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Autore: micRobs    26/02/2013    7 recensioni
Sebastian/Thad | Future!Fic, Fluff e introspezione a palla.
Dal testo: "Invece Thad era forte e caparbio, coraggioso quando si trattava di avere a che fare con i sentimenti e disposto a esporsi, anche con il rischio di farsi male. Perché il filo che aveva legato al polso di Sebastian era legato con doppio nodo anche al proprio e, ogni volta che Sebastian provava ad allontanarsi e Thad cercava di impedirglielo, gli scavava nella carne e faceva male. Bruciava e lo rendeva doloroso e impossibile da sopportare oltre."
[...]
"«Hai mai desiderato andar via?» Chiese Thad, dopo pochi attimi."
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale, Romantico, Introspettivo.
Avvertimenti: Future!Fic, Fluff.
Rating: Verde
Parole: 2885 (secondo Word)
Note d’autore: Dunque, chi mi conosce, sa che io non credo affatto alla storia delle “fanfiction che si scrivono da sole”. Questo perché io ci sbatto la testa ore, giorni, a volte settimane, per farle venire come dico io – con risultati più o meno apprezzabili. Questa particolare fic, però, si è letteralmente scritta da sola, in pochissimo tempo e senza alcuna difficoltà. Era partita come una cosina semplice, semplice – “magari scrivo una flash e basta, una cosa tranquilla” – e invece sono partita proprio dai dinosauri e alla fine è venuto fuori ciò che state per leggere. Personalmente, ne vado enormemente soddisfatta e spero possa piacere a voi almeno quanto è piaciuto a me scriverla e rileggerla.
Note di betaggio: Quella meraviglia della mia metà che suggerisce le idee – sì, anche questa fic è merito suo – e si prende anche l’onere di correggere le mie parole mancate e la mia dislessia dilagante. Come ogni volta, poi, tutte le incredibili graphics delle mie storie, sono merito suo.


 
 

*stringe statuetta degli Oscar*
Dedico questo premio questa shot a tutte le mie fan più fidate:
Grazie per il vostro continuo sostegno, per la stima,
 e per l’incredibile quantità di ammmore
che mi regalate quotidianamente.
*rotola dalle scale tipo JLaw ma molto meno elegantemente*


E alla mia Vals,
Perché “ed io sono io”.
-26 Febbraio 2012



Alla fine, si era innamorato.

Se glielo avessero detto qualche anno prima, con ogni probabilità, Sebastian avrebbe prima riso e poi chiesto al suo interlocutore se era certo di sentirsi bene. In seguito, una volta accertatosi della sua sanità mentale e della veridicità delle sue affermazioni, gli avrebbe offerto una tazza di caffè e gli avrebbe chiesto come ci si comportava in quei casi.

Ed era esattamente ciò che aveva fatto, più o meno.

Sebastian non era il genere di ragazzo che si lasciava andare a sentimentalismi e smancerie varie, ma non perché – come si sarebbe portati a credere – ne era disgustato o diffidente, ma perché non aveva nessuno con cui farlo. Nessuno con cui avesse mai provato davvero il desiderio di trascorrere le giornate nell’intimità di quattro mura, stretti in un abbraccio che non lasciava spazio al mondo, a bearsi della reciproca presenza e sussurrarsi promesse e parole dolci. In cuor suo, era uno scenario che non aveva mai creduto di possibile attuazione e questo perché era fermamente convinto che, per fargli perdere la testa a tal punto, ci volesse una sorta di Dio sceso in terra, fenomenale a letto e capace di lasciagli i propri spazi e non essere invadente, in grado di rispettare il suo volere e farsi da parte quando la situazione lo richiedeva. Lui non aveva esattamente una personalità semplice da gestire e sopportare, per cui era improbabile che qualcuno arrivasse a conoscerlo e amarlo al punto tale da scendere a compromessi per lui e smussare gli angoli spigolosi del suo carattere.

E poi era arrivato Thad e il mondo di Sebastian ne era stato completamente stravolto, perché Thad era indubbiamente bello e carismatico, ma non avrebbe mai creduto possibile che riuscisse a essere il genere di persona con cui costruire qualcosa di concreto. Una relazione basata sulla fiducia, il reciproco rispetto e l’amore incondizionato.

Non che Thad non ne fosse capace, beninteso, ma Sebastian aveva uno spirito libertino, difficile da ingabbiare e da tenersi legato al polso, e il ragazzo non dava l’impressione di essere forte abbastanza da mettersi in gioco e imporsi fermamente su qualcuno.

Invece Thad era forte e caparbio, coraggioso quando si trattava di avere a che fare con i sentimenti e disposto a esporsi, anche con il rischio di farsi male. Perché il filo che aveva legato al polso di Sebastian era legato con doppio nodo anche al proprio e, ogni volta che Sebastian provava ad allontanarsi e Thad cercava di impedirglielo, gli scavava nella carne e faceva male. Bruciava e lo rendeva doloroso e impossibile da sopportare oltre.

Ma Thad non si era mai arreso e, alla fine, Sebastian aveva compreso che sarebbe stato inutile continuare a scappare, a mettere distanza tra se stesso e l’abbraccio caldo di Thad – dal momento che, puntualmente, era lui stesso a tornare indietro, ogni volta che il ragazzo sembrava sul punto di cedere e lasciarlo libero definitivamente.

Aveva provato a ingannare se stesso e a convincersi che non fosse possibile – era Thad! Per la miseria! Il suo compagno di stanza logorroico e un po’ sociopatico, dal temperamento mansueto che nascondeva le unghie affilate e pronte a graffiare – e che doveva aver frainteso i segnali che il suo corpo continuava a lanciargli dal primo momento che lo aveva visto.

Parlare di colpo di fulmine sarebbe stato scorretto e fin troppo romanzato, per i gusti di Sebastian, ma Thad lo aveva incuriosito sin da subito e lui aveva sempre avuto un occhio di riguardo per quel ragazzino dal sorriso coinvolgente e lo sguardo magnetico. Tanto per iniziare, non ci aveva mai provato concretamente, sebbene fossero costretti a condividere i propri spazi vitali e sebbene Thad non fosse affatto spiacevole per gli occhi; in secondo luogo, si era reso conto di provare un fastidioso malessere fisico – alla bocca dello stomaco – quando il ragazzo dedicava le proprie attenzioni a qualcuno che non era lui o quando, semplicemente, non gli gironzolava intorno; infine, aveva scoperto di mal sopportare il suo sguardo spento, l’assenza del sorriso dal suo viso, la sua testa china e incassata tra le spalle, e di provare il costante desiderio non solo di vigilare sul suo buonumore e riportarglielo, ma anche di rompere arti e legamenti vari a chiunque minacciasse di farglielo vacillare.

E si era ritrovato innamorato, ancor prima di poter fare qualcosa di concreto per evitarlo.

In realtà, per amor di precisione, era stato Nick Duvall a farlo ragionare e a condurlo sulla giusta direzione da seguire per sciogliere la matassa di sensazioni che sentiva agitarsi nel proprio petto. E Sebastian aveva riso, perché non era possibile – e non per l’assurdità della cosa in sé – perché ancora lui faticava a rendersi conto che Thad gli interessava più di quanto fosse lecito: non poteva essersene già accorto qualcun altro, significava che era fin troppo evidente, che poteva capirlo chiunque, che poteva capirlo Thad stesso. E Sebastian non era pronto a prendere in considerazione quell’evenienza. Così gli aveva chiesto come doveva comportarsi e la candida risposta di Nick era stata “diglielo”.

E Sebastian lo aveva fatto. Dopo averlo evitato per quasi tre settimane e aver provato a cancellare il ricordo degli occhi scuri di Thad, annullandosi nel corpo di qualche ragazzo a caso.

Ma poi era tornato e gli aveva detto tutto. Nella sicurezza e nell’intimità di quell’alloggio che li aveva visti conoscersi e venirsi incontro, scontrarsi e innamorarsi, stringendolo tra le braccia e aprendosi con lui per la prima vera volta, gli aveva confessato ogni cosa. E Thad si era lasciato stringere e aveva accolto la sua confessione, regalandogli la propria. E poi lo aveva baciato.

E lo aveva fatto per tutta la notte, per tutto il giorno seguente, per tutta la settimana. E aveva continuato a farlo per i successivi cinque anni.

Il filo che li legava era ancora lì. C’erano volte in cui Sebastian lo tirava fino a tenderlo al suo limite, ma non arrivava mai a fare del male a Thad, perché la voglia di allontanarsi da lui l’aveva persa da molto tempo ormai. Senza contare che poi, quando il tempo del liceo era finito e avevano deciso – dopo estenuanti ore di riflessioni e valutazioni attente e ponderate – di prendere casa insieme in vista dell’università, le occasioni per scappare via da Thad erano drasticamente diminuite.

C’erano state porte sbattute, piatti rotti, nottate passate sul divano pur di non condividere il letto, discussioni accese e silenzi tesi, ma erano sempre riusciti a superarli. Insieme.

Sapevano come ferirsi a vicenda, cosa dire per farsi male, ma sapevano anche riconoscere il momento in cui l’assenza dell’altro rendeva impossibile persino respirare, per cui, alla fine, mettevano da parte l’orgoglio e tornavano l’uno dall’altro. Ogni volta, sempre prima.

La convivenza non era poi così male: dopotutto, l’avevano già sperimentata al liceo, anche se non in maniera così totalitaria ed esclusiva, e sapevano di poter coesistere con i reciproci sbalzi d’umore e vizi di qualsiasi tipo. Si conoscevano e avevano imparato a camminare insieme e a sorreggersi a vicenda: il resto veniva quasi da sé.

Sebastian sorrise, mentre riempiva la tazza fino all’orlo e si allungava a recuperare la panna spray posizionata lì vicino. L’orologio a parete annunciava che mancano dieci minuti alle sette di un freddo giovedì sera di novembre. I riscaldamenti centralizzati erano rotti e l’aria era gelida, sebbene la piccola stufetta alogena, recuperata in extremis e posizionata nel salotto, funzionasse a pieno regime.

Finì di preparare la sua sorpresa e ripose tutto l’occorrente – a Thad non piaceva si lasciasse disordine per casa – dopodiché afferrò la tazza e si diresse nella camera accanto, dove si fermò sull’uscio in silenziosa contemplazione della scena che gli si presentò davanti.

Thad sedeva a terra a gambe incrociate, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani sulle guance, intento a studiare un voluminoso tomo dall’aria noiosa e inutile; la luce aranciata della stufa, esattamente di fronte a lui, lo illuminava in maniera bizzarra, giocando con il suo viso e disegnando ombre scure sulla sua pelle. Sebastian posò una spalla e la tempia allo stipite della porta, osservando con sguardo adorante e incantato la dolcezza di quell’immagine. Era bello da togliere il fiato ed era suo. Era il suo tesoro e lo avrebbe custodito gelosamente.

Mosse un passo nella stanza, ma Thad non diede segno di averlo sentito e, ad un’occhiata più attenta, Sebastian notò gli auricolari che gli tappavano le orecchie. Sorrise di più, procedendo con più audacia e posando momentaneamente la tazza sul tavolo, per prendere una coperta e mettersela sotto il braccio.

Quando fu dietro di lui, si piegò cautamente sulle ginocchia – Thad era talmente concentrato sulla lettura, che neanche fece caso alle ombre che si muovevano intorno a lui – e posò a terra ciò che aveva in mano, stese il plaid e glielo posò sulle spalle. Il ragazzo sussultò appena, ma Sebastian fu più rapido: in pochi secondi, era scivolato verso di lui, lo aveva accolto tra le sue gambe e aveva fatto aderire il petto alla sua schiena.

«Ciao, dolcezza» aveva bisbigliato, posando il mento alla sua spalla, non appena Thad si fu liberato degli auricolari.

«Non ti ho sentito arrivare» rispose il ragazzo, mentre strusciava la guancia contro la sua tempia.

Sebastian sorrise, sereno, a quel gesto affettuoso. «Volevo farti una sorpresa» obiettò, prima di sollevarsi appena e recuperare la tazza, porgendogliela e portandogli l’altra mano in grembo. «Sorpresa.»

Thad sorrise di più e chiuse le proprie dita intorno alla ceramica calda, sfiorando quelle di Sebastian che ancora la reggevano.

«Mi hai preparato la cioccolata?» Domandò in un sussurro – erano da soli, c’era silenzio e la distanza che li divideva era veramente irrisoria: non c’era alcun motivo di parlare a voce alta.

«Con la panna» annuì Sebastian, stringendo la presa su di lui e posando le labbra sulla sua mascella accaldata. «Come piace a te.»

C’era tranquillità nell’aria e il tepore della stufa – e dei loro corpi vicini – rendeva quel piccolo angolo di casa intimo e accogliente. Sebastian avrebbe passato le ore così, con Thad tra le braccia e senza la necessità di preoccuparsi dello scorrere del tempo. C’erano solo loro, il resto poteva anche mettersi in pausa per qualche secondo o per sempre.

Convivere con Thad significava convivere con il suo rumore e la sua confusione, con l’immancabile canzone che aveva quotidianamente tra le labbra, con lo stereo acceso e la televisione a un volume improponibile. Ma convivere con Thad significava anche convivere con i suoi silenzi, con gli spazi che chiedeva di essere lasciato, con le stanze buie in cui si richiudeva quando aveva voglia di nascondere il suo malumore al mondo, con i taciti abbracci che chiedeva a Sebastian quando le parole diventavano superflue e sospiri e battiti di cuore bastavano a parlare per loro.

Lasciò che Thad gli prendesse la tazza dalle mani e lo strinse di più, inspirando il suo profumo e socchiudendo gli occhi, mentre il ragazzo giocava con il cucchiaino e si portava un po’ di panna alle labbra.

«Alla fine hai imparato a farla in maniera decente» commentò, con un mezzo sorriso.

L’altro scrollò le spalle e fece una smorfia. «Dopo tutte le volte che ti sei lamentato per la... boh, consistenza, il colore, lo zucchero, la panna e non so quante altre cose, ho dovuto per forza» ridacchiò. «Ne andava della mia sanità mentale, micetto

«Quale sanità mentale?» Obiettò Thad, con una leggera risata. «Quella è andata perduta da molto tempo, ormai, Smythe.»

«Vero» lo provocò Sebastian, «da quando ho deciso di stare con te.»

«Da quando hai deciso di restare con me» lo corresse, allora, il suo ragazzo.

Ma Thad non sapeva quanto si sbagliava. Restare non era stato poi così difficile, perché Sebastian non aveva mai avuto il bisogno o il desiderio di andarsene. La parte complicata era stata quella iniziale, l’ammettere di essere sentimentalmente coinvolto, la paura di doversi scoprire, la difficoltà dell’aprirsi con un’altra persona, il timore di non esserne capace. Restare era stata la parte semplice: Thad non era uno da cui si scappava così facilmente, dopotutto.

«Mi hai messo al guinzaglio, splendore» decise di rispondere, unendo le mani sul bacino di Thad per sottolineare quel concetto. «Mi hai precluso ogni via di fuga e mi hai reso dipendente dalla tua presenza molesta.»

«La mia presenza molesta non mi pare ti sia mai stata particolarmente d’intralcio» ribatté Thad, mentre faceva aderire meglio la propria schiena al petto di Sebastian e sospirava.

«Questione di punti di vista» minimizzò l’altro.

Thad tacque per qualche secondo, bevendo la sua cioccolata in silenzio e giocando distrattamente con il cucchiaino. Sebastian lo sapeva che il ragazzo era tanto coraggioso a esporsi quanto insicuro e timoroso di rimanerne ferito, per cui non si sorprese quando, sollevando lo sguardo su di lui, lo trovò intento a torturarsi un labbro con i denti, lo sguardo rivolto al pavimento.

«Hai mai desiderato andar via?» Chiese Thad, dopo pochi attimi.  

In tutta la risposta, Sebastian strinse la presa su di lui – quasi come a volerlo far diventare parte di sé, quasi come a voler impedire a lui di scappare – e gli baciò la spalla con dolcezza.

«Dove lo trovo qualcuno che mi sopporta come fai tu?» Sviò. «Dove lo trovo qualcuno che rispetta i miei spazi senza lamentarsi eccessivamente? Dove lo trovo qualcuno che non mi butta fuori di casa quando lascio le mutande in giro?» Thad sorrise, posando la testa alla sua e rilassandosi tra le sue braccia, così Sebastian continuò. «Dove lo trovo qualcuno che sa che la pasta con il formaggio a me piace senza formaggio? E dove lo trovo qualcuno che sa che vicino alla pizza io preferisco la coca cola, invece della birra? E uno che si mette nel letto prima di me, per riscaldare le lenzuola fredde dal mio lato?» Dove lo trovo uno come te, Thad? «Dove?»

«In effetti non sei facile da gestire» considerò Thad, dopo qualche istante di silenzio. Posò la tazza a terra e le mani su quelle di Sebastian che, prontamente, le strinse tra le sue.

«Ma tu ci riesci sorprendentemente bene.»

«Perché ho imparato a conoscerti.»

E fu Sebastian a tacere, strusciando il mento sulla spalla di Thad e prendendosi qualche attimo per far calmare il battito del suo cuore e il suo respiro più veloce.

«Ed io ho imparato a conoscere te» mormorò, infine.

Thad annuì, stringendosi nella coperta e nell’abbraccio di Sebastian. «Vero, lo hai fatto» commentò. «E continui a farlo» alluse alla cioccolata lasciata a raffreddarsi sul pavimento.

Non posso farne a meno, pensò. E fu anche quello che disse, facendo sorridere Thad e guadagnandosi un soffice bacio sulla guancia. Il silenzio riempì nuovamente l’ambiente, inframmezzato solo dai loro respiri regolari e dal ticchettio dell’orologio che, nonostante tutto, continuava a scandire il tempo che passava. Il tempo che Sebastian stava trascorrendo beandosi della presenza del suo ragazzo, il tempo che stava impiegando a dedicarsi a lui, così come faceva da cinque anni a quella parte. Il tempo che sentiva di perdere, quando non gli era vicino; il tempo che sembrava farsi beffe di loro, quando li sottraeva ad abbracci troppo accoglienti e gli ricordava che era una dimensione che esisteva, nonostante loro non se ne curassero.

Il tempo che Sebastian non aveva più intenzione di sprecare, stando lontano dall’uomo che amava.

E fu per questo che, senza staccare il mento dalla sua spalla e socchiudendo gli occhi, mormorò: «Sposami, Thad.»

Senza pensare, senza averlo premeditato e organizzato. Senza averci mai riflettuto concretamente, ma realizzando solo in quel momento di non vedere un futuro diverso per lui e Thad.

Quest’ultimo trattenne il respiro e sembrò quasi cristallizzarsi tra le braccia di Sebastian che, dal canto suo, non si preoccupò di aggiungere altro e si limitò a lasciargli tutto il tempo che gli serviva per metabolizzare quanto appena sentito.

«Lo hai detto davvero?» Chiese poi, la voce bassa e incerta.

«Pare di sì» rispose Sebastian, sistemandosi meglio sulla sua spalla e muovendo un po’ la mano per intrecciare le dita a quelle di Thad.

Ancora silenzio, ancora incredulità, ancora cuori che battevano all’unisono e sospiri veloci.

«Non ho un anello da regalarti, però» aggiunse Sebastian. «Non ho neanche un discorso melenso e sdolcinato preparato per l’occasione, così come non ho promesse da farti e progetti per il futuro da condividere con te.»

Thad aprì bocca per ribattere, ma Sebastian lo interruppe di nuovo. «Posso solo assicurarti che, qualsiasi sia la tua risposta, non andrò mai via, non mi serve un pezzo di carta per restare con te.»

«Non voglio che tu te ne vada» fu l’obiezione di Thad, accompagnata da una stretta più salda sulla mano di Sebastian.

«Non voglio andare via, pulce.»

Thad posò la testa alla spalla di Sebastian, lasciandosi abbracciare e chiudendo gli occhi.

«Resta» sussurrò, voltando appena il viso e posando le labbra sulla sua mascella.

Sebastian spostò lo sguardo su di lui e si prese un attimo per contemplare quegli occhi marroni e luminosi, dentro cui era capace di leggere tutto ciò che Thad non sapeva come dire a parole.

Portò una mano sulla sua guancia, tracciandone il profilo con la punta del pollice. «Resto» mormorò, incapace di distogliere lo sguardo da lui.

«Allora resto anche io» fu la risposta di Thad.

Labbra che sorridevano, prima di unirsi, e mani che non accennavano a separarsi.

Restare. Una promessa che valeva più di tutti i “sì” del mondo.
 
 
 




The End.


 
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Robs.

   
 
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