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Autore: Bloodred Ridin Hood    23/02/2013    3 recensioni
Tutto quello che successe dall'arrivo di Xiaoyu in Giappone, sino al Terzo Torneo di Tekken.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heihachi Mishima, Hwoarang, Jin Kazama, Ling Xiaoyu
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Yakushima – 2 mesi prima

Le prime volte non ci aveva fatto caso.
Momenti di ira capitano a tutti.
Film, libri e intere serie tv parlano di persone che si lasciano completamente trasportare da questo tipi di sentimenti.
Per anni non ci aveva fatto caso. Era un fatto normale. Era arrabbiato, tutto qui, arrabbiato con la vita per avergli regalato determinate cose che a tempo debito aveva goduto del sadico piacere di strappargliele dalle mani.
Alla maggior parte delle altre persone non era mai capitato niente di neanche lontanamente paragonabile a ciò che aveva vissuto lui… per questo erano così diverse.
Loro non conoscevano questo peccato. L’ira.

Tuttavia, era soltanto da quando questi episodi erano diventati sempre più frequenti, che aveva cominciato a preoccuparsi.
Quei momenti in cui tutto pareva tingersi di rosso e la lucidità mentale lentamente si slabbrava.
Erano solo dei flash, pensieri e visioni, ma parevano così vividi e reali, così come l’odore di sangue che gli sembrava di percepire.
Stava diventando psicopatico? Era un individuo socialmente pericoloso?
Era solo lo stress ed eccessiva paranoia?
O c’era sotto qualcos’altro ancora?
Quel terribile sospetto… il segreto che da anni avvolgeva la storia della sua famiglia.
Ci doveva essere un motivo per cui a Jun non piaceva parlare di suo padre.
Ci doveva essere qualcosa di grosso sotto.
Qualcosa di terribile forse, viste le reazioni di sua madre. Qualsiasi cosa fosse stato, doveva scoprirla, e quello era il momento giusto.
Non avrebbe trovato niente di plausibile per coprire la sua voglia improvvisa di visitare Yakushima, e spiegarlo sarebbe stato inutile e scomodo.
Nessuno l’avrebbe capito. No, neanche Xiaoyu era pronta per questo.
Doveva assolutamente leggere quella lettera, era troppo troppo importante. Più di qualsiasi altra cosa.


“Ricordati Jin, io preferirei che tu non leggessi mai il contenuto di quella lettera e credimi se ti dico che potresti avere una vita molto più felice e tranquilla senza aver bisogno di conoscere tutto.”
Il suono della voce di sua madre non si era mai confuso nei suoi ricordi. Poteva sentirlo ancora così come se fosse stato un ricordo del giorno prima.
Tuttavia, solo dopo tutti quegli anni capiva a fondo il significato di quelle parole.
Qualsiasi genitore avrebbe voluto tenere il proprio figlio all’oscuro di una simile, tremenda verità.
Rilesse la lettera ancora una volta, e un’altra volta ancora. Non riusciva a capacitarsene a fondo.
Non poteva.
Aveva cominciato a piovere su Yakushima e in cimitero non c’era nessuno, soltanto le alte sagome scure degli alberi e le fredde lapidi di pietra.
Era andato lì a leggere quella lettera, per avere l’illusione di poter essere più vicino a lei. Per avere l’illusione di averla lì accanto a lui.
Jin accarezzò con le dita la tomba bianca di Jun Kazama.
- Mamma… - sussurrò senza quasi nemmeno sentirsi – Sono tornato. –
Era un angolo del cimitero riparato, così non avrebbe rischiato di bagnare e rovinare la lettera.
Si sedette affianco alla tomba, sempre tenendo le punte delle dita sulla gelida lapide e cominciò a leggere l’ultimo messaggio che sua madre gli aveva riservato.


Erano passate due ore da quando aveva lasciato il cimitero.
La casetta di legno all’uscita del villaggio era rimasta tale e quale a come la ricordava.

Imboccò il sentiero di ghiaia scura che attraversava il giardino di sapore tradizionale, fino al laghetto artificiale che si estendeva a pochi metri davanti all’ingresso dell’abitazione.
Ogni singola pietra, ogni pianta, quel profumo, era come se il tempo si fosse fermato per tutto quel tempo.
- Jin… - una voce lo chiamò dalla parte opposta del laghetto.
Una vecchina fece capolino dalle pareti di legno dell’abitazione. Camminava con una grazia esemplare a dispetto della sua età.
- Baa-san. – la salutò lui.
- Sapevo che saresti tornato prima o poi. – continuò lei tenendo lo sguardo in un punto indefinito davanti a sé.
Il volto rugoso della saggia sacerdotessa era un’altra di quelle cose che parevano essere rimaste immutate nel tempo.
Non sembrava invecchiata di un giorno, sembrava anzi, se possibile, ancora più eterea e mistica di quanto ricordava.
Più di una volta Jin si era ritrovato a mettere in dubbio l’umanità di quella cieca sacerdotessa, aveva immaginato tante volte che potesse essere lei stessa uno di quegli spiriti di cui spesso le sentiva raccontare storie.
Non avrebbe di certo immaginato che tra i due, il meno umano fosse proprio lui.
- Ho… ho letto la lettera di Jun. – disse lui quasi in una confessione.
La vecchia si voltò di spalle.
- Vieni dentro, ho preparato il tè… ti stavo aspettando. – disse poco prima di entrare in casa.
Jin la seguì all’interno dell’abitazione.
La vecchia Sachi era una delle persone più rispettate nell’isola, ed era la persona di cui Jun Kazama si fidava di più a questo mondo.
Tante volte Jin era rimasto in compagnia della vecchia quando era piccolo, e aveva imparato col tempo ad ammirare e rispettare la sua infinita saggezza.
Si fermò nella vecchia sala da tè, inginocchiandosi al tavolo difronte alla vecchia che versava il tè nelle due tazze.
- Come sapevi che sarei arrivato Baa-san? – chiese Jin prendendo la sua tazza bollente fra le mani.
La vecchia fece un minuscolo cenno col capo verso la parete opposta.
Jin si voltò e vide un piccolo scaccia spiriti di bamboo vicino alla finestra.
- È da stamattina che non smette di cantare. – disse la vecchina prima di sorseggiare il suo tè – Il suo è un legno speciale, viene dalla stessa terra misteriosa da cui viene anche… -
- …il fantoccio da combattimento magico, sì mi ricordo. – finì Jin con un sorriso.
La vecchia sorrise a sua volta con tenerezza.
- Magico non è la parola più adatta figliolo, ma vedo con piacere che ti ricordi la leggenda del Mokujin. –
- Come tutte le altre. – confermò Jin annuendo.
- La maggior parte sono tutte sciocchezze per spaventare i bambini. – spiegò la vecchia – Ma sappiamo bene che a volte c’è anche qualcosa di vero che la scienza non può spiegare. –
Posò sul tavolo di legno la sua tazza di porcellana fina.
- E quello scaccia spiriti non sbaglia mai. – aggiunse mentre l’espressione si induriva.
Anche Jin posò la sua tazza sul tavolo.
- Tempi oscuri ci attendono. – fece la vecchia abbassando il tono di voce – Jin, perché sei qui? Perché hai letto la lettera? Si è… risvegliato? -
Jin deglutì abbassando il capo.
- Io credo… di sì. Qualcosa sta accadendo. Qualcosa sta cambiando. – confessò, poi sollevò lo sguardo sulla vecchia – Ho… paura Baa-san. -
Le labbra della vecchia Sachi si incresparono.
- Sei soltanto un ragazzo… - disse compassionevole – È normale che sia spaventato, figliolo. Ne hai tutto il diritto. –
- Non c’è via d’uscita vero? – chiese secco Jin.
La vecchia strinse di nuovo le labbra.
- Non te ne puoi liberare, questo è vero. – fece lei – Ma devi essere forte, dovrai imparare ad essere più forte di lui… -
- Io… non… - Jin scosse la testa, e si portò una mano sulla fronte.
Era confuso. Disperato.
- Jin… - lo richiamò la vecchia Sachi – Devi tornare da Heiachi. -
- Heiachi vuole uccidermi. – ribatté lui amarissimo – Non posso fidarmi di lui. -
- Non ho mai detto che devi fidarti di lui. – lo corresse la vecchia Sachi – Anzi, non dovrai mai fidarti di lui. -
- Ma come…? -
- Dovrai cercare Heiachi. – ripeté la vecchia – Lui ti addestrerà per imparare a controllare il gene del diavolo. È l’unico che può aiutarti. -
Jin ascoltava senza capire.
- Perché dovrebbe decidere di aiutarmi? -
- Per un motivo molto semplice. – cominciò la vecchia, sicura del fatto suo – C’è qualcosa di più importante che preoccupa Heiachi in questo momento. -
- Ogre. – rispose Jin senza neanche doverci pensare.
- Nessun essere umano è in grado di poterlo sconfiggere. – affermò la vecchia Sachi – E Heiachi l’ha capito. -
- Solo un altro demone. – indovinò Jin cominciando a capire il punto d’arrivo di tutto il discorso.
- Heiachi ti proporrà un patto. – continuò la vecchia Sachi – Tu dovrai accettarlo. La famiglia Mishima custodisce i segreti del gene del diavolo da generazioni. Solo lui ti potrà aiutare. Dovrai imparare a controllare il demone, il prima possibile… prima che lui prenda il sopravvento su di te, prima che sia troppo tardi. -
Aveva ricominciato a piovere, la pioggia batteva sul tetto producendo un ironico sinistro rumore di sottofondo.
- E io dovrò sconfiggere Ogre con il mio potere… - concluse Jin.
La vecchia emise un lungo sospiro.
- Vorrei ci potesse essere un altro modo per aiutarti, figliolo. -
- Come faccio ad essere sicuro che Heiachi non proverà ad uccidermi prima, come ha già tentato? -
La vecchia sorrise.
- La vecchia Sachi è come lo scaccia spiriti, figliolo. Non sbaglia mai su queste cose. Dovresti saperlo. -
Jin non osò ribadire.
- Conosco la tua famiglia da generazioni, e sono stata in questo modo abbastanza a lungo da aver imparato a prevedere il comportamento degli uomini che lo abitano. Gli uomini commettono sempre le stesse azioni, gli stessi errori. Dopo anni e anni di attente osservazioni, impari a capire che sono molto più prevedibili di quanto si possa immaginare. -
- Baa-san… - la richiamò Jin – Come farò a sconfiggere Ogre? -
La vecchia cercò con le sue fragili piccole mani quelle di Jin e le racchiuse tra le sue.
- Figliolo… - gli sussurrò – Io sono certa che ce la farai. Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. Tu hai lo stesso cuore di Jun. È questo il tuo potere più grande. – disse mentre una lacrima le scivolava dagli occhi opachi.


La mattina seguente Yakushima si svegliò con il profumo di terra bagnata.
La vecchia Sachi era già in giardino a meditare in silenzio, come faceva ogni mattina.
Jin le si avvicinò silenziosamente, per non disturbare quella pace mistica.
La vecchia si voltò nella la sua direzione.
- Il sole sta tornando. – sorrise, mentre tra le nuvole si apriva un varco luminoso.
Jin si sedette accanto a lei.
- Partirò oggi stesso. – le comunicò.
La vecchia annuì e cercò la mano di Jin con la sua.
- Non temere, figliolo. Andrà tutto bene. – lo rassicurò ancora una volta.
Prese la mano e gli lasciò un piccolo oggetto di legno sul palmo.
- Voglio che tu prenda questo. – riprese a parlare la vecchia – È un amuleto molto antico, anche questo è fatto di legno speciale. È stato passato di mano in mano per centinaia di anni. Si dice che abbia il potere di proteggere la persona che lo riceve in dono. -
Jin lo osservò, aveva una forma strana. Sembrava quasi una piccola campana, e sulla sua superficie c’erano segnati degli antichi ideogrammi, la maggior parte dei quali non riusciva a capire.
- È giunto il momento che lo prenda tu. – continuò Sachi – Ne hai certamente più bisogno di me. –
- Lo apprezzo tanto. – disse Jin, sapendo che per lei significava tanto.
La vecchia poi prese il suo polso tra le dita ossute e sbarrò gli occhi.
- Quando avrai sconfitto Ogre, dovrai allontanarti immediatamente da Heiachi. Per sempre. –

 

Tokyo – presente

Non riuscivo a crederci. Feci qualche passo indietro, fino a poggiare la schiena contro la parete del corridoio dell’hotel, mentre fissavo la porta della stanza di Jin.
Speravo che se ne accorgesse, che venisse a richiamarmi, speravo di sbagliarmi. Non so nemmeno io che cosa stessi aspettando.
Avevo immaginato tante volte come sarebbe stato quel momento, il momento del nostro rincontro, ma mai e poi mai avrei pensato di sentire quella sensazione.
D’accordo Jin era sempre stato un tipo particolare, ma non avevo mai avvertito una tale freddezza in sua presenza. Perché non poteva essere tutto come prima? Cosa stava accadendo?
Dove era finito il Jin che conoscevo? Quello con cui mi sentivo così a mio agio…
Chi era questo Jin che con fare misterioso collaborava con Heiachi? Per quale motivo poi?
Heiachi era pericoloso, di questo ne eravamo più che certi ormai, allora perché scappare da noi e creare un’alleanza con lui?
Una famiglia mi passò davanti, allegra e spensierata, in contrasto con i miei sentimenti in quel momento, e decisi di seguirli nell’ascensore.
Non aveva più senso stare lì. Dovevo accettare che dovevo andarmene.
L’ascensore arrivò al pian terreno e le porte si aprirono con un suono che ricordava quello di un campanello.
Nella hall c’erano molte persone, molti turisti, ma soprattutto quelli che sembravano uomini d’affari. Sembrava un posto lussuoso e parecchio costoso, chissà se era sempre nonno Heiachi a pagare l’affitto della stanza a suo nipote, visto che ormai erano tornati ad essere così intimi.
Uscii dall’hotel e notai la fila di taxi parcheggiati a bordo del marciapiedi.
Mi toccai le tasche. Non avevo molto, soltanto l’ammontare per poter sopravvivere una settimana o poco più, non potevo permettermi un taxi.
In quel momento mi resi conto di non conoscere minimamente quel quartiere, tornare a casa non sarebbe stato affatto facile, ma ovviamente chiedere un passaggio a Jin era decisamente fuori luogo.
C’era una fermata dell’autobus a pochi metri di distanza, mi avvicinai e mi lasciai cadere sulla panchina di ferro. Non sapevo quale linea avrei dovuto prendere o a che ora, magari avrei chiesto ad un conducente, o comunque sarei potuta riuscire a raggiungere uno dei quartieri principali da cui avrei saputo muovermi meglio.
Aspettai per qualche minuto, nessun autobus passò. Erano passati circa dieci minuti quando, mentre guardavo distrattamente la strada in direzione dell’entrata dell’albergo, notai una figura familiare che era appena uscita dalla porta.
Jin.
Mi irrigidii. Era tornato a cercarmi?
Illusa. Durante la telefonata aveva accordato una specie di appuntamento in un quarto d’ora o qualcosa del genere. Era proprio quella, tra l’altro, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
La curiosità era estrema. Dove stava andando?
Avrei scommesso che all’altro capo del telefono ci fosse Heiachi, avrei scommesso subito tutti i soldi che avevo in tasca.
E perché mai si dovevano vedere? Così all’improvviso.
Dovevo farmi gli affari miei. Lui mi teneva fuori dalla sua vita, io ne stavo fuori. Era semplicissimo.
Ma stavo letteralmente morendo di curiosità.
Prima di aver realmente deciso, stavo già per fare una delle mosse più azzardate della mia vita. Una scelta che in quel momento non potevo sapere quanto avrebbe contribuito a cambiarmi la vita.
Entrai nel taxi prendendo posto nel sedile posteriore.
L’uomo alzò lo sguardo sullo specchietto retrovisore e mi osservò.
- Dove ti porto, ragazzina? -
Deglutii, ancora mezzo incerta di volerlo veramente fare.
Alzai un dito verso la strada.
- Quella moto. – gli dissi – La segua. -
L’uomo aggrottò le sopracciglia e si voltò a guardarmi a fondo. Per capire se ero seria.
Alzai le spalle, cercando di sembrare più distaccata possibile.
- È il mio ragazzo. – spiegai – Ho il sospetto che si veda con un’altra. Devo assolutamente sapere. – il mio tono di voce era fermissimo, al contrario delle mie mani che tremavano per il nervosismo.
La spiegazione sembrò convincere il tassista, dopo un’altra occhiata attraverso lo specchietto retrovisore mise in moto e partì.

Tokyo – 2 mesi prima

Quando Jin Kazama si presentò al quartiere generale della Mishima Zaibatsu, chiedendo di poter parlare con suo nonno, tutti all’azienda rimasero sbalorditi.
Ormai era di dominio pubblico la notizia della misteriosa scomparsa del nipote del presidente in seguito ad una misteriosa incursione nella loro tenuta a Capodanno.
E chiaramente, nessuno si sarebbe aspettato di vedere il nipote di Heiachi Mishima, disperso ormai da circa un mese, ripresentarsi all’improvviso al suo cospetto.
Tutti furono stupiti, meno che suo nonno stesso, il quale lo ricevette immediatamente.
Jin entrò nel suo ufficio all’ultimo piano dell’edificio aziendale, il vertice della piramide, come spesso lo definiva Heiachi, e sostenne lo sguardo dell’uomo che sentiva di odiare più di ogni altro al mondo.
Heiachi lo osservava dall’altro capo della sua scrivania in mogano scuro, dando le spalle alla parete di vetro.
- Sapevo che saresti tornato da me prima o poi… Jin. – sogghignò poco dopo.
- Va al diavolo. – rispose il nipote acidissimo – Sono qui per un motivo ben preciso. -
- Già… immagino che non sia perché hai bisogno di soldi… - continuò il nonno.
Jin lo fulminò con lo sguardo.
- Bando alle ciance. So benissimo cosa ti ha spinto a ripresentarti. – riprese Heiachi cambiando tono – Ti aspettavo da quando ho saputo della tua visita a Yakushima. -
Jin rimase di stucco.
- Tu… - iniziò Jin sprezzante - … sapevi tutto? -
- Tutto cosa? – chiese Heiachi stando a tono – Della lettera di Jun? Di come ti ha tenuto all’oscuro tutti questi anni della maledizione della famiglia Mishima? O del fatto che ti avrei trovato a Yakushima? -
Jin deglutì.
- Dopo la tua fuga, Yakushima è stato uno dei primi posti che ho chiesto di sorvegliare. Era facile. I cuccioli tornano sempre alla tana prima o poi. – spiegò – Per quanto riguarda il resto, ho fatto un patto con Jun tanto tempo fa, quindi… sì, sapevo tutto. -
- Un patto? -
- Jun era preoccupata che potesse succedere anche a te un giorno o l’altro. – spiegò – Per questo mi ha pregato di prendermi cura di te se le fosse accaduto qualcosa, per poter tenere d’occhio lui. -
Jin fissava un punto a caso nel legno della scrivania, perso nei suoi pensieri.
- Dimmi nipote, non ti è mai saltato per la mente che fosse strano che Jun avesse scelto proprio me come tuo tutore nel caso lei non potesse più prendersi cura di te? – Heiachi ridacchiò – Insomma, non sono proprio il genere di persona che si dice ci sappia fare con i ragazzini. -
Stirò le gambe e si alzò, continuando a tenere lo sguardo puntato su suo nipote.
- Quindi… sì, sapevo tutto… - ripeté – L’unica cosa che non potevo sapere, e che non poteva sapere neanche tua madre, era se mai e quando si sarebbe svegliato anche in te. -
Jin lo guardò con espressione ferrea.
- E come facevi a sapere che era questo il motivo per cui sono tornato a Yakushima? – gli domandò.
Heiachi sorrise malvagiamente.
- Chiamiamolo istinto. – rispose – Non vedo altro motivo per cui altrimenti ti saresti allontanato dalla tua inseparabile amica… -
Sembrava godere ogni attimo del suo sconforto.
- Ho capito subito che c’era qualcosa di anomalo nel tuo comportamento, quando ti ho trovato a Yakushima… solo. – continuò – E il resto è arrivato da sé. -
- Mi fai schifo. – disse Jin sprezzante – Perché hai cercato di ucciderci la notte di capodanno? -
Heiachi scoppiò in una risata fragorosa.
- Non avevo intenzione di uccidervi in realtà. – ammise – Soltanto rapirvi… avevo un piano in mente per cui voi sareste state l’esca perfetta per l’operazione Ogre. Niente di personale, si intende. -
Si fermò per un momento, allisciandosi i baffi.
- Ma quell’operazione è fallita. – spiegò – Non avrebbe potuto funzionare. -
Puntò gli occhi su di Jin e per un attimo lasciò intravedere un sadico sorriso. Subito dopo poi ammorbidì l’espressione e alzò le spalle.
- Mi dispiace per l’episodio di Capodanno. – si scusò come se fosse una cosa da niente – Nessuno si sarebbe fatto male se le cose fossero andate come si era stabilito, ma non potevo permettere che vi rifiutaste di collaborare, per questo i soldati… ma non ci pensiamo più, ok? -
- Non ci pensiamo più?! – Jin era pressochè furioso.
- Ho qualcosa di più interessante da proporti ora. – rispose semplicemente il nonno.
Jin ebbe l’impulso di andarsene, di fuggire da quell’essere che nelle vesti di suo più stretto parente gli provocava soltanto disgusto. Ma nella lettera Jun aveva fatto il suo nome. Doveva ancora sapere come poteva contrastare il gene del diavolo.
- Non ho intenzione di trattare con te. – fece Jin assolutamente disgustato – Sono qui solamente per saperne di più su tu sai cosa. -
- Sì, d’accordo. – cominciò Heiachi – So che ora mi odi e tutto quanto. Volevo usarvi come esche per richiamare Ogre, non mi sono comportato onestamente. Tuttavia non ho abbandonato ovviamente l’operazione Ogre, e nei nuovi programmi entri in gioco tu. – spiegò mostrando un sorriso sghembo – In cambio della tua collaborazione ti aiuterò a prendere controllo dei tuoi… tormenti interiori. –
Rise di gusto compiaciuto della sua battuta inopportuna
- Tu… beh, imparerai a controllarli e li userai per sconfiggere Ogre. –
- Sei uscito fuori di testa del tutto?! – ribattè Jin furibondo.
- Non devi pensare che sia soltanto qualcosa di terribile. – spiegò Heiachi improvvisamente serissimo – È un dono, imbecille di un ragazzino. È una potentissima arma che devi imparare ad usare. -
Jin non rispose. Desiderava solo di non trovarsi realmente lì, di non avere un demone dentro di lui e che fosse tutto soltanto un orribile, tremendo, spaventoso incubo.
– Sai che Ogre è una minaccia, un pericolo per l’umanità.- continuò Heiachi persuasivo – E sai che nessun essere umano è in grado di poterlo battere. Jin, non c’è altro modo di poterlo sconfiggere. Solo tu puoi riuscirci, e per fare ciò devi imparare ad controllare il gene, e devi farlo subito. -
Si fermò ancora un secondo.
- Se collaborerai i tuoi amici saranno al sicuro. – aggiunse.
- Da quando ti interessi al bene dell’umanità? – osservò Jin disgustato.
Heiachi sogghignò.
- Da quando c’è di mezzo anche il mio bene personale e quello delle mie aziende. -
Jin non rispose.
- Faremo una serie di allenamenti mirati. – riprese Heiachi come se avesse già avuto un consenso – Tuo padre era un vero disastro, ma tu potresti avere il potenziale per riuscire ad imparare più velocemente… -
Poi si fermò e sogghignò di nuovo con aria malvagia.
- Permettimi di farti una domanda… - esordì poco dopo.
Gli occhi gli brillavano ora di una bramosa curiosità, affascinata e sdegnata allo stesso tempo.
- Come ci si sente? – chiese quasi con invidia - Come te ne sei accorto? Perché hai sentito il bisogno di andare a leggere quella lettera? -
Jin lo guardò superbo.
- Chiamiamolo istinto. – si alzò e gli voltò le spalle, pronto per lasciare l’ufficio – Ti ho già dedicato fin troppo tempo. Quando cominciamo? – chiese poi in tono freddo.
- Sapevo che saresti stato ragionevole. – fece Heiachi in tono quasi fiero - Ci vediamo qui domani mattina alle nove. E farai bene a presentarti in orario. Spero che ti renda conto che non hai alternativa migliore alla mia proposta. -
- Spero che Ogre ti uccida molto dolorosamente prima che lo faccia io, bastardo. – rispose Jin, prima di lasciare la stanza.
Sentì Heiachi che rideva fragorosamente. Apparentemente quel colloquio l’aveva particolarmente divertito.

Tokyo – presente

Il taxi mi aveva lasciato in una strada sterrata, in una zona piena di edifici malridotti e forse abbandonati che avevano l’aria di essere stati un tempo officine o comunque capannoni industriali.
La moto di Jin si era fermata a qualche isolato da noi. Avevo chiesto al tassista di lasciarmi più indietro per non rischiare di essere vista.
L’uomo mi guardava preoccuato.
- Sei sicura che si debba vedere con un’altra in un posto come questo? -
- Non si preoccupi. – dissi frettolosamente mentre gli offrivo il mio denaro per intero – Grazie mille. -
Aprii lo sportello e feci per uscire.
- Ma aspetta! – mi richiamò il tipo – Io non me la sento di lasciarti da sola in un posto come questo. -
- So badare a me stessa. Grazie di tutto, veramente. – cercai di sembrare convincente.
Detto questo uscii dall’auto e cominciai a correre verso il luogo in cui la moto di Jin si era fermata.
Era un enorme edificio dotato di un cancello elettronico e delle videocamere di sorveglianza.
Ero certa che si fosse introdotto al suo interno, quello di cui non ero assolutamente certa era di come mi sarei introdotta io.
Mi guardai un attimo intorno per capire se fosse possibile scavalcare il recinto evitando le videocamere.
Il recinto era molto alto, almeno tre metri, però a qualche metro di distanza c’era un cassonetto. Se ci fossi salita sopra avrei guadagnato un po’ di altezza. A quel punto avrei potuto saltare e cercare di aggrapparmi all’estremità del muro.
Uno sguardo veloce alla strada, era completamente vuota, nessuno mi avrebbe visto.
Corsi verso il cassonetto, emanava un odore terribile, ma mi sforzai di non farci caso. Ci salii sopra, pregando in tutte le lingue che non cedesse. Una volta che fui certa che mi avrebbe retto, provai ad issarmi in piedi e guardai l’estremità del muro allungando una mano verso l’alto.
Avrei dovuto fare un salto di più di un metro. Per via del mio stile di combattimento sono abituata fare salti di un certo tipo e anche di una certa altezza, ma pur sempre con un minimo di rincorsa o slancio. Saltare da fermi da una superficie poco stabile, è tutto un altro discorso.
O la va o la spacca.
Piegai le ginocchia, cercai di darmi tutto lo slancio possibile con l’aiuto delle braccia e saltai cercando di elevarmi più in alto possibile.
Riuscii a superare il bordo del muro di almeno una spanna, cercai di aggrapparmi con le mani, ci riuscii, sbattendo il corpo contro la parete. A quel punto cercai di portarmi avanti con un braccio, per afferrare l’altra estremità del bordo del recinto. Era piuttosto spesso, ma non fu troppo difficile. Feci leva per riuscire a portarmi su con i gomiti e a quel punto fu un gioco da ragazzi.
Qualche secondo dopo ero in piedi a pulirmi le mani contro i jeans dall’altra parte del recinto.
L’edificio che avevo di fronte era un grosso fabbricato di due piani con dei finestroni scuri. Alcuni vetri erano frantumati e non sembrava nemmeno che fosse stato abbandonato di recente.
Perché un posto del genere aveva un cancello elettronico e videocamere di sorveglianza? Cosa poteva nascondere al suo interno?
Cominciavo a sentirmi irrequieta, avevo una bruttissima sensazione. Quel luogo era inquietantissimo, mi sembrava di essere in un film dell’orrore, ma ormai c’ero dentro. Dovevo scoprire dove era andato Jin.
Entrai da una delle finestre rotte del pian terreno attenta a non fare il minimo rumore.
Mi ritrovai in una specie di corridoio, non aveva per niente l’aspetto di un posto in cui la gente ci passasse spesso. Il pavimento era coperto di pezzi di vetro, di intonaco e rifiuti metallici di vario genere. Facendo attenzione a dove andavo a mettere i piedi cominciai a camminare in una direzione a caso. Il corridoio continuava senza diramazioni per diversi metri. C’erano delle porte di tanto in tanto, ma tutte erano chiuse.
Mi ritrovai ad un certo punto davanti ad una rampa di scale. Da una parte si saliva, dall’altra si scendeva.
E ora dove vado? Mi chiesi. Scendere o salire?
Il cuore mi batteva a mille per l’adrenalina. Avevo l’impressione che ci fosse qualcosa di molto losco in ballo. Cosa sarebbe successo se qualcuno mi avrebbe trovato da quelle parti?
Mentre aspettavo di prendere una decisone, sentii uno strano rumore che mi fece trasalire. Era… una specie di urlo, ma troppo simile ad un ringhio per sembrare un vero e proprio urlo umano.
Mi gelai. In quel momento feci caso ad altri rumori e delle voci. Voci decisamente umane.
E provenivano da sotto.
Deglutii.
Dai solo un’occhiata. Mi dissi. Se le cose si mettono male o sembra essere pericoloso, torni immediatamente indietro.
Scesi le scale facendo più attenzione possibile, i rumori si facevano più forti, più chiari e più terrificanti.
Le scale mi portarono in un altro corridoio. Questo era decisamente più ordinato e più pulito, quindi forse  era più frequentato?
Non c’era nessuno in giro e decisi di esplorare un po’ la zona. Questo corridoio sembrava correre lungo il perimetro di una grande stanza che comunicava con il corridoio attraverso dei passaggi ad arco. Decisi dopo vari giri di perlustrazione di provare ad entrare in una di queste aperture, da dove i rumori sembravano provenire.
Era una specie di anticamera per quella che sembrava una sorta di arena da combattimento.
Io mi trovavo all’apice di un’alta gradinata e in basso, davanti a me, sentivo che c’era del movimento, ma non riuscivo a vedere ancora che cosa fosse.
Sentivo una voce, era chiaramente Heiachi. Urlava delle cose, lanciava come degli ordini, c’erano anche un paio di altri uomini nei lati e tutti guardavano qualcosa verso il centro della sala.
Mi sporsi un po’ di più, con le gambe tremanti, per riuscire ad avere una visuale migliore.
Quello che vidi inizialmente mi lasciò di stucco. Fu solo poco dopo che capii e dovetti portarmi una mano davanti alla bocca per non urlare in preda al panico.
Non so quanto rimasi a vedere quella scena, ma fu abbastanza da farmi decidere che dovevo allontanarmi immediatamente da lì.
Ripercorsi tutta la strada all’indietro fino ad uscire dalla finestra rotta dalla quale ero entrata. Una volta fuori mi appoggiai alla parete, con il cuore in gola e alzai lo sguardo al cielo ancora terrorizzata.
Iniziai a piangere. Non sapevo che fare.
Avrei voluto che Hwoarang fosse lì con me. Avrei voluto che arrivasse e che mi portasse a casa.

 

  
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