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Autore: Vergil    11/09/2007    3 recensioni
“Salve, Heishiro... sono felice di rivederti...” Disse l’assassino con un maligno sorriso dipinto sul viso sfregiato. “Oh, mio Dio... tu!” Gemette Mitsurugi. Un altro cammino del valoroso samurai Heishiro Mitsurugi
Genere: Azione, Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Heishiro Mitsurugi, Nightmare, Setsuka, Siegfried Schtauffen
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Soul Calibur
Between Heaven and Hell


“Transending history and the world, a tale of souls and swords... eternally retold.” (Anonimo)


Mitsurugi rivolse lo sguardo al mattino e sorrise orgoglioso allo splendore dei rosei petali di ciliegio.
Anche nella terra dell’estremo oriente era tornata la primavera, la stagione del silenzio e della più pura e dolce armonia, in cui uomini e natura mettevano a confronto le proprie arti e raggiungevano insieme la perfezione in ogni gesto e profondo sospiro.
Sotto il limpido cielo che si stagliava oltre il mare e i monti, il samurai Heishiro chiuse gli occhi e lasciò che il suo spirito potesse abbracciare il sussurro del vento fra i petali e i pini della foresta, potesse in qualche modo divenire parte della pace della natura e liberarsi da qualunque emozione. Il sole non gli nascose alcun particolare di quel meraviglioso quadro che si presentava davanti ai suoi occhi, ma gli mostrò ogni fiore, frutto, petalo, ogni singola goccia di rugiada, quasi fosse un segno di rispetto e lealtà da parte della natura al soldato. Occhi scuri e profondi, lunghi capelli lisci come la seta e neri come l’ala di un corvo legati in un'unica coda di cavallo, la fronte accarezzata da sottili ciocche più corte, il giovane e bellissimo volto attorniato da una rada barba e quello stesso sorriso che ogni samurai doveva sempre rivolgere a chiunque, dall’amato compagno d’esercito all’odiato nemico di guerra, dal sorso di una tazza di tè all’impugnare la spada, un samurai doveva sempre trovare l’assoluta tranquillità in se stesso e mostrarsi al mondo, proprio come la primavera attorno a lui, kimono e armatura uniti intimamente ai possenti muscoli del samurai, robusti sandali di cuoio e bambù ai piedi e candide fasciature alle mani, nel fodero alla cintura, una lunga e mortale lama giapponese dalla preziosa e raffinata impugnatura decorata con eleganti motivi e antichi simboli orientali.
Lontani ricordi di ciò che era accaduto in quella nazione, lacerata dalla guerra quattro anni prima, nel triste 1860, memorie grondanti di sangue e lacrime, rovine e mattoni sparsi come pezzi di vetro colpito dal sasso di un dispettoso ragazzino, e questo sasso non era stato altro che l’avidità di uomini nelle cui mani scivolavano le gocce di pioggia della vita umana, e vi giocavano senza alcun criterio o giudizio, come la vita dell’ultimo vero imperatore, che Mitsurugi non era riuscito a proteggere.
Il samurai non si sarebbe mai perdonato un simile e disonorevole fallimento, non si sentiva più degno d’impugnare quella spada, e dopo che finalmente la guerra era finita aveva cercato di togliersi la vita, e non solo per sfuggire agli atroci incubi che al tramonto calavano su di lui come il torpore sui suoi muscoli. Ma per quanto i suoi occhi desiderassero non contemplare più quei fiori dai petali così perfetti e delicati, per quanto le sue orecchie non volessero più percepire il canto del vento sui campi e fra le fronde dei ciliegi, Mitsurugi continuava a vivere, rivedendo nel viso della delicata principessa al trono di Tokyo quello levigato dal XIX secolo del sovrano a cui lui aveva promesso la vita. Non c’era pace nel cuore duro come l’acciaio del soldato, scalfito e scheggiato da irreparabili ferite troppo profonde, vecchie cicatrici di guerra che nell’autunno si erano collezionate al suolo come foglie e fiori appassiti, una dopo l’altra.
Sin da quando aveva cominciato l’interminabile ed onorevole via della spada, Heishiro sapeva bene quello a cui sarebbe andato incontro, aveva temprato fisico, anima e polmoni ad ogni fatica pur di raggiungere la perfetta armonia dell’arte e dell’uomo, ma non aveva mai pensato che il suo cammino potesse imbattersi nel fascino irresistibile di una donna, una donna bellissima, reclamata dal desiderio di chiunque l’avesse vista. Riaprendo gli occhi, il soldato intravide fra i petali nell’aria un lungo e sottile kimono, roseo come i fiori e delicato come la brezza fra i campi. Capelli lisci e mori come i suoi, elegantemente sostenuti da un fermaglio dietro la nuca, occhi azzurri e sfuggevoli, labbra carnose e leggermente inarcate in un lieve sorriso, profumato e saporito più della primavera. Un prezioso ombrello dal manico di ciliegio ben lavorato e decorato.
Sotto a quello sguardo così dolce e misterioso, nessuno avrebbe potuto immaginare che si celasse un’assassina abile nell’uccidere quanto nel dimenticare gli orribili crimini di cui la sua spada si macchiava, la spada che tuttavia reclamava il sangue di un solo samurai, del più degno, del soldato che ora la vedeva camminare come un candido fantasma fra gli alberi e sussultava per lei.
I due si erano incontrati, guardati negli occhi, avevano impugnato le spade e combattuto un prodigioso duello, che aveva visto Mitsurugi provare emozioni che mai in nessun altro avversario aveva saputo trovare, era rimasto stupefatto dall’esperienza che quell’assassina portava sulla propria lama, l’unica vera spadaccina che era riuscito a piegarlo e trascinarlo sul ciglio della morte. Heishiro era miracolosamente sopravvissuto, e prima che le ultime forze lo abbandonassero, aveva riafferrato la spada e portato a termine il duello, disarmando la donna e puntandole la spada alla gola.
Aveva cercato di ucciderlo, aveva cercato di spezzare le fondamenta di Tokyo e velare con il sorriso della seduzione il Giappone, una pericolosissima criminale che solo la morte avrebbe potuto privarla di quell’insaziabile sete di vendetta.
Allora perché lui, Heishiro Mitsurugi, generale dell’armata imperiale di Tokyo ed eroe custode del Giappone, nelle cui mani la nazione aveva riposto il proprio destino, l’aveva risparmiata? Perché lui, quando aveva avuto l’occasione di porre fine per sempre alle sofferenze del suo popolo, aveva dubitato, sussultato e allontanato lo sguardo, abbassando la spada? Perché si era voltato e, balbettante come una giovane e timida recluta, l’aveva implorata di rialzarsi, fuggire prima che la fine spegnesse in lei la sensuale bellezza?
“Vattene, Setsuka... alzati, prendi la tua spada e fuggi di qui... prima che sia troppo tardi. Non posso proteggerti. Scappa finché sei in tempo.” Aveva detto. Mitsurugi non conosceva la risposta, o meglio, era dentro di lui, ove lui poteva sentirla e assaporarla, ma non vederla, perché come poteva lui capire qualcosa che mai aveva incontrato fra il sudore degli allenamenti e il respiro ansimante di un compagno spaventato in trincea? Mai una volta Heishiro aveva provato angoscia o nostalgia, ne aveva mai versato una lacrima per la scomparsa delle persone a lui care, ilo Bushido gli aveva insegnato ad essere senza forma ed emozioni, limpido e puro come l’acqua, ad essere ardente e inarrestabile come il fuoco davanti al nemico e sfuggevole e distaccato come il vento agli occhi dell’amore.
Peccato che, questa volta, fosse stato proprio l’amore a sorridergli e ad allontanarsi dispettosamente. L’aveva rincorso ovunque, ma nemmeno il suo passo veloce e sicuro da soldato era riuscito a raggiungerlo.
“Setsuka-sama....” Sussurrò turbato il samurai, osservando il volto della principessa nella natura, che, lentamente, diveniva sempre più nitido, sino a scomparire. “Setsuka-sama!” Gridò, mentre si lanciava di corsa verso i petali alla ricerca dell’assassina, di cui non rimaneva altro che il ricordo. Si voltò più volte, ma vide solo una perfezione che non riusciva più a sposarsi con lui.
L’aveva cercata ovunque, aveva visitato sino all’ultima casa di campagna della periferia del Kanto, a chiunque passasse aveva domandato di Setsuka, la cui descrizione pareva sempre vaga e superficiale, ad eccezione della bellezza che il samurai esaltava con tanta passione, la bellezza che strappava al mattino lo splendore dell’aurora e al tramonto il chiaro di luna.
Non soddisfatto, aveva lasciato Tokyo ed aveva percorso l’intero paese alla sua ricerca, di città in città, di giorno in giorno. Aveva abbandonato la via della spada e tradito l’onore dei samurai per lei, ingannato e mentito ai compagni e mancato ai doveri affidatigli dalla principessa Kaguyuki sua signora, e per quanto Setsuka fosse distante da lui, egli correva più veloce, sostenuto da quel fievole barlume di speranza a cui si aggrappano i folli d’amore. Asciugandosi le lacrime e resistendo ad uno sconosciuto dolore ben peggiore dell’acciaio della carne che gli trafiggeva il cuore, Mitsurugi continuava a cercarla, sognando come uno stupido ad occhi aperti Non si era mai sentito così debole e sperduto, non sentiva più lo spirito indomito e orgoglioso da guerriero invadergli il corpo, era solo un uomo che aveva tentato di allontanarsi dalla propria natura e che al primo ostacolo era caduto, incapace di rialzarsi. Heishiro non era mai più riuscito a rialzarsi, non aveva nemmeno cercato di dimenticare, ormai aveva trovato qualcosa che il Bushido non avrebbe mai potuto dargli, qualcosa che doveva conoscere e vivere a tutti i costi.
Dovevano ormai essere le undici. Aveva lasciato alle prime luci dell’alba casa sua per giungere a villa Jyurakudai, il vecchio santuario che si ergeva alle sue spalle, davanti al quale lui e lei avevano combattuto. Nell’osservare l’antico edificio, Mitsurugi sentì il desiderio incrementarsi e divenire sempre più forte, quel duello gli aveva cambiato la vita, quella donna gli aveva cambiato la vita. Gli bastava richiudere gli occhi per rivedere tutti i particolari di quella notte, poteva rivedere la falce di luna scomparire fra i lampi e le gocce di pioggia, in ognuna delle quali si rifletteva l’immagine di Setsuka, poteva rivedere ogni momento in cui le loro spade si erano incrociate, sentire lo stridio dello scontro fra acciai e il ticchettio della pioggia.
Ma ormai era tempo di tornare a Tokyo, a mezzogiorno ci sarebbe stato l’incontro ufficiale di tutti i samurai a palazzo con l’imperatrice.

Tokyo era ora più potente e prosperosa che mai, dopo l’ultima guerra, il Giappone aveva conciliato tradizione e modernità nel migliore dei modi.
“Il Giappone deve evolversi, è una nazione indipendente, forte e moderna, ed è giusto che la tecnologia e la scienza conoscano il successo che hanno conosciuto in Occidente... ma non possiamo dimenticare chi siamo, la tradizione e la storia del nostro paese sono il cuore che batte in noi ed è sulla via del samurai, sul Bushido, sui suoi valori etici e morali che fonderemo il nostro futuro.” Aveva pronunciato Kaguyuki al mondo, mentre il XIX secolo proseguiva verso la sua fine.
Una volta nel campo d’addestramento militare, Mitsurugi rivide i compagni, alcuni si esercitavano con perseveranza nell’uso della spada, altri si riposavano, sorseggiando buon sake e chiacchierando fra loro, altri meditavano silenziosi in ginocchio ed altri mettevano in pratica le armi da fuoco. Heishiro non riuscì vederli, gli occhi rivolti alla lontana assassina.
Si ritirò nella propria stanza e si sedette a gambe incrociate di fianco al materasso steso a terra, stanco di una nuova stanchezza, quando qualcosa di sconvolgente attraversò la sua mente. Spalancando gli occhi, alzò il capo ed annusò profondamente l’aria: conosceva quel profumo.
“Sayonara... samurai...” Aveva detto Setsuka svanendo in quella notte di pioggia.
Era il suo profumo. Gli sembrò incredibile crederlo, ma non c’era altra soluzione: lei era stata lì, fra quelle quattro strette mura.
Alzandosi di scatto, iniziò a guardarsi attorno, quasi cercasse una sua traccia sui vecchi e umili mobili di legno che l’arredavano. E la trovò.
“Setsuka-sama... allora voi siete stata veramente qui...” Pensò, mentre sentiva la speranza illuminarlo sempre di più. Fra le mani tremanti, stringeva una bianca pergamena, alla cui cima era scritto il nome della donna. Iniziò a leggere:

“Heishiro Mitsurugi-san... quanto tempo è passato da quel giorno a Tokyo? Quattro anni?
La mia memoria stenta a ricordare, mi pare sia passata una vita intera... una vita intera senza di voi. Vi sembrerò confusa e in difficoltà nello scrivervi queste righe, ma non potevo non farlo, visto che, fino ad oggi, non ci siamo visti che come nemici.
Sin dal nostro primo incontro non avevo provato altro che odio profondo e scellerato nei vostri confronti, desideravo la vostra morte più di qualunque altra cosa, e volevo umiliarvi, affrontarvi apertamente da soldata e sconfiggervi in un leale duello, ma, dopo che ci fummo affrontati a villa Jyurakudai, non fui più sicura del mio odio per voi. Desideravo ancora combattervi e vincervi, ma non come prima, era diventata una semplice questione di principio, un obbiettivo come un altro che mi ero posta come fine da raggiungere, ma senza alcuna vera motivazione o ragione che mi spingesse a compierlo.
Voi mi avete cambiato la vita, non avrei mai pensato che qualcuno potesse battermi in duello e, soprattutto, far tremare il mio petto da emozioni che non avevo mai provato prima. In questo tempo vi ho osservato da lontano e ho visto come voi siate caduto preda di un qualcosa che noi samurai non riconosciamo... mi avete cercata e inseguita troppo a lungo.
Non conosco il corso del destino della nostra esistenza e ciò che porterà il domani, ma voglio almeno rivedervi un’ultima volta, al tramonto, sul ponte a ovest della città, solo io e voi.”

Mitsurugi terminò la lettura e, ansimante, ripiegò con cura la pergamena, posandola sul basso tavolino di legno ai suoi piedi. Sarebbe stato difficile attendere sino al calare del sole.
Tre sonori colpi alla porta lo sollevarono dai pensieri.
“Generale Mitsurugi-san. E’ giunta l’ora del saluto all’imperatrice. Vi attendiamo assieme al resto dell’esercito davanti alle porte imperiali.” Disse uno dei suoi compagni, mentre se ne andava di corsa dopo aver bussato.
“Subito, soldato. Sarò là immediatamente.” Replicò prontamente Mitsurugi, mentre lanciava un ultimo sguardo alla pergamena e lasciava la stanza della caserma. Con passo veloce e sicuro, ma cuore titubante e incerto in petto, spada al fianco e sguardo fiero verso il trono, Mitsurugi raggiunse il campo illuminato dal mezzogiorno, ove l’attendevano allineati con rispetto nei confronti del loro leader più di centomila samurai, le antiche e valorose armature, i vecchi e spessi kimono grigi lacerati da tempo e guerra, spada e pugnale alla cintura, i lunghi capelli legati dietro la testa.
“Mitsurugi-sama...”
“Generale...”
"Mitsurugi-sama...” “Generale Mitsurugi...”
“Generale...”
Ciascuno di loro, nel vedere arrivare il proprio compagno, mormorò fra sé queste parole e lo salutò con un fievole inchino.
Con un debole accenno con il capo, Heishiro ricambiò i saluti e giunse in prima fila. Davanti all’intero esercito, ai piedi del trono, lei, la dea legame degli uomini fra cielo e terra, sorrideva, guardando i fedeli seguaci del Bushido con dolcezza e bontà. Indossava un preziosissimo kimono tradizionale, e anche lei, al fianco, portava una lunga lama giapponese, della quale conosceva ogni tecnica e segreto.
Quando Heishiro ebbe raggiunto la sua posizione, Kaguyuki abbassò lo sguardo, intimidita per un attimo dall’orgoglio di quegli occhi che le avevano rapito il cuore. Ultimamente non erano stati molto forti e sereni i rapporti fra il generale e la principessa, così come non lo erano stati fra lui e i suoi compagni.
Tutti loro si erano accorti che qualcosa non andava in lui, che qualcosa d’inspiegabile aveva privato il loro eroe della voglia di combattere, del desiderio di giustizia e libertà, lo aveva reso uno qualunque, fragile alle emozioni come grano alla falce del rustico mietitore. Ma a chiunque gli domandasse cosa gli fosse successo, Heishiro rispondeva sempre dicendo di non preoccuparsi per lui e di proseguire per la propria strada.
“Mitsurugi-sama... che vi succede? Avete abbandonato la via della spada, il vostro popolo, la vostra imperatrice... ma soprattutto, il vostro onore! Sfuggite al calore del vostro letto, alla tavola dei vostri compagni, allo sguardo di chi vi cerca e alla vita che vi è stata posta innanzi. Cosa cercate? Cosa vi affligge a tal punto da rinunciare al vostro onore per esso?” Gli aveva domandato la principessa.
“Io sono sempre il generale Heishiro Mitsurugi, un samurai al servizio vostro e della nazione Giapponese. Se mi ritenete vostro nemico, indegno di questa spada, comandatemelo, e io volentieri mi toglierò la vita, ma solo dopo che avrò compiuto un’ultima missione, una missione che viene prima di qualunque cosa... anche del mio stesso onore.” Aveva risposto Mitsurugi inginocchiandosi devoto a lei.
“Yoi! Tenno-sama rei![Saluto all’imperatrice! NdA]” Gridò Mitsurugi, mentre lo splendore del cielo scintillava lungo le spade che ognuno dei soldati sfoderò con un abile gesto.
Agili e armoniosi, i samurai si esibirono in una breve ma avvincente esecuzione di tecniche di spada, per poi riassumere la posa iniziale, abbassare l’arma e inginocchiarsi all’imperatrice, la quale, sguainando a sua volta la spada, pronunciò l’antico codice del Bushido, che i samurai ripeterono con vigore e serietà.
Alla fine, quando Mitsurugi ebbe annunciato la fine del saluto, tutti riposero nel fodero le armi e prestarono ascolto alle parole di Kaguyuki.
“Samurai dell’esercito imperiale di Tokyo e del Giappone. – iniziò a parlare la principessa – Sono lieta e onorata di rivedervi, amici miei. E ho molto bisogno di parlarvi, perché ancora una volta la nostra città è in grave pericolo.”
I samurai celarono nell’ombra il viso cupo, mentre Mitsurugi, perplesso e confuso, tese l’orecchio, per capire di cosa l’imperatrice stesse parlando.
“Nelle città circostanti, la scorsa notte, sono state portate via migliaia di vite umane. Sono giunti piangendo alle porte della città questa mattina centinaia di contadini, fabbri, maniscalchi e stallieri, afflitti da amare lacrime per la perdita di persone a loro care, tutte brutalmente trucidate da una spada maledetta, qualcosa di oscuro e terribile... – continuò Kaguyuki – ... uno spietato assassino si aggira per le nostre terre, qualcuno di ben più abile di una banda di predoni o di un traditore che vige fra di noi, un omicida dalla mente folle e malata, che ha attraversato colli, campi, monti e campagne, e ora, questa mattina è giunto ai confini di Tokyo, rintanandosi come un pallido spettro dietro queste mura e attendendo fra le ombre desolate e silenziose dei vicoli. Il suo aspetto non tradisce quel che lo sguardo assetato di sangue a stento cela, incrociando la via con lui fra la gente di Tokyo, nessuno sospetterebbe mai dei crimini commessi dalla spada che segretamente porta con sé.”
Mitsurugi sussultò: aveva già conosciuto uno spettro silenzioso e dedito alla fuga nell’ombra, aveva già conosciuto un assassino dalla mente malata che soleva nascondersi fra la folla come un normale cittadino, aveva già conosciuto una spada ben più letale di quella di un predone o di un brigante di periferia, una spada temprata e levigata da un addestramento così duro e preciso da far impallidire l’arte della guerra dei samurai imperiali. Perché anche quest’assassino era un samurai... una samurai.
“Setsuka-sama...” Pensò Heishiro.
“Alcuni dei nostri compagni samurai l’hanno affrontato... e non sono più tornati indietro. Il loro sacrificio non sarà vano, così come non lo sarà quello degli agricoltori caduti per mano sua. – disse Kaguyuki, mentre posava lo sguardo proprio sul generale – Heishiro Mitsurugi-san... voi siete l’unico in grado di trovare, sfidare e vincere un simile avversario. Siamo addolorati se in questi giorni, Heishiro, siete stato afflitto da qualcosa che non avrebbe dovuto coinvolgere la vostra via della spada, e mi dispiace dovervi domandare ancora una volta il vostro aiuto, non ho diritto di imporvi altri ordini dopo tutto quello che avete fatto per me, ma siete la nostra unica speranza. Così come mio padre, anche io oggi ripongo nella vostra spada tutta la mia fiducia.”
Il samurai s’inginocchiò profondamente alla sua signora e, afferrando con entrambe le mani il fodero in cui era riposta la spada, gliela porse: “Kaguyuki-sama... non permettetevi mai più di sentirvi debitrice e dispiaciuta nei miei confronti, siete voi l’imperatrice, non io! Avete voi il diritto di decidere su di me ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non io! Nelle vostre mani è la mai volontà! Comandatemi qualunque ordine, e io lo eseguirò come meglio potrò per voi. E se riterrete insufficienti i miei risultati, allora mi punirò nel modo che riterrete più giusto. Questa è la spada che serviva vostro padre... e che servirà anche voi, sino alla mia morte.” Mitsurugi si sentì vergognare per essersi allontanato a tal punto dal suo mondo da non aver saputo di questo assassino e della morte di addirittura alcuni dei suoi compagni samurai, e soprattutto pesava nel suo cuore sempre più il disonore della morte del precedente imperatore, che lui non era riuscito a proteggere.
Ancora una volta era venuto a mancare nel momento del bisogno, e desiderò la morte sapendo di essere l’uomo nella cui spada il Giappone aveva riposto il proprio destino. Come potevano ancora avere fede in lui? Anche se non poteva crederlo, in cuor suo iniziava a capire che la decadenza dei samurai cominciava proprio dai suoi fallimenti,che ormai, con l’avvicinarsi del 1900, i samurai stavano definitivamente svanendo.
“Voi restate sempre un grande samurai al servizio della nostra nazione, Mitsurugi, non mi avete mai delusa, sono orgogliosa di voi, il Giappone è orgoglioso di voi. E so per certo che non mi deluderete nemmeno questa volta. Accettate voi e i vostri compagni dunque la missione che vi è stata affidata?” Domandò Kaguyuki.
Heishiro, rialzatosi, fece un passo avanti e lo stesso fecero le sue truppe. “Oss! [Sì!*NdA]” Gridarono.
Kaguyuki sorrise: “L’assassino è stato localizzato nella zona sud-occidentale della periferia di Tokyo, sono state rinvenute lì le vittime più recenti, una dozzina di soldati, alcuni contadini e tre monaci. I corpi devono essere stati uccisi intorno alle 7 di questa mattina. Ho già fatto circondare la zona con fanteria armata d’artiglieria leggera e stanno interrogando chiunque cerchi di allontanarsi. Raggiungeteli e fate il possibile per cercare l’assassino, non può essere fuggito lontano. Che la parola del Buddha possa accompagnarvi lungo al via della verità che cercate.”
“Oss, Kaguyuki-sama!” Dissero Mitsurugi e i suoi compagni, mentre eseguivano lo stesso saluto di prima e si allontanavano nelle scuderie.
Solo il generale, montato a cavallo, esitò, scendendo a terra nel vedere che l’imperatrice sua signora si avvicinava a lui.
“Kaguyuki-sama...” Sussurrò.
“Heishiro...siate prudente, ve ne prego... se dovesse succedervi qualcosa io non so come potrei vivere senza di voi... che Dio vi accompagni...” Disse Kaguyuki, la voce spezzata dalla preoccupazione.
“Non dovete temere per la mia vita, mia signora. Porterò a termine la mia missione e tornerò da voi... è una promessa, lo giuro sul mio onore.” Detto questo montò in sella e si rivolse ai compagni:
“Minna! Ikusò! [Tutti quanti! Andiamo! NdA]”
“Oss!” Replicarono un centinaio di samurai, mentre, seguendo il generale, cavalcavano impetuosi come tempeste verso le campagne.

“Generale Mitsurugi-san! Possa il Buddha benedirvi! Voi siete la nostra ultima speranza! – gridò un vecchio popolano gettandosi ai suoi piedi – Quel mostro si è portato via mio figlio e mia moglie! Vi prego, fategliela pagare!”
Mitsurugi sorrise e, dopo un lieve inchino, lo aiutò a rialzarsi. “Riservate la vostra devozione solo all’imperatrice Kaguyuki e al Buddha, buonuomo. Io sono solo un samurai, servitore del popolo. Quello che faccio è mio dovere di vita. Cercheremo l’assassino e lo consegneremo alla giustizia.” Lo rassicurò Mitsurugi, mentre si voltava e dava ordine ai suoi uomini di muoversi subito per vie del villaggio.
Arricchendosi nel tempo, si era allargato sino a divenire una modesta cittadina, nella quale non era stato difficile per l’assassino trovare un nascondiglio.
“Setsuka-sama... siete stata davvero voi a compiere questi crimini? Io non voglio crederlo... voi non site una persona malvagia, no, io lo so... so che non dovrei illudermi di un vostro cambiamento né tanto meno soffrire per voi, ma... vi prego... io non posso proteggervi, poiché tradire la giustizia e l’imperatrice mia signore sarebbe come tradire Dio in persona e tutto ciò che il Bushido mi ha insegnato...” Pensò fra sé il samurai, mentre, solitario, scattava con passo sicuro fra i vicoli principali della città, alla ricerca di qualsiasi segnale sospetto.
I popolani passeggiavano tranquilli e spensierati per le strade, il nemico poteva essere chiunque di loro, ma Mitsurugi fu convinto di non vedere alcun pericolo in loro, anche perché, fra sé e sé, aveva già associato un volto a quello sconosciuto dell’assassino, quello di una donna bellissima che per quattro anni aveva inutilmente cercato.
Le ricerche proseguirono per parecchi minuti, poi i minuti divennero ore, ma dell’assassino alcuna traccia, nessun indizio che potesse condurre gli investigatori all’autore dei delitti.
“Mitsurugi-san... è inutile... abbiamo cercato ovunque e abbiamo interrogato chiunque, ma niente, non funziona.” Disse Tetsuya, quando Mitsurugi e il resto della truppa si furono riuniti.
“Abbiamo interrogato tutti i popolani, dal primo all’ultimo, ma non sembrano nascondere nulla. Gli unici sospetti erano una piccola famigliola urgentemente in partenza da qui, che tuttavia sono risultati innocenti.” Aggiunse Hoshiko.
“Avete domandato ai fanti e i fucilieri a guardia di questa contea cos’avessero visto?” Domandò Mitsurugi pensieroso.
“Certamente. Loro non sanno nulla di nulla. E a me questa cosa non piace affatto, non è possibile che l’assassino sia fuggito così. Era stato dato loro ordine di non lasciar passare nessuno e di usare anche il fuoco in caso di necessità. No, l’assassino si nasconde ancora qui.” Disse Hoshiko.
“Sembra scomparso sul serio, abbiamo perquisito da cima a fondo le abitazioni, non è stato trovato niente di pericoloso, solo alcuni attrezzi di campagna. Nessuno dei cittadini si è rifiutato di collaborare e hanno consegnato tutti i loro averi. Le uniche armi trovate appartenevano ai fabbri del villaggio, ma secondo le indagini nemmeno loro sembrano sospetti.” Disse Eisuke.
Mitsurugi abbassò il capo e socchiuse gli occhi pensoso, mentre si passava una mano sul mento. “E’ davvero strana questa faccenda... se fosse Setsuka la colpevole, l’avrebbero notata tutti, e perquisendola avrebbero trovato comunque la sua spada. E’ da escludere che si sia rifiutata di ubbidire, i miei compagni o la fanteria l’avrebbero sicuramente bloccata come sospetta. – pensò Mitsurugi – Non nego possa trovarsi qui, anche se non l’abbiamo vista, si può nascondere abilmente ovunque e ridere alle nostre spalle. Che abbia sedotto le guardie con il suo corpo? Improbabile...”
“Mitsurugi-san... i popolani, tuttavia, hanno detto di aver visto qualcosa di strano, ultimamente...” Disse Tetsuya.
Mitsurugi fu sollevato dai pensieri e gli prestò ascolto.
“Hanno detto che di recente, da queste parti, è stata avvistata una giovane e splendida donna passeggiare tranquillamente per questi campi. Hanno detto che indossava abiti molto raffinati e che la sua pelle era troppo chiara per essere un’abitante del villaggio. All’inizio credevano fosse una comune visitatrice proveniente da qualche città, ma essa era sempre qui nei paraggi...non credono potesse trattarsi della colpevole, ma quello che c’è di strano è che questa donna sia scomparsa proprio questa mattina, intorno alle otto, un’ora dopo circa la morte dell’ultima vittima, e che comunque la fanteria abbia confermato di non aver avvistato nessuna simile donna allontanarsi dalla contea, né sono stati rinvenuti preziosi kimono abbandonati.” Disse Tetsuya.
Mitsurugi spalancò occhi e mente una ragnatela di indescrivibili emozioni si tesse nel suo cuore, ramificandosi sino alla gola e stringendola in una morsa d’acciaio.
“Setsuka-sama?!” Pensò.
“Mitsurugi-san, che succede? Siete pallido e sudato!” Esclamò Hideo.
Mitsurugi scosse il capo e sorrise: “Non è niente, non preoccupatevi, sto benissimo... ma ditemi, dov’è stata vista per l’ultima volta questa donna?”
“Da quella parte, nei pressi del piccolo santuario del paese. I monaci e i sacerdoti hanno confermato di averla vista lì dopo le sette del mattino, per l’ultima volta.” Disse Hoshiko.“
Mitsurugi si voltò e,senza dire una parola, si gettò di corsa verso il santuario. Non c’era scelta, pensava, Setsuka era lì dentro. Come aveva potuto non pensarci? Con il fiato sospeso e il cuore scalpitante in petto, Mitsurugi gettò una mano al fodero e l’altro all’elsa della fedele lama, sicuro di trovare lì la risposta a tutti i quesiti.
Ma una volta giunto dinanzi al tempio, trovò sì una bellissima donna, ma non colei che cercava.
“Kimiko-sama!” Esclamò sorpreso Mitsurugi nel vedere una giovane e stupenda sacerdotessa dai lunghi capelli castani sciolti, preziosi gioielli e un maestoso kimono cerimoniale, sotto al quale celava un corpo perfetto dalle sottili curve sensuali e provocanti, una lunga lancia dalla lama dorata e tintinnanti anelli buddisti all’incavo del manico stretta nelle mani.
“Heishiro! Ero sicura che prima o poi vi avrei trovato!” Esclamò Kimiko inginocchiandosi al samurai, che fece altrettanto.
“Quando siete arrivata, sacerdotessa?” Domandò Mitsurugi.
“Pochi minuti fa, io e i miei monaci ci trovavamo in un monastero qui nei paraggi e solo di recente abbiamo saputo che voi vi trovavate qui ad indagare su quelle misteriose morti... credete anche voi sia opera di Setsuka?” Disse la sacerdotessa.
“E chi altri può aver commesso tanti crimini in così poco tempo e con tale abilità? Solo una spada samurai può averlo fatto... o una spada infernale. E se nelle mani sbagliata, spesso queste due lame coincidono come un uomo e il suo riflesso nel lago...” Sospirò Mitsurugi, quando un’oscura risata riecheggiò all’interno del tempio.
Il soldato e la sacerdotessa si voltarono di scatto in direzione del tempio e sguainarono le armi, il viso lievemente incrinato da una nota di paura, il cuore solleticato dalle unghie del terrore, i muscoli tremanti come corde di violino sotto la mano del mistero. Senza esitare, Mitsurugi spalancò il portone e si addentrò nel tempio: due monaci giacevano a terra privi di vita, e un altro strisciava sanguinante verso Mitsurugi, che impallidì al vederlo.
“Mitsurugi-san... lui è qui...” Detto questo, il monaco morì.
“Ma... ma come avrà fatto?! Abbiamo sorvegliato il villaggio fin’ora e...” Balbettò Mitsurugi.
Kimiko strinse i denti: “Dannazione! Che fosse uno dei monaci di questo tempio l’assassino?!”
“Non è possibile, è stato controllata ogni stanza ed è stato confermato che nessuno di loro mancasse all’appello. L’assassino può essere solo una persona...” Iniziò Mitsurugi, ma la risata riecheggiò di nuovo, questa volta in cima alla scalinata che portava alle stanze superiori. I due alzarono il capo e videro un monaco decapitato precipitare dall’alto e schiantarsi violentemente al suolo.
“Setsuka-sama!” Gridò Mitsurugi, mentre lui e Kimiko si lanciavano di corsa verso i piani superiori. Fu come una discesa all’inferno più che un’ascesa al cielo: ad ogni piano che raggiungevano, i gradini erano infradiciati di sangue sempre più fresco e nuovo, le sacre vesti macchiate della vita dei monaci. Ad ogni gradino il dolore nel petto del samurai cresceva, dolore nel constatare che Setsuka, ancora adesso, era una brutale omicida, aveva fatto fatica a riconoscerne la risata, non ricordava fosse così maligna e crudele.
Ultimo piano.
All’occhio vigile e acuto di Heishiro non sfuggì una sottile ombra sul terrazzo, che svanì sul tetto. Mitsurugi trattenne collera e angoscia fra le costole e, giunto sulla balconata, si voltò e si aggrappò al bordo del tetto. Kimiko lo raggiunse poco dopo.
“Setsuka-sama... come avete potuto...?! Se... Setsuka-sama?” Balbettò Mitsurugi una volta sul tetto.
“Salve, Heishiro... sono felice di rivederti...” Disse l’assassino con un maligno sorriso dipinto sul viso sfregiato.
“Oh, mio Dio... tu!” Gemette Mitsurugi.
“Heishiro, ma che succede?!” Domandò Kimiko raggiungendo il compagno, rimanendo a sua volta sconvolta nel riconoscere l’identità del vero assassino.

  
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