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Autore: Fog_    22/02/2013    1 recensioni
Elisabetta ha diciotto anni ed è completamente spaventata. Spaventata dal futuro, spaventata perché ancora non sa che strada prendere, spaventata perché quella che era sempre stata la sua unica certezza si è frantumata al suolo come vetro per colpa di uno stupido errore. Elisabetta si sente persa.
Una decisione presa impulsivamente la porterà a fuggire a Londra, da suo fratello maggiore Drew, che la convincerà a restare lì con lui perché “un pessimo giorno a Londra, è sempre meglio di un bel giorno da qualsiasi altra parte”.
In quel loft in pieno centro dove vive non ci si annoia mai, forse perché Drew lavora all’Abercrombie e la gente che frequenta viene tutta da lì; forse perché il suo coinquilino/migliore amico Freddie si sente il David di Michelangelo ed è un insolente senza peli sulla lingua con cui non ci sono mezze misure; forse perché per coprire le spese dell’appartamento affittano le camere in più a perfetti sconosciuti che vengono da qualsiasi parte del mondo e che talvolta sono dei tipi stranissimi o forse semplicemente perché è Londra, e lì si vive con l’acceleratore sempre premuto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Non ne vali la pena

 

«Stronza»
Il suo tono aspro e crudele. L’insulto uscito da quella bocca che aveva baciato la mia così tante volte che avrebbe potuto fare concorrenza alle stelle della nostra galassia. Labbra familiari, labbra carnose, labbra screpolate dai miei morsi della notte precedente. Fare l’amore fino ad esaurire le forze, fin quasi a farci male, era quello che succedeva ogni volta che litigavamo.
Ma quella volta era diverso.
«Sei solo un’anoressica del cazzo, ti preferivo quando pesavi due tonnellate e gli altri non ti si cagavano neanche di striscio»
Il mio corpo scivolò come senza forze contro la parete della sua stanza. Incrociai le gambe, le mani a coprire il viso, le dita tra i capelli, il respiro mozzato dai singhiozzi.
Non ero mai stata abbastanza per lui e non lo sarei mai stata.
«Cos’è Elisabetta? Non ti basto solo io? Vuoi che qualcun altro ti faccia godere come faccio io? Urlare come faccio io?»
Incassavo, non guardandolo così che non avrebbe potuto ferirmi. Finchè era solo la sua voce quella che mi tormentava potevo continuare a fingere di essere solo in un brutto sogno, un incubo peggiore di quelli dove vorresti correre e invece resti sempre allo stesso punto.
«Avevi ME. Dio, Elisabetta, ME. Quello che hai sempre voluto. Oppure mi sbaglio? Forse mi hai solo e sempre illuso e tutto quello che siamo stati l’hai finto per arrivare a questo. PER SCOPARTI IL MIO MIGLIORE AMICO»
I rumori di un vetro infranto superarono anche le sue parole. Spaventata, lo guardai per la prima volta da quando eravamo lì. Gli occhi dai contorni violacei, la mascella squadrata più contratta del solito, i capelli sparati ovunque. Aveva un’aria malsana che quasi faceva paura.
Per terra i cocci di una bottiglia di vodka erano sparpagliati ovunque. Assomigliavano a come mi sentivo in quel momento. Non semplicemente scheggiata, ma rotta. Completamente frantumata.
E senza possibilità di ricomporre i pezzi.
Avrei avuto così tante cose da dirgli, forse delle scuse, forse spiegargli come erano andate sul serio le cose, forse confessargli che il vero stronzo era stato il suo migliore amico o che alla fine era stato tutto per colpa sua, ma le tenni per me. Lo amavo.
Lo amavo con anima e cuore e ogni singola particella del mio corpo, per questo preferivo che odiasse me piuttosto che se stesso o peggio Stefano, il suo unico punto di riferimento da sempre. Solo che lui non l’avrebbe mai capito.
Anche volendo, non mi avrebbe mai lasciato spiegare.
Era troppo testardo, troppo orgoglioso.
Se diceva quelle cose di me, poi, forse non mi amava più come ci eravamo amati una volta.
 «Vaffanculo» sussurrai quasi, cercando di rialzarmi. Ero instabile e la testa mi girava forte, le mani mi tremavano così tanto che riuscire a prendere lo zaino gettato lì accanto sembrò un’impresa.
«Ho sopportato tutto. I tuoi attacchi di panico, i tuoi problemi alimentari, le tue sbronze colossali, e tu mi ripaghi così?» continuava a gridare non rendendosi conto, forse, di in che stato mi trovassi.
Ero un corpo senz’anima, svuotata dall’unica cosa che davvero mi era mai importata: il mio amore per lui.
«Sei una buona a nulla, non ne vali la pena»
Fu quella forse la cosa che più mi ferì.
Fece più male di un braccio rotto, più di un tuffo da dieci metri.
Fece male perché era la verità.
Io non ne valevo la pena.
Impiegando ogni parte di me per mantenere in controllo e non cadere di nuovo per terra, uscii dalla camera da letto ed andai in salone mentre lui mi seguiva come un fantasma. E urlava, urlava cose che a volte non avevano senso, urlava di quanto inutile fossi fino a farmelo credere davvero.
Urlava e ogni parola era una coltellata.
«Non voglio vederti mai più»
Alla fine l’aveva detto.
Mi ero appoggiata al divano per sostenere il peso delle sue parole. Era finita, dopo quattro anni, dopo tanti di quei litigi e tante di quelle paci. Dopo l’amore, dopo il sesso, dopo le sigarette e le sbronze, dopo il divertimento e i sogni, dopo le notti in bianco a ripetere per gli esami di maturità e quelle passate ad ascoltare musica stesi sotto le stelle.
Finita.
Non avrei mai creduto di poter scrivere quella parola sulla nostra storia.
Finita.
Niente più Elisabetta e Giorgio.
Quando però mi vide sulla soglia di casa sua, pronta ad andarmene, a dargli le spalle, si rese davvero conto di ciò che stava succedendo. Così corse da me e mi spinse contro quel legno levigato e mi afferrò il viso tra le mani. Sentii le sue labbra sulle mie e ci lasciammo trasportare da un bacio impetuoso che sapeva di addio, di dolore e delle mie lacrime. Non avrei mai più sentito ciò che provavo in quel momento, così infilai le dita tremanti nei suoi capelli e lo spinsi ancora più vicino, bisognosa di lui, del suo calore, del suo amore.
Cose che ormai non c’erano più.
E poi gli dissi addio.
Corsi via sulle gambe instabili, via da quel posto, via da lui, via da tutti. Non volevo tornare a casa, non volevo vedere niente che mi ricordasse di lui, di noi, ma in quella città così piccola era impossibile.
L’unica soluzione possibile mi sembrava quella di scappare, scappare e non tornare mai più, scappare nell’unico posto sarei sempre voluta andare.
Nello zaino c’erano soldi abbastanza per sopravvivere una settimana, un biglietto aereo prepagato che mio fratello mi aveva regalato per andare a trovarlo e che portavo sempre con me e una sciarpa. Trascinando ciò che restava di me, magari sarei riuscita a sopravvivere a quella notte infernale.
E magari anche al giorno dopo.
E a quello dopo ancora.
Quello che successe dopo non importa, ci fu un taxi e una lungo tragitto verso la meta passato a piangere silenziosamente, un aeroporto mezzo vuoto e un miracolo che mi permise di avere l’opportunità di andare dove volevo. Restai seduta su una di quelle scomode poltroncine di ferro a fissare il vuoto con la testa che non riusciva neanche a pensare a niente. Sentivo solo dolore ovunque.
Quando arrivò l’ora di imbarcarsi preparai il mio biglietto, ultimo disponibile per quel volo, e mi incamminai verso il gate sotto lo sguardo di gente oppressa dalle valigie che studiava il mio misero zaino con sconcerto.
Loro non capivano. Se Giorgio era sempre stato  il mio tutto, in quel momento non avevo più niente.
Prima di salire sull’aereo cercai il cellulare nella tasca della giacca e vi trovai una decina di messaggi di Stefano, quel fatidico migliore amico di Giorgio. Ce n’era uno anche suo, ma semplicemente ignorai tutto.
Se scappavo fisicamente, dovevo farlo anche mentalmente.
Così cercai un numero in rubrica, quello di mia madre, e le scrissi di non preoccuparsi se non mi vedeva in giro, mentre a mio fratello che l’avrei raggiunto in mattinata.
Nel suo appartamento in Vigo Street.
A Londra.
Poi semplicemente estrassi a forza di unghie la sim dal telefono e me la gettai alle spalle, così come avrei fatto con il mio passato e il mio dolore un giorno.
Perché si, forse prima o poi sarebbe andato via, ma per il momento non potevo fare altro che aggrapparmi a quella speranza.


Fog's corner
Salve! :)
Bene, non so da dove precisamente sia uscita questa storia, considerando che al momento ho una long in corso che ha tutt'altro argomento e sono sommersa da impegni presi nei contest sul forum, però ho buttato giù questo prologo di getto. quest'idea è stata concepita dalla mia testolina probabilmente dopo essere stata l'ennesima volta in un Abecrbombie o anche per colpa di un'insana fissazione per Francisco Lachowski (a cui è ispirato il personaggio maschile che conoscerete nel prossimo capitolo).
Seriamente, non mi aspetto molto, è solo una cosa così per deliziare voi donzelle che come me siete rimaste folgorate almeno una volta dalle bellezze di quel negozio (e che si, molte sono solo apparenza) o, per chi non ci fosse mai stato, volesse  leggere una storia che ha come protagonisti modelli da togliere il fiato. E comunque, ripensandoci meglio, talvolta ci saranno anche argomenti non proprio leggeri da affrontare e la storia sulla quale si baserà tutto sarà anche abbatsanza seria, di quegli amori che ti travolgono, avete presente no?
Ok, la smetto, perchè a parte una linea generale non ne so molto neanche io ahahah chi vivrà, vedrà.
Fatemi sapere cosa ne pensate, un recenzione è sempre ben accetta :))
bacioni e alla prossima, Fog_ 

 

   
 
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