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Autore: khika liz    24/02/2013    1 recensioni
"Era una sedicenne come tutte le altre, una di quelle che viveva in simbiosi con il proprio computer ed il proprio Ipod, una di quelle che preferiva mille volte andare a dormire all’una di notte per aver finito quel meraviglioso telefilm, piuttosto che per essere stata a fare festa con gli amici immaginari che aveva. Era una di quelle ragazze che amava leggere e odiava studiare."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Una vita come tutte le altre, insomma.

Hoping one day you’ll make a dream last,
but dreams come slow and go so  fast.
-Let her go, Passenger

Certe volte, quando quella canzone passava alla radio, le sembrava quasi quasi di stare ricevendo uno di quegli abbracci per cui avrebbe dato la vita. Poi quella sensazione di calore lasciava un vuoto abissale ed una voglia di un abbraccio vero, di pelle che si scontra con pelle, di mani che si trovano come se non si fossero mai perse, di una spalla su cui poggiare il volto e sentirsi a casa. Ed invece tutto ciò che in quel momento aveva erano una voce fin troppo emozionante nelle orecchie e qualche lacrima sparsa sulle guance e, dio, odiava quella situazione, e la amava allo stesso tempo. La faceva sentire così viva, eppure così morta dentro. La faceva sentire così triste, eppure un sorriso le spuntava tra le lacrime. Non l’avrebbe mai capita, la magia della musica, ma sapeva che non ne aveva bisogno: l’avrebbe amata sempre e comunque.

Era una sedicenne come tutte le altre, una di quelle che viveva in simbiosi con il proprio computer ed il proprio Ipod, una di quelle che preferiva mille volte andare a dormire all’una di notte per aver finito quel meraviglioso telefilm, piuttosto che per essere stata a fare festa con gli amici immaginari che aveva. Era una di quelle ragazze che amava leggere e odiava studiare. Era una di quelle ragazze che il mal di testa ce l’aveva per le troppe ore davanti al pc, non per le sbronze. Era una di quelle ragazze che forse stanno sparendo, oppure che sono brave a nascondersi. Era una ragazza come tutte le altre, che respirava di musica e viveva di note. L’unica cosa che rimpiangeva come non mai era quella di non aver mai pregato i propri genitori affinché la mandassero ad imparare a suonare qualche strumento. Solo ora se ne rende conto, di quanto darebbe per poter essere in grado di suonare quella canzone, sentirla nascere sotto le propria dita. Sentirla nota dopo nota, accordo dopo accordo. Dio, darebbe la vita.

Aveva, oltretutto, la sfortuna di essere nata in un paese sperduto, uno di quelli che se li scrivi su google non ti da nemmeno mezzo risultato. E, in questo paese sperduto, aveva la sfortuna di conoscere tutti. E, ovviamente, di odiarli. Dal primo all’ultimo. Senza eccezioni. Zero assoluto. (E non il gruppo che, per inciso, odiava a morte.)

Infine, aveva una sorella che non faceva altro che rinfacciarle, via Skype, quanto bello fosse il mondo lì fuori.

Insomma, la vita di Giulia era proprio una delle più ordinarie. E le andava bene così. Se non fosse che quella canzone passava fin  troppe volte alla radio, e il cuore le faceva troppo male. E odiava quella città del cazzo. Ed era troppo innamorata di quella stronza che la squadrava dall’alto al basso. E aveva troppo bisogno della  terza stagione di quel telefilm. E, dio, avrebbe dato la casa per poter andare a quel dannato concerto.

Sì, una vita come tutte le altre insomma.

 
NdA: Penso di aver scritto qualcosa di assurdo, ma di tremendamente vero per un sacco di persone. O almeno lo spero. O lo immagino. Boh. Sarà l’effetto della tachipirina presa troppo tardi. Sarà che la domenica sera mi mette una tristezza assurda. Sarà che amo scrivere più di quanto ami lei (“bugia!” urlò il cuore alle mani che scrivevano), sarà che sto ascoltando la canzone sbagliata. Saranno tante cose, ma ho scritto ‘sta roba qua. E spero che per qualcuno abbia lo stesso senso che ha per me.
 
   
 
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