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Autore: Nikki Potter    26/02/2013    3 recensioni
"E' successo qualcosa, Sherlock".
Rimase zitto in attesa di altro. Perchè aveva un brutto presentimento? Centrava forse Moran?
"Non so come dirtelo, ma tanto se non lo faccio io presto lo saprai dai giornali..." Mycroft sospirò di nuovo. "Si tratta di John".
Non si rese nemmeno conto di aver trattenuto il respiro. Allora aveva ragione, era successo qualcosa a John...
"L'ispettore Lestrade mi ha appena chiamato dal S. Mary Hospital...John è morto, Sherlock"
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"Vogliamo che lei torni in Afghanistan a servire il suo paese, ovviamente sotto una falsa identità" rivelò Patterson.
"E se rifiutassi?" domandò per curiosità più che altro.
"Non credo che abbia molta scelta visto che tutti la credono morto" aggiunse Patterson.
Gli ci volle qualche secondo per comprendere appieno quelle parole prima di esplodere in un rabbioso "COSA?!"
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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S&J1
VERITA' NASCOSTE

1. ANCORA PIU' LONTANI

My hands are cold my body's numb
I'm still in shock what have you done
My head is poundin, my vision's blur
Your mouth is moving, I don't hear a word

I'm falling through the doors of the emergency room
Can anybody help me with these exit wounds
I don't know how much more love, this heart can lose
And I'm dying, dying from these exit wounds

(The Script- Exit Wounds)

23 mesi dopo...

Era una giornata di maggio, abbastanza calda per gli standard di Londra.

John uscì dal suo minuscolo appartamento in una via periferica della città. Nonostante fossero passati quasi due anni non aveva ancora avuto il coraggio di tornare a Baker Street, perchè lui non c'era, e la consapevolezza che non sarebbe più tornato l'avrebbe colpito ancora più forte di quanto non stesse già facendo.

Scese gli scalini velocemente, sapeva che Greg lo stava aspettando per andare a pranzo insieme. Finalmente aveva divorziato da sua moglie e ognitanto si concedevano qualche uscita insieme come due vecchi amici scapoli. E i loro discorsi non deviavano mai verso Sherlock. Era un accordo tacito che avevano preso la prima volta che si erano visti dopo il fatto.

Non parlare di lui era più facile, entrambi concentrati nell'impresa impossibile di cancellare dalle loro menti quell'essere umano eccentrico e decisamente fuori dal comune che per un po' aveva incrociato il cammino della loro vita scombussolandola.

Non parlava mai di lui con nessuno, eppure andava al cimitero quasi tutti i giorni quando staccava da lavoro.

Lavorava da più di un anno e mezzo come medico all'ambulatorio del S. Mary Hospital, lavorare significava avere per una consistente parte della giornata il cervello impegnato in qualcosa che non fosse Sherlock, i suoi occhi, la sua voce profonda e baritonale, le melodie che gli suonava col violino, il suo ghigno compiaciuto quando risolveva un enigma particolarmente difficile.

Tutte cose che gli ritornavano alla memoria con forza quando si fermava davanti a quella lapide di marmo nero. E gli raccontava la sua stupida, normale e incredibilmente noiosa giornata.

Uscì fuori in strada distogliendosi dal pensiero di Sherlock e sorridendo a Greg.

"Come va?" domandò dandogli una pacca sulla spalla.

"Tutto bene".

Sentì uno strano formicolio alla nuca, indice che stava per accedere qualcosa, glielo diceva il suo istinto da soldato.

"John che c'è?" domandò Greg notandolo strano.

Si fissò intorno, e poi lo vide, il riflesso di un mirino puntato verso di loro.

Nel momento in cui spinse se stesso e Greg a terra sentì il rumore chiaro e improvviso di uno sparo. Non era ancora a terra che aveva giù la mano sulla browning 9mm che ormai portava sempre con sè.

Si mise in ginocchio e puntò sicuro la pistola premendo il grilletto nello stesso momento in cui sentiva un altro sparo.

Fu questione di un secondo, sentì una fitta lancinante e la carne lacerarsi appena sopra il cuore. Chiuse gli occhi per il dolore che aumentò quando cadde a terra di schiena.

"John!"

Sentiva Greg urlare il suo nome e le grida dei passanti che spaventati avevano assistito alla scena. Sentiva ancora di avere la pistola in mano e la mano di Greg premuta lì dove c'era la ferita.

Probabilmente stava chiamando il 911, non sentiva bene, tutti i rumori diventavano sempre più ovattati e sentiva sempre più freddo.

"John! Non mollare!"

Socchiuse gli occhi vedendo in modo molto sfocato il viso sconvolto di Greg.

"Va...tutto bene...sto...andando...da lui..." riuscì a sussurrare sentendo il respiro sempre più affannoso.

Stava per tornare da Sherlock, ed era quasi felice del fatto che presto sarebbero stati di nuovo insieme, come era giusto che fosse.

Nella mente solo il viso di Sherlock, quella fu l'ultima cosa che vide prima del buio.

*

Due ore dopo...

Avevano perso Moran, maledizione! E stavolta non avevano idea di dove fosse, ci sarebbero voluti di nuovo mesi per ritrovarlo, altri mesi che lo avrebbero tenuto ancora lontano dalla sua vita e da John.

Si passò le mani tra i capelli cercando di calmarsi. La prossima volta l'avrebbero catturato.

Sentì la porta della sua stanza aprirsi e si rimise seduto composto per accogliere l'ingresso di Mycroft.

Notò subito che era agitato e preoccupato, era successo qualcosa, di sicuro, era raro vedere suo fratello perdere il suo aplomb.

"Mycroft?"

Perchè si sentiva il cuore in gola?

Mycroft entrò lentamente chiudendo la porta alle sue spalle e appoggiandosi ad essa come sostegno. Sospirò profondamente.

"E' successo qualcosa, Sherlock".

Rimase zitto in attesa di altro. Perchè aveva un brutto presentimento? Centrava forse Moran?

"Non so come dirtelo, ma tanto se non lo faccio io presto lo saprai dai giornali..." Mycroft sospirò di nuovo. "Si tratta di John".

Non si rese nemmeno conto di aver trattenuto il respiro. Allora aveva ragione, era successo qualcosa a John...

"L'ispettore Lestrade mi ha appena chiamato dal S. Mary Hospital...John è morto, Sherlock" riferì Mycroft grave.

Una pugnalata nel petto, al cuore, ecco quello che sentì in quel momento. John, il suo John era morto. Chiuse gli occhi stringendo forte le labbra per reprimere l'urlo che voleva uscire. Si era finto morto, aveva fatto tutto quello per salvarlo e poi alla fine era stato tutto inutile.

"Com'è successo?" riuscì a chiedere con voce inespressiva.

"Era appena uscito dal suo appartamento, doveva andare a pranzo con Lestrade...poi qualcuno gli ha sparato" lo informò Mycroft.

Alzò la testa spalancando gli occhi, una chiara domanda gli si leggeva in volto.

"Sì, è stato Moran, John gli ha sparato colpendolo prima di...essere colpito a sua volta. Hanno fatto passare il DNA negli archivi dei ricercati ed è risultato essere quello di Moran" rispose Mycroft.

Sherlock annuì chiudendo gli occhi. Aveva fallito, e il prezzo del suo fallimento era stata la morte dell'unica persona che per lui contava qualcosa, John.

"Lasciami solo" disse perentorio.

Un attimo di esitazione e poi sentì la porta aprirsi e chiudersi. Solo allora permise alle lacrime di bagnargli il volto e a quell'urlo di uscire.

Non sapeva che Mycroft era lì fuori, appoggiato alla porta ad ascoltare con angoscia il suo dolore, la sua rabbia, le sue urla e il rumore di oggetti infranti.

*

Sentiva dei bip, rumore decisamente strano visto che avrebbe dovuto essere in paradiso. Da Sherlock. Ma del consulente investigativo nemmeno l'ombra, c'era solo buio e nient'altro. Poi una voce, la sua voce che lo chiamava per nome, esortandolo a non arrendersi e ad aprire gli occhi.

E fu quello che fece, ritrovandosi in una stanza dalle pareti bianche con un dottore chino su di lui.

A giudicare dalla strumentazione che aveva intorno dovevano appena averlo estubato. Dunque era in un ospedale ed era ancora vivo.

"John, mi sente?" disse il dottore.

Lesse il cartellino, L. Smith cardiochirurgia.

"Sì" mormorò con voce rauca per il tubo che aveva tenuto in gola per non sapeva ancora quanto.

"Si trova al S. Mary Hospital, le hanno sparato, ricorda qualcosa?" domandò il dottor Smith.

Corrugò la fronte, si ricordava in modo sfocato tutto quanto.

Annuì.

"Il proiettile l'ha colpita appena sopra il cuore, mancando di pochissimi millimetri l'arteria carotidea...è stato fortunato signor Watson, deve avere qualcuno che la protegge da lassù".

Sherlock, pensò automaticamente a lui. Quel bastardo l'aveva protetto anche da morto.

"E' così" disse con gli occhi lucidi. "Da quanto sono qui?"

"Un paio di giorni. Credo però ci sia una cosa che debba sapere con urgenza" rispose il dottor Smith allontanandosi quel tanto per far entrare nel suo campo visivo due individui vestiti in giacca e cravatta grigio scuro con tanto di capello in testa.

Dal portamento e dal tipo di vestiario assomigliavano parecchio a quella carogna di Mycroft Holmes.

"Siete dei servizi segreti" disse John con ovvietà.

"Complimenti signor Watson per la brillante deduzione" disse il più vecchio tra i due.

Doveva avere più di sessant'anni, capelli brizzolati più sul bianco che sul grigio; gli occhi di un grigio ferro e il taglio severo della bocca indicarono quanto fosse parecchio stronzo di atteggiamento. L'altro invece doveva essere di circa sei o sette anni più giovane di John, biondo con gli occhi scuri e il classico viso da angioletto che nascondeva qualcosa.

Sherlock sarebbe stato orgoglioso della sua rapida analisi.

"Con chi ho l'onore di parlare?" dalla sua voce trasparì un filo di ironia.

"Mark Patterson e Steven Colfer" si presentò il vecchio per poi informarlo anche del nome dell'altro agente.

"Che volete da me?"

Era idiota, come diceva sempre Sherlock, ma era ovvio che quei due volessero qualcosa da lui, qualcosa di preciso visto che erano venuti fino al suo capezzale.

"L'abbiamo inserita in un programma di protezione, signor Watson" disse Colfer.

Alzò un sopracciglio, quelli non avrebbero fatto mai qualcosa per niente.

"In cambio del suo servizio" aggiunse infatti Colfer.

John rise internamente, aveva fatto bingo.

"Sappiamo per certo che chi ha tentato di ucciderla era Sebastian Moran, ne ha mai sentito parlare?" indagò Patterson.

Certo, tutti i soldati di stanza in Afghanistan sapevano chi era Moran, uno dei migliori cecchini dell'esercito prima di tradire la patria. Annuì.

"Lei lo ha ferito, per questo siamo riusciti ad identificarlo" spiegò Colfer.

"Allora? Che volete che faccia?" domandò John impaziente.

In quei due anni aveva preso senza volerlo a diventare parecchio scontroso e intrattabile, aveva assimilato quasi i peggiori difetti del suo ex coinquilino. Al momento non gli importava granchè di essere scontroso con quei due sconosciuti.

"Vogliamo che lei torni in Afghanistan a servire il suo paese, ovviamente sotto una falsa identità" rivelò Patterson.

"E se rifiutassi?" domandò per curiosità più che altro.

"Non credo che abbia molta scelta visto che tutti la credono morto" aggiunse Patterson.

Gli ci volle qualche secondo per comprendere appieno quelle parole prima di esplodere in un rabbioso "COSA?!"

"Se non vuole andare in Afghanistan possiamo sempre rinchiuderla in qualche zona sicura del paese dove nessuno potrà sapere della sua esistenza, almeno fino a quando non catturiamo Moran" disse Colfer.

"Se mai ci riuscirete" non si trattenne dal dire John con disprezzo.

Aveva ragione Mycroft, non ci si poteva fidare del tutto dei servizi segreti, erano mercenari pagati per i loro servigi, ed erano degli stronzi. Non aveva molta scelta, e in fondo non gli dispiaceva tornare in Afghanistan, sentire quell'adrenalina prima di una missione che ti faceva sentire quasi invincibile, quell'adrenalina era decisamente meglio di qualunque droga. E poi forse andare lontano da Londra gli avrebbe fatto bene, anche se aveva già la consapevolezza che il pensiero di Sherlock lo avrebbe accompagnato anche lì.

"Allora, Watson che vuole fare?" domandò Patterson.

"Accetto, solo con alcune condizioni" rispose dopo aver riflettuto rapidamente.

Patterson e Colfer lo guardarono in attesa delle sue richieste.

"Non voglio che Mycroft Holmes sappia qualcosa della mia partenza o che sono ancora vivo" disse subito.

Non voleva più il maggiore dei fratelli Holmes alle costole, perchè sapeva che per tutto quel tempo, dalla morte di Sherlock, era stato costantemente osservato. Non che questo fosse poi servito a molto, visto che comunque Moran era riuscito a sparargli dritto al torace.

"D'accordo, c'è altro?" chiese Colfer.

"Il mio nuovo nome sarà John Harry Holmes, e non ammetto obiezioni" disse John serio e irremovibile.

"Va bene, come vuole. Quando potrà lasciare l'ospedale le daremo tutte le informazioni necessarie e poi partirà subito per la provincia afghana di Helmand dove sarà assegnato al distretto di Lashkar Gah. Grazie per la sua collaborazione, dottor Watson" replicò Patterson.

Collaborazione...non che gli avessero dato molta scelta.

"Ah, dottor Watson, complimenti, non era facile beccare Moran dalla sua posizione. Mai pensato di fare il cecchino?" aggiunse Patterson con una scintilla di quella che pareva ammirazione negli occhi.

"No, mi sono arruolato solo per curare i miei compagni e per dare il mio contributo come medico. Comunque accetto i complimenti" rispose John.

Colfer e Patterson annuirono e dissero solo "Capitano Watson" prima di uscire assieme al dottor Smith e lasciarlo solo a pensare a come nel giro di due giorni la sua vita era cambiata.


ANGOLO AUTRICE

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito. La storia conta in tutto 10 capitoli già scritti, per cui aggiornerò con regolarità circa due o tre volte alla settimana.

Grazie per la vostra attenzione, un bacio


Nikki Potter

  
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