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Autore: themostrandomfandom    25/02/2013    4 recensioni
Nell'estate del 1898, Santana Lopez si unì al J.P. Adams & Son Travelling Circus & Menagerie mentre viaggiava per gli stati americani del Midwest superiore. Inoltre si innamorò della figlia del lanciatore di coltelli. Traduzione.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia appartiene all'autrice americana JJ, aka themostrandomfandom, che mi ha gentilmente concesso di tradurla (qui l'autorizzazione)
Qui il link della storia originale: http://www.fanfiction.net/s/7922642/1/The_Knife_Throwers_Daughter

Nota della traduttrice:
ho deciso di tradurre questa storia perchè è una delle migliori long brittana in cui mi sono imbattuta. E mi sono imbattuta in molte fic. Quindi volevo condividerla, in traduzione, perchè ne vale decisamente la pena. La storia parte un po' lentamente, ma quando parte la spropositata lunghezza dei capitoli non è mai sufficiente. Chiudo qui con la nota e vi lascio al primo capitolo, quindi buona lettura!

CAPITOLO I : PANE E CIRCHI


Sabato 25 giugno, 1898: Tekamah, Nebraska

La verità è che Santana non ha mai visto il circo, ma Puck insiste che ormai la verità non conta più.

Questo è quello che aveva riferito a Santana quando l’aveva segnata in una pensione a Manhattan due settimane prima sotto il suo cognome e quello che le aveva ricordato quando lui e Santana si erano finalmente incontrati di nuovo alla stazione di Omaha questa mattina.

Adesso Santana ripete a se stessa le parole di Puck come un mantra mentre ripassa il piano nella sua mente: non importa se non è una famosa indovina Europea e se non sa nulla della danza col fuoco. Non importa se lei e Puck non sono veramente sposati. Nulla importa eccetto fare buona impressione sui datori di lavoro di Puck ed entrare a far parte del libro paga. Santana è così in debito con Puck; anche se lavorasse per mesi, potrebbe non essere mai in grado di ripagarlo.

La campagna fuori dalla finestra si estende bassa e piatta, anche se ricca di arbusti. Il cielo del Nebraska sembra più grande di quello di New York, quel tipo di blu la cui tinta e colore non potrebbero essere mai replicati sulla stoffa o sulla ruvida tela e le facciate degli edifici. La vastezza della terra e l’aria in qualche modo fanno sentire Santana in trappola - come se chiunque potesse vederla e non avesse alcun luogo in cui nascondersi. La consola un po’ il fatto che per adesso può osservare il paesaggio scorrere attraverso il sicuro riquadro della finestra del suo scompartimento.

Se Puck vede Santana agitarsi continuamente, non dice nulla al riguardo. Invece, crolla nel posto affianco a lei e abbassa l’orlo del suo cappello per coprirsi gli occhi così può dormire. Appoggia il suo palmo aperto sulla gamba di Santana, il suo tocco caldo e pesante. In prima classe, qualcuno potrebbe scandalizzarsi di fronte alla sua audacia, ma in questo vagone sul retro, nessuno dà molta attenzione alla sua azione. Anche Santana vorrebbe dormire, ma qualcosa la agita nel profondo, nervoso come un uccellino, il suo battito del cuore purpureo vicino alla cruda superficie rosa.

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Il loro treno raggiunge Tekamah appena dopo mezzogiorno. Un conducente del circo li incontra al binario e sistema i loro bagagli nel retro del suo carro prima di aiutare sia Puck che Santana a salire con lui sulla panca.

Proprio come Santana aveva sospettato sul treno, il cielo sembra immenso e tutto si estende aperto in un modo preoccupante, adesso che lei stessa si trova all’aperto sotto il bagliore del pomeriggio. Tranne la stazione stessa e un paio di edifici lungo la strada principale di Tekamah che oscurano la visione, Santana può vedere in tutte le direzioni, quasi fino all’orizzonte. Il sole batte forte, riscaldando le sue gambe sotto il cotone della gonna, come argilla in una fornace, e la terra emana il caldo, piatto odore di terra cotta e rame.

Da parte sua, il conducente ignora entrambi, concentrandosi invece sulla guida dei muli attraverso un tratto d’erba fino a quando non trovano la strada, indirizzandoli verso la città distante circa mezzo miglio dalla stazione. Puck si copre di nuovo gli occhi con il bordo del suo cappello, non curandosi di Santana o del percorso accidentato. Con il chiacchiericcio della stazione che muore in lontananza e solo i cigolii del carro e lo scalpiccio degli zoccoli che riempiono il silenzio, Santana si sente all’improvviso disperatamente, impossibilmente sola.

Sorpassano altri carretti lungo la strada, insieme ad un uomo a cavallo, che rivolge a Santana uno sguardo malevolo quando i loro occhi si incrociano. Anche dopo aver trascorso del tempo alla pensione, Santana non è ancora abituata a tutte quelle regole non dette di cui non era a conoscenza fino a che si era ritrovata da sola. Sebbene adesso avesse imparato le regole al meglio – scrupolosamente, per evitare punizioni – non riesce ancora a caprine il senso.

Il conducente le lancia un sorrisetto; dev’essere perché sembra sorpresa.

Tekamah ha una larga strada principale in terra battuta in linea con edifici di legno e mattoni. Santana riconosce dei negozi, un barbiere, e una chiesa. In qualche modo, Santana si era aspettata che il Nebraska assomigliasse alla landa selvaggia di un romanzo di Cooper, ma trova il luogo allo stesso tempo noiosamente ben tenuto e sorprendentemente sprovvisto di alberi.

Piccoli gruppetti di persone, nessuna delle quali assomiglia per nulla a Santana, passeggiano a due e a tre lungo la strada. Mentre Santana fissa la massa, ritrova lo sguardo fisso di altre persone nei suoi occhi. Tenta di non indugiare con lo sguardo e invece si concentra su dove il cocchiere sta conducendo il carro: attraversata la fine della strada principale, oltre le case, oltre un piccolo cimitero fiorito di slavate croci bianche in decomposizione, verso un piccolo, rado boschetto di alberi situati appena fuori città.

Risalendo la strada, Santana sente il suo cuore fremere nel petto.

Vede il circo per la prima volta nella sua vita.

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Il carro arriva a fermarsi appena fuori un anello di bianche tende di tela, una piccola città itinerante che sorge dalla pianura. Nel cuore di questa città è situato un magnifico tendone da circo dal tetto a strisce blu, dozzine di tende più piccole tutt’attorno, ogni tenda fissata al suolo grazie a corde e pali.

Molteplici cartelloni contrassegnano i bordi dell’area delle tende, dipinti in orribili tonalità multicolori, annunciando gli acrobati, la donna barbuta, e la “famosa Malibran di Siviglia, che può frantumare il cristallo solamente grazie al chiaro tono della sua voce” del Circus & Menagerie de J.P. Adams & Son.

Carovane, riccamente decorate e disadorne, fiancheggiano varie tende, che sventolano piene di movimento e schioccano con un suono distante, gettando lunghe ombre meridiane, smilze, sulla terra piatta. La pallida tela delle tende inghiotte la luce del sole e la riflette di ritorno più luminosa sull’area circostante, dando l’illusione di un circo celestiale circondato da un’aura di luce bianca.

Santana non ha mai visto nulla di così meraviglioso o strano prima d’ora.

Puck sobbalza nel momento in cui il carro si ferma e sposta lo sguardo da Santana al conducente, intontito e disorientato, stiracchiandosi per risvegliarsi dal suo pisolino. Sorride a Santana.

“Benvenuta al circo, coccinella” dice, la sua voce impastata dal sonno.

È la prima volta che ha veramente parlato a Santana dopo Omaha.

Puck si prende un momento solamente per sorriderle e svegliarsi mentre lei risponde al suo sguardo.

È bello, presume Santana, un po’ troppo scuro di carnagione per il suo bene, ma molto meno di lei, con un sorriso ebete quando è veramente felice o altrimenti un sorriso diabolico. Quando Santana aveva incontrato Puck la prima volta, camminava con una forte andatura claudicante, che colpiva maggiormente la gamba sinistra, ma dopo due mesi, grazie alle cure di suo padre, non porta più alcun segno della sua vecchia lesione.

Puck conosce il proprio fascino – ma Santana no. Lui pensa di piacere a Santana più di quanto sia in realtà oppure non gli importa di piacere a Santana; in sostanza, Santana non può dire come sia lui e non sa quale opzione potrebbe risultare peggio per lei, nello schema delle cose.

Il conducente scende dal carro e dà al mulo più vicino a lui una pacca di riconoscimento sul posteriore prima di procedere verso il fondo del carro, da cui tira fuori la sacca di Puck e la borsa da viaggio di Santana. Lancia a Puck uno sguardo interrogativo e Puck lo trascura, indicando al conducente di mettere a terra le borse. Mentre il cocchiere si trascina per staccare i muli e portarli via, probabilmente verso una stalla o un pascolo che Santana non può neancora vedere, Puck fissa i suoi occhi su Santana, osservandola attentamente come un artista che contempla il suo ritratto non ancora completato. La sua attenzione rende nervosa Santana.

“Che c’è?” dice; la sua voce suona tagliente nelle sue stesse orecchie.

Raramente intende attaccarlo verbalmente, ma in un modo o nell’altro purtroppo finisce per farlo comunque. In questo momento lo assale perché non si sente a suo agio, essendo finalmente giunta a destinazione e anche perché non le piace il modo con cui Puck continui a fissarla come se fosse l’ultimo bicchiere di limonata della città in un giorno afoso. Considera di chiedergli scusa, ma non lo fa. Puck non sembra badare al suo tono, comunque.

Si infila la lingua tra i denti, e dice, “Prima di entrare, che ne dici di sistemarti un po’?”

“Sistemarmi?” Santa ripete, non essendo troppo sicura di quello che Puck vuole dirle.

“Già,” afferma Puck. “Prima di tutto, non puoi tenere questo“ – senza chiedere, alza le braccia verso l’alto e toglie il cappello di Santana, strappandoglielo dal capo, e poi lo getta a terra affianco alla sua borsa – “e dovresti portare i capelli sciolti. Sembrerai più esotica.” Tenta di afferrare una delle forcine che tenevano lo chignon al suo posto, ma Santana scaccia via la sua mano, irritata, prima di potersi fermare.

“Mi dispiace. Cosa stai facendo?” chiede Santana, del tutto non dispiaciuta.

Puck ritira la sua mano e fa una smorfia . “Ahi!” esclama, fingendo troppo dolore, data la debolezza del colpo. “Coccinella! Nessuna donna gitana va in giro con i capelli legati in quel modo! Vuoi convincere il sig. Adams o no? Questo è il circo! Devi mostrare un po’ di teatralità!”

Santana ripensa per un minuto a quello che le ha detto, tenendosi a un braccio di distanza da lui. Non sa cosa Puck intende esattamente con teatralità, ma di certo sa che la gente del circo possiede una reputazione ignobile, da quello che le aveva detto suo padre quando aveva assunto Puck come suo giardiniere.

Lentamente, Santana porta le mani sul capo e, con grazia e molta più dignità di quanta Puck le avrebbe offerto, sfila le forcine dallo chignon, lasciandolo cadere, e poi infila le forcine nei capelli dietro l’orecchio, nascondendoli alla vista, abbastanza indignata mentre lo fa. Immediatamente, percepisce calore sul collo, le sue ciocche nere che assorbono la luce del sole. Scuote la testa fino a quando i suoi capelli sono lisci e si passa le dita fra quelli, rimuovendo i nodi.

Puck fissa Santana con bramosia, facendole desiderare di essere invisibile.

“Molto meglio” Puck afferma.

“Qualcos’altro?” gli risponde, sembrando molto più ardita di quanto si senta in realtà. Senza il cappello a proteggerle gli occhi, Santana deve guardare Puck. Probabilmente pensa che lo stia fulminando con lo sguardo; probabilmente è vero, almeno un po’.

“No, a meno che tu abbia una sfera di cristallo a portata di mano” Puck scrolla le spalle, saltando giù dal carro, gli stivali che atterrano pesantemente sulla terra, prima di porgere una mano a Santana per aiutare anche lei a scendere. Puck recupera la sua sacca e la borsa da viaggio e il cappello prima di gettare un altro sguardo verso Santana. “Su,” dice “E’ ora che tu ti unisca al circo, coccinella.”

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Puck guida Santana all’interno del campo, la sua mano sulla spalla di lei, segnalandole le svolte . La fa passare attraverso l’ombra pervinca tra le tende e i più chiari sprazzi di sole sugli erbosi tratti aperti, facendola voltare quando necessario. Per quanto Santana frema sotto il suo tocco, è comunque segretamente grata che non la faccia seguire di nuovo dietro di lui come aveva fatto questa mattina alla stazione di Omaha.

Santana si aspetta di vedere la sua prima persona del circo, ma trova che il campo sia stranamente vuoto; si chiede dove alloggino tutti i clown e gli acrobati ma poi si odia per farsi una domanda talmente stupida, anche solo nella sua testa. Percepisce dei deboli suoni umani provenire da qualche parte, ma non riesce a vedere nessuno attorno alle tende. Non dovrebbero esserci più persone al circo?

Prima che Santana possa domandare a Puck dove esattamente si trovavano gli altri artisti circensi, raggiungono una certa tenta, più grande delle altre che la circondavano, ma molto più piccola del tendone, e Puck le fa cenno di fermarsi.

“Bene,” afferma a voce bassa. “Ti ricordi il piano? Fai parlare me con il sig. Adams. Probabilmente ti chiederà una dimostrazione. Tutto quello che devi fare è leggergli il palmo e bofonchiare qualche frase senza senso e ti assumerà, semplice. Ti ho già spiegato il numero di danza col fuoco sul treno, quindi non devi preoccupartene. Un gioco da ragazzi. Ti mostrerò i passi magari più tardi, o domani. Come minimo ti prenderà come cuoca o sarta, dato che sei anche mia moglie adesso, ma, con un po’ di fortuna sarai una circense – in quel modo, guadagnerai di più al giorno di paga. Devi solo fargli vedere quello che tua nonna ti ha insegnato, capito coccinella?”

“Mia nonna non mi ha mai insegnato a leggere le mani”, Santana gli ricorda.

“Beh, il sig. Adams non ha bisogno di saperlo, o no? È come ti ho detto prima: leggere i palmi non è veramente predire il futuro – si tratta di dire alla gente quello che vogliono sentirsi dire. E comunque, anche se non sei una chiromante, sai leggere i tarocchi. Metti su una bella messinscena e siamo apposto.”

Puck le dà un’ultima occhiata, sistemando qualche capello svolazzante in cima alla testa e lisciando le pieghe invisibili sulla sua manica prima che lei si sposti in là, per evitare il suo tocco. Le sorride, stavolta non ebete e nemmeno diabolico, ma solamente d’incoraggiamento.

“Andrà bene” le promette. Senza aspettare che lei risponda, si volta verso la tenda, scosta i lembi e infila la sua testa all’interno. “Sig. Adams?” chiama. “Ho portato qualcuno che la vuole vedere!”

Santana non sente alcuna risposta, ma la prima cosa che succede è che Puck la prende per il polso e la fa passare comunque oltre la tenda.

Una volta che gli occhi di Santana si sono abituati al cambiamento improvviso dal chiarore esterno alla luce soffusa al chiuso, è sorpresa di trovare la tenda arredata come un salotto, composto da un divano appoggiato contro la parete laterale, un tavolo centrale, varie comode sedie, e un grazioso tappeto orientale, tessuto di aranci bruciati, verdi, rossi smaltati, posto sopra l’erba.

Una foschia di fumo pepato, vagamente floreale rimane sospesa nella tenda, pungendo gli occhi di Santana e riempiendole le narici e la gola. Il fumo avvolge le due figure che si trovano nella tenda oltre a Puck e Santana – una di loro seduta sul divano contro il muro, l’altra al tavolo centrale, la sua gamba destra accavallata sulla sinistra. Entrambi gli uomini paiono considerevolmente più vecchi di Puck e fumano delle pipe in terracotta, prendendo gli ultimi tiri mentre Puck e Santana si avvicinano a loro.

L’uomo al tavolo si alza, spegnendo la sua pipa e lasciandola dietro, e fa un passo in avanti attraversando il fumo. “Noah” lo saluta, afferrando Puck per il braccio, dandogli un colpetto sulla spalla. “Sembra che tu sia guarito bene.”

Puck sorride il suo sorriso ebete. “Si, signore. Nessun segno di bruciature o altro,” scherza Puck.

L’uomo ridacchia e gli dà un altro colpo sulla schiena. “Bene, bene! Così ho sentito che hai una moglie adesso. Devo ammettere, non ho mai pensato di vedere il giorno in cui ti saresti sistemato, brutta canaglia! Su, fammi conoscere la povera ragazza.”

L’uomo sorride in maniera benevola, spostando la sua attenzione verso Santana, aspettando che Puck facesse le introduzioni. Nel frattempo l’altro uomo si era alzato dal divano con un grugnito e unito al gruppo.

Santana può solo supporre che l’uomo che ha chiamato Puck una canaglia sia il sig. Adams, considerando che è il tipo meglio vestito nella tenda: indossa un cappotto verde su misura sopra un fantastico gilet di satin, un plastron color albicocca al collo e una paglietta sul capo. Anche nella luce soffusa della tenda, si presenta una figura chiara e vivida, come un ritratto di Monet.

Anche se è più basso di Puck, ha un portamento che lo fa sembrare imponente, quasi leonino. Ha i capelli scuri e un viso lungo, con delle sopracciglia severe e una barba ben rifinita e dei baffi che incorniciano la sua piccola bocca sorridente. Quando parla, la sua voce rimbomba come se fosse amplificata da un megafono. La sua corporatura è massiccia e il solido portamento fa venire in mente a Santana i lottatori della greco-romana che era solita vedere abbozzati nelle pubblicità dei cataloghi sportivi di suo padre.

L’altro uomo – quello che deve ancora parlare – non è nient’altro se non tarchiato e, se Santana deve essere onesta, ripugnante. Indossa solo una maglia senza una giacca a coprire il suo ventre sporgente, le sue maniche arrotolate strettamente ai gomiti. Sudore giallognolo macchia la sua maglia all’altezza delle ascelle, come anche sotto il collo. Non ha una cravatta, ma indossa una piccola bombetta nera che fa sembrare la sua testa ancora più piccola di quanto sia in realtà.

Non appena giunge a due piedi di distanza da Santana, può anche sentire il suo odore, il lezzo di pelle sudata, fumo della pipa, e una scarsa igiene attorno a lui. Ha degli occhi piccoli e brillanti, un naso schiacciato e porta i suoi capelli scuri tagliati corti. I segni dell’acne sfregiano il suo volto e la sua pelle sembra sudata e appiccicaticcia, anche da distante. Aggrotta le sopracciglia a Santana, come se lei lo impressionasse poco come lui impressiona lei.

“Sig. Adams” Puck dice all’uomo con il cappotto verde, “vorrei presentarle Santana Puckerman.”

Santana può solo rabbrividire al suono del cognome di Puck al posto del suo. Rimane sospeso nell’aria, totalmente inadatto, come il cappotto di sua nonna quando Santana l’aveva indossato come costume da bambina.

Lopez, urla nella sua mente, digrignando i denti. Lopez, Lopez, Lopez.

Deve avere un’espressione inacidita perché il sig. Adams sembra divertito.

“Santana” dice, tastando il suo nome sulla lingua come un nuovo sapore. “Santana. Il nome suona…spagnolo.”

Puck annuisce. “Sì. Proviene dalla migliore compagnia gitana spagnola. La sua famiglia ha vissuto fuori Madrid per - ”

Il sig. Adams lo interrompe. “Possiamo fare Roma, invece?” chiede, grattandosi il mento.

Santana trattiene un sospiro, sorpresa dai modi bruschi dell’uomo.

Accerchia Santana insieme all’altro uomo. Entrambi la squadrano come dei banditori d’asta valuterebbero un cavallo prima di metterlo sul mercato. Santana si sente straordinariamente a disagio, più di quanto le sia mai successo in tutta la sua vita prima. Non sa che cosa stanno cercando – qualche sorta di difetto o rivelazione del suo scarso valore – ma sente improvvisamente come se tutto fosse sbagliato in lei e che lei sia troppo o non abbastanza in ogni modo possibile.

La schiena si irrigidisce e tiene la testa alta, sebbene i suoi occhi guizzano dal retro della tenda al terreno e guardino in ogni direzione eccetto verso il sig. Adams. I pugni si accartocciano sui fianchi e lei soffoca un respiro nel petto. Il sig. Adams e l’altro uomo non la fissano allo stesso modo di Puck – non c’è brama nei loro occhi – ma in qualche modo la fanno sentire comunque inquieta.

“Roma?” chiede Puck, confuso.

“Sì” annuisce il sig. Adams. “È che, con la guerra, la Spagna è piuttosto fuori moda al momento. Non possiamo schiarire la sua improbabile carnagione, ma possiamo almeno darle una nazionalità un po’ più appropriata, non diresti? Lei non ha un accento, vero?”

Sembra che il sig. Adams non si stia più rivolgendo a Puck; i suoi occhi sono fissati sul volto di Santana, in attesa di una risposta.

Santana sussulta sotto la sua attenzione, non sapendo come rispondere. A dire il vero, è ancora sbigottita dal fatto che qualcuno possa semplicemente assegnarle una nuova etnia, come se fosse così semplice. Se l’etnia fosse anche in più piccola parte variabile, Santana se ne sarebbe scelta un’altra due settimane prima, subito dopo il funerale. In primo luogo non è nemmeno spagnola – quella è una balla che Puck si è inventato per far colpo sul sig. Adams - e di sicuro non è nemmeno italiana.

“No” riesce a farfugliare Santana.

Il sig. Adams annuisce, la sua fronte aggrottata. “Beh, puoi fingerne uno?”

“Mi scusi?” Santana chiede, senza capire se il sig. Adams preferisca che lei abbia un accento oppure no. Il suo intero corpo è un fascio di nervi. Sente il suo battito accelerare sul collo e si morde un labbro. “Non riesco a capire.”

“Nessuno vuole una chiromante nata in America,” il sig. Adams afferma francamente. La scruta un secondo in più, poi ripete con molta calma, “Puoi fingere un accento sì o no?”

Santana cerca la risposta dentro di sé, domandandosi se ne è in grado. Non ha mai finto una cosa del genere prima d’ora. Pensa a sua nonna, al suono smussato delle sue t e le sue vocali aperte, e annuisce lentamente.

“Sì, penso di sì,” risponde, imitando l’accento di sua nonna, aggiungendo coloriture nelle sue parole che non ha mai usato prima parlando inglese.

Ai suoi stessi orecchi, è una misera imitazione dello splendida, fluente parlata di sua nonna, ma il suo tentativo sembra aver comunque soddisfatto il sig. Adams.

“Molto bene,” dice onestamente. “Tanto la gente di campagna non si accorgerà nemmeno della differenza tra italiano e spagnolo. Suoni esotica. Puoi passare.”

Passare.

La parola colpisce Santana molto più di quanto dovrebbe, ma dopo due settimane alla pensione nel distretto di Tenderloin, arriva a toccare qualcosa dentro Santana che non sapeva nemmeno esistesse prima della morte di suo padre. Pensare a suo padre ancora agita Santana; da un lato, si sente grata e affezionata a lui, specialmente adesso che sa come l’aveva protetta mentre era vivo, ma, dall’altro lato, prova un piccolo, insignificante rancore nei suoi confronti per non averla avvertita della sua condizione prima di morire – per non averle rivelato che esisteva un mondo oltre i confini del silenzioso giardino del suo cottage isolato.

Dalla sua morte, Santana ha imparato una sfilza di nuove parole, e anche velocemente: bastarda, mulatta, negra, meticcia, non può passare.

Quelle parole sono rimbombate nelle sue orecchie dal funerale. Fanno parte delle regole che Santana sembra non capire mai bene.

“Adesso,” ricomincia a parlare il sig. Adams, ignorando il suo sobbalzo, sempre che l’abbia visto. Si rivolge di nuovo a Puck. “Avevi detto che è esperta nelle arti della chiromanzia e cartomanzia, o no, Noah?”

“Sì, signore.” Puck risponde velocemente.

Una risata di scherno interrompe la conversazione, e, per la prima volta in un minuto intero, Santana si ricorda della presenza dell’uomo tarchiato, che inizia a parlare: “La nostra vecchia indovina era solo uno spreco di spazio,” dice con cattiveria, il suo volto chiazzato e gonfio come un pomodoro maturo. “Non riusciva nemmeno a distinguere la mano destra dalla sinistra, figuriamoci leggere i palmi!”

Il sig. Adams fa un sorrisetto. “Beh, il sig. Puckerman mi assicura che sua moglie sia davvero dotata, Ken. Potremmo benissimo concederle un’audizione.”

Il cuore le sobbalza nel petto. Puck lampeggia uno sguardo verso di lei oltre la spalla del sig. Adams: non mandare tutto all’aria.

“Hai le carte a portata di mano?” Adams le chiede, il suo sorriso leggermente sollevato all’angolo della bocca.

Santana scuote velocemente la testa: no.

“Allora la lettura di un palmo, invece?” Le suggerisce, porgendo la sua mano come un dono per Santana.

Santana esita per un secondo, combattuta tra l’imperativo di prendere la sua mano e ogni istinto che le sta dicendo che attraversare quel confine sarebbe una cattiva idea. Fa parte delle regole che persone come Santana non dovrebbero toccare persone come il sig. Adams, ma è anche una regola che quando una persona come il sig. Adams dà degli ordini, una persona come Santana dovrebbe obbedire e velocemente. Santana sente il petto in fiamme, il suo intero corpo un fascio di nervi. Tutti attendono, osservando.

Muoviti, Santana ordina a se stessa. Muoviti, e sobbalza, le sue mani che afferrano il palmo offerto dal sig. Adams un momento prima che i suoi pensieri ne siano al corrente.

Santana deglutisce.

Mentre tiene la mano del sig. Adams nella sua, Santana non può nemmeno immaginare cosa c’è da leggere in un palmo. Quello del sig. Adams è piatto e pallido, senza peli e non interessante nella sua topografia. Delle linee lo attraversano come fiumi abbozzati con una matita su una mappa e, nonostante Santana sappia che leggere i palmi in qualche modo comprenda estrapolare significati da quelle linee, non ha la più pallida idea di quali siano i significati.

Puck ha detto a Santana di raccontare al sig. Adams quello che voleva sentirsi dire – il problema è che Santana non conosce il sig. Adams abbastanza bene da sapere che cosa sia.

Tutto quello che Puck le ha menzionato sul suo riguardo è che è l’uomo che possiede il circo e ha pagato il conto per l’operazione di Puck dopo che lui stesso si era ferito sul lavoro. Dallo sciocco modo da scolaretto innamorato con cui lui parla del sig. Adams, Santana può dire che Puck lo stimi molto voglia compiacerlo.

Santana suppone che possa iniziare da lì.

“Lei è un uomo molto rispettato,” gli dice col suo falso accento. “Nei moment di difficoltà, i suoi dipendenti le chiedono…aiuto.”

Santana alza gli occhi verso la sua faccia, per vedere la sua reazione. Lo vede tenere ancora lo stesso sorrisetto divertito, impassibile. Lei non sa come interpretare la sua espressione. Al sig. Adams almeno piace quello che gli sta dicendo?

Il fatto è che il suo sorrisetto non è come quello di Puck – non è diabolico o maleducato. Non è nemmeno il suo sorriso intero; lo sa dal fatto che prima ha riso a Puck e tutta la sua faccia si era trasformata in un’enorme, sorriso gioioso, i suoi occhi che quasi scomparivano dietro alle sue guance sollevate. Semmai, il sorrisetto sembra celare il suo vero sorriso, quasi dovesse trattenere la sua allegria cosicché le persone di rango inferiore lo prendano sul serio. Santana ha l’impressione che il sig. Adams riderebbe tutto il tempo, se potesse.

Così Santana tira a indovinare.

“Ha una passione nascosta” dice lentamente, attenta nel caso in cui sconvolga il sig. Adams. Quando non dice nulla, lei continua. “Ha grandi responsabilità e deve trattenere una buona parte di sé dai suoi impiegati.” Ci pensa su un momento, chiedendosi cosa potrebbe costringerlo a celarsi, dato che ipotizza che sia così. “Ha avuto esperienze quando le persone… l’hanno fraintesa. Lei non vuole che queste esperienze si ripetano.”

“È sufficiente” il sig. Adams la interrompe all’improvviso, ritirando la sua mano lontana dalla stretta di Santana. Lei si agita, terrorizzata di aver detto qualcosa di sbagliato. Sposta lo sguardo dal suo palmo e scopre che il suo sorrisetto è scomparso, rimpiazzato da un’espressione indecifrabile.

“Signore?” chiede Puck, suonando nervoso tanto quanto si sente Santana.

“Lei è dotata” dice il sig. Adams. “Un’astuta lettrice delle persone devo dire – anche se dovrà imparare a guardare di più nel palmo dei clienti e di meno nei suoi occhi se vuole convincerli della sua abilità. Inoltre, deve dire tu sarai più spesso. Parla del presente come se fosse il futuro, Santana.” Le fa un cenno d’approvazione con la testa.

“Allora è assunta?” Puck deduce.

Il sig. Adams annuisce, il sorrisetto di nuovo sul suo volto. “Sì,” dice. “La sua carnagione non rispecchia troppo quella del resto dei gitani, ma lei è bellissima, a modo suo, e sufficientemente  talentuosa. Penso che fingerà bene.” Cammina indietro verso il tavolo, dando di spalle sia a Puck che a Santana. “La chiameremo Madame Rossetti e la promuoveremo come una gitana proveniente da Roma. Farò iniziare i ragazzi a lavorare per il suo tendone. L’avranno preparato per lei entro quando raggiungeremo Worthington. Adesso, Noah dice che sai leggere i tarocchi,” il sig. Adams si riferisce direttamente a Santana. “È così?”

Per un secondo, Santana pensa di mentirgli. Dopotutto, lo aveva già impressionato a sufficienza come lettrice di palmi, perché dovrebbe impressionarlo anche con la lettura dei tarocchi? Potrebbe dire al sig. Adams che Puck si è sbagliato e non sa nulla riguardo i tarocchi.

Sarebbe molto più sicuro in quel modo.

“Non si può avere un indovina che non legge le carte, coccinella,” Puck borbotta oltre la spalla del sig. Adams, fissando Santana come se stesse tentando di convincerla a dire la risposta esatta con i suoi occhi.

“Sì” Santana balbetta.

“Bene” dice il sig. Adams, il suo sorriso pieno di nuovo sul volto, i suoi occhi che affondano dietro le sue guance. “Bene. Vedremo cosa possiamo fare per trovarti un mazzo, allora. Ken!”

Ken sobbalza da dove aveva appena ripreso posto sul divano, subito sull’attenti. “Signore?”

“Porta la nostra nuova chiromante a vedere una ragazza per il costume, va bene? Penso che la signora Schuester oggi sia occupata a provare i costumi per le cavallerizze, se non mi sbaglio, quindi forse è meglio che consegni Santana a Ma, ok?”

“Sì, signore.”

Ken fa un cenno a Santana di seguirlo fuori dalla tenta. Invia uno sguardo implorante a Puck, agitata al pensiero di separarsi da lui in quanto è l’unica persona del campo che conosce oltre solamente ad un nome, ma lui non sembra accorgersi della sua preoccupazione. Invece, Puck mostra il suo sorrisetto diabolico a Santana, recuperando i bagagli dal terreno.

“Ti troverò più tardi, coccinella” borbotta, dandole un colpetto sulla spalla mentre esce dalla tenda.

Ken annuisce, impaziente, e fa di nuovo cenno a Santana di seguirlo.

Non riescono a compiere due passi prima che il sig. Adams li chiami.

“Signora Puckerman?” tuona la sua voce. “Benvenuta al circo!”

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Passare dall’oscurità della tenda al chiaro luccichio dello spazio aperto acceca temporaneamente Santana.
Quando i suoi occhi si abituano alla luce, trova Ken a sogghignare.

“Sei fortunata che sia una giornata calma, signora” dice aspramente, “altrimenti non avrei tempo di fare questo per te.”

“Una giornata calma?” Santana ripete, non del tutto sicura su che cosa voglia dire Ken.

“Una giornata calma,” suona impaziente, come Santana fosse in qualche modo ignorante per non conoscere il termine. Santana sente il suo stomaco attorcigliarsi. Si ritrova a detestare Ken sempre di più ogni minuto che passa. “La maggior parte dei sabati, non diamo spettacolo. Usiamo il tempo per riprendere il lavoro in giro per il campo. Sei abituata al lavoro, vero? Spero di sì, perché non ho tempo per gli incapaci. Gestisco questo posto abbastanza duramente che potrei buttarti subito fuori, hai capito? Non mi importa quanto Noah Puckerman pensi che tu sia carina: tu sei in bilico con me, e se viene fuori che non mi piaci, ne farò parola con il Sig. Adams e il Sig. Fabray e ti metterò in segnale d’arresto in men che non si dica, capito, zingara?”

Santana non ha idea di che cosa significhi mettere in segnale d’arresto, ma il modo con cui Ken sputa la parola dalla bocca, come se fosse sozza, le fa intuire che probabilmente è sgradevole, qualsiasi cosa sia. Non vuole disturbare nessuno al suo primo giorno, così annuisce, e velocemente.

Ken la squadra di nuovo; sembra apprezzare il suo silenzio e la sua deferenza. “Okay,” dice serratamente “Adesso ti porterò da Ma Jones. Ti sistemerà.”

Senza attender la risposta di Santana, Ken le dà le spalle e inizia a camminare attraverso le tende. Santana si affretta dietro di lui, non del tutto sicura se Ken nutre una speciale antipatia nei suoi confronti o più semplicemente disprezza chiunque incontri allo stesso modo.

Per essere un uomo che cammina ondeggiando lungo la strada, Ken si muove certamente veloce; Santana deve correre con un’andatura moderata per tenersi al passo mentre la guida attraverso il labirinto di tende e carri, verso una qualche sconosciuta destinazione.

Svoltando tra due tende più piccole, Santana individua i primi circensi: un uomo alto e slanciato e una donna più bassa. Cinesi. Fissano Santana come se non avessero mai visto nulla come lei prima d’ora, il che è probabilmente divertente, dato che non ha mai visto nessuno come loro nemmeno lei, al di fuori dei libri.

I loro occhi sembrano profondi, quasi neri e Santana non riesce a leggerli. Si chiede quali siano le regole per qualcuno come lei di guardar gente come loro e loro rispondere al suo sguardo. L’uomo allunga una pentola di caffè malconcia in acciaio inossidabile, versando del caffè nella tazzina d’alluminio che tiene in mano, ma nessuno di loro due distoglie lo sguardo da Santana. Anche se indossano dei vestiti di strada – lo stesso tipo di vestiti di strada che uno potrebbe vedere lungo i marciapiedi di New York – sembrano comunque strani, come se venissero dalla luna e non dall’altra parte del mondo. Tuttavia, Santana non può fare altro che sentirsi lei strana in questa situazione, e non loro.

Ken guida velocemente Santana oltre i due e senza alcuna introduzione; lancia uno sguardo oltre la spalla una volta superati i circensi, più domande nella sua mente di quante ne possa contare, e vede l’uomo borbottare qualcosa alla donna, tenendo lo sguardo fisso su di lei.

Dopo solo un altro paio di svolte e un ritmo veloce, Ken si ferma davanti a una tenda ancora più grande di quella in cui Santana ha incontrato il sig. Adams, situata proprio oltre il tendone. Un cartello di legno a lettere maiuscole è affisso sopra l’architrave della porta: CAMERINI FEMMINILI.

Ken si schiarisce la gola.

“Dovrai andare avanti da sola… da qui… adesso,” dice con evidente disagio, come se fosse privo di tatto menzionare il fatto che lui, essendo un uomo, non dovrebbe vagare liberamente nella tenda dei camerini femminili – come in qualche modo menzionare le regole fosse sbagliato .

“D’accordo” Santana dice, aspettando ulteriori istruzioni.

Ken dà un’altra occhiata al cartello sopra la porta e arrossisce veramente. All’improvviso, Santana si ritrova a disprezzarlo meno di prima; è tempestoso, ma ovviamente anche un imbranato. Suo padre avrebbe definito Ken un idiota, se l’avesse mai incontrato.

(Santana sarebbe d’accordo.)

“Trova Ma Jones” le dice. “Dille che il sig. Adams ti ha assunto come chiromante e ha bisogno di acconciarti come una zingara.”

Ken tace e Santana pensa che potrebbe ricominciare a parlare, ma non lo fa. Si leva la bombetta e la stropiccia tra le mani, i suoi piccoli occhi che spostano nervosamente lo sguardo da Santana alla porta. Apre la bocca, poi la richiude.

“Dovrei…?” Santana indica la porta, sporgendosi verso di essa, e Ken annuisce. Santana si allontana da Ken, contenta di liberarsi della sua compagnia. Scosta la tela della porta della tenda ed entra senza altre parole.

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(Santana non può fare a meno di sentirsi un po’ come uno dei protagonisti di Poe, spuntando dalle porte senza sapere che cosa ci sia dietro.)

Trova che la tenda dei camerini sia meno soffocante all’interno del salotto del sig. Adams, forse perché si trova sotto la lunga ombra del tendone da circo invece che direttamente sotto la luce del sole o forse perché è più grande ed estesa dell’interno della tenda del sig. Adams in generale.

Cumuli di vestiti e varie casse ingombrano l’interno della tenda, e partizioni incorniciate dividono la stanza in stalli di fortuna per cambiarsi. Un paio di specchi verticali sono messi a casaccio negli spazi aperti, gettando strani riflessi qui e lì.

C’è sicuramente più gente del circo in questa tenda di quanta ne abbia vista oggi Santana in un luogo solo. Un’intera compagnia di giovani ragazze smilze più o meno dell’età di Santana – la metà delle quali vestite in graziosi abiti da cavallerizze rossi dai colletti neri, sottili cilindri, e guanti bianchi, e l’altra metà in biancheria intima, mutande e corsetti in mostra in modo che tutti vedano – chiacchierano in una coda che conduce a due donne più anziane dall’aspetto sconvolto, una di loro vestita come le altre in un abito da equitazione, l’altra che indossa un grembiule da lavoro, seduta su uno sgabello e prendendo veloci, frenetiche misurazioni delle ragazze che si trovavano di fronte a lei nella coda. Varie giovani sarte le attorniano, chiamando le ragazze che finiscono la fila e orlando i loro costumi secondo i segni che la donna più anziana ha lasciato sulle loro gonne.

A prima vista, lo scenario appare alquanto caotico, ma quando Santana si avvicina, capisce che in realtà è un sistema ben organizzato, con tutte le donne che si muovono come gli ingranaggi di un orologio.

Avvicinatasi a qualche passo di distanza, Santana sente per caso la donna più anziana nel costume da cavallerizza sbraitare istruzioni alle ragazze in coda in una lingua che Santana non comprende. Le sue parole suonano aspre e continua ad agitare un frustino nella direzione delle ragazze, molte delle quali arretrano il più lontano possibile da lei, spaventate come delle scolare che si sono comportate male di fronte a un’insegnante severa.

La donna col grembiule urla allo stesso modo degli ordini nel bel mezzo del baccano, anche se nel suo caso alle giovani sarte collocate ai suoi lati. Grida misure e critica le loro cuciture – in inglese, per questo Santana lo capisce.

Sembra che sia alla testa di questa operazione.

Santana raccoglie coraggio e arriva proprio dietro la donna. “Mi scusi, signora?” dice, faticando per farsi sentire sopra tutto il brusio. “Ma Jones? Il sig. Adams mi ha mandato da lei.”

La donna distoglie lo sguardo dal suo lavoro, offesa, e guarda Santana in modo talmente truce che Santana quasi cade all’indietro.

“Mi scusi?” ripete, veleno nelle sue parole che Santana si era scarsamente aspettata di sentire. “Ti sembro Ma Jones io? Che cosa stai pensando?”

Tutto quello a cui Santana può pensare è che la donna ha gli occhi più inquietanti che abbia mai visto. Santana non ha mai incontrato una persona arrabbiata prima d’ora, ma ha letto di queste in Doyle e non può fare a meno di cogliere che se qualcuno avesse degli occhi arrabbiati, sarebbe dovuta essere questa donna, che sembra di non ricordarsi come battere le ciglia. Santana non può fare a meno di sentire che la donna la odia già.

Lei  è di piccola statura, bianca, e, tranne per i suoi occhi inquietanti, carina. Ha dei tratti delicati e porta i suoi capelli color miele in uno chignon.  Appare ben tenuta e perfino un po’ truccata. Santana può solo supporre che a chiunque assomigli Ma Jones, non assomiglia di sicuro a questa donna.

“Mi dispiace, signora,” Santana balbetta. “Ken mi ha appena detto di trovare Ma Jones così potevo avere il mio costume. Ho pensato che forse – ”

“Beh, non sono Ma,” la donna le risponde incollerita, come se non potesse esistere nulla di più offensivo dell’ingenuo errore di Santana. “Sono Theresa Schuester, la moglie del direttore del circo e la capo sarta qui intorno. Normalmente, sarei io a prepararti il costume, ma come puoi ben vedere sono molto occupata al momento, quindi Ma dovrà occuparsi di te.”

Sebbene Theresa abbia una voce dolce e le sue parole suonino melliflue, c’è anche un’innegabile cattiveria in quello che dice, molto di più che se stesse per urlare. Nelle ultime due settimane, Santana ha sentito molte persone parlarle con superiorità, ma non è ancora abituata al modo in cui ciò la ferisca ogni volta che lo fanno. Non è un idiota; in questo caso, semplicemente non era stata abbastanza giudiziosa, pensando che Theresa fosse Ma.

(Prima di oggi, Santana non hai mai avuto nessuno che la odiasse, ma adesso sembra che ogni nuova persona che incontra la odi sempre un po’ di più della precedente. All’improvviso le manca Puck, non perché ci tenga a lui, ma perché lei gli piace. O almeno gli piacciono parti de lei.)

(Forse Puck potrebbe accompagnarla da Ma Jones.)

“Sai per caso dove posso trovarla?” Santana le chiede, sperando che Theresa le indichi la via senza altra cattiveria.

Theresa la schernisce. “Beh, non è che adesso posso interrompere il mio lavoro, o no?” sibila, ritornando la sua attenzione alla ragazza tremante di fronte a lei vestita da cavallerizza. Theresa scruta la gonna della ragazza – un pochino troppo lunga – e schizza una veloce, dura linea su di essa. L’altra donna al lato di Theresa che tiene in mano il frustino sbraita qualcosa alla ragazza tremante e questa si affretta verso una delle giovani sarte, che la stava già aspettando, ago e forbici in mano. Theresa scuote la testa, irritata. “Ho ancora dodici misurazioni da prendere prima di cena, quindi dovrai aspettare fino a quando avrò finito prima di portarti da Ma.”

Prima che Santana possa dire altro, qualcuno scosta le tende ed entra nella stanza. Santana si volta per vedere una robusta, giovane donna con la pelle ancora più scura di quella di Santana marciare dentro la stanza, un cipiglio sul suo volto.

La ragazza ha un volto tondeggiante e morbido come un frutto maturo, con dei graziosi occhi scuri e labbra imbronciate, i suoi capelli racchiusi in treccine sulla sua testa. Si sposta con la determinazione di una locomotiva e la composta indignazione signorile di un maresciallo, tenendo le sue gonne tirate sopra le caviglie in una mano e un cucchiaio di legno da cucina, brandito come un fioretto, nell’altra.

Santana non ha mai visto una persona così magnifica in vita sua.

“Theresa!” la giovane donna tuona, a mo’ di saluto. “Come posso fare in modo che la cena sia pronta se metà della mia cucina è qui a rammendare punti per te? Siete tutti impazziti?”

Tutti nella tenda si fermano, rendendosi piccoli. Perfino la donna col frustino e Theresa indietreggiano.

“Ma,” Theresa incespica tra le parole, i suoi occhi dilatati e spaventati. “Ti stavo giusto cercando – ”

“Proprio come un fulmine mi stavi cercando, Theresa Schuester!” dice Ma, interrompendola bruscamente, agitandole il cucchiaio di legno davanti alla faccia. “Ti sei nascosta da me tutto il giorno perché sapevi che avevo qualcosa da ridire sul tuo prendere tutte le mie ragazze!”

Le giovani sarte che affiancano Theresa rabbrividiscono e distolgono lo sguardo e le ragazze in coda si raccolgono tutte insieme, rimanendo il più lontano possibile da Ma.

Di per sé, Santana non sa proprio cosa fare o come comportarsi. In parte vorrebbe scoppiare a ridere perché gode di come Ma Jones spaventi Theresa Schuester, ma Santana non vuole però fare nulla per finire sulla sua lista nera, vedendo come tutti sembrino essere così remissivi nei suoi confronti.

Santana si trova a voler piacere molto a Ma Jones, anche se non riesce a capire perché – forse perché nessuno ha gradito Santana di oggi o forse perché Ma Jones impressiona molto Santana.

(Forse perché Santana si rende conto che Ma Jones è come lei, quasi. )

“Sai benissimo che devo preparare questi costumi prima di arrivare a Worthington,” Theresa si imbroncia.

“E tu sai benissimo che se nessuno mi aiuta a pelare le patate e a impastare il pane, nessuno mangerà stasera, nemmeno il tuo corpo scheletrico!” Ma risponde a tono, incrociando le braccia sul petto.

Per un secondo, Theresa è senza parole; sembra molto piccola, seduta sul suo sgabello con Ma Jones che torreggia su di lei. La sua bocca rimane aperta e distoglie lo sguardo da Ma, prima senza meta, poi fissandosi su Santana. Un’idea sembra farsi strada nella sua mente.

“Beh,” dice Theresa, “prima che tu possa fare altro, il sig. Adams ha un compito urgente per te: devi aiutare – ,” si interrompe, rendendosi conto di non aver mai chiesto il nome a Santana.

“Santana,” Santana le fornisce.

“ – Santana a trovare un costume. Il sig. Adams l’ha appena assunta come – ”

“Chiromante.”

“ – come chiromante e ha bisogno di un costume prima che noi arriviamo a Worthington.”

Theresa fa un sorrisetto a Ma Jones, soddisfatta di quel piccolo potere che aveva appena riguadagnato su di lei. Da parte sua, Ma Jones sembra solamente irritata. Ma dà un’occhiata a Santana.

“Il sig. Adams ti ha assunto?” ripete, incredula. La guarda dall’alto in basso, sembrando del tutto indifferente. È la seconda volta di oggi che Santana si chiede che cosa vuole vedere la gente quando la scruta.

“Sì” risponde, essendo incerta sul chiamare Ma Jones signora oppure no; le regole si offuscano un po’ in questa circostanza.

Ma sospira, chiaramente appesantita. “Va bene,” dice, guardando Santana come se fosse una stanza  sudicia che necessita di essere pulita prima che la compagnia arrivi per i giochi da salotto. “Vieni con me.”

Ma abbassa il suo cucchiaio di legno e guida Santana lontana da Theresa, la donna con il frustino, e la fila di ragazze vestite da cavallerizze, oltre le giovani sarte e attraverso un labirinto di tramezzi di stanze fino a una pila di casse da viaggio arrangiate a casaccio, in vari stati di apertura.

Guarda Santana, studiandola.

“Una zingara?” ripete.

“Sì…signora” risponde Santana, non molto sicura sull’etichetta.

Ma emette un suono derisorio ma non dice nulla a Santana. Invece, inizia a frugare tra le casse da viaggio, aprendole e ispezionando tessuti con motivi a rombi e cinture di pelle, esaminando ogni capo di vestiario estratto prima di proseguire, evidentemente insoddisfatta da quello che ha trovato. Mentre Ma continua a cercare, Santana sta dietro di lei, incerta su cosa fare o come aiutare Ma, sentendosi fuori posto come le è accaduto per tutta la giornata. Ma Jones cade sulle ginocchia e borbotta tra sé e sé. Alla fine tira fuori dalla cassa una camicetta bianca con ampie maniche e apparentemente la ritiene appropriata, poggiandola sul braccio per tenerla lì per dopo.

“Dove abbiamo messo quella gonna?” dice a se stessa, osservando il mucchio di bauli con il labbro inferiore tra i denti.

Santana dà un’occhiata ai bauli ancora non controllati – circa metà di una dozzina in tutto – e sussulta, domandandosi se avrebbero dovuto guardare in tutti quelli per la gonna mancante. Alcune delle casse hanno delle etichette a lato : MEDIEVALE, OCCIDENTALE, ATTREZZI DEI CLOWN & VARIO, COLLARI PER LE TIGRI ECC.,  WESTERN, EUROPEO.

“Che ne dice di quello?” le suggerisce, indicandole il baule EUROPEO.

Ma Jones sposta lo sguardo da Santana al baule, irritata con Santana per averle suggerito di cercare e irritata con la cassa per il solo motivo di esistere.

“Ascolta,” le dice seccamente, il suo sguardo che ricade su Santana. “È meglio che ti ingoi tutta la sfacciataggine che ti sei portata con te da dovunque tu venga, ragazza, hai capito? Puoi pure urlare contro a loro, ma per me sei solo un’altra bocca da sfamare e qualcosa che mi distrae dal lavoro che ho da fare. Tu non sei migliore di nessuno. Una volta che ti ho dato questo costume,  è meglio se mi stai lontana, signorina, perché non ho tempo per le sciocchezze. Tutti qui sono lo stesso per me, quindi risparmiamelo perché non voglio sentire nulla al riguardo. Capito?”

Santana non capisce per niente – non capisce perché tutti al circo sembrano così ostili o che cosa in lei fa in modo che ogni persona che incontra sembra disprezzarla da subito; di sicuro non capisce tutte le regole invisibili del mondo e non capisce nulla di quello che le ha appena detto Ma Jones. La fissa, ammutolita. Incapace di pensare a qualsiasi cosa, annuisce.

Alla faccia di riuscire a piacere a Ma Jones.

Nonostante la sua predica, Ma si dirige verso il baule etichettato EUROPEO e prontamente lo apre, seguendo il consiglio di Santana, e fruga fra i contenuti della cassa fino a quando sembra trovare qualcosa che le piace. Annuisce con approvazione.

“Dovrai stringerla” dice, presentandole una lunga gonna a strati variopinta, uno strato blu, un altro rosso, e poi rosa, marrone, un altro grigio ardesia, e tutti quelli a fiori, con piccoli motivi a mosaico.

Gli occhi di Santana si dilatano. Può solo immaginare cosa direbbe sua nonna sull’indossare un motivo così teatrale. Ma Jones passa a Santana la gonna; finisce pesantemente tra le sue braccia. La gonna ha probabilmente venti iarde di stoffa attaccata, tutta arrotolata sotto gli strati e piccoli bordi. Ma Jones si china verso il baule ed estrae diversi luminosi foulard di seta, colorati di rossi accesi e viola, insieme ad alcuni braccialetti tintinnanti, una cintura di pelle, e un braccialetto costituito da monetine di metallo, passandoli tutti a Santana uno alla volta.

“Sai cucire, vero?” le chiede Ma.

Ancora una volta, Santana annuisce, schiacciata dal peso del suo nuovo costume. Vogliono veramente che lei indossi dei vestiti così vistosi quando si esibisce col circo?

“Bene” Ma dice bruscamente. “Adesso andiamo a cercare un kit da cucito per te e poi torno dalle mie ragazze della cucina, così posso spedirti via e preparare a voi tutti scemi la cena.”

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Santana scopre che il kit da cucito che Ma Jones le ha fornito contiene solamente un rocchetto di filo nero, un paio di forbici, qualche spillo, e un unico ago d’acciaio. Le fornisce l’attrezzatura, ponendola sopra il costume nelle braccia di Santana, e poi la spedisce fuori dalla tenda dei camerini, ordinandole di “starsene alla larga fino all’ora di cena.”

Santana, ovviamente, non sa che cosa costituirebbe starsene “in mezzo” a questo punto; non ha idea di dove si trova e non può girare per il campo e non riesce a trovare il coraggio di chiedere delle indicazioni a qualcuno della gente del circo che sta girovagando intorno alla tenda dei camerini.

Qualsiasi cosa Santana si era aspettata dal circo, certamente non è questa.

Dopo essersi guadagnata qualche sguardo truce per starsene in mezzo alla strada, Santana inizia la ricerca di un luogo per cucire, sfrecciando tra varie persone – tutte vestite in borghese – mentre trova la strada per uscire dalla zona della tenda. Non sapendo dove altro andare, torna indietro nella direzione del carro che l’aveva portata nel campo, usando la bandiera che sventola sopra il grande tendone come suo punto di riferimento per spostarsi.

Senza Puck o Ken a guidarla, Santana stabilisce la sua andatura, assimilando tutto lo spettacolo che non aveva avuto l’occasione di vedere prima.

Vede latte di tabacco vuote e perle colorate sparse nell’erba ed ampie assi e secchi appoggiati lungo varie strutture. Incontra persone di tutti i tipi, che variano da due bambini biondi che ridono ad una cavalletta appena catturata, saltellando in passi di danza, fino a uomini che trasportano carriole riempite di enormi quantità di fieno da una parte all’altra del campo. I suoi occhi colgono qualsiasi cosa in movimento e tutto sembra affascinante, dai rumorosi suoni spenti che sente in lontananza fino al modo in cui il sole del Nebraska sembra rimanere sospeso nel bel mezzo del cielo, anche se mezzogiorno è già passato da molto.

Come passa loro davanti, Santana sfiora le sue dita contro la tela di alcune tende, familiarizzandosi al loro tocco. Si accorge che alcune delle tende hanno numeri o iniziali dipinte sulle tende. Senza un contesto, quei segni hanno un significato più sconosciuto dei geroglifici egiziani per Santana.

Adesso che si trova nel cuore del circo, Santana si rende conto che il campo sembra essere diviso in due sezioni principali, una piena di tende più piccole – dove Santana pensa che la gente del circo si sistemi per la notte – e un’altra dove sono situate il tendone e le tende secondarie, con la tenda del sig. Adams e quella dei camerini tra di esse. I manifesti isolano la zona residenziale del campo da quella degli affari, anche se Santana non è sicura se è fatto per proteggere la privacy degli artisti o per impedire al pubblico di interagire con loro al di fuori dello spettacolo.

Santana supera i primi fenomeni da baraccone mentre cammina: due signore, entrambe enormi, una più alta della maggior parte di uomini che Santana abbia incontrato in vita sua, con ampie spalle come rami di un albero, e l’altra rotonda come una sfera, con morbida, bianca pelle, chiara sotto la luce del sole. Santana tenta di non fissare le due donne, sebbene la interessino, ma in qualche modo i suoi occhi sono attratti come magneti da loro; non riesce a distogliere lo sguardo, non importa quanto duramente ci provi.

Le donne invece, non sembrano nemmeno accorgersi di Santana; passano oltre come se lei fosse invisibile, così vicino che Santana strappa un pezzo della loro conversazione.

“ – ma ho un fratello che conta su questo,” dice la donna più alta.

“Beh, se l’investitore si presenta però - ,” risponde la donna più rotonda.

Santana impiega un secondo a muoversi di nuovo anche dopo che l’hanno sorpassata.

(In breve, Santana si sente solo un paio di occhi in questo mondo, che guardano tutto affrettarsi davanti a lei. Ha parlato così poco di oggi e nulla è veramente contato. Vede tutto, però. Vede più di quanto possa analizzare.)

Ad un certo punto, Santana si ritrova di nuovo al carro. Mettendosi sulla punta dei piedi, Santana sistema il suo kit da cucito e il costume sulla panca prima di usare la cassa del conducente per salire sopra.

Adesso che non ha più da portare in giro il suo costume, può dargli un occhiata. Mentre scorre le sue mani sulla gonna, Santana scopre che ha vari sottili strati di sottogonna; sa già che peserà un quintale una volta indossata.

Scopre anche che la camicetta che Ma le ha dato non ha nemmeno l’imbottitura per le spalle al suo interno – il che significa che è come il genere di maglia che indosserebbe la ragazza di un saloon. Rabbrividisce al solo pensiero di quello che sua nonna direbbe se sapesse che Santana ha addirittura solamente considerato di indossare un capo d’abbigliamento così indecoroso, ma sa di non avere scelta. Come dice Puck, il circo è pura teatralità.

Sebbene a Santana non sia mai piaciuto cucire – troppo tedioso e ripetitivo – sua nonna si era accertata che fosse ben istruita in quell’arte, al punto tale che, dopo anni di pratica, Santana possiede una mano abile e delle cuciture strette.

Una cosa ch non possiede Santana, però, è l’essere in grado di stabilire misurazioni precise senza un metro a nastro.

Dal momento che Ma non ha dato a Santana un metro, lei stessa si ritrova a giudicare a occhio le modifiche – un lavoro reso quasi impossibile dal fatto che Santana non può nemmeno vedere la gonna su una modella, ma deve osservarla mentre giace su una panchina. Tiene la gonna sui suoi fianchi e nota che è un po’ troppo lunga per lei, ma oltre a quello, non c’è molto che possa fare. Certamente, sua nonna si ritirerebbe di fronte a tale ipotesi, ma, di nuovo, sua nonna non è qui.

Santana inizia ad appuntare il bordo della gonna, sperando di non rovinare il suo primo costume da circo per quando finisce di lavorarci.

Fare l’orlo della gonna è un lavoro lungo e tedioso, peggiorato dalla fame che attanaglia il suo stomaco. Santana non ha ancora mangiato da quando la sera prima aveva cenato in una pensione di Omaha, e tra l’implacabile calore e il fatto che non aveva voluto fare colazione o pranzare oggi, le gira la testa, come se fosse ubriaca sotto la luce del sole pomeridiano.

Ma Jones aveva menzionato la preparazione della cena, ma Santana non ha idea di quando vedrà il prossimo pasto. La sua mano trema e deve continuare a sbrogliare le cuciture e rifarle perche le linee non sono diritte e la filettatura non ha intenzione di rimanere tesa. Non riesce a tenere traccia del tempo senza un orologio da controllare, ma nota finalmente che il sole si sta muovendo dal centro del cielo verso l’orizzonte, arrivando a colpire il lato sinistro del suo volto. Strizza gli occhi, stordita e seccata.

(Inizia quasi a piangere quando si taglia con le forbici destrorse che riesce a malapena ad usare perché è mancina.)

Per la maggior parte del tempo, poche persone passano da dove Santana è seduta sul carro, ma poi una mezza dozzina di uomini di colore passeggiano nei dintorni più tardi, con borse di attrezzi sulla spalle, e la guardano in modo duro, come se non avesse il diritto di appollaiarsi sul carro. Troppo stanca per muoversi e oltretutto irritata con tutta la sua scarsa fortuna, Santana osa guardarli in modo truce, come se gli sfidasse a toglierla di peso dalla panca se non dovrebbe sul serio sedersi lì.

(In un altro giorno, Santana farebbe più attenzione alle regole, ma mentre il pomeriggio sbiadisce, non gliene frega nulla. Le regole sono un po’ grigie in questa situazione, comunque.)

Per un po’, il sole diventa più luminoso, ma poi l’aria inizia a rinfrescarsi. L’ombra di una tenda vicina si allunga fino al carro, ed offre un po’ di sollievo a Santana, che può sentire la sua pelle irrigidirsi sotto il sole rovente. Santana si sente assetata e al limite del collasso. I suoi pensieri cominciano a nuotare nella sua mente come girini in una pozza fangosa. La sua mano trema mentre mette gli ultimi punti sull’orlo, lo stomaco dolente dalla fame.

Una voce la scaraventa fuori dal suo semi-delirio.

“Ehi, coccinella! Eccoti!” Puck chiama, saltellando attraverso il prato, qualcosa che Santana non riesce a vedere nascosto tra le mani, un sorrisetto maligno sulla sua faccia. “Ti ho portato un regalo, direttamente dal sig. Adams,” dice gioiosamente, rivelando l’oggetto misterioso: un mazzo di carte.

Tarocchi.

Improvvisamente, Santana si sente indisposta a causa di molto più del calore e della fame. Puck balza sulla panca al fianco di Santana, attento a non sedere sulla sua gonna, e le porge il mazzo di tarocchi per esaminarlo.

È un mazzo francese, splendidamente illustrato in verdi lussureggianti, ori giocosi, rossi amaranto, e blu luminosi, i personaggi sulle carte tutti belli ed espressivi. Santana volta la prima carta, il Matto, vestito da giullare ed in movimento, e anche la seconda, gli Amanti, nudi mentre si stringono le mani sotto un angelo estatico. Il mazzo è tutto in disordine.

“Queste andranno abbastanza bene?” chiede Puck, alzando un sopracciglio.

Una ventata di terrore sferza Santana. “Certo” risponde, preoccupata per il fatto che funzioneranno troppo bene.

Puck fa cadere lo sguardo sulla gonna sul grembo di Santana. “È carina” dice poveramente, facendo scorrere le sue dita sopra il tessuto, come se non potesse fare a meno di toccare il motivo della gonna.

(Ogni tanto Puck le fa venire in mente un ragazzino. Si ritrova ad apprezzarlo di più quando è così.)

Santana lo deride. “Non è più carino adesso che ho rovinato l’orlo.”

“Beh, perché l’avresti fatto?” Puck chiede seriamente, facendo una smorfia. Senza aspettare una risposta, picchietta la coscia di Santana e si alza dalla panca. “Andiamo, coccinella,” dice. “Riportiamo il tuo kit da cucito dove stava e sistemiamoci prima di cena. Che ne dici?”

Santana non dice nulla; invece, inizia a stipare la sua attrezzatura da cucito presa in prestito dentro la piccola sacca ornata di perline da cui li aveva estratti e ripiega il suo nuovo costume, desiderosa di cenare il prima possibile. Puck si offre di portare i vestiti e Santana lo lascia fare, drappeggiando la sua nuova gonna, la camicetta e i foulard all’altezza del gomito.

Francamente, Santana sa che il suo lavoro di cucito sembra terribile – sua nonna l’avrebbe schiaffeggiata dietro l’orecchio per aver cucito così approssimativamente, se fosse lì a vederli – ma Santana non si preoccupa di sistemarlo, e di sicuro non adesso che la luce si è affievolita nel cielo e tutto sembra allungato e spento.

Proprio come aveva fatto nel primo pomeriggio, Puck salta dal vagone fino a terra, poi porge la mano a Santana per aiutare anche lei a scendere. Lei appoggia un palmo sulla spalla di Puck e salta, atterrando con un hop sull’erba. Puck tiene il costume di Santana e lei la piccola borsa mentre lui l’accompagna verso la tenda dei camerini.

Nelle ore dall’ultima volta che Santana aveva attraversato il campo, le ombre tra le tende sono diventate alte e ora sfoggiano profonde, fresche ombre. Puck aggancia insieme il braccio libero suo e di Santana mentre camminano, e, per una volta, a Santana non dispiace la sua audacia, apprezzando il modo in cui la guida, usando più la sua forza che quella di Santana, come un rimorchiatore che riporta la barca al porto.

Sono a metà strada verso i camerini quando un duro, chiaro suono squilla nell’aria, spaventando Santana e immobilizzandola. I suoi occhi si dilatano e il cuore le balza nel petto, veloce come quello di un coniglio alla ricerca di un nascondiglio nel campo.

“Che cos’era quello?” chiede sobbalzando.

Puck le risponde con una risata. “Quello è solo il nostro grande, noioso elefante,” dice chiaramente, come se fosse usuale sentire rumori di elefanti nella pianure del Nebraska o in qualunque luogo al di fuori dell’Africa, a dire il vero. “Si starà probabilmente chiedendo dov’è la cena, proprio come noi.”

Forse è perché si sente già intontita, ma Santana non riesce nemmeno ad annuire in risposta. Il battito del suo cuore martella nelle orecchie. Deve sembrare provata.

“Tutto ok, coccinella?” chiede Puck, soffocando una  risata.

Santana soffoca la sua paura. “Sì,” risponde affannosamente. “Mi ha solamente spaventato, tutto qui. Non me l’aspettavo.”

“Beh, quello è un tuo problema, qui,” Puck dice deliberatamente.

Dopo aver restituito il kit da cucito ad una delle giovani sarte nella tenda, Santana segue Puck verso la zona residenziale, dove a un certo punto si ferma davanti ad una delle piccole strutture di tela.

“Casa dolce casa,” dice con il suo sorriso ebete, sollevando le braccia per mostrarla a Santana, come se la visione potesse impressionarla.

Dall’esterno, la tenda pare essere un pochino più bassa di Puck stesso e circa otto piedi di lunghezza, quattro piedi di larghezza. È una tenda con un tetto spiovente e quattro angoli, costituita da tela in cima e stoffa più resistente ai lati, tutta bianca, con dei paletti che la fissano al suolo.

Puck non perde tempo a mostrare l’interno a Santana, abbassandosi mentre entra, Santana che lo segue subito dietro di lui.

Senza nemmeno aspettare che Santana inizi a sentirsi a proprio agio, Puck chiede, “Cosa ne pensi, coccinella?” orgoglioso come se le avesse appena fatto visitare uno spettacolare castello europeo.

Onestamente, Santana non pensa anche ci sia molto da dire riguardo l’interno di questa tenda. È piccola e soffocante, la tela in cima ancora impregnata del calore del sole pomeridiano, anche con la luce del giorno che man mano si affievolisce.

Un basso, piccolo lettino – niente di più di una branda di stoffa distesa sulla nuda cornice lignea di un letto – è in linea con un muro. Uno sgabello di quercia sta in un angolo vicino alla sacca di Puck, un materassino arrotolato, il cappello e la borsa da viaggio di Santana, e un set da bagno di acciaio inossidabile, che comprende una bacinella, sopra una cassa vuota per le verdure rovesciata.

Tranne per un intaglio finito a metà della testa di un aquila che giace affianco ad un coltello seghettato sopra lo sgabello, il becco urlante e gli occhi furiosi che emergono da una rozza, non completata maniglia in noce, trucioli e abiti di seconda mano che punteggiano il suolo attorno alle gambe dello sgabello, nulla in particolare si distingue come proprietà di Puck. Un paio di ragni vagano lungo i muri della tenda e il soffitto.

(Puck drappeggia il costume di Santana sopra il lettino, come se mettesse a letto una principessa.)

“È carino,” risponde in breve Santana, sia perché non ha altro da dire sia perché si sente incredibilmente stanca e affamata, a tal punto che riesce a malapena a parlare.

Per qualche motivo, a Santana non era passato per la mente il fatto che lei e Puck avrebbero condiviso una tenda fino ad adesso. Ha senso, suppone, considerando che il sig. Adams crede che siano sposati, ma il fatto è che loro non sono veramente sposati.

(La nonna di Santana inizierebbe a pregare ogni santo nella Letania de los Santos se sapesse della sistemazione di Puck e Santana per dormire.)

(C’è un solo lettino.)

Puck confonde la forzatura delle sue parole con impazienza, ignaro della sua preoccupazione di dividere una tenda con lui. “Possiamo avviarci verso la mensa, se vuoi,” le propone poveramente. “La campana non è ancora suonata, ma magari potremmo aiutare Ma a mescolare la pentola fino a quando il pasto è pronto.”

Santana pizzica il ponte del naso, percependo un mal di testa scoppiare lì e ai lati del cranio.

“Tutto ok, coccinella?” chiede Puck delicatamente.

Fino ad oggi, Santana non ha mai trascorso così tanto tempo all’aperto nella sua vita. Si sente allo stesso tempo più calda, più esausta, e più sporca di quanto si sia mai sentita prima. Sembra che tutti eccetto Puck la odino in questo posto e non riesce proprio a capire perché. Non è sicura se preferirebbe dormire o mangiare, ma sa che se non fa o l’una o l’altra il prima possibile, probabilmente collasserà sul posto.

“È stata una lunga giornata” Santana risponde onestamente.

Puck le offre un’espressione comprensiva. “Ti sentirai meglio una volta che avrai mangiato qualcosa” le promette.

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Mentre Puck e Santana si dirigono verso la mensa, Puck coglie l’opportunità per aggiornare Santana su chi è chi al circo.

“Di sicuro conosci il sig. Adams adesso,” dice, sorridendo come un figlio orgoglioso che menziona il padre famoso. “E Ken – è il capomastro qui, responsabile di tutti i sovrintendenti. Abbaia spesso, ma raramente morde. È spaventato dagli elefanti e non parlerebbe a una graziosa signora nemmeno se il suo lavoro dipendesse da quello.”

Santana ride, contenta che qualcun altro sembri condividere i suoi pensieri riguardo Ken. “È diventato rosso come un peperone quando mi ha lasciato alla tenda dei camerini.” concorda con lui.

Puck fa un sorrisetto e annuisce, sfiorando l’orlo del suo cappello quando lui e Santana sorpassano la stessa coppia cinese che Santana aveva visto prima.

“E loro chi sono?” bisbiglia Santana, non appena lei e Puck escono dalla loro portata d’orecchio.

“Loro?” dice Puck. “Quelli sono i Chang, Dragoni Volanti di Pechino.” Abbassa la sua voce e porta la bocca vicina all’orecchio di Santana, cosicché può parlarle senza che qualcuno possa sentire. “Nessuno sa se sono fratello e sorella o moglie e marito. Non parlano un briciolo di inglese e per lo più se ne stanno per i fatti loro.”

Santana non può fare a meno di ridacchiare a quanto Puck suoni serio.

Puck si raddrizza. “Tu hai incontrato Ma Jones, giusto? Perché è la persona più importate dell’intero maledetto campo.”

“Davvero?”

Puck annuisce solennemente, “ Già. È più importante di Will, il direttore di circo, Ken, e tutti i sovrintendenti messi insieme.”

“Perché?”

“Perché è la responsabile del cibo,” Puck dice impassibile e Santana sorride.

“Beh, di certo quello la rende importante,” ammette Santana.  

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Alla fine risulta che Santana e Puck non sono gli unici membri della compagnia che si sono presentati presto per la cena; un grande numero di persone di ogni età e misura vagano per la mensa – che è in realtà solo uno spazio aperto nel mezzo di un anello di tende e non una vera e propria mensa.

Al centro della zona è situato un focolare fumante con ampie e profonde casseruole di ghisa circondato da molteplici panche basse e sgabelli. Un tavolo lungo affianca quello che Santana presume debba essere il carro dove servono i pasti e una tettoia di stoffa blu è posta sopra il tavolo, grazie a pali verticali.

Sei o sette ragazze, la maggior parte con la pelle più scura di Santana – alcune le stesse sarte che Santana ha trovato prima ai camerini – si precipitano attorno al fuoco e al tavolo, mescolando vari piatti, impastando il pane, e rimuovendo radici di verdure con dei coltellini.

In mezzo a loro si trova Ma Jones, le mani sui fianchi, dirigendo il suo staff come un generale farebbe con le sue truppe, inviando questa ragazza a correre lì e un’altra là, urlando ai bambini che tentano di ficcare le dita nelle teglie scoperte di allontanarsi dal tavolo e dando una strigliata agli uomini raccolti attorno al focolare per bighellonare senza offrire il loro aiuto a nessuno.

(Sembra esasperata, ma anche stranamente in pace – come se si sentisse esattamente al proprio posto nel centro di quel momento frenetico.)

Il sole ha iniziato veramente a tramontare adesso, gettando un bagliore di un arancione ardente sulla pianura. In qualche modo, l’imbrunire affievolisce il caos della mensa, ammortizzando il rumore e il movimento generale.

Per un momento, Santana si dimentica di respirare; vedere così tante persone svolgere così tanti lavori in un unico luogo fa ritornare quel senso di solitudine dentro di lei. In quell’istante, le sembra evidente che non fa parte del loro ritmo di lavoro; anche se circondata dalla folla, lei è interamente, indicibilmente sola.

(È un circo al riposo alla sera. Non può fare a meno di guardare, assorbendo il tutto, affascinata.)

“Puck!” una voce chiama nel bel mezzo del brusio.

Santana si volta per vedere un giovane uomo più o meno dell’età sua e di Puck emergere dalla folla, agitando la sua mano a mo’ di saluto e  sorridendo. Hai i capelli biondi e una larga bocca, con un sorriso sghembo sul volto. È più alto di Puck e di corporatura massiccia, con le spalle larghe e un portamento giocoso. Un altro ragazzo inciampa dietro di lui, alto con i capelli scuri, un’andatura trascinata e un’espressione stordita sul volto. Entrambi i ragazzi hanno la pelle chiara, molto più di Puck.

“Sam!Finn!” Puck esclama, attirandoli entrambi a turno in un ruvido e goffo abbraccio. Colpisce Sam – il ragazzo biondo – duramente sulla schiena.

“Sei tornato!” afferma Finn, dando un pugno a Puck sul braccio in una strana imitazione della violenza di Puck con Sam. Il suo pugno sembra goffo e la sua espressione intontita permanente.

(Santana non capirà mai perché i ragazzi si colpiscano per dirsi ciao o mi piaci, come se i pugni valessero il doppio dei complimenti. )

“Certo che sì,” dice Puck scaltramente, sorridendo malevolmente. “E non sono di certo peggiorato!Sono pronto per rivincere il mio denaro contro voi zucconi.” Punta un dito d’avvertimento contro i due. “Giochiamo a Euchre sul treno domani?”

“Certamente” Sam risponde.

“Bene,” Puck dice fermamente, togliendosi il cappello, piegandolo e mettendolo sotto la sua cintura in vita.

“E questa chi è?” chiede Sam, accorgendosi di Santana per la prima volta. Le sorride gentilmente.

“Ci stavo arrivando” dice Puck. “Non affrettatemi.” Sistema la cintura attorno al cappello, lingua tra i denti, poi si raddrizza. “Sam, Finn, vorrei introdurvi mia moglie, Santana.”

“Tua moglie?” farfuglia Finn.

“Sì, deficiente,” dice Puck aspramente, colpendo Finn sul braccio con più forza di quando Finn l’ha colpito un momento fa. Finn sobbalza, sofferente. “Mia moglie” ripete Puck in un tono minaccioso. Restringe lo sguardo, sfidando silenziosamente i suoi amici a dire qualcosa del suo nuovo stato coniugale.

“L’hai incontrata a New York?” chiede Sam, sbalordito.

“Proprio così” dice Puck. “Suo padre era il medico che ha sistemato la mia gamba dopo l’incidente. Mi ha assunto come giardiniere mentre guarivo e cosa posso dire? Santana ed io ci siamo innamorati nel suo giardino.” Puck sorride da ebete, come se quello che ha appena detto fosse vero.

Santana sente qualcosa stringersi dentro di lei. Digrigna i denti, sapendo che questa è la menzogna su cui lei e Puck avevano concordato prima che lui l’avesse segnata alla pensione nel distretto di Tenderloin. Devono fingere di essere sposati così si può prendere cura di lei, così la gente la tratterà correttamente, così ha un luogo dove stare.

“Lieto di conoscerti, Santana” dice Sam cordialmente, porgendole una mano.

Finn semplicemente la guarda.

“Puck,” borbotta, “Lei è…”

Prima che Finn possa dire la parola che tutti stanno pensando, Puck colpisce di nuovo Finn, e duramente. “Stai zitto,” gli dice digrignando i denti. “È quello che sono io – una gitana,” ringhia, come se dire la menzogna con sufficiente convinzione la trasformasse in verità.  

(Puck è ebreo, non un gitano – e Santana non è nemmeno quello.)

Gli occhi di Santana cadono al suolo, poi di nuovo verso Sam. Stringe la mano che gli aveva offerto. “Lieta di conoscerti” biascica.

È allora che la campana suona.

Adesso, il cielo è diventato viola sui bordi, ammaccato come una pesca caduta. Una folla accerchia il focolare, alcuni prendendo posto sulle panche e gli sgabelli, altri stando dietro alla zona per sedersi. Piccoli moscerini ronzano nell’aria, vendendo allo scoperto per la notte. La confusione di prima si acquieta quando un uomo biondo fa un passo avanti, stando di fronte al focolare, la tettoia blu dietro di lui. Per un momento, Santana si chiede se farà un discorso.

“Quello è il papà di Sam, il sig. Evans,” le bisbiglia Puck nell’orecchio, rispondendo una domanda che Santana non ha posto. “È il capo dei clown, ma dice la – ”

La frase di Puck si estingue quando il sig. Evans si schiarisce la voce. Si toglie il cappello, tenendolo all’altezza della vita. Al segnale, circa metà delle persone si levano i cappelli, poi piegano le loro teste e incrociano le loro mani davanti a loro, ma il resto della compagnia guarda da un’altra parte, improvvisamente interessata nel tramonto del sole o con lo sguardo fisso sul cibo che Ma ha sparso sul tavolo.

Con una voce roca, il sig. Evans inizia a pregare: “O Signore, benedici in questo giorno il nostro pane e il nostro pasto. Garantiscici il perdono, perdona le nostre mancanze, offrici la forza, e lasciaci vivere sempre al tuo servizio. Benedici i nostri viaggi futuri e preservaci da danni e pericoli. Sorveglia i nostri animali, le tende, e i nostri figli, come hai fatto con quelli d’Israele, persi nelle terre selvagge. Dacci speranza anche nelle nostre differenze. Aiutaci nel perdono. In nome di Dio, amen.”

Mentre il sig. Evans prega, Santana non riesce a fare a meno di guardare la compagnia, alcuni in armonia con la cadenza della sua voce, altri ignorandolo attivamente. Fino ad oggi, Santana non ha mai visto nessuno rifiutarsi di partecipare ad una preghiera.

Quando conclude la sua preghiera, metà della compagnia che aveva i loro occhi chiusi e le teste piegate mormorano amen insieme a lui; altre persone semplicemente borbottano e iniziano a muoversi. Santana si chiede se forse dovrebbe offenderla il fatto che non tutte le persone di circo pregano, ma in un certo modo si trova invece segretamente affascinata.

(Non avrebbe mai potuto dirlo a sua nonna, ma Santana non riesce a immaginarsi Dio, nemmeno in quei momenti tra la veglia e il sogno.)

Con la preghiera terminata, la compagnia riprende vita, con Ma Jones e le sue ragazze che recuperano le casseruole di ghisa dal carbone e le trasferiscono, fumanti, sul piano del tavolo, e tutti gli altri iniziano a formare una fila che arriva fino al tavolo. Le ragazze di Ma distribuiscono piatti di metallo alla gente che viene dalla fila, e poi servono mestoli pieni di cibo che Santana può percepire, ma non vedere nei loro piatti.

“Vieni,” dice Puck, agguantando la manica di Santana e facendole cenno di unirsi a lui nella coda. “Andiamo a prendere qualcosa per calmare quel tuo mal di testa, coccinella.”

Si affrettano a mettersi in coda, finendo in mezzo ad un uomo di mezza età e Finn. L’aria ha un odore vivo con aromi gustosi e aria del focolare. A questo punto, Santana si sente così affamata che potrebbe mangiare veramente qualsiasi cosa, ma la cena di Ma sembra avere un odore delizioso.

Alla fine, la cena di Ma è veramente deliziosa.

Il pasto consiste di patate e prosciutto stagionato in salsa, stufato fino a diventare morbido nelle casseruola di ghisa sui carboni ardenti, e biscotti caldi con burro e marmellata. Santana e Puck si siedono sull’erba per mangiare, attorniati da altra gente seduta, una foresta di pantaloni e gonne che ondeggiano attorno a loro nel tramonto. Moscerini e falene ronzano intorno alle loro teste, come il chiacchiericcio della gente del circo.

Ogni tanto, qualcuno passa dal loro punto e saluta Puck e Puck la introduce alla persona come sua moglie. Ad uno ad uno, le conoscenze di Puck la squadrano come se avesse fatto  loro qualcosa di male. Fa del suo meglio per rimanere educata, ma sente qualcosa indurirsi dentro di lei, che inizia ad opporsi. Si concentra sul godersi il pasto, ma non può fare altro se non domandarsi quale regola non detta stia infrangendo per suscitare tale repulsione.

Una volta che Santana ha finito la cena, Puck la guida sul lato più lontano del carro, dove incontrano due ragazze addette a servire che siedono vicino ad una tinozza d’acciaio riempita di acqua e bolle di sapone. Santana si chiede da dove venga la tinozza, ma non si permette di porre a Puck la domanda. Ringrazia le ragazze per aver preso il suo piatto e la fissano, labbra serrate sui loro volti.

“Andiamo, coccinella” dice Puck. “Non vorrai perdertela.”

“Perdere cosa?” chiede Santana.

“La danza,” sorride Puck, guidando Santana di nuovo verso il fuoco, che adesso divampa in una tinta completamente arancione.

Come previsto, Santana individua diversi uomini in abiti spiegazzati che tirano fuori gli strumenti da astucci di cuoio: violini, chitarre, un banjo, un tamburello, strumenti a percussione, e un autoharp emergono dai loro portatori mentre i membri della band prendono posto attorno al focolare, abbastanza vicini da cogliere il bagliore così possono vedere i loro strumenti. Proprio allora, un carro trainato da un alto cavallo accorre dietro il fuoco. Nel retro del carro si trova un armonio verticale insieme ad un uomo barbuto dai capelli arruffati che siede alla panca. I membri della band spostano i loro sgabelli più vicini al carro.

“Ad un'altra buona settimana!” una voce chiama e Santana si volte per vedere Ken alzare un bicchiere di latta alla compagnia riunita, sfiorando la sua bombetta in segno di saluto.

Un paio di persone esultano in risposta.

Santana osserva sbalordita mentre la festa prende vita attorno a lei, la compagnia che entra in azione per togliere di mezzo le panche e gli sgabelli inutilizzati, sposta indietro il tavolo della cena, e prepara lo spazio attorno al falò. Ascolta la band accordare i loro strumenti, archetti che stridono sulle corde fino a quando non trovano le note giuste da cogliere, dita che cercano arpeggi sulle chitarre strimpellanti, l’armonio che borbotta mentre l’occhialuto capo della band aziona le sue canne con l’aria.

“Vuoi ballare, coccinella?”

Santana balza, essendosi temporaneamente dimenticata di Puck fino a quando le ha rivolto la parola.

La verità è che Santana non ha mai ballato con nessuno prima d’ora. Una parte di lei desidera così tanto ballare che l’intensità del desiderio quasi la spaventa – come se fosse così profondo e dolce che Santana non può pensarci completamente o altrimenti verrebbe inghiottita – ma l’altra parte di Santana ha paura, per timore che possa sembrare una sciocca o infrangere delle regole senza saperlo. Rabbrividisce, poi si calma.

“No, grazie” farfuglia.

(Santana nasconde il suo desiderio come la foto di un amante segreto nel pendaglio del suo cuore.)

“Va bene” dice Puck. “Sono troppo stanco per poter ballare veramente. Sarà comunque divertente guardare.” Suona rassegnato.

Come l’uomo all’armonio alza la mano al resto della band, dandogli il segnale di iniziare, Santana sente un fremito. I violini suonano un’alta, gioiosa nota iniziale, chiara e vivace anche contro il tramonto, e membri della compagnia entrano in pista, alcuni in coppia, altri a gruppetti di tre o di quattro. Al tre, la band attacca con un leggero, motivo ballabile, dolce e fatto per passi e piroette. Santana tocca col pollice il tessuto stampato della sua gonna, tutta contenta dentro di sè per una sorta di eccitazione che non riesce a localizzare, così tanto che non riesce a parlare.

Santana deve sorridere senza accorgersene – ogni tanto si dimentica di fare attenzione alle sue espressioni quando in realtà dovrebbe – perché Puck si avvicina a lei e ammicca. “C’è una danza come questa praticamente quasi tutte le giornate calme, se per caso cambi idea,” dice di proposito.

Degli uomini fanno piroettare le loro graziose signore, che girano sotto la luce del falò. La compagnia ride e batte le mani a suon di musica e anche Santana ride, anche se non è proprio sicura a che cosa. Nonostante la lunghezza della giornata e la misera accoglienza dei suoi nuovi colleghi, Santana si sente felice, presa dalla gioia della musica e del momento, le stelle che fanno la loro prima lampeggiante apparizione nel plumbeo firmamento.

“Sicura che non vuoi ballare, coccinella?” chiede Puck sopra il frastuono della musica, sorridendole come se conoscesse tutti i suoi segreti e gli piacessero tutti.

“No, no” rifiuta Santana, distogliendo lo sguardo, prima che il suo sorriso possa dire a Puck il contrario.

Il suo sguardo evita il falò, guardando verso l’altro lato del cerchio formato attorno alla pista da ballo.
È allora che li vede: occhi blu che la fissano di ritorno.

Gli occhi sbattono quando Santana li incontra – sono graziosi e felini, quel tipo di blu la cui tinta e colore non potrebbero essere mai replicati – e Santana trattiene il respiro.

(Pensa che è perché è sorpresa.)

Gli occhi appartengono a una ragazza circa dell’età di Santana.

Per un secondo, Santana non riesce a distogliere lo sguardo.

Osserva la pelle baciata dal sole della ragazza, le lentiggini che punteggiano il naso e le nude spalle, il leggiadro arco del suo collo, i capelli scompigliati dal vento, un esile vestito blu cobalto, e il modo in cui le sue labbra rosee si separano come i petali aperti di un fiore, tutto d’un colpo, come una persona che ammirerebbe per la prima volta un dipinto di Homer.

Santana non fa altro che chiedersi per quanto tempo la ragazza l’ha guardata. Senza sapere perché, Santana vuole all’improvviso parlare con lei più di ogni altra cosa, la quale la affascina più di chiunque altro Santana abbia incontrato oggi, o forse in tutta la sua vita, a dire il vero.

“Non fare caso a lei.”

Santana sussulta, strappata da una trance. Per la seconda volta in dieci minuti, si è dimenticata della presenza di Puck vicino a lei.

“Cosa?” gli farfuglia in risposta.

“Quella è solo la figlia del lanciatore di coltelli,” dice Puck, scuotendo le spalle. “Lei e suo papà sono solamente gente stramba. Non intende farti del male fissandoti, comunque, sono sicuro.”

“Certo,” Santana annuisce velocemente, ritornando lo sguardo verso la ragazza per assegnare questo nuovo appellativo alla sua faccia.

Ma la ragazza non c’è più.

Confusa, Santana, scruta la folla e poi la pista da ballo. La figlia del lanciatore di coltelli non è da nessuna parte. La ragazza è scomparsa così velocemente che Santana quasi si domanda se forse non se l’è appena immaginata, ma Puck ha appena riconosciuto la sua esistenza.

“Sicura che non vuoi ballare?” le chiede di nuovo Puck.

Santana può solo scuotere la testa, distratta.

(Si sente allo stesso modo di quando a volte si sveglia da un sogno: come se dovesse ricordarsi qualcosa che non riesce ad afferrare del tutto.)

“Va bene” dice ancora Puck, divertito dalla sua leggera risposta.

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Alle dieci e mezza, la danza si dissolve, i musicisti che rimettono in ordine i loro strumenti, la compagnia che si dirada per raggiungere i loro luoghi per dormire. Quando Puck conduce Santana alla loro tenda, lei sente di stare già sognando, come se si fosse addormentata ore prima e tutto questo fosse solo un sogno. Le stelle sono appese nello sconfinato cielo indaco e un brillante quarto di luna illumina la pianura dall’alto. Le sue ossa e suoi occhi sono stanchi, come ogni suo pensiero nella testa. Pensa di non essere mai stata sveglia per così tante ore di file in vita sua.

Da parte sua, Puck rispetta la sua sonnolenza, rimanendo silenzioso mentre guida Santana attraverso la zona residenziale del campo, una mano premuta sulla sua schiena, conducendola lungo la fila di tende. Quando raggiungono la loro tenda, Puck scosta i lembi per Santana, accennandole un silenzioso Dopo di te e Santana barcolla all’interno, trovando lo spazio meravigliosamente scuro e tranquillo.

“Sei stata brava oggi, coccinella,” dice Puck con una voce roca e prima che Santana possa accorgersi di cosa sta succedendo, si sporge verso di lei e appoggia il suo indice sotto il mento, sollevandole il volto per baciarla. Le sue labbra premono maldestramente sulla sua bocca nell’oscurità, la sua pelle riscaldata dai residui del calore del sole pomeridiano anche ore dopo il tramonto, ispida e ruvida contro il volto di Santana. Il bacio è veloce e brusco – le labbra di Santana si sentono schiacciate, più che altro – così tanto che lei e Puck  non scambiano nemmeno un respiro l’uno con l’altra.

Questo era il primo bacio di Santana.

Accade e poi è finito. In seguito Santana può a malapena percepirne il fantasma.

“Tu prendi il letto,” le dice Puck. “Userò il mio materassino. Dobbiamo prendere un treno presto domani. Verso il Minnesota. Ti sveglierò quando è ora di andare.”

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Mentre Santana rimane immobile, l’oscurità profonda e tranquilla intorno a lei, la notte che risuona del ronzio degli insetti e i rumori ovattati di voci distanti e il fruscio della terra, si chiede se un primo bacio non dovrebbe durare più a lungo.

Pensa ai tarocchi e cucchiai di legno e l’indolenzimento nelle sue dita per aver cucito il nuovo orlo.

Per lo più, però, pensa ad occhi blu che la fissano da oltre il falò e del sobbalzo nel petto che sente ogni volta che pensa a come la figlia del lanciatore di coltelli l’aveva guardata. I suoi pensieri navigano sempre più lontani nel mare della sua mente, la sua gola che diventa densa e il suo respiro che rallenta.

(La figlia del lanciatore di coltelli la guida, danzando, nei suoi sogni.)

  
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