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Autore: margotj    25/02/2013    0 recensioni
CROSSOVER SUITS-HIGHLANDER
Spoiler per: Suits. Allusioni varie alle due stagioni. E presenza di personaggi (o citazioni) da varie serie televisive.
Pairing: domanda difficile... diciamo che una coppia c'è. Magari due.
Rating: Angst .. ma qualche battuta potrei farla :)
Timeline: diciamo nella seconda stagione, ma non credo importi molto, non dico nulla di basilare.
Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Genere: Angst, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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SHAME

[Battle Worthy]

 

di MargotJ

 

 

CROSSOVER SUITS-HIGHLANDER

 

Spoiler per: Suits. Allusioni varie alle due stagioni. E presenza di personaggi (o citazioni) da varie serie televisive.

Pairing: domanda difficile... diciamo che una coppia c'è. Magari due.

Rating: Angst .. ma qualche battuta potrei farla :)

Timeline: diciamo nella seconda stagione, ma non credo importi molto, non dico nulla di basilare.

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

Nota dell'autrice 1: crossover con la serie Highlander, per tanto urgono spiegazioni (che ho bellamente estratto da wikipedia): Gli immortali sono esseri umani normali sino alla loro prima morte (che deve avvenire obbligatoriamente in modo violento, altrimenti la loro immortalità non si rivela e moriranno normalmente di vecchiaia o malattia). Dopo la loro prima morte risorgono e divengono immortali, da quel momento non invecchiano e possono essere uccisi solo tramite decapitazione. Gli immortali inoltre non possono procreare (né prima né dopo la loro "prima morte").Tutti sono spinti dall’eterna lotta per la sopravvivenza in un gioco che non conosce limiti di tempo ma non possono combattere su terreno consacrato o coalizzandosi.

La Reminiscenza è la sensazione che gli immortali avvertono in presenza di altri immortali. Quando un immortale ne uccide un altro tramite decapitazione, ne assorbe la forza, il potere e la conoscenza. Se non ci sono immortali nelle vicinanze, la reminiscenza è sprecata. Esiste una società segreta, gli Osservatori, che studia gli immortali senza mai interferire. Ogni immortale ha un osservatore assegnato che ha il compito di controllare, catalogare e raccogliere informazioni sul suo conto. Alcuni osservatori rinnegano il loro compito e divengono cacciatori di Immortali.

Qui e là, per abitudine, rimandi alle mie fanfictions su ATS, ' Cronache di Anime e Sangue' . Certe cose non se ne vanno mai dal cuore.

 

Le nozioni sull'induismo sono prelevate da wikipedia o siti analoghi ed adattate (nel limite della verosomiglianza) alla narrazione. Mi scuso per tanto per le inevitabili imperfezioni.

 

 

 

Nota dell'autrice 2: è dal 2006 che, per un motivo o per un altro, Chichi pretende una fanfic per il suo compleanno. Ha già addotto un sacco di motivazioni per averla, credo le manchi giusto il tirare in ballo gli alieni. Per cui, tanto per cambiare, è colpa sua. Non può essere sempre mia. O degli alieni. :)

 

A Chichi, dunque, perché non esiste fanfic o storia che possa inventarla meglio di ciò che è nella vita reale

 

 

 

 

Well there’s three versions of this story

mine, yours and then the truth
And we can put it down to circumstance.”


Beh ci sono tre versioni della storia, /la mia, la tua, e poi la verità /E possiamo attribuire il tutto alle circostanze.

(R.Williams, feat. Gary Barlow “Shame”)

 

 

 

 

Harvey Specter non era di certo un uomo tra tanti né, tantomeno, un avvocato comune.

C'era chi lo reputava uno squalo, c'era chi lo riteneva un genio, c'era chi lo avrebbe voluto vedere investito da un tir. Ma, in un modo o nell'altro, Harvey otteneva sempre ciò che voleva: attenzioni, attenzioni degne di un imperatore.

O, come minimo, di un re.

Nessuna eccezione in quel martedì mattina, dunque: le porte dell'ascensore si erano aperte magicamente un attimo dopo aver ingoiato l'ultimo frammento di Donuts e un secondo dopo aver sistemato il ciuffo con infinito amore.

Si era concesso una pausa scenica. Poi aveva varcato i cancelli del suo reame.

Quando aveva mosso il primo passo nella hall, con eleganza e padronanza, l'ambiente circostante si era inevitabilmente riempito con il suo ego: le segretarie, già al lavoro, lo avevano sbirciato con il canonico appetito, i soci lo avevano salutato, ammirati.

A quanto sembrava, erano già giunte voci riguardo alle sue gesta, alle grandi imprese dell'ultima udienza della sera e della prima del mattino: Harvey vinceva prima di presentarsi al cocktail party più in di Manhattan e distruggeva prima del caffè del mattino, quello impareggiabile del chiosco all'angolo.

Harvey schiacciava i miserabili e faceva fuggire persino i divorzisti, senza battere ciglio e senza negare mai a nessuno un regale cenno del capo di magnanimo perdono.

 

Comprendo i tuoi sforzi, sembrava dire il suo mezzo sorriso, ma così va il mondo.

Tu, laggiù. E io... quassù.

 

Così, avanzando verso l'ufficio, Harvey si beava delle proprie gesta, della settimana appena iniziata, e dei futuri successi che intendeva ottenere prima di venerdì.

E fu in quell'appagante stadio di autocelebrazione che la Reminiscenza, implacabile, lo colse.

Come una doccia gelata.

Davvero, davvero gelata.

 

***

 

Se c'era una cosa che Harvey Specter amava, senza riserve né distrazioni, era il proprio ufficio: uno spazio grande, luminoso, pieno di dischi e con un enorme divano in pelle che riempiva la stanza con la sua presenza e l'aria con l'aroma del cuoio.

Peccato che, al momento, entrambi gli aspetti fossero guastati da un essere trasandato che, anfibi su un bracciolo e testa sull'altro, riduceva l'imponenza del mobile facendolo sembrare un biposto e impregnava l'aria con un ignobile bicchiere di starbucks pieno di brodaglia nera, caffeinosa e probabilmente, visto il tanfo, aromatizzata a cardamomo e whisky.

Due particolari che, da soli, erano bastati ad Harvey per arginare la tensione dovuta alla reminiscenza ed aumentare la consapevolezza del disastro imminente.

Sostò dunque sulla porta, in attesa, la mano in tasca, lo sguardo fisso sui piedi del suo inaspettato e dubbiosamente gradito ospite.

Piedi indimenticabili.

Poi, la rivista che il tizio stava leggendo (e che aveva una copertina che portava la quinta) si abbassò, mostrando anche il naso.

 

E il naso adombrava il ricordo dei piedi.

 

“Non ti avranno accusato di omicidio, spero.” - commentò, dunque, senza muoversi.

“Oh, ti prego, ti sembro uno in grado di uccidere qualcosa?” - replicò l'altro, vagamente offeso, senza manifestare il desiderio di abbandonare la propria cuccia. Probabilmente ci ha dormito, valutò Harvey, decidendosi ad entrare e notando, a terra, vari generi di conforto, miseri resti da baccanale notturno.

E che baccanale...

“Non hai un posto dove dormire quando vieni in città?” - domandò, raccogliendo con fare seccato alcuni dischi sparsi sul tappeto e rimettendoli maniacalmente a posto. La mano, esplorando incurante l'ultimo ripiano della libreria, lo rassicurò: la spada era doveva doveva essere.

 

Potendo, si sarebbe limitato a prenderlo a schiaffi... ma una spada era sempre meglio di niente per difendersi dal cavaliere dell'Apocalisse.

 

“Ho perso le chiavi.”

“Scappavi troppo veloce?”

“Ah, ah, ma che spiritoso!” - Methos abbandonò la posizione conquistata, sollevando le gambe e riposando i piedi sul tappeto, sopra un involucro accartocciato e un altro lp - “Allora, non sei contento di vedermi?”

Harvey, con un ringhio, si piegò a raccogliere il suo pregiato Bill Haley, sfilandolo da sotto lo scarpone.

Era un preservativo quello? Meglio non indagare.

“Andiamo, Hervè...”

“Harvey.” - replicò, automaticamente l'avvocato - “E...”

 

Reminiscenza. Di nuovo. Poi suono di pratiche che precipitano a terra e passi.

Oh, oh.

Anche Methos ora aveva perso la voglia di intrattenersi in chiacchiere. E Harvey non dubitava che la mano, nascosta tra i cuscini, stringesse già l'elsa della spada.

Così come non dubitava che sarebbe scappato lasciandogli tutti gli oneri del combattimento.

Tuo il territorio, stava infatti dicendo, tuo il piacere.

“Ma sta' zitto.” - borbottò, raddrizzandosi, con i dischi tra le mani e gettando un'occhiata preoccupata alla libreria. Mio il territorio, ma ci son piaceri tuoi sparsi dappertutto.

 

Speriamo si controlli.

Ci mancava giusto questa...

 

“Lascia perdere.” - disse, dunque, fissando l'uomo che, armato di fioretto, si stagliava ora sulla porta dell'ufficio - “Io non voglio la tua testa e lui vuole tenersi la sua.”

 

E Louis Litt, mugugnando, abbassò la spada.

 

***

 

“Io... tu... “ - Louis si stava dominando a stento. Gli incisivi da castoro stavano facendo un egregio lavoro sul labbro inferiore - “Lui... che ci fa qui lui!

“Finalmente una frase di senso compiuto.” - Methos si batté le mani sulle cosce e si alzò, per incrociare le braccia e mettersi dietro da Harvey - “Che vuoi, tappo? Ricominciamo da dove ci siamo interrotti?”

Harvey alzò gli occhi al cielo. Davanti a lui, Louis stava rapidamente divenendo bordeaux.

“Non vorrete di nuovo litigare per la Borgogna!” - sbottò, seccato.

“Era la Linguadoca.” - risposero i due, in coro. Poi Louis aggiunse - “E non tutti sono blasonati come te, c'è chi deve conquistarsi i propri spazi a questo mondo!”

“E, su questo, io son d'accordo con lui.” - fece eco Methos, scotendo un dito, prima di far nuovamente sparire la mano nella manica del maglione sformato - “Ma la Linguadoca è storia vecchia. E anche il Delfinato, sappilo!”

“Ah, certo! Perché adesso mi rinfaccerai la contea di York, suppongo!”

“Eccome! E pure la Renania se ci tieni tanto!”

Appunto. Harvey si tolse dalla linea di tiro e sprofondò nella propria poltrona, intrecciando le mani sullo stomaco e contando fino a dieci.

Quei due accumulavano decenni come noccioline e ancora litigavano per non essere riusciti a conquistare il mondo senza pestarsi i piedi.

Borgogna, Linguadoca, Delfinato, Baviera e Sassonia, York, almeno due colonie della Confederazione, due ex repubbliche sovietiche, una manciata di isole del pacifico e un certo elenco di bordelli ubicati un po' ovunque.

Nemmeno il mondo contemporaneo, dove le guerre si facevano via wi-fi e le battaglie sui tablet, sembravano aver arginato il primitivo gusto di pestarsi reciprocamente i piedi.

Methos, a quanto sembrava, si era occupato di un affare sovrannaturale a LA e aveva affondato alcune speculazioni edilizie di Louis con uno studio legale della città. Louis, d'altro canto, aveva acquistato un 'non ho capito cosa ma è molto prezioso' che Methos voleva a tutti i costi.

Insomma, ad affronto seguiva affronto.

E Harvey, sentendo il Donuts del mattino impazzare nello stomaco e il ciuffo di capelli iniziare ad afflosciarsi, rimpiangeva solo di essersi presentato in ufficio per il bagno di folla dell'alba.

“Io ora ti taglio il naso.” - concluse Louis, ad un certo punto. ergendosi quanto bastava da arrivargli al mento- “E tu...” - sottolineò, rivolgendosi ad Harvey - “Tu non intervieni!”

“Non mi muovo.” - confermò l'avvocato, dondolando a destra e sinistra sull'amata poltrona.

 

Non sono nemmeno qui.

 

Gli occhi di Methos si strinsero pericolosamente, divennero due fessure. Poi una sua mano, di piatto, calò sulla testa dell'avversario con un sonoro ciac.

“Tocca il mio naso e io ti strappo l'anello che hai al capezzolo, Ludovico. Io l'ho inserito, io te lo levo.” - comunicò, mentre l'altro si copriva il cranio con entrambi i palmi.

La bocca di Louis si aprì, scandalizzata. La sua mano corse, offesa, al petto, come per accertarsi che l'oggetto incriminato fosse ancora al suo posto.

“Hai la mia parola.” - aggiunse l'immortale, dall'alto dei suoi cinquemila anni e dell'impareggiabile faccia da schiaffi.

 

E si fissarono, in silenzio.

Poi si sorrisero.

Infine si abbracciarono, con grandi pacche sulle reciproche spalle.

 

“Appunto.” - sospirò Harvey. Decenni come noccioline ed è sempre la stessa storia.

 

“Oh, tappo, quanto mi sei mancato...”

“Mai quanto tu a me, immonda carogna.”

 

***

 

Visto che 'tappo' e 'immonda carogna' non erano abbastanza per affondargli la giornata, adesso c'era Donna sulla porta.

E qui, la situazione poteva degenerare. Davvero.

Methos e Donna si fissarono.

E la voglia di scherzare di ognuno di loro sembrò evaporare. Soprattutto quella di Methos.

Harvey, con lentezza, posando le dita sui braccioli, si alzò in piedi. La ragazza non diede l'impressione di vederlo ma Methos, con la coda dell'occhio, notò il movimento.

 

Harvey poteva mettersi il completo gessato e la cravatta, tagliarsi la barba e ossessionarsi con i capelli ma continuava a essere il barbaro con l'animo del principe azzurro nato seicento anni prima dell'amore cortese.

 

Non le faccio niente, avrebbe voluto dire. Che ti aspetti, che voglia farla soffrire ancora?

Ma sapeva di aver già compiuto un danno, con il semplice fatto di essere lì.

E lei... lei era ancora così dannatamente bella...

“Stai bene.” - mormorò, impacciato, cercando di sfuggire al silenzio in cui erano finiti tutti.

Un commento, amichevole, gentile. Ma, per una Donna, una coltellata, netta e mortale al petto.

Dovevi solo mettere tra noi cinquant'anni e darmi il tempo di morire. Non era questo il nostro accordo?

Cosa fai qui?

Perché sei qui?

“Lo so.” - rispose, senza battere ciglio. E Harvey fu orgoglioso di lei, come sempre. Ma tanto, tanto angosciato.

 

Fai la cosa giusta, si sorprese a pensare, vattene.

Vattene prima di volergli parlare, prima di volerlo baciare.

Vattene, prima di notare che c'è un preservativo sul mio tappeto e un reggiseno sul mio tavolino.

 

“Credo che mi occuperò delle fotocopie.” - disse Donna, infatti, arretrando di un passo. Grigio perla, un reggiseno grigio perla - “Sai dove trovarmi.”

Harvey non rispose. Con un cenno del capo, di intesa e comprensione, la lasciò fuggire.

Erano fatti in cui, sin dall'inizio, non aveva espresso opinione, perdono o comprensione.

Erano fatti che non lo riguardavano.

Che non dovevano riguardarlo.

Perché, lo avessero riguardato, avrebbe dovuto mettere la testa di Methos sulla mensola dei palloni da basket.

 

Louis non fu altrettanto discreto.

 

“Non le corri dietro?” - chiese, guardando prima Donna battere la ritirata e poi sorprendendo il perticone al suo fianco a fare altrettanto - “La lasci scappare?”

“E' meglio così, credimi.” - commentò Methos, ermetico, restando fermo a braccia conserte.

 

Stupido, stupido a credere che non si sarebbero visti.

Stupido, stupido ad aver provato a convincersi che non avrebbe fatto male come sempre.

 

Harvey lo fissò, cercando di intuire qualcosa.

Nulla.

Come sempre, Methos era un libro chiuso. Secoli e secoli di amicizia, secoli e secoli lontani e vicini eppure... nulla. Methos sapeva nascondersi molto meglio di ogni altro. E Harvey, in oltre milletrecento anni, ancora non riusciva a intuire i suoi pensieri.

Forse i sentimenti, con empatia. Ma non l'anima, ermeticamente sigillata dalla polvere del tempo.

Forse il dolore... ma quello, di sottofondo, non lo abbandonava mai.

Ed esisteva una sola cosa da fare, per aiutarlo.

Solo una.

Provocarlo.

“Perchè sei qui?” - domandò, spezzando il silenzio.

Methos esitò un attimo. Poi sorrise.

“Era ora che ti decidessi a chiedermelo.” - ammise, avanzando verso la scrivania e mettendosi le mani in tasca.

Dondolò sui talloni, lo contemplò, tutto sommato con affetto.

Hervè. Colui che è degno in battaglia.

“Ho un problema.” - sospirò, alzando le spalle - “Ho perso una scommessa. E, ora... Qualcuno vuole la tua testa.

 

***
 

Bene.

Grandioso.

 

Anni ed anni di vita in tribunale, secoli, anzi, avevano insegnato ad Harvey l'importanza di una buona strategia e le infinite risorse che offre la calma studiatamente applicata.

Per tanto, accantonato il problema Donna (che tanto non sarebbe mai più uscita dall'archivio) mise in campo tutte le armi in suo possesso ad esclusione della spada, per non divenire subito drastico nel risolvere il problema.

Occorreva una domanda. Una domanda ben formulata che permettesse all' 'immonda carogna' di spiegare la situazione in tempi brevi e con termini efficaci.

 

“Tu hai perso Harv in una partita a carte?” - sbottò Louis.

 

“Decisamente sintetico.” - ammise Harvey con se stesso, sentendo la pressione arrivare alle tempie e attendendo una risposta - “Non avrei saputo dire meglio.”

“Qualcosa del genere.” - ammise, infastidito, Methos, massaggiandosi il collo - “Ma lo sai che quel divano non è per niente comodo? Lo sembra ma...”

“Una partita a carte con chi...” - lo incalzò Harvey, senza lasciarsi distrarre dagli insulti al suo amato divano.

“Mah, un tizio, un altro... un altro ancora...”

“E quanti di questi tizi erano di lunga vita e con un sacco di tempo da dedicarmi?”

“Solo una.” - Methos voleva sembrare rassicurante, nel sollevare l'indice. Ma, a quanto sembrava dalla faccia dell'avvocato, non lo era stato molto. Quindi insistette - “Una sola, davvero.”

“Una.” - ripetè Harvey. Una. Con la A in fondo.

Una.

“Una sola.” - confermò, solenne.

Di colpo desidero darti in pasto a Donna, pensò Harvey, ricambiando l'occhiata senza muovere un muscolo.

Una?

C'è solo 'una' che può volere la mia testa.

“E, dimmi, di grazia...” - chiese, con calma - “Stavi solo 'giocando a carte' con la mia ex moglie?”

 

***

 

“Lascia che ti spieghi. Ero negli Hamptons e...”

“Negli Hamptons? E che ci facevi negli Hamptons?”

“Ho un sacco di amici negli Hamptons e sono andato a trovarli!”

Nolan Ross.” - borbottò Harvey, rigirando il bicchiere in una mano e guardando il liquore sciabordare - “Io lo uccido.”

“Ma no, Nolan non c'entra. Cioè, sì, in effetti c'era, ma non sapeva … non tutto, almeno.”

“Confortante.” - per i gusti di Harvey, Nolan sapeva sempre un po' troppo - “Vai avanti.”

“E chi conosceresti negli Hamptons?” - incalzò Louis. Era rimasto in piedi per essere,almeno una volta nella vita, più alto di Methos, ormai sprofondato nella sedia di fronte alla scrivania - “Qualcuno che conosco pure io?”

“Louis, non è il momento. O taci o vai a fare fotocopie con Donna. Methos, vai avanti.”

“Ero negli Hamptons e ci siamo visti ad un party e... bhe, Harvey, hai davvero buon gusto, davvero. È ancora uno schianto, credimi, da togliere il fiato.”

“L'hanno uccisa a ventidue anni, Methos. Sarà uno schianto finchè riuscirà a tenersi quella testa bacata sul collo. Vai avanti.”

“Ci siamo visti, abbiamo bevuto qualcosa e... e come facevo a sapere che vi eravate lasciati così male?”

“Deve essere stata la partita a carte a confonderti.” - commentò Harvey, grondando sarcasmo - “Tutti quegli assi...”

“Oh..” - sorrise Louis, capendo la battuta e movendo, con aria complice, il collo. Come un piccione - “Solo assi e niente due di picche...”

L'occhiata di Methos nella sua direzione grondava disgusto.

“Sei una bestia.” - borbottò, offeso - “E' pur sempre sua moglie. Parlane con rispetto.”

“Certo. Scommetto che anche tu sei stato molto rispettoso.” - Harvey si trattenne dal chiedergli se l'ex avesse ancora una passione sfegatata per i vestiti senza biancheria sotto - “Vai avanti.”

“Vai avanti? Lo sai che non hai detto altro da quando ho cominciato a spiegarti? Potresti essere più gentile, mettermi meno fretta, chiedermi...”

“Vuoi davvero che sia più gentile di così?” - lo interruppe, fissandolo dritto negli occhi - “Methos, guardami: ti sei scopato mia moglie e le hai venduto la mia testa. Sono l'interlocutore migliore che puoi trovare al momento.”

“Ex.”

“Come?”

“Ex- moglie.”

“Vallo a dire a lei.” - sputò Harvey, buttando giù in una sorsata ciò che restava nel bicchiere.

 

E fanculo alle dieci del mattino da sobrio.

 

“A lei credo sia chiaro se...” - commentò Louis, indicando Methos.

“Dispetto.”

“Prego.”

“Ho detto: dispetto.” - scandì Harvey, tendendogli il bicchiere perché lo riempisse di nuovo - “Kalinda mi fa dispetti da quando le ho spalmato il sindoor sulla testa.”

“L'hai sposata con matrimonio induista? Ma tu non sei induista!”

“Un'idea di quel cretino di Coventry! Lui è romantico, blatera poesie e cita Confucio come se lo conoscesse di persona e io mi son lasciato convincere.” - replicò, esasperato, Harvey. Altro che calma e poteri annessi, o lo legavano o si sarebbe dato al massacro incontrollato! - “La amavo, lei mi amava, la sua famiglia era quel che era e io ho fatto quello che ho fatto! Amen!”

“Ti sei spiegato peggio del solito ma credo di aver capito. E gli induisti non dicono amen.” - commentò Louis, guardandolo. Poi mosse una mano, come per rimestare in una ciotola di patatine - “Insomma? Perchè ti vuole morto?”

“Divergenze tra moglie a marito.”

“Tali che, per farti un dispetto, deve scoparsi lui?”

“Ehi!” - Methos si voltò, di scatto - “Io sono carino!”

“Non è mai carino scoparsi la moglie di un amico.”

“Ex, ex-moglie!”

“Meglio tu che un procuratore distrettuale.” - ribattè Harvey. Nel tempo del loro battibecco si era alzato, andando dritto alla finestra, sperando che, voltate loro le spalle, svanissero con le loro parole, le loro grane e i loro secoli di troppo.

Era quello il problema dell'immortalità, a conti fatti: i problemi avevano più tempo per correrti dietro, per cercarti, per scovarti. Era illusorio pensare di avere vita più lunga delle fregature.

In un modo o nell'altro, le grane finivano sempre per trovarlo.

E ora... Kalinda.

Di tante, Kalinda.

“Poteva essere un grande matrimonio, se lei fosse rimasta mortale.” - mormorò, senza voltarsi.

Nessuno commentò il suo cinismo. Che dire, del resto, senza essere ipocriti? Amare significava perdere, certo ma, talvolta, significava anche poter chiudere un capitolo scomodo della vita.

Chi di noi non lo ha mai fatto? Si chiese Methos, allungando le gambe e attendendo che Harvey riemergesse dalle proprie riflessioni. Chi di noi non ha fatto scelte discutibili perché si sarebbe trattato di sopportarle solo per pochi decenni?

Eppure...

“Tu non sapevi che era una potenziale?” - domandò, serio, piegando la testa da un alto.

“Sapevo che era speciale.” - replicò l'avvocato, senza voltarsi nella sua direzione - “Ma non avevo capito.”

“Non ne avevi mai incontrato uno?”

“Non me ne ero mai innamorato.” - Harvey non aggiunse altro. L'amore aveva coperto ogni altra sensazione, con Kalinda. Peccato non fosse bastato a sotterrare tutto il resto - “Ma direi che è un aspetto irrilevante della faccenda.”

Si voltò, squadrando i due.

“Sa dove sono?”

“Quasi. Non ho detto proprio tutto tutto.”

“Quasi quanto?”

“Bhe... se ha messo assieme le cose che ho detto alla velocità con cui sono partito....”

“Ti ha seguito.” - concluse Harvey, massaggiandosi la fronte. Avesse sofferto di mal di testa, a quel punto, l'emicrania sarebbe stata un dato di fatto - “Bene.”

“Però sono arrivato prima io. Ti ho avvisato.”

“Mi reputo avvisato.”

“Bene.”

“Già.”

“Posso fare qualcosa per te?”

Cercati una chiesa e chiuditici dentro.”

 

***

 

Avrebbe voluto fossero le dieci di sera.

Avrebbe voluto andare a casa e farsi una doccia. Una lunga doccia, bollente.

Poi un bicchiere di vino rosso, guardando le luci della città.

Ma non poteva.

Perché non esistevano solo le leggi personali e quelle della sua razza: secolo dopo secolo, sotto i suoi occhi, il mondo si era riempito di regole, fin quasi a scoppiare.

Regole su regole per vivere, pensare, lavorare, vincere.

Troppe, soleva pensare Harvey, riducendo metodicamente quelle che intendeva rispettare e scartando le restanti.

Troppe, davvero.

Ma, tra quelle, c'erano le inevitabili: e, tra le inevitabili, l'assioma di presentarsi in ufficio solo per dare il massimo. Come sui campi di battaglia, a corte, a bordo o in qualsiasi altro posto si fosse presentato in oltr emille anni di militanza.

Non, come gli rinfacciava Mike, per scoprire, anno dopo anno, di essere più vecchio e solo... ma solo per sapere, decennio dopo decennio che, se non si invecchia, si è sempre soli.

E che, salvo brevi parentesi, rimangono solo le idee per tenerti compagnia. E gli ideali.

Harvey, non a caso, si era scelto un lavoro di idee e ideali. Ed intendeva terminarlo. Come se fosse l'ultimo giorno alla Pearson-Hardman.

 

Magari perché poteva essere l'ultimo giorno alla Pearson Hardman.

 

Quindi, preso atto dell'uragano Kalinda, Harvey era tornato al lavoro: aveva spedito Louis nel suo ufficio e aveva invitato Methos a scegliersi un chiosco per gozzovigliare ponendogli una banconota in mano.

 

Solitudine. Aveva bisogno di solitudine per ideare un piano.

Solitudine per togliersi dai piedi Mike almeno ventiquattro ore.

Solitudine per controllare il filo della spada e per mettere su un disco di Jazz.

Solitudine per imporsi un'espressione non espressione e riportare il reggiseno grigio perla a Jessica.

E, infine, solitudine per fare la cosa più difficile.

Trovare Donna.

 

***

 

“Non sarebbe venuto, se non fosse importante.” - lo aggredì Donna, quando lo vide aprire la porta dell'archivio. Mollò la fotocopiatrice per andargli incontro, nel corridoio stipato di cartoni - “Harvey, aveva promesso che non sarebbe tornato, se lo ha fatto è stato per qualcosa che era più importante di me.”

Si interruppe, indecisa se proseguire. Harvey la fissava, in silenzio, gli occhi lievemente dilatati, tipici di quando qualcosa lo coglieva di sorpresa.

Doveva essere venuto ad asciugarle le lacrime per avere ora quell'espressione stranita sul volto.

E non ci aveva pensato. Non si era nemmeno soffermato sul fatto che Methos potesse... che Methos potesse avere una motivazione che non fossero i guai.

 

Ma come faceva a conoscerlo così poco?

 

“Harvey, lo ha fatto perchè ti vuole bene.” - sussurrò, quasi scusandolo, difendendo quella bestia di uomo trasandato che camminava sul suo cuore per il semplice fatto di esistere - “E, ora, ho bisogno che tu mi dica che non sei in pericolo.”

Harvey non sapeva come rispondere. Lo era? Non lo era? Cosa voleva Kalinda?

Ma Methos non sarebbe mai corso da lui se non...

Ma che diamine! Se solo Donna fosse stata diversa, più fragile più imperfetta... se solo non fosse stata Donna, sarebbe stato più facile mentirle.

“Penso che ci sarà qualche imprevisto, nelle prossime ore.” - si limitò a rispondere, fissandola negli occhi - “E che potrebbe accadere di tutto.”

Donna strinse le labbra e deglutì, inghiottendo il desiderio di mettersi ad urlare insieme alle lacrime.

“Ok.” - rispose, riuscendo bene solo in parte e sentendo il mascara rotolare imperdonabile verso il mento - “Allora promettimi che starai attento.”

“Sempre.” - promise Harvey, carezzandole il viso e cancellando la scia nera con dolcezza - “Attento, te lo prometto.”

 

Attento. Ma non ti garantisco altro.

 

***

 

Seduto sulla panchina davanti al grattacielo, Methos masticava il terzo e indigesto hot dog a base di cipolle e senape.

Aveva già composto il numero di Eddy più di una volta, ma non aveva fatto partire la chiamata, ricordando a se stesso, con un moto di irritazione, di non essere una vecchia e irritante zia ansiosa.

Ma lo era, porco giuda! Era un'ansiosa zia, rea di relazione con moglie d'amico, colpevole di pettegolezzi pericolosi e disonorata da un'assoluta incapacità a restare quando il gioco si faceva duro.

 

Del resto, come si preservava una testa come la propria, se non si fuggiva, di tanto in tanto?

 

Tutti prendevano qualche precauzione.... Louis, ad esempio, non aveva forse preteso l'ufficio nell'ex sala di culto dello stabile?

Ben scarsa consolazione, in effetti. Paragonarsi a Ludovico!

Ma Harvey... Harvey non prendeva mai precauzioni. In più di mille anni era passato nella storia umana battendo ciglio ben poche volte e combattendo laddove il caso lo richiedeva, mai di più, mai di meno.

Se ora aveva deciso di far perdere le proprie tracce a Kalinda... se davanti a Kalinda era arretrato...

 

Ci voleva un altro hot dog. Subito.

 

Ingoiò quello che si stava gustando e si diresse a passo spedito al chiosco.

Quando si voltò, per tornare alla propria panchina, la trovò occupata e, in contemporanea, sentì la reminiscenza salirgli dal torace fino alle tempie.

“Tranquillo, qui c'è spazio per tutti e due.” - commentò Kalinda, accavallando le gambe nella personale rivisitazione di Basic Instict - “E, se non ti spiace, vorrei indietro le mie mutandine.”

 

***

 

“Tu non portavi biancheria.” - replicò Method, masticando e avvicinandosi.

Kalinda si diede un colpetto sulla fronte, con aria svanita.

“Ecco perché non le ho più trovate.” - sospirò. La giacca di pelle rossa la faceva sembrare ancora più microscopica e seducente - “Pazienza, non mi servivano più...”

Si sporse, divaricando appena le gambe e intrecciando le mani.

“Intanto, stasera, mio marito mi porta a cena.” - sorrise, complice.

Methos la osservò, pensoso, masticando come un ruminante. Fino a settanta ore prima, se interrogato, non avrebbe saputo nemmeno dire che faccia avesse Kalinda, la 'Kalinda di Hervè': lui l'aveva sposata in un momento in cui non si frequentavano più di tanto, in cui Methos, con altro per la testa (e per la necessità di tenere la suddetta dove si trovava), lo aveva salutato ed era sparito, lasciandogli un discepolo nel fianco e qualche debito con i bramini sul collo.

Di certo non c'era stato il tempo per parlar di bomboniere.

Sapeva solo che era esistita e che, in base ai resoconti degli amici in comune, non era stato un divorzio da riuscire a restare in piedi.

Forse, per questo motivo, ancora oggi, Harvey massacrava i divorzisti senza far nulla per nascondere la bava alla bocca. Ma Methos non amava rinvangare il proprio passato, figuriamoci che interesse provava per quello di un altro.

“Cosa vuoi, Kalinda?”

“Nulla. Ho il nome, ho l'indirizzo... ho tutto. Ma Hervè ha bisogno il mio numero di cellulare.” - rispose la donna, alzandosi e porgendogli un biglietto da visita - “Puoi portarglielo, quando avrai finito di ingozzarti come se non ci fosse un domani?”

“Ho appena cominciato a ingozzarmi, tesoro.” - replicò, perdendo e sputacchiando briciole - “E ho sempre un domani.”

“Quanta fiducia, per essere uno che continua stare con me su terreno non consacrato...” - sorrise lei. Era piccola, minuta, aveva occhi neri che sembravano velluto, pelle color cannella.

Era da impazzire... ma non era il suo tipo.

“Kalinda, solo una parola...” - Methos accartocciò il tovagliolino di carta e afferrò il biglietto da visita con la stessa mano - “Addio.”

 

***

 

“Investigatore privato...” - lesse Harvey, rigirando il biglietto tra le dita - “Saran quasi trent'anni che manca di originalità.”

“E tu? Da quanto fai l'avvocato? Cinquanta?”

“Io sono una persona coerente. Kalinda è ripetitiva.” - ribattè, con tono incolore. Estrasse il cellulare di tasca, digitò sui tasti e posò l'apparecchio sul tavolo.

“L'hai messa in memoria?” - domandò Methos, venendo più vicino e rinunciando a camminare, a piedi nudi, sul tappeto e intorno al tavolino - “Ma vuoi avere una relazione seria? Pensi di richiamarla dopo stasera?

“No, le ho inviato un messaggio.”

“Un messaggio? E da quando si invita così una donna a cena!”

“Ma vuoi decidere da che parte stare?” - esclamò Harvey, guardandolo dritto in faccia - “Non ti sembra di esserti fatto già abbastanza gli affari miei?”

“Sì, vero, per giunta nella maniera sbagliata, lo so!” - Methos non era di certo il tipo che si lasciava demotivare dal senso di colpa. Anzi, non sapeva nemmeno che struttura avesse, un senso di colpa - “Ora però gradirei molto che tu non ti mettessi a fare idiozie da cavaliere medievale e ti tirassi fuori dai guai in fretta e come si deve!”

“Sei tu che mi hai messo nei guai!”

“E vuoi farmi un dispetto non impegnandoti al massimo per risolverli?”

“Adesso ti uccido.” - mugugnò Harvey, passandosi una mano sul viso. Poi gli indicò la porta.

“Fuori. Vai a importunare qualcun altro. Io ho una deposizione.”

“Tu hai una dep... bhe, rifilala a un tirapiedi, ne avrai uno!”

“No. Il mio tirapiedi oggi deve stare al suo posto e non farsi vedere. Io ho tre ore prima di affrontare Kalinda e non intendo passarle a meditare su una montagna come Eddy o a studiare l'orario dei treni come te. Fila, di là c'è Louis da tormentare! Insultagli il gatto e tieniti occupato!”

“Harvey...”

“Fuori!”

Methos girò sui tacchi e fece il richiesto, dimenticando le scarpe davanti alla scrivania. Harvey, per giunta non aveva nemmeno una porta da sbattere, solo un'unica coreografica lastra in cristallo, tragica per le uscite ad effetto.

Lanciato, imprecando e fissandosi i piedi, percorse il corridoio. Scarpe, aveva dimenticato le scarpe, poteva fuggire solo fin dove giungeva la moquette, dannazione!

E, di tante persone in cui poteva inciampare, scelse proprio Donna.

Trovandosela poi seduta sui piedi, in mezzo ad un mare di fotocopie, si domandò dove fosse finito il senso dell'umorismo dell'universo.

 

***

 

“Scusami.” - disse, piegandosi per porgerle la mano.

“Faccio da sola.” - ribattè lei, scostandosi e rimettendosi in piedi, incurante dei plichi che avrebbe dovuto raccogliere.

Si fissarono, senza dire nulla.

Eccolo lì, in tutto il suo splendore da maglione grigio deformato e piedi scalzi. Aveva i capelli un po' più lunghi dell'ultima volta, ma non era cambiato di una virgola, dagli occhi alle labbra e ritorno.

Era... Methos. Sempre solo Methos.

Oh, se solo Harvey ti staccasse la testa, pensò Donna, affranta, vergognandosi all'istante di quel desiderio.

“Donna?” - la voce di Harvey non si fece attendere, in quel silenzio spesso come nebbia.

Methos alzò gli occhi al cielo.

Ecco il paladino delle pulzelle!

E, no, no, questa volta non la lascio scappare.

“Torna nel tuo ufficio!” - ordinò, voltandosi a fissarlo - “Non avevi tanto da fare? Sparisci!”

Poi si girò verso di lei.

 

Mia moglie ed io dobbiamo scambiare due parole.”

 

Donna si trattenne dal fuggire. Inevitabile, troppo tardi per farlo. Annuì, soltanto, indicandogli la sala riunioni.

Le tremava la mano, ma Methos fece finta di non vedere.

Harvey aprì la bocca e la richiuse. E, alzando le braccia per esasperazione, tornò da dove era venuto.

Poi riapparve sulla porta.

“Se le fai male io giuro che io...”

“Cosa! Lo sai che sei balbuziente come il 'Ludovico il Breve', oggi? E non mi fai paura!” - gli urlò Methos, affacciandosi dalla soglia che stava varcando - “Pensa alla tua testa e non alla mia, camperai cent'anni!”

 

***

 

“E' un'impressione o mi ha appena chiamato Ludovico il Breve?” - domandò Louis, fermandosi sulla soglia e accertandosi di esserne scenicamente al centro - “Perchè, se è così, adesso io...”

“E' con Donna.” - lo interruppe Harvey, in piedi dietro la scrivania, senza alzare la testa dagli incartamenti.

“Oh.” - Louis rimase con il dito di minaccia puntato verso il vuoto. Poi entrò e gli arrivò di fronte - “E li lasciamo soli? Voglio dire...”

“So cosa vuoi dire.” - sospirò Harvey, alzando lo sguardo verso di lui - “E non ci immischiamo.”

Louis sospirò, contrariato. Non che Methos, a conti fatti, fosse davvero questa gran carogna (no, diamine, lo era, eccome...) e, ipotizzare che lo fosse con Donna...

Sì, ok, non mi impiccio.

“E tu?”

“Io vedo mia moglie a cena.” - rispose Harvey, assorto in una lunga lista di conti bancari - “Ti lascio il testamento nel cassetto e le pratiche della fusione Hoylteck sulla scrivania. Per il resto, chiedi a Donna.”

Alzò gli occhi, incerto se proseguire la frase.

“E occupati di lei, ok?” - chiese. Poi esitò un attimo e aggiunse - “E di Mike.”

Louis aveva un modo tutto suo di accettare i grandi incarichi. Si commuoveva ma fingeva di essere un duro, tutto occhi lucidi e solenni frasi clichè. Annuiva, in muto, quasi subissato dal proprio dramma.

Poi rispondeva.

No, anzi, declamava.

“Hai la mia parola. Fino alla morte.” - rispose, infatti, con voce strozzata, dopo un lungo e drammatico silenzio. Come, del resto, ricordò Harvey, gli aveva visto fare anche davanti a Carlo V che gli rifilava una porzione di Fiandre come se fosse un uovo di Pasqua.

“Bene.”

“Bene.” - fece eco Louis, reprimendo l'ondata emotiva e complimentandosi con se stesso per tanta forza d'animo. Poi si ricompose - “Vuoi una mano con quei dati?”

“Sì, grazie.” - rispose Harvey, posandogli sul palmo teso il plico - “Mi stanno facendo diventare matto.”

 

***

 

“Come mai non hai le scarpe?” - chiese Donna, quando ne ebbe abbastanza del fissarsi in silenzio in una sala riunioni vuota.

“Penso meglio a piedi nudi.” - replicò lui, cercando di essere rassicurante e piacevole, con le mani in tasca e il collo lievemente piegato, per non sovrastarla - “Le ho lasciate di là da Harv, se vuoi...”

“No, per carità, stagli alla larga. Ha una deposizione, sarà un fascio di nervi.” - lo interruppe lei, spalancando gli occhi. Si zittì, poi gli indicò le due poltroncine d'angolo - “Vuoi che...”

“Ottima idea.” - Methos le tenne la sedia, da galantuomo, poi si accomodò. Sorrise, guardandola portare una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Poi tornò serio - “Donna, non sarei venuto se non fosse stato necessario.”

“Lo so. Per questo sono preoccupata.” - rispose lei, incerta se guardarlo o fissarsi le mani. Poi, decisa a mostrare coraggio, alzò gli occhi verso i suoi - “Devo preoccuparmi?”

“Non posso dirti di non farlo.” - ammise Methos, posando le mani intrecciate sul tavolo, poco lontane dalle sue - “Kalinda è...”

“Kalinda? Si tratta di Kalinda?” - Donna si lasciò andare indietro, contro lo schienale. - “Allora non si tratta di perdere la testa, lui l'ha...”

Si interruppe, ebbe l'impressione di non avere più aria nei polmoni, che una mazzata si fosse abbattuta su di lei senza alcuna pietà.

“Tu ci sei andato a letto.” - disse soltanto. E, a rigor di logica, si rammentò, non le sarebbe dovuto importare.

Lei aveva chiesto il divorzio.

E lui, anche la chiamava moglie e non ex, l'aveva concesso. Aveva capito e concesso.

Erano liberi. Erano due adulti, erano liberi e vivevano come liberi adulti.

E continuare a ripeterselo cambiando l'ordine delle parole non aiutava per niente.

Methos non rispose. Poteva confermare o negare e, in entrambi i casi, il danno era comunque fatto. Di nuovo.

Dannazione agli Hamptons.

 

E dannazione pure a Nolan Ross!

 

La prossima volta vado a Washington da Gibbs.

 

“Bene.” - Donna tamburellò sul ripiano e portò avanti le proprie deduzioni - “E le hai detto dove trovare Harvey?”

“Credo lo sapesse già...” - ammise lui.

“E...”

“Ed era più interessata a sapere se ci fosse qualcuna oppure no.”

Donna non replicò. Che fosse così oppure no, il problema restava: Kalinda era in città e, dopo decenni passati a ignorarsi, si sarebbe incontrata con Harvey.

Ed incontrarsi, tra immortali, non significava solo un cocktail e qualche aneddoto sui bei tempi andati. Donna aveva vissuto troppo tempo con Harvey per non sapere che spesso, dalle rimpatriate, si torna sanguinando, così frastornati da non avere nemmeno la forza di alzare un braccio.

Aveva imparato presto, prima ancora di saper leggere e scrivere, era vissuta più tra gli immortali che tra gli uomini. Sapeva cosa fosse la reminiscenza, sapeva vederla in Harvey, percepirla quasi con lui, nel dilatarsi delle pupille, nel modo di tendersi, come in ascolto. Sapeva cosa fosse un combattimento, come l'energia del vinto passasse al vincitore, sconvolgendolo, destrutturandolo, comprimendo nuove nozioni in un cervello già sovraccarico dal peso dei millenni.

“Uccidere Kalinda potrebbe distruggerlo.” - sussurrò, dando forma alle proprie paure.

“E non farlo potrebbe costargli la vita.” - completò Methos, senza cedere al desiderio di rassicurarla. Era la verità, la dura realtà dei fatti, non si poteva comprendere, non si poteva cambiare.

Allungò le dita, fino a prenderle la mano.

“Dovrà decidere Harvey.”

“E' questo che mi spaventa.”

Kalinda gli ha già preso il cuore. Quanto dovrà sforzarsi per strappargli anche la testa?

“Restiamo assieme stasera.” - mormorò Methos, guardandola e stringendole le dita, mentre alzava gli occhi e spingeva lontano lo sguardo a caccia di una comprensione degli eventi che sapeva di non poter raggiungere.

Il profilo di Donna annuì. Ma, per Methos, era già abbastanza. Come la mano che ora, sotto la sua, ricambiava il contatto, aggrappandosi.

 

***

 

Ore sette. Finalmente.

La scrivania era in ordine, la deposizione era già protocollata, le pratiche nello schedario.

Louis si era portato via alcuni documenti, ma glieli avrebbe fatti trovare sulla scrivania l'indomani.

L'aveva promesso. Harvey non aveva motivi per dubitare della sua parola.

Methos e Donna erano usciti incolumi dalla sala riunioni. Lei era ancora alla sua postazione, al telefono, una penna battuta ritmicamente a dimostrare quanto, all'altro capo del filo, la stessero irritando. Lui, seduto sul divano con i piedi sul tavolino, si era letto una decina di riviste forensi, borbottando ogni tanto su questo, quello e sulla ormai dimenticata legge del taglione. Si era servito da bere, si era procurato qualcosa da mangiare e aveva opportunamente scelto di volatilizzarsi quando aveva visto Jessica apparire oltre la vetrata.

Ora, però, erano le sette.

Ed era il momento di andare.

Harvey si alzò, lisciò la giacca e chiuse il bottone, ricapitolando il deciso.

Mike, ragionò soltanto. Non aveva pensato a Mike ed al suo futuro.

Con un ripensamento, riaprì il primo cassetto della scrivania e verificò il contenuto.

No, si complimentò con se stesso, anche Mike è a posto. Donna saprà cosa fare.

 

Chiuse a doppia mandata e posò la chiave sul ripiano della scrivania, di modo che Donna, spegnendo le luci, la prendesse.

C'era una sacca, appoggiata a terra, preparata proprio quel pomeriggio, tra una pratica e l'altra. E Harvey se la caricò in spalla, sentendola pesare il giusto, percependone il potere rassicurante.

 

Il mondo era mutato, con le regole, assieme alle persone. Ma la lama... c'era sempre stata una lama.

E ci sarebbe sempre stata una lama.

 

Si raddrizzò, con un sospiro e uscì dall'ufficio, fingendo che Methos non ci fosse.

Con un cenno di saluto a Donna, si avviò verso l'ingresso, come tutte le sere.

Lei rimase immobile, osservandolo allontanarsi. Methos, alzatosi, si appoggiò allo stipite della porta, seguendolo con lo sguardo.

Harvey Specter andava in guerra, con le armi in spalla e l'aspetto fiero.

E lo faceva senza voltarsi indietro.

Senza rimpiangere nulla.

 

Attesero che le porte si richiudessero.

 

Poi Methos alzò un mazzo tintinnante con una papera di pelo attaccata.

“Gli ho rubato le chiavi di casa.” - comunicò, laconico, come se fosse una cosa ovvia - “Andiamo ad aspettarlo.”

“Hai sprecato il tuo tempo e le tue doti.” - replicò lei, afferrando la giacca con un sospiro ed entrando nell'ufficio per spegnere le luci - “Io avevo quello di scorta già nella borsa.”

 

***

 

Kalinda aveva scelto un abito succinto e un locale alla moda.

Aveva atteso Harvey al bancone e lui, porgendole il braccio, l'aveva accompagnata ad un tavolino d'angolo. Poi aveva ordinato per entrambi e questo le aveva dato il tempo di contemplarlo.

Capelli corti, alla moda, completo su misura... poteva non avere più le chiome lunghe e aver cambiato nome, ma era sempre lui.

“Come ti ricordavo.” - sospirò, con una punta di autocompiacimento.

Ed Harvey le sorrise, lasciandosi andare contro il divanetto.

“Credevo di dover essere io, a complimentarmi con te.”

“Sei stato lento.” - spiegò lei, lasciandosi scivolare contro lo schienale e piegando le ginocchia, lieve come una gatta - “Non facciamone un dramma.”

Si fissarono. Lei si arrotolava, pensosa, una ciocca di capelli neri come la notte.

“Sono ancora bella?”

“Più bella.” - ammise lui. Aveva un sorriso da eterno ragazzino, con gli occhi luminosi, la bocca in una linea irregolare, eppure di pura gioia - “Devi far strage di cuori, in questa epoca più del solito.”

“Oh, sì questo secolo è la mia culla.” - Kalinda ricambiò il sorriso, piegando la testa fino a posarla sul braccio - “Vorrei che non finisse mai.”

“Comprensibile.” - erano arrivati i cocktail, tanto valeva non dire nulla e attendere che il cameriere si allontanasse - “A cosa devo il piacere della tua visita?”

“Avevo voglia di parlare, di ballare...” - enumerò, con voce modulata - “Vederti...”

“Ucciderti...” - aggiunse Harvey, con tono altrettanto intenso.

“Forse. Ma, volendo, prima...”

“Prima...”

“Prima potremmo far qualcosa di diverso e...” - sollevò un bicchiere e lo portò alle labbra - “Amarci... ancora un poco...”

“Perchè no.” - rispose lui, imitandola nel gesto e bevendo un sorso di vino - “Perchè no...”

 

Il cuore l'hai avuto. Per la testa c'è sempre tempo.

 

***

 

L'appartamento di Harvey era vasto, sopra i cieli della città. La vista toglieva il fiato e Methos, in piedi davanti alla vetrata, iniziava ad intuire perché l'avvocato amasse tanto le finestre e vi sostasse innanzi così a lungo.

Il mondo appariva infinito: le luci, ripetendosi ad oltranza, accompagnavano lo sguardo fino all'orizzonte, conducendolo all'illusoria certezza che non esistesse il buio. Era bello, inquietante.

E suscitava meraviglia, meraviglia innanzi agli occhi di chi, come Harvey e Methos stesso, aveva visto il mondo cadere nel buio ad ogni tramonto, per secoli e secoli.

Stupore infinito e speranza.

Speranza.

Superò la soglia, scendendo i due gradini che conducevano alla vasca a idromassaggio e ad alcune sdraio in legno. Il percorso, illuminato da discreti faretti a terra, gli dava l'impressione di camminare sulla luce stessa.

Donna lo attendeva in fondo a uno stretto passaggio, i piedi immersi nell'acqua immobile. L'impianto della vasca era spento, nessun ronzio spezzava la quiete notturna.

“Hai freddo?” - chiese, notando la giacca sulla sdraio e il modo che aveva di abbracciarsi.

Senza attendere risposta, posò la spada e portò con sé l'indumento, coprendole le spalle e sedendosi a fianco.

“Caffè?”

“Se così vogliamo chiamarlo...” - scherzò lui, immergendo la punta del piede in acqua per saggiarne la temperatura.

“Sempre scalzo...” - ribattè lei, in un analogo tentativo di essere piacevole.

“Che vuoi che ti dica... sono un uomo con molti pensieri.” - rispose, modesto, porgendole la tazza, perché ne bevesse un sorso.

Il loro matrimonio era stato così, prima che tutto andasse a rotoli: parole sottovoce, una tazza calda in due, il leggero sfiorarsi che era sempre promessa e dolcezza insieme.

Mi manchi, avrebbe voluto dirle Methos. Mi manchi tanto e il tempo vola via, vola via senza lasciarci altri ricordi.

Ma le avrebbe fatto male. E se ne erano già fatti tanto, dopotutto, inutile insistere.

Con un sospiro, però, le cinse le spalle con un braccio, cedendole del tutto il caffè.

Rimasero assorti ognuno nei propri pensieri, gli occhi fissi ai riflessi metallici dell'acqua, in contrasto con il fondo color pastello della vasca.

“Davvero si chiama Hervè?” - domandò Donna, spezzando il silenzio e sorprendendolo.

Huiarnviu.” - replicò Methos, impostando le parole su una cadenza che le apparve musicale e lontana - “E' bretone, significa lama lucente. Si chiamava così, ma lo ha abbandonato presto.”

Perchè?”

Credo che gli ricordasse la sua casa, le sue origini. Era qualcuno dalle sue parti, sarebbe potuto diventare re, se le cose fossero andate diversamente. Il Maine era una contea piccola, ma lì sono cominciate tante cose comunque.”

Maine...”

Credimi, ora nessuno sa più bene dove fosse ma allora aveva davvero un gran peso. I re si sono battuti per quel buco fino all'età moderna. C'è voluta la scoperta dell'America per cominciare a non badare più a certi posti.”

La scoperta dell'America.” - Donna rise, piano. Methos aveva un modo banale per dire cose surreali che, da sempre, la sconvolgeva e la irritava. Ma cosa poteva essere, per lui, la scoperta dell'America, se non un attimo tra tanti?

Era ancora così importante, se ti portavi dietro cinquemila anni di mondo?

E Harvey? Cosa pensava quell'uomo che aveva rinunciato ad un nome tanto musicale e a un trono della scoperta dell' America? Non aveva mai pensato di chiederglielo. Era stato Harvey ad insegnarle ad amare la conoscenza, a leggere di storia come se fosse poesia... ma lo aveva fatto senza mai lasciar trapelare nulla che non fosse già sui libri.

“Lama Lucente... sembra un nome da capo tribù.”

“Credo che adesso lo tradurrebbero come Battle Whorthy 'degno in battaglia'. È un nome da guerriero.”

“Lui lo è.”

“Eccome. Lo è sempre stato.” - Methos scosse la testa, divertito - “Come quell'altro, non ha di certo preso da me.”

“Quell'altro?” - chiese Donna, voltandosi.

“Eddy. Edward. È parecchio più giovane, diciamo che è il cucciolo di casa. Harvey se ne è dovuto occupare per un po' e gli ha insegnato a tirare di scherma al posto mio.” - spiegò, edulcorando l'affermazione dalle litigate che avevano accompagnato la scelta intellettuale.

“Lo vuoi fracassato e morto entro un decennio o gli diamo qualche chance?” - aveva chiesto Harvey, l'anno in cui era morto Lincoln, indicando Edward che, seduto su un gradino, si tamponava una ferita al petto grossa come una mela - “Solo per sapere, si intende. E, se non ti va che io gli insegni, spiegagli almeno come si fa a correre veloce. O trovagli una babysitter grossa come un mastino.”

Methos sorrise, ripensandoci. Alla fine aveva scelto Edward, per chiudere la faccenda diplomaticamente, come suo solito. Ed Harvey era stato bravo. Dannatamente bravo.

“Harvey sa essere un fantastico mentore.” - sospirò, accettando la tazza semivuota e terminandone il contenuto.

“E, questo...” - sospirò Donna, pensando a Mike - “Potrebbe averlo imparato da te.”

“Non credo, ma accetto il complimento.” - rispose lui, voltando la testa.

Erano vicini. Troppo.

E lo sapevano entrambi.

 

Se adesso... adesso ti baciassi...

 

Methos alzò lo sguardo, osservando la chioma, il rosso intenso. Fuoco filato. Fuoco incredibilmente morbido, da afferrare con le dita.

Quando quella mano le scivolò i capelli, donna sentì pulsare nuovamente il dolore. Il dolore di non aver sopportato di non essere l'unica, la frustrazione ad aver colto, nei suoi gesti, nei suoi occhi, il ricordo pieno di rimpianto per altre donne.

Si era chiesta a lungo cosa ci fosse in lei, in grado di ricordargli tanto di tanti volti, se Methos forgiasse l'amore dall'unione di particolari di altre donne, come un novello Frankenstein, pronto ad assemblare un Novello Prometeo dagli amori peyrduti. E, poco a poco, si era persa nell'angoscia di non poter essere amata per l'unicità ma soltanto per ciò che poteva mantenere in vita di vite estranee alla propria.

E così era finita, di necessità, prima di divenire folle, torturandosi per quella Sinead rossa di capelli di cui aveva trovato la fotografia, per quella Cassandra chiamata in sogno, per ogni altra trapelata durante la loro breve vita coniugale, per il dubbio che il proprio 'essere tutto' non fosse essere 'se stessa'.

 

Methos non aveva saputo negare. Non aveva voluto.

Ed era finita.

Ma Donna sapeva che non sarebbe finita mai. Perché lei era tante donne, tutte assieme... e lui era unico.

 

“Fermati.” - sussurrò comunque, non riuscendo a mascherare il tremito nella voce.

E Methos lo fece. La mano le ricadde sulla spalla, lasciandole un senso di freddo addosso.

“Perdonami.” - disse, mentre la fronte di Donna, in un attimo di stanchezza, gli scivolava fino alle labbra - “Non volevo.”

“Dimmi solo che sei con me. E con nessun altra.” - mentimi, se necessario.

“Non c'è nessun altra, Donna.” - non c'è da molto tempo...

Donna chiuse gli occhi. E, con gli occhi chiusi, lo sentì tendersi, divenire freddo.

Reminiscenza.

Alzò la testa, di scatto, mentre Methos si voltava in direzione della porta.

Lo guardò alzarsi, la spada in pugno, la camminata spedita verso l'appartamento. E, lasciando cadere a terra la giacca, gli corse dietro, lasciando impronte umide a terra.

 

***

 

Harvey posò la sacca a terra, in un angolo dell'ingresso. Si sfilò la giacca, lentamente, mettendo a nudo un'enorme macchia rossa.

Guardò Methos apparire dall'arco del salone, con la spada stretta in pugno.

“E' rimarginata.” - comunicò, vedendo gli occhi dell'altro posarsi sulla camicia - “Sono solo indolenzito.”

“Noto.” - rispose Methos, percorrendolo con occhio clinico. Dovevano esserci parecchie ferite sotto quei vestiti, da come si muoveva.

Ma lui, dentro, come stava?

“E' finita?” - domandò.

“Risolto il problema.” - rispose Harvey, posando alcuni oggetti nella coppa sul mobile. Un anello, un orecchino... piccoli ricordi luccicanti.

Barcollò e si appoggiò al ripiano. Quando alzò lo sguardo e incontrò il proprio riflesso, nello specchio, un flash lo colse del tutto impreparato.

 

Kalinda.

Il suo corpo, la sua pelle, la forza con cui si era aggrappata a lui, ai suoi fianchi, alle sue spalle.

La forza con cui aveva piantato la lama. E girato.

Girato.

 

Sbattè le palpebre, incerto.

“Aspetta.” - ordinò Methos, afferrando Donna per un braccio e trattenendola dal correre verso di lui - “Non è ancora finita.”

Quando uccidiamo, tutto ciò che era il nostro avversario entra in noi, si apre una strada tra i nostri pensieri e i nostri ricordi, con violenza. Ci vuole forza per sapere cosa ci appartiene e cosa ci è stato donato.

Ci vuole forza.

E si è soli, innanzi al dolore.

 

Harvey ebbe la straniante impressione di vedersi, come dall'esterno. Si vide agghindato con le vesti tradizionali indiane, la mano di Kalinda stretta nella propria. Si fissò le dita, incerto, ricordando le sue. Era il loro matrimonio... eppure il ricordo era capovolto.

Si rivide, come in fotogrammi sovrapposti, nel fluire del tempo. I capelli più corti, la barba, la sua assenza, la spada, la nudità, il buio e la luce.

Ricordi, ricordi non miei, si ripetè, disperato, chiudendo gli occhi.

Ricordi di Kalinda e... sentimenti. I suoi... sentimenti.

 

Lasciò che le immagini continuassero a riempirgli la mente, sovrapponendosi, come se il tempo non contasse, come se tutte, nella mente della donna, fossero finite in unico pozzo privo di ordine da cui ora traboccavano impietose, inondando ogni altro pensiero.

Immagini, così tante immagini di lui da impedirgli di respirare.

 

***

 

Avevano fatto ciò che lei aveva capricciosamente chiesto. Vedersi, parlarsi, respirarsi... e, infine, perdere i vestiti, con dolcezza e solennità, uno alla volta. Lentamente. Dolorosamente, alla ricerca di un'illusione per un tempo perduto che non non poteva tornare.

 

Kalinda sapeva ancora di Sandalo e cumino. Di bruciato, aveva riso lui, i primi tempi in oriente, rimpiangendo le donne europee tanto fissate con le fragranze leggiadre. E aveva rimpianto quegli aromi finchè New York non si era offerta, invitante, ai suoi piedi, nel nuovo secolo.

Profumo di vita, intenso, fastidioso.

Profumo che sa di bruciato, come un incendio che porta via tutto.

Era così che era stato, prima che l'India divenisse moderna, mentre cresceva la ferrovia, divorando la jungla, mentre il Gange si riempiva dei morti delle epidemie, mentre nascevano le prime università e si attendeva un'indipendenza che non voleva giungere.

Prima della nascita di un congresso, prima di Gandhi.

Ed era già finito, quando un pugno di sale aveva cambiato il mondo.

Finito, insepolto, una mattina, sulle rive del Gange.

 

Ed ora... Ora i tessuti erano più morbidi ma meno profumati, le stanze più luminose, meno calde, ma la solennità di scoprirsi non era cambiata, come la necessità di rievocare la libertà che avevano condiviso. Sandalo e Cumino, sulle labbra e sul viso.

 

Poi, dopo l'amore, la morte. Un parcheggio coperto, un angolo senza telecamere, in cui nessuno avrebbe fatto domande.

Sangue. La stessa solennità a celare la violenza e la distruzione con cui sapevano amarsi, la stessa indomata necessità di prevaricare.

E, infine, la consapevolezza di Harvey di essere più forte, di essere il più forte... e di poter leggere, negli occhi di Kalinda, l'epilogo.

Si era battuta, battuta fino alla fine. Lo aveva fatto sorridendo, come chi cela un segreto e non arretra innanzi a nulla.

Ma sapeva.

 

Sapeva di non poter vincere, troppo giovane rispetto a lui.

Ma, del resto, chi meglio di lui per continuare a vivere?

 

Quando la testa di Kalinda si era separata dal corpo ed era iniziata la reminiscenza con cui le sue conoscenze sarebbero migrate da un corpo ad un altro, Harvey, stremato per le ferite e il combattimento, era stato investito da una piena di nozioni su luoghi, posti e competenze che non credeva nemmeno che Kalinda possedesse.

Aveva avuto in dono la sua vita, i suoi segreti professionali, le sue passioni, le sue incertezze. Aveva scoperto di conoscerla davvero e se ne era, in cuor suo, rallegrato, come se quell'ultima tragica conferma salvasse qualcosa di un amore da tempo divenuto odio.

Aveva visto il ventesimo secolo scorrergli davanti agli occhi, inesorabile ed era tornato sulla riva del Gange, ancora una volta, a celebrare l'alba, la vita e la morte.

E, quando la scariche elettrostatiche si erano placate e il cielo era tornato buio sullo spiazzo isolato, si era messo in piedi, per andarsene, non visto, prima che fosse tardi. Aveva camminato, sentendosi come svuotato, più che riempito e, con poche telefonate, aveva gestito il dovuto. Poi, in metropolitana, stringendo bene la giacca per nascondere le ferite, aveva atteso la guarigione.

 

E, passo dopo passo, qualcosa aveva iniziato a cambiare.

Dapprima erano stati come sbalzi di pressione, piccoli sussulti che avevano iniziato a comprimergli le tempie. Poi, poco a poco, il dolore era aumentato ed erano ricominciati i flash.

 

Altri ricordi. Altre conoscenze.

Ma, questa volta, si trattava di lui. Soltanto di lui. Di loro.

Aveva varcato la soglia di casa rendendosi a malapena conto della presenza di un altro immortale.

Vedeva se stesso, come distorto da un velo d'acqua. Un se stesso diverso, in divisa, poi in abito scuro, un se stesso cambiato, per strada, troppo lontano per provocare la reminiscenza, sorridente, con una bambina dai capelli rossi per mano.

In piedi nella hall di un albergo, con Mike. Di corsa, in Central Park, con la felpa addosso e le scarpe slacciate.

Se stesso.

 

Dannazione, Kalinda... hai sempre saputo dov'ero. Perché ora?

 

E, una volta, dentro uno di quei ricordi, nel vedersi, aveva portato una mano nella visuale, come per asciugare una lacrima.

Kalinda... Kalinda sapeva ancora piangere?

Non era bastato un secolo di orrori e guerre a cancellare la capacità di soffrire?

No, si ripetè. Kalinda sapeva amare.

E stasera te ne ha dato prova, una volta per tutte.

Non stai provando odio.

Perché lei non ne provava per te.

 

Chiuse gli occhi, abbacinato dalla certezza di ciò che aveva compreso. Posò gli avambracci sul mobile dell'ingresso, respirando.

 

Non c'è odio.

Non c'è odio da nessuna parte.

 

“Vai.” - mormorò Methos, lasciando il braccio di Donna. E mise le mani in tasca, restando immobile, di guardia.

 

Mi amava.

Mi amava.

E io l'ho uccisa.

 

***

 

Gli avevano tolto i vestiti. Si era concesso una doccia. E un bicchiere di vino rosso, fissando le luci della città.

Non gli avevano rivolto la parola. E, quando si era addormentato sul divano, Donna era andata a casa.

“Voglio essere in ufficio prima di lui.” - disse, già sulla porta, stringendosi la giacca indosso e tormentandone la cintura - “Resta dove sei o sarà peggio.”

Come aveva fatto poco prima, Methos mise le mani in tasca e rimase al suo posto, serio.

“Sei certo che non vuoi...”

“Non voglio restare. E non voglio che mi accompagni.” - sorrise lei, con tristezza - “Ma promettimi che, domani, verrai a salutarmi.”

“Hai la mia parola.”

“E promettimi che non ci vedremo mai più.”

“L'ho già fatto una volta e non ho potuto mantenere la mia parola. Vuoi davvero che lo faccia di nuovo?”

Donna non rispose. Aprì la porta, restando immobile, come se volesse imprimerselo un'ultima volta nella mente.

“A domani.” - disse lui, spezzando l'agonia, opponendosi, come sempre, alla caduta nel baratro.

Il suono della porta che si chiudeva fu il suo saluto.

 

***

 

Alle sette, Harvey, come un automa, si sedette al centro del divano e posò i piedi sul pavimento.

Una mano gli porse un caffè. Harvey alzò la testa, frastornato, guardandolo.

“Buongiorno.” - sorrise Methos, sovrastandolo. Aveva i capelli umidi e una felpa non sua addosso.

 

Una felpa che, di certo, non gli avrebbe restituito.

 

Harvey accettò il caffè, senza commentare, restando con il viso alzato verso di lui.

“Perchè il telefono suonava alle sei?” - domandò, dopo il primo ustionante sorso.

“Perchè il cucciolo di casa è una zia ansiosa.” - fu la criptica risposta.

Anche questo non era da commentare. Bastava un altro sorso.

Ancora troppo caldo.

“Lei non mi odiava.” - comunicò, posando la tazza sul tavolino.

“Sì, avevo intuito che fosse questo il problema.”

“E sapeva dov'ero.”

Allora non mi sono sbagliato, ragionò Methos. Sapeva il dove ma non sapeva il come.

Voleva essere l'unica, ancora una volta.

“Credo volesse morire e abbia scelto me.”

“Lo so.” - soffiò Methos, facendo sparire il naso importante dentro al boccale - “Sono giunto anche io a questa conclusione.”

Non ti avrebbe ucciso nemmeno se le avessi offerto la possibilità. E, avessi rinunciato al combattimento, avrebbe atteso un'altra occasione.

“Io credo...” - aggiunse, molto lentamente - “...che fosse giunta alla Saṃnyāsa.”

Harvey alzò la testa, ascoltandolo. Conosceva quel termine, era identificativo per il quarto passaggio ascetico degli Hindu. A rigor di logica, dal percorso erano escluse le donne... ma Kalinda su certe diseguaglianze aveva sempre saputo chiudere la mente.

“Sono un essere umano. Questo basta.” - diceva, in un tempo in cui il mondo cominciava a cambiare più veloce e le idee, in certe menti, iniziavano a fare altrettanto - “Ho un'anima. Scelgo per lei.” 

“Giungendo alla Samnyāsa, si rinuncia alla vita come alla morte. E non si può più provocare morte, se non rinunciando alla propria purezza.” - aggiunse, con lentezza, Methos - “Il Manusmṛti è preciso a riguardo...”

 

Egli non aspirerà alla morte né aspirerà alla vita. Semplicemente attenderà il proprio tempo, come un servitore attende la ricompensa


Eri tu il compiersi del tempo. Non so perché lo abbia dedotto, cosa l'abbia convinta.

Ma così era. Dovevi essere tu il guerriero che, uccidendola, la privava dell'essenza in maniera onorevole e senza macchiarla di peccato.

“Avete rinnovato la vostra unione prima di combattere, immagino: tu, sul corpo, avevi l'aroma dell'incenso e degli olii benedicenti. Lei doveva averli sulle mani, nei capelli, per essere certa di ricoprirti.”

“Cumino.” - confermò Harvey, fissando il nero del caffè, senza riuscire a vedere il fondo - “Ne ho riconosciute altre, ma non ricordo i nomi.”

Methos sospirò, piano. Gli erano volute parecchie ore per giungere a quella conclusione. Ore passate insonni, in piedi, percorrendo ininterrottamente l'ampio salone.

Era stata la seconda spada nella sacca di Harvey a metterlo sul chi vive: era la prima volta che la vedeva.

 

Kalinda non era mai stata armata nei loro precedenti incontri.

Un azzardo, per un immortale.

Uno sbaglio, forse, ma non una distrazione. Kalinda non era tipo da distrazioni.

 

“Eri suo marito, ti doveva obbedienza.” - concluse - “Tu potevi decidere della sua vita come della sua morte.”

“Così ogni regola sarebbe stata rispettata.”

“E lei sarebbe vissuta, in te.”

 

Con te. Per sempre.

E' scivolata in te, come se tu fossi il Gange. E tu l'hai purificata di ogni peccato.

 

“Se vorrai permettermelo, io la riporterò a casa. Riporterò le sue ceneri a Varanasi.” - disse Methos.

Harvey annuì, senza commentare.

“Vado a vestirmi.” - mormorò, alzandosi- “Mi aspettano in tribunale.”

 

***

 

“Saṃnyāsa.” - annuì con aria saggia Louis, con il canonico movimento a 'collo di gallina' - “Plausibile.”

“E' plausibile solo se hai un'altra teoria. Altrimenti ho ragione.”

“Ok, Methos. Hai ragione. Va bene così?”

“Meglio, grazie.” - Methos si protese, afferrò il portafoto e spolverò l'immagine del gatto. Poi la ripose al suo posto e risprofondò nella poltroncina.

Louis modificò le coordinate della cornice di qualche decimo di millimetro e tornò alla posizione originaria.

“Quindi lo amava. Lei, intendo...”

“Più di quanto Harvey avesse capito, a quanto sembra.”

“E lui, come sta?”

“Non gli ha fatto piacere capirlo in questo modo. Ma starà bene. Non stargli addosso.”

Louis, tamburellò sul ripiano, ragionando.

“Cosa non ti è chiaro?” - domandò Methos.

“Perchè ora e qui. Hai detto che sapeva dove fosse... perché ora.”

“Credo di essere stato io.” - sospirò Methos, fissando le proprie gambe allungate e i proprio piedi, stretti negli anfibi.

Le scarpe lo stringevano, erano scomode.

Dannatamente scomode.

Magari poteva levarsele...

Louis, intanto, rigirava l'informazione in testa, spremendola.

“Perchè!” - esclamò, a fine analisi.

“Perchè sono vecchio come la sua religione e i suoi dei, suppongo. Mi ha incontrato, abbiamo parlato e... ed ero il segno che attendeva.”

Ho accelerato il corso degli eventi... non ne avrò mai la certezza.

“Questo mi sembra solo plausibile.”

“Allora avrai una teoria migliore, suppongo.”

“Sì, ho una teoria migliore. Ma non voglio litigare.”

Methos intrecciò le mani sullo stomaco, squadrandolo.

“Stupiscimi, tappo.” - districò le dita, indicando l'ambiente circostante - “Terreno consacrato, dimmi tutto quello che vuoi.”

“Stanchezza. Era stanca, Methos. Stanca di non poter morire.”

Così semplice da essere vera, considerò Methos. Ma, da qui al dargli ragione...

“Tutto qui?”

“Sì, tutto qui. Non tutti abbiamo le risorse per vivere millenni. Non sei stato la sua epifania, sei stato solo una buona occasione.” - ammise, Louis, compiaciuto di se stesso - “Tu hai acceso la miccia di Harvey, lo hai messo sul chi vive, preparato alla battaglia e … oh!”

Si interruppe, la bocca come una O perfetta. Poi le sopracciglia aggrottate, come una scimmia.

“E' peggio della tua teoria.” - commentò, fissandolo. Methos aveva uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo.

“Certo che lo è, Ludovico!” - ribattè, seccato - “Ma ti sembra una cosa gentile da dirmi? Sembravo Iago in quel tuo dannato Othello!

“Methos, hai ragione. Ti faccio le mie scuse e ritratto.”

“Mi fai desiderare di aspettarti fuori.”

“Adesso non essere frettoloso nelle tue decisioni.”

“Frettoloso? Io? Ma quando mai!” - ringhiò, strofinandosi di nuovo la base del collo. Era come avere un prurito, un fastidio...

“Chiedo scusa.” - mormorò una voce, dalla soglia.

Si voltarono entrambi, all'unisono.

“Torno dopo?” - domandò il ragazzo biondo, in piedi sulla porta. Era chiaro di carnagione e di occhi. E sembrava un imboscato alla festa degli adulti.

“Mike, entra.” - ordinò Louis, tendendo la mano perché gli portasse la pratica a domicilio.

Methos lo osservò attraversare l'ambiente, continuando a grattarsi un orecchio.

Vestiva come Harvey, camminava come Harvey... Louis lo fissava come se fosse una gigante Banana Split...

“Ma non mi dire...” - commentò, sporgendosi oltre il bracciolo e guardandolo andarsene con camminata sciolta - “Ma tu guarda...”

“Già. Ma non è mio. E' di Harvey. ”

Comne se fosse un particolare che non si nota...

“E Harvey lo sa, questa volta, immagino...”

“Non è innamorato di lui per cui sì, se ne è accorto.” - Louis si bloccò e alzò la testa, con aria perplessa - “Era una battuta di cattivo gusto?”

“Non ne sono sicuro...” - replicò Methos, distratto, continuando a stare appollaiato sul bracciolo per seguire gli spostamenti del biondino - “Di Harvey, quindi...”

“Sì. È molto promettente.” - commentò Louis sfogliando gli incartamenti - “Ma io lo proteggo, sai, lo svezzo...”

“Credimi, si vede lontano un chilometro.” - come si vede che non è un avvocato...

“Che mi sto occupando di lui?”

“No, che se ne sta occupando Harvey. Ha già la sua firma più o meno dappertutto.”

“E la mia? Non noti...”

“Uh, si, decisamente. Dopo averti parlato aveva un po' di pelo di gatto sulla giacca.”

 

***

 

Harvey fece la sua apparizione alle undici. L'ascensore si aprì un istante dopo aver aggiustato la giacca e un secondo dopo aver verificato che le scarpe fossero lucide.

Si concesse una pausa scenica. Poi varcò i cancelli del suo reame con eleganza e padronanza, riempiendo l'ambiente circostante con il proprio ego: le segretarie, già al lavoro, lo avevano sbirciato con il canonico appetito, i soci lo avevano salutato, ammirati.

Harvey aveva dispensato magnanimi cenni del capo, eccetera, eccetera. Tutto come al solito, considerò Donna, attendendolo in fondo al corridoio, con un mezzo sorriso.

Harvey Specter, la lama lucente della Pearson Hardman.

“Mio signore....” - lo salutò, portando sopra la testa la pratica e reggendo con due dita la gonna per inchinarsi - “Siete tornato...”

“Cosa ti ha raccontato?” - domandò Harvey, divertito, raggiungendola.

“Nulla, mio signor Huarnù, Huiarn...” - si interruppe, cercando di frenare le sillabe disordinate che le uscivano dalla bocca- - “Hervè, insomma. Ma in bretone.”

Harvey rise, piano. E prelevò la pratica che Donna reggeva ancora in alto, sopra la testa.

Huiarnviu.” - la corresse, piegando la testa per leggere i fogli e giungendole incredibilmente vicino - “Ma Harvey va bene uguale.”

Profumava ancora di incenso, come la notte prima. Di bruciato, avrebbe detto Donna, poco poeticamente, guardandolo leggere e attendendo, in silenzio, che le restituisse il documento.

Quando lo fece, le loro mani si incontrarono. E i loro occhi fecero altrettanto.

Grazie, per stanotte.” - sussurrò lui.

E lei gli carezzò il viso, dolcemente.

Huiarnviu.” - ripetè, decisa. Harvey le sorrise ancora, in quel suo modo un po' asimmetrico.

Sì, meglio. Ma limitati ad Harvey o ti morderai la lingua.” - ammise, lasciando andare i documenti.

Bene. Ci vediamo dopo.” - rispose lei, soddisfatta, superandolo e proseguendo in direzione contraria.

Con il cuore più leggero, Harvey si mosse in direzione dell'ufficio. E, quando fu a meno di dieci passi, la reminiscenza, puntuale, lo investì.

Come una doccia gelata.

 

E accompagnata da un ignobile odore di Cardamomo e whisky.

 

***

 

Questa volta si stava godendo la sua amata poltrona LeCorbusier. I piedi sporgevano oltre il fondo, il tappeto sembrava una discarica e il giradischi scattava, con la puntina oltre l'ultimo solco.

Methos, con le mani intrecciate sullo stomaco e le auricolari ben incastrate nelle orecchie, fissava il cielo di Manhattan.

“Ti spiace girare il disco?” - domandò, senza nemmeno voltarsi nella sua direzione - “E' finito da un po'...”

“Non stai ascoltando il tuo ipod?”

“No, lo uso per ammazzare il tempo in attesa che qualcuno mi giri il disco.”

“E chiederlo a Donna?”

“Una volta le ho chiesto di farmi un frullato. È stato terribile.” - rispose, levandosi le cuffie con uno strappo netto e arrotolandole attorno al piccolo lettore verde mela - “E poi, Donna non toccherebbe mai il tuo giradischi. Non lo faceva nemmeno da bambina.”

“Era una bambina molto ubbidiente.”

“Una bambina con uno stereo tutto suo sotto al letto. Copiava i tuoi dischi su cassetta ogni volta che uscivi.”

Harvey si girò, sorpreso.

“Davvero?”

“Davvero.” - confermò lui, mettendo le lunghe gambe a cavallo della poltrona e alzandosi con la grazie del trampoliere - “Ma non voglio parlare di come era Donna prima dei diciotto anni, mi fa sembrare un pervertito.”

“Tu sei un vecchio pervertito. Trovane una che sia coetanea tua.”

“Una c'è. Ma è meglio lasciar perdere.” - Methos lo affiancò davanti alla libreria osservando il maniacale ordine con cui i dischi venivano riposti.

“Non voglio sapere.”

“Saggia scelta.” - concordò, abbassando gli occhi, come Harvey.

In basso, dove i ripiani posavano su una base un po' più larga, c'era una spada, una vecchia Khanda, in un fodero di cuoio e acciaio. Non era molto lunga e l'impugnatura era piccola, poco ornata.

“L'ho portata io qui.” - disse, lasciando che Harvey ne assimilasse la presenza, in silenzio - “La documentazione è sul tuo tavolo. L'ha recapitata stamattina un corriere.”

 

Ti ha mandato tutto, ieri, prima che vi vedeste: testamento, atti di proprietà, atto di vendita della spada.

Sapeva. È andato tutto come doveva andare.

 

“Non c'è molto.” - commentò Methos, quando Harvey si fu seduto a visionare i fogli - “Ma quanto basta perché tu possa disporre di ogni cosa.”

“Sono vedovo?” - domandò Harvey, sfogliando i plichi senza realmente leggerli.

“No.” - Methos scosse la testa - “Risultate divorziati. E Kalinda, lasciatelo dire, aveva un falsario magnifico.”

“Lo stesso da cui ci forniamo tu ed io qua in città.” - commentò Harvey, sollevando un biglietto da visita inserito tra i fogli. Nessun nome, solo un indirizzo in codice - “Gli farò una telefonata per complimentarmi.”

“Prova al rifugio del giovedì. So che quello del mercoledì è andato a fuoco.”

“Ok.” - c'erano alcune foto, in mezzo. Harvey ne sollevò una, in alto.

Kalinda, in sari color fuoco. Si era fatta fotografare a mezzo busto, in una luce che faceva risaltare i contrasti assurdi tra la stoffa e i suoi colori naturali. Indossava i gioielli del loro matrimonio, con l'orgoglio che aveva avuto allora. E aveva la spada, stretta nella mano.

 

Guardami, dicevano i suoi occhi.

“Guardami.” - aveva detto, la notte prima, allontanandosi, dopo un bacio, le mani tra i suoi capelli - “Non dimenticarmi mai.”

 

Ce ne erano altre. Ma Harvey gettò tutto nel primo cassetto.

Ci sarebbe stato tempo, per leggere, per contemplare.

Un tempo in cui avrebbe fatto meno male.

Si lasciò andare sulla poltrona, una mano alla bocca, lo sguardo all'ampia vetrata.

Methos, appoggiato alla libreria, piegò la testa indietro per fare la stessa cosa.

“Davvero la riporterai in India?”

“Se è questo che vuoi...”

“E' questo che vorrebbe lei.” - replicò Harvey - “Ti farò avere un biglietto aereo.”

“Prima classe, mi auguro...”

“Vedremo.” - Harvey girò la testa senza sollevarla dal cuoio spesso della poltrona, guardandolo - “Con Donna? Tutto ok?”

Methos non rispose. Alzò solo le spalle, in segno di resa.

“Gli sbagli sono sbagli.” - commentò soltanto. Si raddrizzò e afferrò il giaccone - “E' ora che vada.”

“Così? Nessuna scena ad effetto?”

“Perchè, ne hai bisogno?”

“No. Ma mi piacerebbe che tornassi.” - rispose Harvey, alzandosi e lisciando, per abitudine, la giacca.

“Allora dovrai metterti d'accordo con Donna, temo. Week end alterni, magari.” - sospirò Methos, melodrammatico. Poi allungò la mano verso la faccia di Harvey, in un buffetto - “Povero Hervè, figlio di divorziati... “

“Ma smettila!” - borbottò l'altro, rifilandogli un colpo sulla mano che gli tormentava la guancia - “Vai a importunare Edward, per piacere.”

“Non se ne parla. L'ho visto troppo negli ultimi anni. Porta guai.”

“Tu, invece...”

“See, see, ho capito l'antifona.” - fece un gesto nella sua direzione, prima di mettere le mani intasca e incamminarsi verso la porta. Poi si voltò, come se avesse ricordato una cosa importante - “Ho conosciuto Mike, a proposito di guai.”

Ecco.

Harvey chiuse la pratica che aveva appena aperto e lo fissò.

“Bel guaio.” - concordò Methos, annuendo con aria saggia - “Proprio da te, complimenti.”

“Come lo hai capito?”

“A dire il vero, mi chiedo perché non l'abbiano capito tutti gli altri.” - ritorse prontamente quel pettegolo. Poi tornò serio - “Che intenzioni hai?”

“Non intendo sparargli nella schiena, se è questo che vuoi sapere.” - Harvey si mise una mano in tasca e, con l'altra, sfiorò il ripiano lucido della scrivania - “Sarà ciò che deve essere.”

Come Donna.”

“Esatto. Come Donna.”

Methos non commentò. Annuì e picchiettò sul vetro della porta.

“Devo andare, ora.” - disse - “Resta vivo.”

“E tu fai altrettanto.”

 

Alcuni di noi hanno la stoffa per vivere mille anni. Altri no.

Ma mille anni non hanno senso, se non hai nessuno da cui tornare.

 

***

 

In corridoio, Jessica Pearson parlava con Donna.

E Methos, passandole a fianco, le rifilò una poderosa pacca sul sedere, facendola sobbalzare.

“Felice di averti conosciuto, mia Jess.” - salutò, galante, mentre la donna, senza fiato, si posava una mano sulla natica violata.

Poi fece l'occhiolino a Donna, troppo sbalordita dalla scena di cui era stata testimone per salutarlo come avrebbe dovuto.

Sorrise soltanto. E per Methos fu abbastanza.

 

Nessuna sofferenza.

Voglio ricordare solo la tua risata.

 

Si infilò in ascensore e si appoggiò alla parete, in attesa che iniziasse la discesa.

Poi, quando ormai tra le porte in chiusura restava solo uno spiraglio, rapido, usando due dita come fionda lanciò qualcosa nell'ingresso dello studio legale.

 

Un tanga grigio perla.

 

E Donna non potè evitare di scoppiare a ridere. Fino alle lacrime.

 

(24 febbraio 2013)

 

  
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