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Autore: Maya98    26/02/2013    3 recensioni
Rideva. Rideva di una risata di gola, bassa, forzata, quasi inumana. Era un riso forte e innaturale, che sfiorava l'isterismo e la disperazione. La sua voce sembrava rieccheggiare tra le pareti della stanza, tornandogli indietro e rimbombando della scatola cranica. Lasciò che la risata si spegnesse, prima di alzare lo sguardo.
Aveva qualcosa in cui sperare, adesso.
POST-REICHEMBACH improbabile e personale, slash verso la fine, spoiler!, what if? pre-slash
Questo è ciò che salta fuori dopo aver visto per la prima volta la 3x3 in italiano al posto che in inglese, e personalmente aver criticato pesantemente tutto il doppiaggio dell'ultima parte.
So che non dovrei, ma non interessa a nessuno, giusto?
ATTENZIONE: La storia era nata come una long, ma alla fine ho deciso di cancellare il secondo capitolo e di renderla una one-shot, completa.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note iniziali:

Lo so, lo so, dovrei scrivere l'altro capitolo della Ricerca della Verità, ma serialmente. Ho visto il fantastico video Everybody Ships Johnlock (guardatelo) e quando ho sentito Benedict dire: Sherlock Holmes and John Watson are a fantastic pairing! ho fatto un salto indietro gridando COSA?!?!?! e credo che mi abbiano sentito fino in Australia. Poi ho appena riletto La Valle della Paura, visto TRF in italiano per la prima volta, dopo migliaia in inglese...insomma. Impossibile non scrivere!!!

 

Desclaimer:

Credo che se Doyle resuscitasse e decidesse di vendere i suoi personaggi dovrei uccidere almeno un migliaio di persone per impossessarmene. E il duetto Moftiss non rinuncerà al piacere di trollare, quindi mi rassegno: no scopo lucro etc. etc. etc.

 

 

 

 

 

 

Quando il cielo ti cade sulla testa con il volto del tuo migliore amico, non sperare di riuscire a dormire.

 

John sognava ogni notte. Sognava ogni notte una prigione di schegge insanguinate del colore degli occhi del suo migliore amico. Si contorceva nelle lenzuola, aggrovigliandole e costringendocisi autolesionisticamente dentro, come cucendosi da sè una trappola per la sua presunta colpa. Sudava, le bagnava, qualche volta si dibatteva così forte da strapparle. Urlava, soprattutto, e Mrs. Hudson — che correva su con tanta velocità quanta glie ne permettesse la sua maledetta anca — non riusciva mai a svegliarlo prima che ci fossero danni. 

 

John sognava ogni notte. Sognava ogni notte il volo d'angelo di Sherlock, che precipitava al suolo con una grazia quasi innaturale per una persona che sta per morire. Si graffiava la gola a forza di nomi e preghiere, lasciando che le parole gli scivolassero in bocca senza sapere cosa diceva. Le intuiva solo dagli occhi preoccupati e pietosi di Mrs. Hudson, che gli metteva una fredda mano sul braccio, mentre quella che reggeva la candela tremava. Le lenzuola andavano costantemente in lavatrice, dopo che si era alzato, e qualche volta addirittura nel cestino. Aveva anche già cambiato due cuscini, perché li aveva smembrati a furia di trappi e morsi.

Il dolore non passava. Il dolore era sempre così costante e forte che era impossibile da scacciare. Il dolore, John lo sentiva nella testa, farsi più pesante ogni giorno che passava. Gli sembrava di essere tornato un povero soldato con disturbo da stress post-traumatico, assolutamente e inevitabilmente psicosomatico.

Non che zoppicasse, sia chiaro. Semplicemente, aveva la morte nell'anima e se la portava in giro come un fardello troppo pesante per un uomo solo.

 

Sognava ogni notte, lo riascoltava ogni notte, come un mantra. Credeva di impazzire, con tutte quelle voci nella testa, che rimbombavano in echi lontani e tumultuosi in una continua litania di Goodbye John, Goodbye John, Goodbye John, Goodbye John....

Ricordava la sua voce come se ce lo avesse avuto al suo fianco, a sussurrargli nell'orecchio. Ma se davvero fosse stato così, John si sarebbe voltato e lo avrebbe abbracciato così forte da strangolarlo o farlo soffocare. John si voltava sempre dall'altra parte del letto, sperando di vedere il volto di Sherlock coricato accanto a lui, con gli occhi chiusi e i ricci morbidi scompigliati ai lati del capo. Ma lui non c'era mai.

 

John si svegliò la ventiseesima notte senza emettere un verso. Erano le cinque e mezza di mattina, il sole non arrivava ancora a picchiare la finestra astenendosi da ogni pietà concessa. Albeggiava con la chiarezza di rose dorate che coprivano il manto di nubi allo spuntare del sole. Le tapparelle erano abbassate, le lenzuola avvolte come un bozzolo attorno al suo corpo accaldato.

Delle voci.

 

Questa notte era stato diverso. Questa notte c'era stato qualcosa che era cambiato. John cercò di regolarizzare il respiro, disteso nel buio in attesa che la luce del sole trionfasse nel mondo esterno a sua insaputa, senza riuscirci. Il battito cardiaco era troppo accellerato, la pressione arteriosa particolarmente alta. Sospirò nuovamente, sentendo le mani tremare, e chiuse gli occhi.

Una voce.

 

Le unghie stavano penetrando nella carne del suo palmo senza che lui se ne accorgesse. I suoi polmoni si dibattevano in cerca d'aria come se fosse stato un mese sott'acqua impossibilitato dal respirare. Sentiva lo scandire ritmico del suo cuore pulsargli nelle orecchie, mentre mano mano i dettagli venivano messi a fuoco dai suoi occhi stanchi, cancellando le immagini di due schegge di morte in un lago di sangue.

La voce.

It's a trick. Just a magic trick.

Il sole cominciava a sorgere.

◊ ◊ ◊

Si schizzò il viso con un potente getto d'acqua gelida, sperando che aiutasse. Tenne le palpebre serrate, mentre le mani si muovevano come automi sul suo viso, tracciandone i contorni col le dita impastate di sapone. Rimase lì per tutto il tempo possibile, finché non sentì dolore alle falangi martoriate dalla temperatura eccessivamente bassa. Fu costretto a voltare la manopola del rubinetto, e seppellì il viso nell'asciugamano.
Non si fece la barba, perché le mani tremavano. Non aveva voglia di tagliarsi per via di quell'insolito tremore che gli percorreva l'intero corpo, nudo e solo davanti allo specchio, già abbastanza cicatrizzato.
Voleva un antidolorifico per le ferite del cuore. Esisteva? Perché lui, come medico, non lo conosceva.

Si obbligò a guardare la sua immagine riflessa nel vetro. Non era piacevole.
Era notevolmente dimagrito. Fin troppo. Se si voltava, poteva individuare le vertebre spuntare dalla schiena, nette e chiare sul dorso abbronzato. Il suo volto era magro e scarno, troppo pallido per il normale, le pupille dilatate. I capelli ormai stavano crescendo, e lui non ci faceva più caso.
Le cicatrici, sparse lungo tutto il suo corpo, brillavano di un chiarore biancastro rispetto alla pelle scura di chi è stato molto tempo sotto il sole. Erano esperienze di una vita vissuta. Una vita che John Watson non aveva più voglia di vivere.
Il suo respiro si stava pian piano regolarizzando. Aveva urgente bisogno di un caffè.

It's a trick. Just a magic trick.

Doveva riflettere.

◊ ◊ ◊

Lo zucchero. Perché aveva messo lo zucchero nel caffé? Era disgustoso. Addirittura peggio di quello che Sherlock gli aveva servito ai Baskerville per drogarlo. John dopo averne preso un sorso, lo buttò il rimenente nel lavandino, appoggiando una tazza. Era agitato. Era troppo agitato.

La verità era che preferiva non pensarci. Che era certo che se il dubbio si fosse insinuato nella sua mente, lo avrebbe portato soltanto a soffrire di più. E stava già morendo dentro, marcendo, abbastanza in fretta. Se proprio voleva causarsi l'autodistruzione avrebbe fatto prima a puntarsi la sua vecchia Browning alla tempia e farla finita.
A dirla tutta, non era esattamente certo di cosa gli avesse impedito di farlo, fino ad ora.

La sua voce continuava a rombargli in testa, più fastidiosa di una mosca, più potente di un uragano. Aveva quasi la certezza matematica che non sarebbe affatto riuscito a sradicare una cosa che — contro la sua volontà — gli si stava insinuando lentamente nel cervello, impedendogli di pensare lucidamente.
Eppure era così, eppure lo aveva sentito. Era da Sherlock, era così maledettamente da lui per impedirsi di pensarci anche soltanto per un istante.
John diede un profondo respiro, cercando di razionalizzare e individuare i fatti.
L'aveva visto cadere, giusto? L'aveva visto cadere. E soltanto questo fatto avrebbe dovuto escludere ogni altra ipotesi...

La potenza di quella constatazione colpì John forte come un masso che cade da una rupe e si schianta al suolo. Un'incudine di ferro che gli appesantì improvvisamente il cuore, più di quanto lo fosse già, aggiungendo peso con macigni di roccia ferrea e rossa che lo obbligarono a dissanguarsi dentro, e a boccheggiare.
Lui non aveva visto Sherlock cadere.
Non lo aveva visto.

Lo aveva visto mentre stava per cadere, mentre gettava il cellulare e si sporgeva, allargando le braccia come per spiccare il volo, fino a che la gravità aveva preso il sopravvento e lo aveva costretto a dibattersi prima di schiantarsi al suolo in una pozza di sangue...
No, no, no.
Respira, John, respira.
Non aveva visto l'impatto. Non aveva visto l'impatto con il terreno. Non ricordava affatto di aver visto la testa di Sherlock urtare il marciapiede ed esplodere in un lago rosso, non lo ricordava. 
Ma perché? Cosa c'era ad impedirgli la vista...?
John chiuse gli occhi, cercando di focalizzare il momento. Se Sherlock fosse stato lì, probabilmente gli avrebbe detto qualcosa a proposito della memoria visiva umana assai limitata e che non nota mai i dettagli essenziali. Cosa c'era davanti a Sherlock che gli impediva di vederlo? Cosa?
Per la frustrazione, John tirò un calcio al tavolo, facendo rotolare per terra il torsolo di una mela mezza mangiata. Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a ricordarlo. Era così difficile...
I suoi occhi vagarono per la stanza, alla ricerca di qualcosa che potesse ricordarglielo, senza incontrare nulla. Sbatté un paio di volte le palpebre, sporgendo in avanti le labbra e tastadosi il setto nasale con le dita.
Doveva aspettare che venisse su da solo, come quando hai un vuoto di memoria. Smettere di pensarci un attimo e...
Un camion della spazzatura.
Ecco cosa c'era. Un camion della spazzatura che poi...che poi...che poi era partito quando...
Il ciclista.
John si prese la testa tra le mani, scuotendo forte. Si stava lasciando suggestionare troppo. Sapeva come sarebbe finita, e non era il caso. Ma una fiamma si era accesa dentro e non aveva così fretta di estinguersi. John la sentiva ardere, bruciare nel petto, mentre le orecchie gli andavano a fuoco. Il battito tumultuoso del suo cuore aumentò pericolosamente il ritmo. Si sedette, mentre la mano tremava sul bicchiere d'acqua fresca che cercava di bere per tranquillizzarsi.
Ripassando i fatti: c'era un camion. Un camion della spazzatura, parcheggiato esattamente davanti a dove Sherlock si era buttato. Quando lui era arrivato lì davanti, però, era già partito. Quando era partito? All'inizio era certo di non avere staccato neanche un secondo gli occhi da Sherlock, ma ora ricordava il ciclista. Ecco. Quando il ciclista lo aveva buttato a terra, probabilmente era stato in quel momento che il camion era partito. Ma perché? E poi, insomma...
Doveva essere stata una coincidenza, si disse, passandosi una mano tra i capelli, con veemenza. Se non si fosse trovato propio in quel punto, certo avrebbe potuto vedere benissimo la testa di Sherlock frantumarsi e schizzare qui e là come un melone maturo carico di succo. Doveva essere stata una pura coincidenza, anche perché il ciclista...

Stay exactly where you are. Dont' move.

Keep your eyes fixed on me. Will you do this, for me?

-John, smettila.-disse ad alta voce, come per scacciare l'improvviso fiume di parole che si stava riversando nella sua testa. Ma neanche quello riuscì a fermarle. Si avvilupparono attorno al suo cervello e al suo cuore, imprigionandoli in una morsa ferrea dalla quale non sarebbe riuscito a fuggire facilmente.
Ma era davvero possibile? Era davvero possibile che Sherlock gli avesse detto di rimanere lì per impedirgli di vedere il suo impatto col suolo? E il ciclista? Come poteva sapere davvero che un ciclista l'avrebbe investito...
John, quando sei arrivato era coperto di sangue. Pensava, cercando disperatamente di bloccare il suo cervello da una nuova e dolorosissima speranza. E non aveva polso, si impose di ricordare, cercando di tenere a freno una fantasia che stava davvero galoppando troppo velocemente.

La pallina.

John non andava molto d'accordo con il suo cervello. Riusciva molto meglio a scendere a patti con i suoi sentimenti, ma con il cervello spesso litigava. E in quel momento, sembrava che il suo stesso cervello stesse facendo di tutto per ostacolarlo. E lo stava facendo, inviandogli immagini e voci che non era neanche sicuro esistessero, per spiegare una teoria infondata e assolutamente pazza che gli avrebbe recato molta sofferenza.
Ma Sherlock stava giocherellando con una pallina, quando se ne era andato. E andiamo...chi non ha mai fatto questo scherzetto, alle elementari, di mettersi una pallina di gomma sotto l'ascella per fermare battito del polso? Chi non conosce quello stupido trucchetto?
Ma il collo — si disse ostinatamente lui — il collo era scoperto. Qualcuno lo stava sentendo, se fosse stato così qualcuno si sarebbe reso conto...

Il denaro muove il mondo.

È tutto sempre così costantemente noioso.

Le persone sono sempre spinte dalle solite motivazioni:

amore, vendetta, ricatto, violenza e soldi. 

Era impossibile che gli avesse pagati tutti.
Era impossibile che tutta quella gente che passava fosse stata istruita per impedirgli di sentire il battito cardiaco, di vedere il furgoncino partire, di rendersi conto che forse quel sangue non era vero...
Eppure. Eppure tutte quelle infermiere che lo avevano trattenuto non sembravano più intenzionate a tenerlo lontano dal corpo, piuttosto che a soccorrere Sherlock? Era davvero possibile una cosa simile?
Se lo stava immaginado? Stava davvero lasciandosi trasportare da una corrente fantasiosa, oppure aveva ragione? Il ciclista, i medici, il guidatore del furgone...Era davvero atterrato sul furgone, prima di scivolare a terra, al riparo dei suoi occhi? E...

Rideva. Rideva di una risata di gola, bassa, forzata, quasi inumana. Era un riso forte e innaturale, che sfiorava l'isterismo e la disperazione. La sua voce sembrava rieccheggiare tra le pareti della stanza, tornandogli indietro e rimbombando della scatola cranica. Lasciò che la risata si spegnesse, prima di alzare lo sguardo.

Aveva qualcosa in cui sperare, adesso.

 

◊ ◊ ◊

Le mani gli tremavano mentre componeva il numero di Lestrade. Per un momento arrivò a credere che il telefonino gli sarebbe caduto dalle mani se avessero continuato così, ma alla fine riuscì a premere la cornetta verde senza fare danni.
-Pronto, John?-chiese la voce, sorpresa, dall’altro capo della linea.
-Greg.-esclamò il soldato, rendendosi conto solo allora che aveva il fiatone:-Ti prego, prendi tutto il fascicolo relativo a Sherlock Holmes e vieni qui al più presto.
-Cosa è successo?-il tono del Detective Inspector sembrava più che palesemente preoccupato:-John, ti senti bene?
Ma John non riuscì a dire altro che tre misere parole, che gli scivolarono in bocca prima che potesse fermarle, rendendo così tutto fantasticamente e terribilmente concreto e reale:-Credo sia vivo.

 

◊ ◊ ◊

-Tu stai scherzando, spero.-esalò l’uomo, che aveva appena varcato la soglia di Baker Street con indosso un pesante cappotto, in un tempo record di quindici minuti dalla centrale della New Scotland Yard:-Perché che cosa vuol dire “credo sia vivo” io non lo so davvero.
-Neanche io.-mormorò John, stropicciandosi il volto con le mani, non riuscendo a smettere di marciare avanti ed indietro per il salotto, senza contenere l’eccitazione e l’adrenalina che lo stavano pervadendo:-Ma davvero, mi sono venute in mente tante cose che...
-Dio santo, ma sai cosa mi stai chiedendo?-chiese Greg, passandosi una mano nei capelli grigi, appoggiando sul tavolino la cartelletta contenente il fascicolo con tutti i dettagli sul caso "Holmes".
-Lo so, Greg.-rispose:-So cosa sto chiedendo a te, so cosa sto chiedendo a me stesso, ma davvero, io non posso...non farlo.-John si fermò davanti allo smile giallo dipinto sul muro bucherellato dai fori dei proiettili che Sherlock si divertiva a sparare quando si annoiava:-Io...
-Sai cosa vuol dire, se poi scopri che è morto sul serio? Sai quanto può buttarti giù l'illusione distrutta?-insistette l'ispettore, posando preoccupato una mano sulla spalla di John:-Penso che siamo stati già abbastanza male tutti, con i nostri sensi di colpa.
-Ma Greg, non posso lasciare che il dubbio mi corroda per paura di soffrire. Ho delle ipotesi, e purtroppo, una più terribile dell'altra.
-Sentiamo,-disse il poliziotto, con voce calma:-Ma prima sediamoci.
-Sherlock giocherellava con una pallina di gomma, quando ci siamo visti l'ultima volta.-iniziò John, tirando fuori il suo quadernetto e guardando gli appunti che aveva preso tra sé e sé, come per riordinare le idee sul possibile.
-E quindi?
John prese un breve respiro, prima di continuare:-Messa sotto il braccio, azzera il battito cardiaco del polso.
Greg lo fissò negli occhi per qualche secondo, senza lasciar trapelare niente di ciò che stava pensando. Poi disse:-Continua.
-Hai il verbale della nostra telefonata?-chiese, speranzoso, perché credeva che leggerlo sarebbe stato meno doloroso che recitarlo a memoria. Lestrade annuì, e estrae un foglio dalla cartelletta, studiandolo qualche secondo prima di darlo a John.
-Ecco qui.-mormorò il soldato:-"Torna indietro esattamente dov'eri...". Io ho protestato, ma ha insistito. E poi, di nuovo "Stai esattamente dove sei. Non muoverti.". "Tieni gli occhi fissi su di me".-John tossì un paio di volte, prima di porgere il foglio all'ispettore:-Vedi?
-Dove vuoi arrivare?
John respirò di nuovo, cercando di calmarsi:-Dalla mia posizione, non ho visto il corpo di Sherlock schiantarsi sul marciapiede.-rivelò, in un sussurro:-Avevo la visione ostacolata da un camion della spazzatura. Mentre mi sono avvicinato, un ciclista mi ha investito e mi ha fatto cadere a terra. Quando mi sono rialzato, il camion era sparito e c'era attorno a Sherlock un sacco di gente. Non volevano farmi passare...era come se cercassero di fermarmi.-si fermò, vedendo l'espressione sul volto del poliziotto:-Oh, sì, ho pensato anche io che fosse solo una mia impressione, ma poi mi sono ricordato di due cose. Prima cosa, sai bene chi ha per fratello. Seconda cosa...-afferrò nuovamente il fascicolo, alla ricerca di un altro documento:-Mi è venuto un dubbio sul certificato di morte.
-È in fondo.-commentò Lestrade, lasciando che John lo estraesse:-Ma che cosa...
-Guarda.-disse John, passandogli anche quel foglio. Greg lo conosceva bene, lo aveva studiato fin troppo a lungo per i suoi gusti, e non ci vedeva niente di nuovo:-Cosa?-chiese.
-Guarda chi lo ha firmato.-insistette John, puntando un indice:-Guarda chi ha eseguito l'autopsia.
Greg fece scorrere lo sguardo sul documento, finché non incontrò il tratto della familiare firma di:-...Molly Hooper.-disse, alzando gli occhi verso John:-E Molly Hooper...
-...ha una cotta gigantesca per Sherlock dai tempi dell'Università. Non gli avrebbe mai negato un favore.-concluse John, passandosi una mano sulla fronte e ricominciando a marciare per il salotto, con passo militare:-Capisci cosa voglio dire?

 

-Tu mi stai quindi dicendo...-ricapitolò l'uomo, fissando John camminare avanti e indietro come animato da un nuovo spirito di battaglia:-...che Sherlock è vivo, ha finto di suicidarsi davanti ai tuoi occhi e adesso si sta nascondendo da qualche parte?

John, lentamente, come se stesse soppesando le parole del poliziotto, annuì.

-Ma perché...?-cominciò Greg, prima che John scuotesse la testa con veemenza, interrompendolo:-Non chiedermelo, è questo il punto. Perché fingere di suicidarsi, davanti ai miei occhi, e sparire? Perché? Perché lo stavate seguendo? Perché tutti lo avrebbero creduto un impostore? Perché non ha cercato di dimostrare la sua innocenza? La sua superiorità? Ha già rischiato di morire, una volta, quando ci siamo conosciuti, per provare la sua intelligenza. Cosa è cambiato?

Lo sguardo che Greg gli stava rivolgendo, a John non piaceva per niente. Era lo sguardo di qualcuno che sa benissimo qualcosa e ti guarda con compassione perché tu non riesci ad arrivare alla medesima elementare risposta.

-John, siediti.-gli disse Greg, e aspettò che lui si fosse seduto sulla sua poltrona, prima di continuare. Parlava lentamente, con chiarezza:-Conoscevo Sherlock da quasi sette anni. L'ho visto passare attraverso innumerevoli cose e, per quanto lui dicesse che sono un'idiota, non sono completamente stupido. Ho visto passare Sherlock Holmes attraverso la droga, quando si presentava da me per un caso con la cocaina che gli usciva dagli occhi, e attraverso la scelta tra i casi ed essa. L'ho visto rischiare la vita innumerevoli volte, più del necessario, e arrivare a decidere di morire per provare la sua intelligenza almeno sei. E poi...l'ho visto cambiare. L'ho visto diventare più gentile ed educato, meno riservato, meno macchina e più umano, anche se al modo di Sherlock. L'ho visto passare attraverso di te, John. Il caso a cui tu ti riferisci, Uno studio in rosa, è quello che era incorso quando vi siete incontrati, non è vero?-John annuì, grattandosi il naso e abbassando gli occhi:-E ti ha incontrato, io ho visto questo cambiamento. Dopo che tu sei entrato nella sua vita, Sherlock non l'ha più fatto. L'hai reso umano. E no...-lo interruppe sul nascere, troncando la protesta che stava per sbocciare dalla bocca di John:-Non mi importa se non eravate una coppia, se era solo il tuo migliore amico eccetera eccetera eccetera...sto solo dicendo che sei stato tu a farlo cambiare. Sei stato solo tu, a farlo diventare un uomo buono, come ti dissi una volta. Quindi non cercare la ragione delle sue azioni nel vecchio Sherlock. Cercala in quello giusto.

-Mycroft mi chiese una cosa simile, una volta.-borbottò John, con lo sguardo basso:-Voi non riuscite a capire che io di quello che pensava Sherlock non ci capivo proprio niente.
-Non è vero, e lo sai.-lo rimproverò Greg, sorridendo:-E se lo sa Mycroft Holmes...deve aver ragione, no? Il problema  — il problema è che siamo davanti a un mucchio di belle ipotesi, ma nessuna prova concreta. Anche se non sappiamo il perché, dobbiamo prima accertarci che non sia davvero morto, e che ci stiamo costruendo dei bei castelli per aria. Poi potremmo in tal caso sentire Molly e costringerla a dirci dov'è, sempre che lo sappia...
-Pensavo di dissotterrare la tomba.-mormorò John, pensieroso:-Puoi chiamare una squadra dei tuoi? Riaprire il caso?
-Non credo.-dissentì Greg, stropicciandosi il bordo del cappello con le dita:-Non senza un qualcosa di valido. E non credo che si saranno molti volontari, a Scotland Yard, per dissotterrare la tomba di Sherlock Holmes e scoprire se è vuota o meno.-Potrei parlare con Mycroft.-si offrì John, per quanto l'idea lo disgustasse:-Potrebbe mandare quei suoi giganti...
-Se Mycroft è coinvolto – intendo se ha corrotto tutte quelle persone per la "messa in scena" — non credo che ti accorderà proprio tutto ciò che vuoi per farti scoprire se Sherlock è vivo.-gli fece notare Lestrade, mentre alzava le sopracciglia, pensieroso:-D'altronde, se Sherlock si sta nascondendo ci sarà un buon motivo...spero.-concluse, accennando un sorriso:-Però ho un paio di amici minatori che leggevano il tuo blog. Forse a loro non dispiacerà dare una mano.
-Te ne sarei enormemente grato.-disse John, asciugandosi il sudore dalla fronte:-E sono contento che tu abbia deciso di credermi.
Greg alzò le spalle, mentre cercava il cellulare nella tasca del cappotto.
John fissò il muro davanti a sé come se non esistesse. Stava per aver prova della sua emotività o scoperta della sua improbabile intelligenza. Stava per ricevere una gioia immensa o l'ennesima mazzata sui denti.
-Andiamo?-chiese Lestrade, sulla, porta, guardandolo mettersi il cappotto.
Fuori, il cielo minacciava pioggia.

◊ ◊ ◊

 

La bara di Sherlock Holmes era lunghissima e pesantissima. John credeva l'avessero scelta così per metterci dentro quel corpo oblungo e fin troppo alto, ma ora non ne era più molto sicuro. Avevano ricevuto l'aiuto anche di un becchino del cimitero, che li aveva aiutati a rimuovere la lapide di marmo nero con inciso il suo nome in caratteri incandescenti. Ed infine, dopo un lunghissimo lavoro di pale e spalle, erano riusciti a riportarla a galla.

Il cuore di John batteva nella sua cassa toracica con un ritmo assolutamente insostenibile per un cuore normale. Le sue mani passavano sul legno, picchiettandolo come per accertarsi che sia cava. Per fortuna non era sigillata, anche se occorreva un po' di tempo per trovare il punto su cui far leva. I cinque uomini si misero tutti in fila, a far forza su sé stessi per spalancare la bara e scoperchiarla. 

John chiuse gli occhi, mentre faceva forza con le braccia. Stese i muscoli fino a sentirli dolere, ed ecco che il coperchio cadde sull'erba del cimitero con un tonfo sordo. John respirò qualche secondo, con le palpebre serrate, prima di rizzarsi e socchiudere gli occhi.

La bolla gonfia d'aria e di aspettativa che stava nel suo petto a pulsare dolorosamente, per tutta quella giornata, sembrò esplodere in una grossa macchia di sangue rosso sulle pareti interni del suo torace, e lui sentì tanto caldo.

La bara era vuota.



◊ ◊ ◊
 
Gregory corse verso John, quando lo vide realizzare. 
Corse verso di lui perché gli sembrò vedere il suo volto impallidire, e poi diventare rosso fuoco.
Corse verso di lui perché si accorse che John sembrava barcollare e non reggersi sulle sue stesse gambe.
Corse verso di lui perché aveva paura di non riuscire lui stesso a reggersi sulle sue gambe.
Arrivò in tempo per mettere una mano sulla spalla di John, quando questo cadde in ginocchio sull'erba del cimitero.
Per un lungo istante non riuscì a capire se fosse svenuto o meno, ma quando sentì un verso agghiacciante provenire dal suo corpo non ebbe dubbi.
Non sapeva se stava ridendo, piangendo o inveendo contro qualcuno. Era certo che c'erano della lacrime che gli rigavano il viso, mentre picchiava i pugni sull'erba e rideva. Gli sembrava anche che stesse parlando, a bassa voce, ma non riusciva a cogliere altro che frammentarie espressioni di:-Grazie, Dio, grazie...Oddio santo, che ipocrita...grazie...grazie...grazie...
John alzò lo sguardo verso di lui, uno sguardo che sembrava esausto per la contentezza e per la stanchezza insieme. I suoi occhi azzurri, dopo tanto tempo, brillavano di luce nuova.
-GRAZIE, DIO!-urlò al cielo, lasciandosi andare ad una lunga e sincera risata liberatoria, dopo tutti quei momenti di tensione irrisolta sulle sue spalle. Sorrideva, sorrideva tanto da farsi male alla mascella. Fissò Greg, con questo meraviglioso sorriso sulle labbra, senza riuscire a dire nulla. Il poliziotto gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi, e quando questi la afferrò si accorse che stava sorridendo anche lui. John guardo di nuovo il cielo, prima di proclamare, con voce radiosa:-Ti troverò, Sherlock Holmes, ora che so che sei vivo! Ti troverò anche in capo al mondo, non mi interessa quanto tempo impiegherò, ipocrita del cavolo, non me ne frega niente! Sappi che in qualunque modo, prima o poi, scoprirò dove sei e ti riempirò di botte fino ad ucciderti! Non pensare di poter scampare.
Sopra di loro, il cielo scoppiò in lacrime di pioggia.
 
(the end)
 
 
Note della Skizzata:
Un po'OOC, forse? Troppo intelligente? Oh, amen. Io ci ho provato. Non è betata, se ho fatto errori segnalatemeli pure. Sarò solo contenta. Anche se recensite :D anche negativamente. Va tutto bene.
Graaaaazie! 
  
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