Yakushima
– 2 mesi prima
Le
prime volte non ci aveva fatto caso.
Momenti
di ira capitano a tutti.
Film,
libri e intere serie tv parlano di persone
che si lasciano completamente trasportare da questo tipi di sentimenti.
Per
anni non ci aveva fatto caso. Era un fatto
normale. Era arrabbiato, tutto qui, arrabbiato con la vita per avergli
regalato
determinate cose che a tempo debito aveva goduto del sadico piacere di
strappargliele dalle mani.
Alla
maggior parte delle altre persone non era
mai capitato niente di neanche lontanamente paragonabile a
ciò che aveva
vissuto lui… per questo erano così diverse.
Loro non conoscevano questo peccato. L’ira.
Tuttavia,
era soltanto da quando questi episodi
erano diventati sempre più frequenti, che aveva cominciato a
preoccuparsi.
Quei
momenti in cui tutto pareva tingersi di
rosso e la lucidità mentale lentamente si slabbrava.
Erano
solo dei flash, pensieri e visioni, ma
parevano così vividi e reali, così come
l’odore di sangue che gli sembrava di
percepire.
Stava
diventando psicopatico? Era un individuo
socialmente pericoloso?
Era
solo lo stress ed eccessiva paranoia?
O
c’era sotto qualcos’altro ancora?
Quel
terribile sospetto… il segreto che da anni
avvolgeva la storia della sua famiglia.
Ci
doveva essere un motivo per cui a Jun non
piaceva parlare di suo padre.
Ci
doveva essere qualcosa di grosso sotto.
Qualcosa
di terribile forse, viste le reazioni
di sua madre. Qualsiasi cosa fosse stato, doveva scoprirla, e quello
era il
momento giusto.
Non
avrebbe trovato niente di plausibile per
coprire la sua voglia improvvisa di visitare Yakushima, e spiegarlo
sarebbe
stato inutile e scomodo.
Nessuno
l’avrebbe capito. No, neanche Xiaoyu era
pronta per questo.
Doveva
assolutamente leggere quella lettera, era
troppo troppo importante. Più di qualsiasi altra cosa.
“Ricordati
Jin, io preferirei che tu non
leggessi mai il contenuto di quella lettera e credimi se ti dico che
potresti
avere una vita molto più felice e tranquilla senza aver
bisogno di conoscere
tutto.”
Il
suono della voce di sua madre non si era mai
confuso nei suoi ricordi. Poteva sentirlo ancora così come
se fosse stato un
ricordo del giorno prima.
Tuttavia,
solo dopo tutti quegli anni capiva a
fondo il significato di quelle parole.
Qualsiasi
genitore avrebbe voluto tenere il
proprio figlio all’oscuro di una simile, tremenda
verità.
Rilesse
la lettera ancora una volta, e un’altra
volta ancora. Non riusciva a capacitarsene a fondo.
Non
poteva.
Aveva
cominciato a piovere su Yakushima e in cimitero
non c’era nessuno, soltanto le alte sagome scure degli alberi
e le fredde
lapidi di pietra.
Era
andato lì a leggere quella lettera, per
avere l’illusione di poter essere più vicino a
lei. Per avere l’illusione di
averla lì accanto a lui.
Jin
accarezzò con le dita la tomba bianca di Jun
Kazama.
-
Mamma… - sussurrò senza quasi nemmeno sentirsi
– Sono tornato. –
Era un angolo del cimitero riparato, così non avrebbe
rischiato di bagnare e
rovinare la lettera.
Si sedette affianco alla tomba, sempre tenendo le punte delle dita
sulla gelida
lapide e cominciò a leggere l’ultimo messaggio che
sua madre gli aveva
riservato.
Erano
passate due ore da quando aveva lasciato
il cimitero.
La casetta di legno all’uscita del villaggio era rimasta tale
e quale a come la
ricordava.
Imboccò
il sentiero di ghiaia scura che
attraversava il giardino di sapore tradizionale, fino al laghetto
artificiale
che si estendeva a pochi metri davanti all’ingresso
dell’abitazione.
Ogni
singola pietra, ogni pianta, quel profumo,
era come se il tempo si fosse fermato per tutto quel tempo.
-
Jin… - una voce lo chiamò dalla parte opposta
del laghetto.
Una
vecchina fece capolino dalle pareti di legno
dell’abitazione. Camminava con una grazia esemplare a
dispetto della sua età.
-
Baa-san. – la salutò lui.
-
Sapevo che saresti tornato prima o poi. –
continuò lei tenendo lo sguardo in un punto indefinito
davanti a sé.
Il
volto rugoso della saggia sacerdotessa era
un’altra di quelle cose che parevano essere rimaste immutate
nel tempo.
Non
sembrava invecchiata di un giorno, sembrava
anzi, se possibile, ancora più eterea e mistica di quanto
ricordava.
Più
di una volta Jin si era ritrovato a mettere
in dubbio l’umanità di quella cieca sacerdotessa,
aveva immaginato tante volte
che potesse essere lei stessa uno di quegli spiriti di cui spesso le
sentiva
raccontare storie.
Non
avrebbe di certo immaginato che tra i due,
il meno umano fosse proprio lui.
-
Ho… ho letto la lettera di Jun. – disse lui
quasi in una confessione.
La
vecchia si voltò di spalle.
-
Vieni dentro, ho preparato il tè… ti stavo
aspettando. – disse poco prima di entrare in casa.
Jin
la seguì all’interno dell’abitazione.
La
vecchia Sachi era una delle persone più
rispettate nell’isola, ed era la persona di cui Jun Kazama si
fidava di più a
questo mondo.
Tante
volte Jin era rimasto in compagnia della vecchia
quando era piccolo, e aveva imparato col tempo ad ammirare e rispettare
la sua
infinita saggezza.
Si
fermò nella vecchia sala da tè,
inginocchiandosi al tavolo difronte alla vecchia che versava il
tè nelle due
tazze.
-
Come sapevi che sarei arrivato Baa-san? –
chiese Jin prendendo la sua tazza bollente fra le mani.
La
vecchia fece un minuscolo cenno col capo
verso la parete opposta.
Jin
si voltò e vide un piccolo scaccia spiriti
di bamboo vicino alla finestra.
-
È da stamattina che non smette di cantare. –
disse la vecchina prima di sorseggiare il suo tè –
Il suo è un legno speciale,
viene dalla stessa terra misteriosa da cui viene anche… -
-
…il fantoccio da combattimento magico, sì mi
ricordo. – finì Jin con un sorriso.
La
vecchia sorrise a sua volta con tenerezza.
-
Magico non è la parola più adatta figliolo, ma
vedo con piacere che ti ricordi la leggenda del Mokujin. –
-
Come tutte le altre. – confermò Jin annuendo.
-
La maggior parte sono tutte sciocchezze per
spaventare i bambini. – spiegò la vecchia
– Ma sappiamo bene che a volte c’è
anche qualcosa di vero che la scienza non può spiegare.
–
Posò
sul tavolo di legno la sua tazza di
porcellana fina.
-
E quello scaccia spiriti non sbaglia mai. –
aggiunse mentre l’espressione si induriva.
Anche
Jin posò la sua tazza sul tavolo.
-
Tempi oscuri ci attendono. – fece la vecchia
abbassando il tono di voce – Jin, perché sei qui?
Perché hai letto la lettera?
Si è… risvegliato? -
Jin
deglutì abbassando il capo.
-
Io credo… di sì. Qualcosa sta accadendo. Qualcosa
sta cambiando. – confessò, poi sollevò
lo sguardo sulla vecchia – Ho… paura
Baa-san. -
Le
labbra della vecchia Sachi si incresparono.
-
Sei soltanto un ragazzo… - disse
compassionevole – È normale che sia spaventato,
figliolo. Ne hai tutto il
diritto. –
-
Non c’è via d’uscita vero? –
chiese secco Jin.
La
vecchia strinse di nuovo le labbra.
-
Non te ne puoi liberare, questo è vero. – fece
lei – Ma devi essere forte, dovrai imparare ad essere
più forte di lui… -
-
Io… non… - Jin scosse la testa, e si
portò una
mano sulla fronte.
Era
confuso. Disperato.
-
Jin… - lo richiamò la vecchia Sachi –
Devi
tornare da Heiachi. -
-
Heiachi vuole uccidermi. – ribatté lui
amarissimo – Non posso fidarmi di lui. -
-
Non ho mai detto che devi fidarti di lui. – lo
corresse la vecchia Sachi – Anzi, non dovrai mai fidarti di
lui. -
-
Ma come…? -
-
Dovrai cercare Heiachi. – ripeté la vecchia
–
Lui ti addestrerà per imparare a controllare il gene del
diavolo. È l’unico che
può aiutarti. -
Jin
ascoltava senza capire.
-
Perché dovrebbe decidere di aiutarmi? -
-
Per un motivo molto semplice. – cominciò la
vecchia, sicura del fatto suo – C’è
qualcosa di più importante che preoccupa
Heiachi in questo momento. -
-
Ogre. – rispose Jin senza neanche doverci
pensare.
-
Nessun essere umano è in grado di poterlo
sconfiggere. – affermò la vecchia Sachi
– E Heiachi l’ha capito. -
-
Solo un altro demone. – indovinò Jin
cominciando a capire il punto d’arrivo di tutto il discorso.
-
Heiachi ti proporrà un patto. –
continuò la
vecchia Sachi – Tu dovrai accettarlo. La famiglia Mishima
custodisce i segreti
del gene del diavolo da generazioni. Solo lui ti potrà
aiutare. Dovrai imparare
a controllare il demone, il prima possibile… prima che lui
prenda il
sopravvento su di te, prima che sia troppo tardi. -
Aveva
ricominciato a piovere, la pioggia batteva
sul tetto producendo un ironico sinistro rumore di sottofondo.
-
E io dovrò sconfiggere Ogre con il mio potere…
- concluse Jin.
La
vecchia emise un lungo sospiro.
-
Vorrei ci potesse essere un altro modo per
aiutarti, figliolo. -
-
Come faccio ad essere sicuro che Heiachi non
proverà ad uccidermi prima, come ha già tentato? -
La
vecchia sorrise.
-
La vecchia Sachi è come lo scaccia spiriti,
figliolo. Non sbaglia mai su queste cose. Dovresti saperlo. -
Jin
non osò ribadire.
-
Conosco la tua famiglia da generazioni, e sono
stata in questo modo abbastanza a lungo da aver imparato a prevedere il
comportamento degli uomini che lo abitano. Gli uomini commettono sempre
le
stesse azioni, gli stessi errori. Dopo anni e anni di attente
osservazioni,
impari a capire che sono molto più prevedibili di quanto si
possa immaginare. -
-
Baa-san… - la richiamò Jin – Come
farò a
sconfiggere Ogre? -
La
vecchia cercò con le sue fragili piccole mani
quelle di Jin e le racchiuse tra le sue.
-
Figliolo… - gli sussurrò – Io sono
certa che
ce la farai. Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. Tu hai lo stesso
cuore di
Jun. È questo il tuo potere più grande.
– disse mentre una lacrima le scivolava
dagli occhi opachi.
La
mattina seguente Yakushima si svegliò con il
profumo di terra bagnata.
La
vecchia Sachi era già in giardino a meditare
in silenzio, come faceva ogni mattina.
Jin
le si avvicinò silenziosamente, per non
disturbare quella pace mistica.
La
vecchia si voltò nella la sua direzione.
-
Il sole sta tornando. – sorrise, mentre tra le
nuvole si apriva un varco luminoso.
Jin
si sedette accanto a lei.
-
Partirò oggi stesso. – le comunicò.
La
vecchia annuì e cercò la mano di Jin con la
sua.
-
Non temere, figliolo. Andrà tutto bene. – lo
rassicurò ancora una volta.
Prese
la mano e gli lasciò un piccolo oggetto di
legno sul palmo.
-
Voglio che tu prenda questo. – riprese a
parlare la vecchia – È un amuleto molto antico,
anche questo è fatto di legno
speciale. È stato passato di mano in mano per centinaia di
anni. Si dice che
abbia il potere di proteggere la persona che lo riceve in dono. -
Jin
lo osservò, aveva una forma strana. Sembrava
quasi una piccola campana, e sulla sua superficie c’erano
segnati degli antichi
ideogrammi, la maggior parte dei quali non riusciva a capire.
-
È giunto il momento che lo prenda tu. –
continuò Sachi – Ne hai certamente più
bisogno di me. –
-
Lo apprezzo tanto. – disse Jin, sapendo che
per lei significava tanto.
La
vecchia poi prese il suo polso tra le dita
ossute e sbarrò gli occhi.
-
Quando avrai sconfitto Ogre, dovrai
allontanarti immediatamente da Heiachi. Per sempre. –
Tokyo – presente
Non
riuscivo a crederci. Feci qualche passo indietro, fino a
poggiare la schiena contro la parete del corridoio
dell’hotel, mentre fissavo
la porta della stanza di Jin.
Speravo che se ne accorgesse, che venisse a richiamarmi, speravo di
sbagliarmi.
Non so nemmeno io che cosa stessi aspettando.
Avevo immaginato tante volte come sarebbe stato quel momento, il
momento del
nostro rincontro, ma mai e poi mai avrei pensato di sentire quella
sensazione.
D’accordo Jin era sempre stato un tipo particolare, ma non
avevo mai avvertito
una tale freddezza in sua presenza. Perché non poteva essere
tutto come prima?
Cosa stava accadendo?
Dove era finito il Jin che conoscevo? Quello con cui mi sentivo
così a mio
agio…
Chi era questo Jin che con fare misterioso collaborava con Heiachi? Per
quale
motivo poi?
Heiachi era pericoloso, di questo ne eravamo più che certi
ormai, allora perché
scappare da noi e creare un’alleanza con lui?
Una famiglia mi passò davanti, allegra e spensierata, in
contrasto con i miei
sentimenti in quel momento, e decisi di seguirli
nell’ascensore.
Non aveva più senso stare lì. Dovevo accettare
che dovevo andarmene.
L’ascensore arrivò al pian terreno e le porte si
aprirono con un suono che
ricordava quello di un campanello.
Nella hall c’erano molte persone, molti turisti, ma
soprattutto quelli che
sembravano uomini d’affari. Sembrava un posto lussuoso e
parecchio costoso,
chissà se era sempre nonno Heiachi a pagare
l’affitto della stanza a suo
nipote, visto che ormai erano tornati ad essere così intimi.
Uscii dall’hotel e notai la fila di taxi parcheggiati a bordo
del marciapiedi.
Mi toccai le tasche. Non avevo molto, soltanto l’ammontare
per poter
sopravvivere una settimana o poco più, non potevo
permettermi un taxi.
In quel momento mi resi conto di non conoscere minimamente quel
quartiere,
tornare a casa non sarebbe stato affatto facile, ma ovviamente chiedere
un
passaggio a Jin era decisamente fuori luogo.
C’era una fermata dell’autobus a pochi metri di
distanza, mi avvicinai e mi
lasciai cadere sulla panchina di ferro. Non sapevo quale linea avrei
dovuto
prendere o a che ora, magari avrei chiesto ad un conducente, o comunque
sarei
potuta riuscire a raggiungere uno dei quartieri principali da cui avrei
saputo
muovermi meglio.
Aspettai per qualche minuto, nessun autobus passò. Erano
passati circa dieci
minuti quando, mentre guardavo distrattamente la strada in direzione
dell’entrata dell’albergo, notai una figura
familiare che era appena uscita
dalla porta.
Jin.
Mi irrigidii. Era tornato a cercarmi?
Illusa. Durante la telefonata aveva
accordato una specie di appuntamento in un quarto d’ora o
qualcosa del genere.
Era proprio quella, tra l’altro, la goccia che aveva fatto
traboccare il vaso.
La curiosità era estrema. Dove stava andando?
Avrei scommesso che all’altro capo del telefono ci fosse
Heiachi, avrei
scommesso subito tutti i soldi che avevo in tasca.
E perché mai si dovevano vedere? Così
all’improvviso.
Dovevo farmi gli affari miei. Lui mi teneva fuori dalla sua vita, io ne
stavo
fuori. Era semplicissimo.
Ma stavo letteralmente morendo di curiosità.
Prima di aver realmente deciso, stavo già per fare una delle
mosse più
azzardate della mia vita. Una scelta che in quel momento non potevo
sapere
quanto avrebbe contribuito a cambiarmi la vita.
Entrai nel taxi prendendo posto nel sedile posteriore.
L’uomo alzò lo sguardo sullo specchietto
retrovisore e mi osservò.
- Dove ti porto, ragazzina? -
Deglutii, ancora mezzo incerta di volerlo veramente fare.
Alzai un dito verso la strada.
- Quella moto. – gli dissi – La segua. -
L’uomo aggrottò le sopracciglia e si
voltò a guardarmi a fondo. Per capire se
ero seria.
Alzai le spalle, cercando di sembrare più distaccata
possibile.
- È il mio ragazzo. – spiegai – Ho il
sospetto che si veda con un’altra. Devo
assolutamente sapere. – il mio tono di voce era fermissimo,
al contrario delle
mie mani che tremavano per il nervosismo.
La spiegazione sembrò convincere il tassista, dopo
un’altra occhiata attraverso
lo specchietto retrovisore mise in moto e partì.
Tokyo – 2 mesi prima
Quando
Jin Kazama si presentò al quartiere generale della
Mishima Zaibatsu, chiedendo di poter parlare con suo nonno, tutti
all’azienda
rimasero sbalorditi.
Ormai era di dominio pubblico la notizia della misteriosa scomparsa del
nipote
del presidente in seguito ad una misteriosa incursione nella loro
tenuta a
Capodanno.
E chiaramente, nessuno si sarebbe aspettato di vedere il nipote di
Heiachi
Mishima, disperso ormai da circa un mese, ripresentarsi
all’improvviso al suo
cospetto.
Tutti furono stupiti, meno che suo nonno stesso, il quale lo ricevette
immediatamente.
Jin entrò nel suo ufficio all’ultimo piano
dell’edificio aziendale, il vertice
della piramide, come spesso lo definiva Heiachi, e sostenne lo sguardo
dell’uomo che sentiva di odiare più di ogni altro
al mondo.
Heiachi lo osservava dall’altro capo della sua scrivania in
mogano scuro, dando
le spalle alla parete di vetro.
- Sapevo che saresti tornato da me prima o poi… Jin.
– sogghignò poco dopo.
- Va al diavolo. – rispose il nipote acidissimo –
Sono qui per un motivo ben
preciso. -
- Già… immagino che non sia perché hai
bisogno di soldi… - continuò il nonno.
Jin lo fulminò con lo sguardo.
- Bando alle ciance. So benissimo cosa ti ha spinto a ripresentarti.
– riprese
Heiachi cambiando tono – Ti aspettavo da quando ho saputo
della tua visita a
Yakushima. -
Jin rimase di stucco.
- Tu… - iniziò Jin sprezzante - …
sapevi tutto? -
- Tutto cosa? – chiese Heiachi stando a tono –
Della lettera di Jun? Di come ti
ha tenuto all’oscuro tutti questi anni della maledizione
della famiglia Mishima?
O del fatto che ti avrei trovato a Yakushima? -
Jin deglutì.
- Dopo la tua fuga, Yakushima è stato uno dei primi posti
che ho chiesto di
sorvegliare. Era facile. I cuccioli tornano sempre alla tana prima o
poi. –
spiegò – Per quanto riguarda il resto, ho fatto un
patto con Jun tanto tempo
fa, quindi… sì, sapevo tutto. -
- Un patto? -
- Jun era preoccupata che potesse
succedere anche a te un giorno o l’altro.
– spiegò – Per questo mi ha
pregato di prendermi cura di te se le fosse accaduto qualcosa, per
poter tenere
d’occhio lui. -
Jin fissava un punto a caso nel legno della scrivania, perso nei suoi
pensieri.
- Dimmi nipote, non ti è mai saltato per la mente che fosse
strano che Jun
avesse scelto proprio me come tuo tutore nel caso lei non potesse
più prendersi
cura di te? – Heiachi ridacchiò –
Insomma, non sono proprio il genere di
persona che si dice ci sappia fare con i ragazzini. -
Stirò le gambe e si alzò, continuando a tenere lo
sguardo puntato su suo
nipote.
- Quindi… sì, sapevo tutto… -
ripeté – L’unica cosa che non potevo
sapere, e
che non poteva sapere neanche tua madre, era se mai e quando si sarebbe
svegliato anche in te. -
Jin lo guardò con espressione ferrea.
- E come facevi a sapere che era questo il motivo per cui sono tornato a
Yakushima? – gli domandò.
Heiachi sorrise malvagiamente.
- Chiamiamolo istinto. – rispose – Non vedo altro
motivo per cui altrimenti ti
saresti allontanato dalla tua inseparabile amica… -
Sembrava godere ogni attimo del suo sconforto.
- Ho capito subito che c’era qualcosa di anomalo nel tuo
comportamento, quando
ti ho trovato a Yakushima… solo. –
continuò – E il resto è arrivato da
sé. -
- Mi fai schifo. – disse Jin sprezzante –
Perché hai cercato di ucciderci la
notte di capodanno? -
Heiachi scoppiò in una risata fragorosa.
- Non avevo intenzione di uccidervi in realtà. –
ammise – Soltanto rapirvi…
avevo un piano in mente per cui voi sareste state l’esca
perfetta per
l’operazione Ogre. Niente di personale, si intende. -
Si fermò per un momento, allisciandosi i baffi.
- Ma quell’operazione è fallita. –
spiegò – Non avrebbe potuto funzionare. -
Puntò gli occhi su di Jin e per un attimo lasciò
intravedere un sadico sorriso.
Subito dopo poi ammorbidì l’espressione e
alzò le spalle.
- Mi dispiace per l’episodio di Capodanno. – si
scusò come se fosse una cosa da
niente – Nessuno si sarebbe fatto male se le cose fossero
andate come si era
stabilito, ma non potevo permettere che vi rifiutaste di collaborare,
per
questo i soldati… ma non ci pensiamo più, ok? -
- Non ci pensiamo più?! – Jin era
pressochè furioso.
- Ho qualcosa di più interessante da proporti ora.
– rispose semplicemente il
nonno.
Jin ebbe l’impulso di andarsene, di fuggire da
quell’essere che nelle vesti di
suo più stretto parente gli provocava soltanto disgusto. Ma
nella lettera Jun
aveva fatto il suo nome. Doveva ancora sapere come poteva contrastare
il gene
del diavolo.
- Non ho intenzione di trattare con te. – fece Jin
assolutamente disgustato –
Sono qui solamente per saperne di più su tu sai cosa. -
- Sì, d’accordo. – cominciò
Heiachi – So che ora mi odi e tutto quanto. Volevo
usarvi come esche per richiamare Ogre, non mi sono comportato
onestamente.
Tuttavia non ho abbandonato ovviamente l’operazione Ogre, e
nei nuovi programmi
entri in gioco tu. – spiegò mostrando un sorriso
sghembo – In cambio della tua
collaborazione ti aiuterò a prendere controllo dei
tuoi… tormenti interiori. –
Rise di gusto compiaciuto della sua battuta inopportuna
- Tu… beh, imparerai a controllarli e li userai per
sconfiggere Ogre. –
- Sei uscito fuori di testa del tutto?! – ribattè
Jin furibondo.
- Non devi pensare che sia soltanto qualcosa di terribile. –
spiegò Heiachi
improvvisamente serissimo – È un dono, imbecille
di un ragazzino. È una
potentissima arma che devi imparare ad usare. -
Jin non rispose. Desiderava solo di non trovarsi realmente
lì, di non avere un
demone dentro di lui e che fosse tutto soltanto un orribile, tremendo,
spaventoso incubo.
– Sai che Ogre è una minaccia, un pericolo per
l’umanità.- continuò Heiachi
persuasivo – E sai che nessun essere umano è in
grado di poterlo battere. Jin,
non c’è altro modo di poterlo sconfiggere. Solo tu
puoi riuscirci, e per fare
ciò devi imparare ad controllare il gene, e devi farlo
subito. -
Si fermò ancora un secondo.
- Se collaborerai i tuoi amici saranno al sicuro. – aggiunse.
- Da quando ti interessi al bene dell’umanità?
– osservò Jin disgustato.
Heiachi sogghignò.
- Da quando c’è di mezzo anche il mio bene
personale e quello delle mie
aziende. -
Jin non rispose.
- Faremo una serie di allenamenti mirati. – riprese Heiachi
come se avesse già
avuto un consenso – Tuo padre era un vero disastro, ma tu
potresti avere il
potenziale per riuscire ad imparare più
velocemente… -
Poi si fermò e sogghignò di nuovo con aria
malvagia.
- Permettimi di farti una domanda… - esordì poco
dopo.
Gli occhi gli brillavano ora di una bramosa curiosità,
affascinata e sdegnata
allo stesso tempo.
- Come ci si sente? – chiese quasi con invidia - Come te ne
sei accorto? Perché
hai sentito il bisogno di andare a leggere quella lettera? -
Jin lo guardò superbo.
- Chiamiamolo istinto. – si alzò e gli
voltò le spalle, pronto per lasciare l’ufficio
– Ti ho già dedicato fin troppo tempo. Quando
cominciamo? – chiese poi in tono
freddo.
- Sapevo che saresti stato ragionevole. – fece Heiachi in
tono quasi fiero - Ci
vediamo qui domani mattina alle nove. E farai bene a presentarti in
orario.
Spero che ti renda conto che non hai alternativa migliore alla mia
proposta. -
- Spero che Ogre ti uccida molto dolorosamente prima che lo faccia io,
bastardo. – rispose Jin, prima di lasciare la stanza.
Sentì Heiachi che rideva fragorosamente. Apparentemente quel
colloquio l’aveva
particolarmente divertito.
Tokyo – presente
Il
taxi mi aveva lasciato in una strada sterrata, in una
zona piena di edifici malridotti e forse abbandonati che avevano
l’aria di
essere stati un tempo officine o comunque capannoni industriali.
La moto di Jin si era fermata a qualche isolato da noi. Avevo chiesto
al
tassista di lasciarmi più indietro per non rischiare di
essere vista.
L’uomo mi guardava preoccuato.
- Sei sicura che si debba vedere con un’altra in un posto
come questo? -
- Non si preoccupi. – dissi frettolosamente mentre gli
offrivo il mio denaro
per intero – Grazie mille. -
Aprii lo sportello e feci per uscire.
- Ma aspetta! – mi richiamò il tipo – Io
non me la sento di lasciarti da sola
in un posto come questo. -
- So badare a me stessa. Grazie di tutto, veramente. – cercai
di sembrare
convincente.
Detto questo uscii dall’auto e cominciai a correre verso il
luogo in cui la
moto di Jin si era fermata.
Era un enorme edificio dotato di un cancello elettronico e delle
videocamere di
sorveglianza.
Ero certa che si fosse introdotto al suo interno, quello di cui non ero
assolutamente certa era di come mi sarei introdotta io.
Mi guardai un attimo intorno per capire se fosse possibile scavalcare
il
recinto evitando le videocamere.
Il recinto era molto alto, almeno tre metri, però a qualche
metro di distanza
c’era un cassonetto. Se ci fossi salita sopra avrei
guadagnato un po’ di
altezza. A quel punto avrei potuto saltare e cercare di aggrapparmi
all’estremità del muro.
Uno sguardo veloce alla strada, era completamente vuota, nessuno mi
avrebbe
visto.
Corsi verso il cassonetto, emanava un odore terribile, ma mi sforzai di
non
farci caso. Ci salii sopra, pregando in tutte le lingue che non
cedesse. Una
volta che fui certa che mi avrebbe retto, provai ad issarmi in piedi e
guardai
l’estremità del muro allungando una mano verso
l’alto.
Avrei dovuto fare un salto di più di un metro. Per via del
mio stile di
combattimento sono abituata fare salti di un certo tipo e anche di una
certa
altezza, ma pur sempre con un minimo di rincorsa o slancio. Saltare da
fermi da
una superficie poco stabile, è tutto un altro discorso.
O la va o la spacca.
Piegai le ginocchia, cercai di darmi tutto lo slancio possibile con
l’aiuto
delle braccia e saltai cercando di elevarmi più in alto
possibile.
Riuscii a superare il bordo del muro di almeno una spanna, cercai di
aggrapparmi con le mani, ci riuscii, sbattendo il corpo contro la
parete. A
quel punto cercai di portarmi avanti con un braccio, per afferrare
l’altra
estremità del bordo del recinto. Era piuttosto spesso, ma
non fu troppo
difficile. Feci leva per riuscire a portarmi su con i gomiti e a quel
punto fu
un gioco da ragazzi.
Qualche secondo dopo ero in piedi a pulirmi le mani contro i jeans
dall’altra
parte del recinto.
L’edificio che avevo di fronte era un grosso fabbricato di
due piani con dei
finestroni scuri. Alcuni vetri erano frantumati e non sembrava nemmeno
che
fosse stato abbandonato di recente.
Perché un posto del genere aveva un cancello elettronico e
videocamere di
sorveglianza? Cosa poteva nascondere al suo interno?
Cominciavo a sentirmi irrequieta, avevo una bruttissima sensazione.
Quel luogo
era inquietantissimo, mi sembrava di essere in un film
dell’orrore, ma ormai
c’ero dentro. Dovevo scoprire dove era andato Jin.
Entrai da una delle finestre rotte del pian terreno attenta a non fare
il
minimo rumore.
Mi ritrovai in una specie di corridoio, non aveva per niente
l’aspetto di un
posto in cui la gente ci passasse spesso. Il pavimento era coperto di
pezzi di
vetro, di intonaco e rifiuti metallici di vario genere. Facendo
attenzione a
dove andavo a mettere i piedi cominciai a camminare in una direzione a
caso. Il
corridoio continuava senza diramazioni per diversi metri.
C’erano delle porte
di tanto in tanto, ma tutte erano chiuse.
Mi ritrovai ad un certo punto davanti ad una rampa di scale. Da una
parte si
saliva, dall’altra si scendeva.
E ora dove vado? Mi chiesi. Scendere o salire?
Il cuore mi batteva a mille per l’adrenalina. Avevo
l’impressione che ci
fosse qualcosa di molto losco in ballo. Cosa sarebbe successo se
qualcuno mi
avrebbe trovato da quelle parti?
Mentre aspettavo di prendere una decisone, sentii uno strano rumore che
mi fece
trasalire. Era… una specie di urlo, ma troppo simile ad un
ringhio per sembrare
un vero e proprio urlo umano.
Mi gelai. In quel momento feci caso ad altri rumori e delle voci. Voci
decisamente umane.
E provenivano da sotto.
Deglutii.
Dai solo un’occhiata. Mi
dissi. Se le cose si mettono male o sembra
essere
pericoloso, torni immediatamente indietro.
Scesi le scale facendo più attenzione possibile, i
rumori si facevano più
forti, più chiari e più terrificanti.
Le scale mi portarono in un altro corridoio. Questo era decisamente
più ordinato
e più pulito, quindi forse era
più
frequentato?
Non c’era nessuno in giro e decisi di esplorare un
po’ la zona. Questo
corridoio sembrava correre lungo il perimetro di una grande stanza che
comunicava con il corridoio attraverso dei passaggi ad arco. Decisi
dopo vari
giri di perlustrazione di provare ad entrare in una di queste aperture,
da dove
i rumori sembravano provenire.
Era una specie di anticamera per quella che sembrava una sorta di arena
da
combattimento.
Io mi trovavo all’apice di un’alta gradinata e in
basso, davanti a me, sentivo
che c’era del movimento, ma non riuscivo a vedere ancora che
cosa fosse.
Sentivo una voce, era chiaramente Heiachi. Urlava delle cose, lanciava
come
degli ordini, c’erano anche un paio di altri uomini nei lati
e tutti guardavano
qualcosa verso il centro della sala.
Mi sporsi un po’ di più, con le gambe tremanti,
per riuscire ad avere una
visuale migliore.
Quello che vidi inizialmente mi lasciò di stucco. Fu solo
poco dopo che capii e
dovetti portarmi una mano davanti alla bocca per non urlare in preda al
panico.
Non so quanto rimasi a vedere quella scena, ma fu abbastanza da farmi
decidere
che dovevo allontanarmi immediatamente da lì.
Ripercorsi tutta la strada all’indietro fino ad uscire dalla
finestra rotta
dalla quale ero entrata. Una volta fuori mi appoggiai alla parete, con
il cuore
in gola e alzai lo sguardo al cielo ancora terrorizzata.
Iniziai a piangere. Non sapevo che fare.
Avrei voluto che Hwoarang fosse lì con me. Avrei voluto che
arrivasse e che mi
portasse a casa.