse il Maestro.
Anakin annuì in silenzio e gli occhi seri tornarono alla finestra. D’impulso Obi-Wan si alzò e tirò le tende: lo fece con gesto tranquillo e misurato per non tradire la propria agitazione; ad Anakin non era stato ancora insegnato come riconoscere il lato Oscuro della Forza. Su Coruscant era stato al sicuro da ogni possibile incontro e qui, sul pianeta natale di Qui-Gon, Obi-Wan credeva non sarebbe stato diverso. Ma il ragazzo aveva indubbiamente sentito qualcosa... perché lui non sentiva niente allora?
“Padawan, è ora che tu dorma davvero. Sei stanco e forse le tue sensazioni ti tradiscono. Domani, con la luce del giorno riesamineremo le tue impressioni.”
Il ragazzo si infilò docilmente sotto le coperte, ma era ancora turbato. “Maestro, tu non li hai proprio visti?”
“No, io no. Ma la Forza è differente in ognuno di noi; ad ogni modo non disperdere la tua concentrazione altrove. Ora dormi. Buona notte.”
Anakin mormorò un saluto e Obi-Wan richiuse la porta dietro di sé.
Non si diresse alla sua camera però, decise di provare di nuovo. Uscì sul balcone del primo piano e fissò meditabondo il cielo prima di posare lo sguardo sulla torretta di fianco alla casa. Era sicuramente un posto di osservazione, ne era certo. In quel primo giorno era ormai parso evidente che Kanodian era un pianeta tutt’altro che tranquillo e sicuramente i Jinn dovevano avere predisposto delle difese conto i pericoli che venivano tanto da terra, quanto... dal cielo?
Scese nel piazzale davanti alla casa, davanti a lui il tremolio del campo di forza era rassicurante nell’assoluta oscurità che proveniva dal bosco. Trovò senza difficoltà la porta di accesso alla torre e salì in fretta le varie rampe di scale, fino a trovarsi su un vasto punto sopraelevato, da cui si poteva abbracciare con gli occhi tutta la fetta di valle di quella parte del pianeta.
Ma prima ancora che potesse gettare uno sguardo intorno, i suoi sensi si acuirono per l’improvvisa consapevolezza. Con un istinto più naturale dell’aria che respirava, Obi-Wan si era già voltato di scatto, la spada laser accesa in mano.
Davanti a lui stava la donna, avvolta nel suo mantello scuro. Le mani intrecciate nei risvolti del mantello, il portamento fiero ed eretto e il viso, seminascosto nel cappuccio, avevano tutto di un Cavaliere Jedi. Ma Obi-Wan sapeva che non poteva essere così, perché era convinto che lei fosse... “Ary?” domandò, ancora sospettoso.
Lei fece un piccolo inchino e i suoi occhi neri lo fissarono lievemente ironici. “Mi spiace non essere potuta venire prima a salutarti, onorevole Obi-Wan. Avevo visto lo sprinter di Liann arrivare, ma è stato più opportuno per me aspettare la notte.”
Lui finalmente abbassò la spada. “So che hai già fatto la conoscenza di Anakin.”
“E’ un bambino interessante e sicuramente molto speciale. Spero non l’avrai sgridato troppo: era un po’ preoccupato per questo.” L’ombra di un sorriso stirò le labbra sottili. Ma gli occhi erano ancora fissi sulla spada.
Con un rapido gesto tirò indietro il cappuccio: nella luce cangiante della notte di Kanodian il suo viso appariva ancora più pallido, segnato dalla bocca troppo sottile, gli anni già trascorsi traditi da piccoli segni agli angoli della bocca. Obi-Wan calcolò che dovesse avere circa dieci anni più di lui. Gli occhi erano scuri, ma con delle pagliuzze dorate; immensi, pieni di dolore e di nobile fierezza. Straordinari, pensò inconsapevolmente il giovane.
Lei pareva ipnotizzata dalla spada e Obi-Wan sapeva il perché. La sua mano si mosse da sola e gliela porse. “La vuoi vedere meglio?” Il suo tono era gentile, conosceva quell’espressione riservata che aveva assunto: l’aveva vista troppe volte sul proprio volto.
“Ti ringrazio, Obi-Wan.” mormorò Ary. La prese con rispetto, l’accarezzò lievemente con un gesto dolcissimo che chiuse la gola del giovane, ma non la tenne e gliela restituì quasi subito. “Sapevo che era la sua spada, volevo solo esserne certa. Sono contenta che l’abbia tu: nessuno più di te ha il diritto di tenerla.”
L’intensità del suo sguardo lo colpì nel profondo, ma se ne sentì avvolto come un abbraccio; si rese conto del significato di quelle parole e provò smarrimento, ma anche sollievo. Sapeva che quella donna si trovava a migliaia di anni luce di distanza in quel giorno fatale, ma con altrettanta certezza, non poteva spiegarlo, era ugualmente convinto che lei avesse percepito ogni pensiero, ogni bruciante sensazione che era passata nella mente e nel cuore del maestro e del discepolo in quegli istanti. Chiuse brevemente gli occhi per ritrovare la propria concentrazione.
“Mi spiace, Obi-Wan.” disse improvvisamente lei, “Per i ricordi che ho provocato, per il dolore che ho causato. È stato terribile e non sarebbe mai dovuto accadere.” Il tono si fece più sommesso e sofferto e Obi-Wan si chiese se si riferisse al suo comportamento o a quanto era successo a Qui-Gon. Si volse nuovamente, ma lei aveva chinato il capo e lui non poté leggere i suoi occhi.
“Cosa ti ha portato qui?” la udì chiedere, sottovoce.
“Io... sono stato inviato dal maestro Yoda. Mi ha incaricato di incontrare qualcuno...” Lei lo stava guardando, attentamente. “... E credo di averlo fatto, ora.” terminò, ricambiando lo sguardo.
Per un attimo Ary parve sul punto di dire qualcosa, ma improvvisamente impallidì, mentre i suoi occhi si sgranavano, oltre le spalle di Obi-Wan. Allarmato, il giovane Cavaliere seguì la direzione del suo sguardo, ma non vide altro che i giochi di luce del cielo. Sapeva però che lei stava vedendo altro.
“Sono di nuovo quei lampi neri, vero?” domandò.
“Tu non li vedi?”
“No, io no.”
“Come fai a dirlo allora?”
“E’ stato Anakin a dirmelo. Anche lui li ha visti e ha avvertito una perturbazione nella Forza. L’ho trovato sorprendente, dal momento che il suo addestramento è iniziato da troppo poco tempo perché possa già riconoscere i segnali del lato Oscuro della Forza.”
“Anch’io sono rimasta sorpresa di quanto scorra potente la Forza nel tuo Padawan...” mormorò la donna. Obi-Wan avvertì però che c’era dell’altro.
“Ary, perché io non vedo quello che vedete tu e Anakin?”
“Perché tu sei...” si interruppe, poi riprese più lentamente, “Sei un Cavaliere Jedi e conosci il controllo dei lati più primitivi e impulsivi della Forza. Anakin invece è ancora troppo giovane e io...” scrollò leggermente le spalle, “Beh, io sono nata qui.”
“Li vedeva anche il Maestro Qui-Gon, quando era qui?” chiese inaspettatamente il giovane.
“No, non c’erano a quel tempo.” La voce era distante, gli occhi neri fissi sulle ultime alture visibili.
Obi-Wan guardò anche lui e pur non vedendo nulla, la sua mente vibrò di una nuova consapevolezza: c’era qualcosa che non andava laggiù, qualcosa di ostile e minaccioso.
“Cosa c’è oltre quelle alture?” chiese.
“Ancora valli e montagne, e poi... il Kaidagan.” disse lei e per la prima volta la sua voce tradì una punta di timore, quasi di panico.
“Cos’è il Kaidagan? Cosa c’è lì?”
“E’ l’unica zona pianeggiante di Kanodian, ha un diametro di diverse migliaia di chilometri. La nostra famiglia e le famiglie Jedi già vissute qui si sono avventurate laggiù solo poche volte: i campi magnetici sono ancora più forti, le forme di vita più nascoste e più pericolose...” Tacque, mentre il suo sguardo si perdeva nuovamente dietro ai lampi di luce, “Poi, non so, ma credo che da diversi mesi stia accadendo qualcosa là, lo sento.”
Obi-Wan rimase perplesso. “L’hai detto alla famiglia?”
“I Jinn sono in lutto, Obi-Wan, dimentichi?” Distolse lo sguardo dal suo viso mortificato. “Come potrei spiegare a Tran qualcosa di così irrazionale come questo?” mormorò, “No, io... devo essere sicura, prima.”
C’era una strana espressione sul suo volto ora, gli occhi incupiti, le labbra serrate; per un attimo al giovane Jedi parve di avere accanto un’altra persona. ‘Pericolosa e imprevedibile’, questo gli aveva detto Yoda.
Si riscosse e scoprì che lei lo stava fissando, con cautela. “Obi-Wan,” cominciò, “Non conosco le ragioni del maestro Yoda per la tua venuta qui, ma la tua presenza ora mi induce a chiederti un favore. Io voglio andare laggiù a vedere, ma non posso calcolare quante probabilità avrei da sola, perché avverto anch’io una minaccia grave, quindi...” si interruppe un momento, ma lui aveva già capito.
“Vuoi che venga con te.”
“Sarebbe auspicabile, sì.”
“Cosa pensi che troveremmo laggiù?”
“La risposta a entrambe le nostre domande.”
  
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