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Autore: Narcis    21/02/2013    3 recensioni
[...]Io mi siedo, il tavolo davanti a me è sporco, indice di trascuratezza. Non c’è bisogno di un tavolo pulito, l’interrogatorio sarà veloce e nessuno si è preoccupato di far trovare la superficie linda e pinta al criminale.
L’indiziato viene letteralmente sbattuto sulla sedia opposta, le manette ai polsi sono strette, e rimarranno su quelle braccia peccatrici ancora per lungo.
Io lo guardo negli occhi, lui non osa fare lo stesso con me.
Il popolo già lo chiama “criminale”, “killer”, “pazzo omicida”.
“Mostro”.[...]
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le persone mi chiedono di capire gli altri.

Credono che sia facile come bere un bicchier d’acqua: ti siedi, guardi negli occhi il presunto killer che pare aver strangolato la propria moglie a mani nude, in testa hai il solo scopo di incastrarlo, in un modo o nell’altro, e poi finisce lì, con la conclusione che l’assassino si becca un ergastolo e la giuria crudele e spietata annuisce ripetutamente, col capo che dondola lentamente in su e in giù quasi da sembrare inceppato in quel movimento per l’eternità.
Eppure non funziona così.


Io mi siedo, il tavolo davanti a me è sporco, indice di trascuratezza. Non c’è bisogno di un tavolo pulito, l’interrogatorio sarà veloce e nessuno si è preoccupato di far trovare la superficie linda e pinta al criminale.
L’indiziato viene letteralmente sbattuto sulla sedia opposta, le manette ai polsi sono strette, e rimarranno su quelle braccia peccatrici ancora per lungo.
Io lo guardo negli occhi, lui non osa fare lo stesso con me. 



Il popolo già lo chiama “criminale”, “killer”, “pazzo omicida”.
“Mostro”. 



La vera giuria crudele non è quella che siede dietro i palchi di legno in tribunale.
La vera giuria crudele è quella che ci circonda, che cammina per le strade ogni giorno bevendo caffè annacquati e parlando al telefono ad alta voce; quella silente che spara verbali e conclusioni sopra gli altri uomini come un cecchino incaricato di uccidere una persona di cui non sa assolutamente niente: lui agisce e basta.
L’ignoranza della gente, la superficialità: questi sono i veri crimini.

Io guardo negli occhi quell’uomo e vedo un bambino.
Vedo un ragazzino sorridente ma terribilmente triste che viene continuamente sgridato dalla madre.
Vedo una povera creatura sola, tormentata da quelle parole urlanti che rimbombano ancora nella sua testa pericolosamente annebbiata, che desidera solo far finire quella tortura.
Vedo un uomo spaventato, terrorizzato, sottomesso da una moglie autoritaria esplosa in un impeto di rabbia, che lui desiderava solo zittire ma che, senza nemmeno accorgersene, è caduta a terra davanti ai suoi occhi – gli stessi occhi che l’hanno amata -, con segni rossi cocenti e scarlatti sul collo lasciati da quelle dita che avrebbero soltanto voluto scrollarla per farla tornare in sé. Non avrebbe mai pensato di ucciderla.
Vedo un cadavere, un uomo completamente bianco, privato di tutto ciò che prima lo faceva sentire vivo, della moglie che aveva amato fin dal primo istante che aveva posato lo sguardo su di lei e che quella sera voleva solo far tacere per un po’, un minuto, sessanta secondi; il tempo che gli sarebbe bastato per prendere fiato e scusarsi con lei per non aver pagato la bolletta entro il giorno limite; poi l’avrebbe abbracciata, le avrebbe sussurrato all’orecchio quanto l’amasse, e sarebbero andati insieme in camera da letto a fare l’amore come ogni volta che bisticciavano, dimenticandosi del battibecco avuto pochi istanti prima, lasciando scorrere tutto fuori dalla testa, sopra il corpo, scivolando via come gocce d’acqua su di un vetro, senza lasciare alcuna traccia.

Ma ormai la giuria crudele ha deciso.
Non esiste più l’uomo, non esiste più il Signor Smith della casa all’angolo dal tetto verde, non esiste più il buon vicino che organizza serate barbecue per tutto il quartiere.
Esiste solo un’etichetta, impressa con cuciture di ferro sulla fronte di quell’essere umano non più considerato tale, che tutti guardano con orrore, disprezzo, accusano, offendono.
“Assassino”.


L’interrogatorio non è nemmeno iniziato ma è già finito.
Il Signor Smith può solo alzare finalmente lo sguardo sul mio.
Uno sguardo confuso, spaventato, di chi non può credere a quello che è davvero successo; affranto, sconsolato, di chi sa già cosa aspettarsi; stanco, afflitto, di chi non ha parole per descrivere l’orrore provato per se stesso.
Non gli chiedo niente, so che non vuole parlare. Se lo accusassi si alzerebbe e mi griderebbe contro, dicendo di non essere stato lui, che è tutto un malinteso e che io sono solo una dannata sgualdrina che non sa niente di lui, nella speranza che così facendo lui stesso si renda conto, magari dopo un minuto o due, di avere avuto un comportamento sbagliato. In questo modo si metterebbe l’anima in pace e saprebbe di essere chino davanti alla Legge per qualcosa come l’ingiuria; reato che non si merita l’ergastolo ma che è comunque punibile.
Perché lui sa di non essere un assassino. Sa di non aver mai desiderato la morte della moglie. Sa che l’amava e che l’amerà per sempre, anche se sarà condannato a marcire in una cella buia, dove perfino la fiammella di speranza non illumina più, tant’è flebile e debole. 

Io non posso chiedergli niente. Posso solo parlargli, ma non mi ascolterebbe. 
“Mi dispiace.”
E’ l’unica cosa che gli dico, sussurrando, senza fare troppo rumore; e quella basta a farlo scoppiare in lacrime, il volto coperto dalle mani strette tra le morse del ferro, le lacrime che bagnano le sue dita arrossate e tremanti per poi scivolare attraverso esse e cadere a terra, formando piccole chiazze scure sul pavimento grigiastro destinate a sparire entro pochi istanti, come del resto hanno fatto tutte le altre, versate precedentemente lì, nello stesso luogo, nelle stesse circostanze, ma da altri occhi più o meno colpevoli.

Potrei fare una richiesta speciale, supplicando il giudice e chi di circostanza affinché la pena sia ridotta.
Ma chi sono io per salvare un uomo dal suo atroce destino?


La vera crudeltà non è rinchiusa dentro una cella perenne, dietro sbarre di ferro, col cesso accanto al letto e due pasti al giorno.
La vera crudeltà è celata dietro alle persone, a quelle che camminano per le vie della città, a quelle che se ne stanno sedute comodamente sul divano davanti alla tv a guardare il telegiornale di stasera passare la notizia dell’ultima ora e che, storcendo la bocca senza ovviamente sporcarsi le mani, con la crudeltà di un giudice ignorante che si sente in dovere di metter bocca su qualsiasi cosa nonostante non gli sia richiesto, punteranno il dito contro quell’uomo piangente e grideranno “mostro”. 







« …E i meriti vanno anche alla criminologa Allyson Periwinkle, responsabile dell’interrogatorio, che ha fatto confessare l’assassino dell’uccisione volontaria commessa. Per Carl Smith è stato deciso l’ergastolo per omicidio colposo, la famiglia della vittima in lacrime ancora sbigottita.
Ma ora passiamo alla prossima notizia: è finalmente nato il tanto atteso figlio della nota star… »







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Allyson Periwinkle è un personaggio di mia invenzione. Tutti i diritti riservati.
Spero che questo breve racconto sia stato gradito. (:
  
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