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Autore: Emily Alexandre    26/02/2013    5 recensioni
[Terza classificata nel contest "Il linguaggio segreto dei fiori"]‎
Venezia. Ottavia non ha un cognome, né una storia, è nata e cresciuta in un bordello, ma sa che quello non sarà il suo futuro: lei vuole diventare una cortigiana, incantare quella città che ha imparato ad amare attraverso i racconti ma che non ha mai conosciuto davvero. Anche sua madre vuole che la figlia diventi una cortigiana, una marionetta nelle sue mani e in quelle del marito che sceglierà per lei. Ma proprio quando Ottavia sta per dire addio ai suoi sogni nella sua vita entra Enrico, giovane veneziano proveniente da una famiglia di recente patriziato. I suoi genitori gli stanno cercando la moglie perfetta, ma lui ha tutt'altro per la testa.
"-Perché tu ed io siamo uguali, bambina, speriamo che prima o poi Venezia ci nasconda dentro di sé, alleggerendo qualsiasi sofferenza, e nel frattempo ci limitiamo a vivere in un perenne tramonto in attesa del momento in cui la notte ci inghiottirà, uccidendoci. Non lasciare che il sole tramonti su di me. Benché io cerchi me stesso, è sempre qualcun altro che vedo. Nuove maschere, nuovi ruoli…"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Maschere al tramonto
 


 

Se avesse dovuto scegliere di vivere cristallizzata in un momento, quello sarebbe stato il tramonto, l’attimo in cui il sole moriva all’orizzonte e il cielo assumeva sfumature arancioni e rosa. Per Ottavia, era quello il momento perfetto, sospeso tra la fine e il principio, diviso tra il giorno che sta morendo e la notte che deve ancora iniziare.
Un limbo, come quello in cui viveva lei.
Ma Venezia al tramonto era così incredibilmente perfetta, che persino il limbo non sembrava un posto così brutto in cui trascorrere l’esistenza.
-Ottavia!
La ragazza represse una smorfia sofferente nel sentire la madre che la chiamava dal salottino; aveva udito la voce di un uomo e se la donna richiedeva la presenza della figlia, poteva esservi solo una ragione.
Quando due occhi piccoli e viscidi si posarono su di lei, Ottavia lanciò un ultimo sguardo al panorama alle sue spalle, lanciando una muta preghiera alla città che le aveva dato la vita e pregando, irrazionalmente, che la nascondesse dentro di sé facendola svanire. Sua madre l’avrebbe messa in mostra come merce al mercato e lei, una volta ancora, si sarebbe spezzata. In quanti pezzi poteva frammentarsi, prima che ricostruirsi diventasse impossibile?
-Ottavia, vieni qui, fatti vedere. Ricordi il signor Antonio?
La ragazza annuì appena, accennando un sorriso: raramente sua madre riceveva due volte gli stessi uomini, a meno che non fossero suoi clienti, ma il signor Antonio era lì per lei, per un’unica ragione.
Ottavia era figlia di una prostituta. Sua madre si atteggiava a signora, ma altro non era che una donna di strada che aveva trovato rifugio da Mamma Anna, proprietaria di una delle molte case di malaffare di Venezia, quando aveva tredici anni; a venti era rimasta incinta e, quando aveva scoperto di avere avuto una bambina, aveva deciso che ciò che lei non aveva potuto avere, lo avrebbe ottenuto attraverso di lei.
Ad Ottavia non era mai stato nascosto il suo futuro: avrebbe lavorato come sguattera nella casa di Mamma Anna fino ai sedici anni, poi si sarebbe sposata e sarebbe diventata una cortigiana.
Nel suo immaginario, le cortigiane erano bellissime donne, raffinate e colte, che vivevano in splendidi appartamenti e ricevevano gli uomini più importanti della città, ma aveva capito da tempo che il suo futuro non avrebbe compreso nulla di ciò: certo, avrebbe avuto una casa, ma sarebbe stata gestita da sua madre e dal marito che la donna le avrebbe scelto, e lei non avrebbe avuto alcuna voce in capitolo riguardo ai suoi amanti. Sarebbe stata una cortigiana, sì, ma di basso rango perché non le sarebbe mai stato permesso di volare.
I sedici anni si avvicinavano inesorabilmente e sua madre stava riducendo il cerchio dei pretendenti: i soldi erano l’unica virtù che dovessero possedere. Suo marito si sarebbe preso la sua verginità e poi l’avrebbe messa sulla piazza, costringendola a diventare ogni notte una donna diversa, reinventandosi a seconda dei desideri degli uomini.
-Sempre più bella tua figlia, Tonietta. Sarà un piacere averla.
La madre la osservò con sguardo soddisfatto, poi si volse annoiata. –Vai a fare un giro da qualche parte, io e il signor Antonio dobbiamo parlare di affari.
Ottavia colse un’occhiata contrariata dell’uomo e fuggì prima che la madre cambiasse idea, passando attraverso lo stretto corridoio delle camere delle donne e scendendo la scala a chiocciola che portava alle alcove.
La vita da Mamma Anna era l’unica che conoscesse e, in fondo, non le dispiaceva; le altre prostitute mal sopportavano Tonietta, che si era sempre creduta ingiustificatamente troppo superiore a loro, ma adoravano la piccola Ottavia che, silenziosa e sorridente, le aiutava in qualsiasi cosa avessero bisogno, dai bottoni che necessitavano di essere cuciti agli uomini troppo invadenti che andavano allontanati con una scusa.
Ogni angolo di quella casa le era familiare, ma lo stesso non poteva dirsi di Venezia: ciò che conosceva era quello che riusciva a scorgere dalle finestre o dal tetto, il canale che si estendeva ai loro piedi, le strade strette, le guglie della basilica di San Marco in lontananza, tutto il resto viveva solo nella sua testa, attraverso i libri e i racconti degli uomini che attendevano il proprio turno con le prostitute.
Varcare la soglia di casa nei suoi sogni avrebbe significato crescere, diventare la donna che sognava, ma poi i suoi pensieri tornarono all’uomo che stava parlando con sua madre e un brivido la percosse, lasciandola sconfortata. Avrebbe cambiato una prigione con un’altra prigione, solo che la casa del signor Antonio sarebbe stata priva del calore umano che riusciva a trovare lì, dov’era nata.
-Ho sempre pensato che Venezia al tramonto regalasse a noi poveri uomini il suo aspetto più bello.
Ottavia si voltò verso la voce che aveva parlato e si ritrovò ad ammirare un giovane di neppure trent’anni, alto e con un corpo ben fatto che denotava un costante allenamento; le sorrideva, ingentilendo lineamenti altrimenti forse troppo spigolosi, ma comunque belli e indiscutibilmente nobili. Non sembrava un uomo che necessitasse dei servizi della casa di Mamma Anna.
Non l’aveva mai visto prima, eppure sembrava muoversi con familiarità in quelle stanze.
-Come mai sei qui, bambina?
-Mia madre lavora qui.
L'uomo osservò la fanciulla, pensando che qualsiasi altra giovane si sarebbe offesa nel sentirsi chiamare bambina; era bella, con gli occhi chiari sgranati e le labbra piene piegate in un accenno di sorriso.
-E tu no?
-Io aspetto di sposarmi.
Non era uno sciocco, sapeva cosa significasse quella frase.
-Come ti chiami?
-Ottavia, signore.
-Ottavia e basta?
La ragazza annuì, arrossendo. –Non ho cognome, signore, non l’ho mai avuto, ma lo avrò presto, non appena mi sposerò.
Pronunciò quelle parole con apparente tranquillità, ma il suo cuore tremava: sua madre non aveva mai voluto darle un cognome, neppure il suo, ripetendole che lei non era altro che un soprammobile finché non si fosse sposata, e non necessitava d’altro che del nome e della bellezza. Eppure, Ottavia non si era mai sentita un soprammobile.
-Capisco. Io sono Enrico Foscari.
Le si sedette accanto ed entrambi si stupirono dell’istintiva familiarità con cui reagivano alla presenza dell’altro.
-Siete un Nobil Homo.
Enrico storse il naso, ma poi sorrise. –Più o meno. La mia era una famiglia di commercianti che solo dopo la rivolta della Lega dei Cambrai ha ottenuto l’iscrizione al Libro d’Oro. Sai di cosa sto parlando?[1]
Ottavia annuì –Ho studiato, sapete? Mamma Anna mi ha insegnato a leggere e gli avventori soliti della casa sanno che adoro i libri, per cui spesso me ne regalano.
-Allora farò altrettanto.- commentò l’uomo, colpito da quella ragazzina che si sforzava di apparire ordinaria, quando ordinaria non lo era affatto.
-Grazie.- gli rispose sinceramente, per poi realizzare un dettaglio. -Dunque dovrete sposarvi presto anche voi.- Era giovane e la famiglia era di recente patriziato, dunque aveva bisogno di affermarsi.
-Cosa ti dice che non sia già sposato?
Ottavia non rispose, ma gli indicò la mano sinistra su cui era presente solo un anello al mignolo. Nessuna fede nuziale.
Eppure la dolcezza con cui sfiorò quell’unico anello le fece comprendere che, forse, qualcuno nel suo cuore c’era già e fu lo stesso Enrico a confermarlo poco dopo, benché involontariamente.
-Ho ancor meno voglia di sposarmi di te, mia cara. Ad ogni modo, ti sei scelta un delizioso nascondiglio, hai una vista meravigliosa da qui. Io di solito passo attraverso le altre scale, quelle principali, ma pare che qualcuno abbia deciso di versare un intero otre di vino, bloccando il passaggio.
-Mamma Anna ne sarà contenta.
Enrico scoppiò a ridere e Ottavia lo seguì, poi l’uomo si alzò. -È stato un piacere parlare con te.
-Anche per me.
 
Tornò alcuni giorni dopo e la ritrovò in quello stesso punto della casa, immersa in un’opera di cucito. Una giovane donna che non aveva ancora compreso le infinite possibilità che quei lineamenti le donavano, una bambina cresciuta troppo in fretta che però non aveva perso il suo candore; Enrico rimase ad ammirarla un istante, le labbra socchiuse, i capelli legati confusamente che le lasciavano scoperto il collo illuminato dalla luce del sole.
-Ti ho portato questi.
Ottavia si voltò a guardarlo con un’espressione di stupore negli occhi, che subito si trasformò in gioia quando notò i libri nelle sue mani: non erano libri da leggere, ma una raccolta di illustrazioni di Venezia con brevi spiegazioni dei luoghi.
-Mi hanno detto che non esci mai da qui, per cui ho pensato di portare Venezia da te. Quando avrai finito di sfogliarli, fammi sapere cosa vorresti visitare e farò in modo che accada.
-Vi ringrazio, signor Foscari, ma dubito che mia madre lo permetterà.
Enrico le sorrise, sfiorandole le labbra con un dito intimandole il silenzio. –Nessuno ha detto che tua madre debba saperlo. Questo è un nascondiglio perfetto dalle brutture del mondo, però Venezia, nonostante i suoi difetti, deve essere scoperta e amata.
-Abbiamo poco tempo, però.- replicò la fanciulla, catturata da quel giovane enigmatico e pieno di sorprese. Ottavia sapeva che, in quanto cortigiana, l’amore le sarebbe stato precluso, e dopotutto non era neppure amore quello che provava per lui, non ne era attratta fisicamente come lo era stata da alcuni ragazzi che di tanto in tanto incontrava tra quelle mura; era più che altro il suo sguardo ad attirarla, il tono della sua voce e i suoi racconti su Venezia… Un’affinità elettiva, di anime. Ed Enrico amava il tramonto, proprio come lei.
-Poco tempo?
-Tra quindici giorni mi sposerò e allora non potrò più vedervi.
-Allora dovete sbrigarvi a sfogliarli. Passerò a prendervi fra due notti, fatevi trovare a questa finestra, porterò una scala. Credete di poterlo fare?
Fuggire di notte all’insaputa di Tonietta? Probabilmente sarebbe stata scoperta, ma cosa importava? Cosa poteva infliggerle più di quello che aveva già deciso quella mattina, più di quel matrimonio che non voleva ma a cui non poteva opporsi in alcun modo?
-Contate su di me. Ora però devo andare.
Istintivamente si chinò a baciargli una guancia, poi gli voltò le spalle e salì le scale, con il profumo del giovane ancora addosso.
 
Era una follia, se ne rendeva perfettamente conto mentre si chiudeva la porta alle spalle e, con il minor rumore possibile, raggiungeva il nascondiglio e la finestra sotto cui Enrico la aspettava. Follia scappare con un giovane di cui non sapeva nulla, ma un’istintiva fiducia e lo struggente desiderio di conoscere finalmente la sua città le avevano impedito di pensare razionalmente: lei voleva fuggire, lo desiderava con tutta se stessa. La scala era lì e, con il cuore che le batteva impazzito nel petto, la scese fino a trovarsi tra le braccia di Enrico.
-Sapevo che saresti venuta.
-Io non lo sapevo fino a cinque minuti fa.- replicò lei con un sorriso.
Enrico le tirò su il cappuccio del mantello, poi nascose la scala e la guidò fino ad una gondola che attendeva poco distante dalla casa di Mamma Anna. Ottavia batté le mani per la gioia.
-Non sono mai salita su una gondola!
-Lo so.
Enrico le tese una mano per aiutarla a salire, poi fece cenno al gondoliere di partire e Ottavia, dopo un primo istante di smarrimento, si lasciò cullare dal pigro movimento delle onde; i suoi sensi erano all’erta, nel tentativo di assorbire Venezia, i suoi odori, non sempre piacevoli, le sue immagini, i suoni… Finirono nel Canal Grande e Ottavia si stupì della sua grandezza e ammirò la luna che si specchiava sull’acqua. Era piena e illuminava la città rendendola parte di un magico sogno.
Enrico, al suo fianco, taceva, e se lei si fosse girata avrebbe colto i suoi occhi su di sé.
Scesero in prossimità di piazza San Marco, che Ottavia aveva immaginato mille volte e che percorse correndo lungo tutto il perimetro mentre Enrico la osservava seduto sul marciapiede. C’era qualcosa in lei di così vivo, come una fiamma instancabile, e odiava l’idea che qualcosa potesse spegnerla: il matrimonio, ne era sicuro, l’avrebbe uccisa. Avrebbe vissuto una vita che non aveva scelto e che non le apparteneva, accantonando sogni e aspirazioni. Una sensazione che lui conosceva bene.
La famiglia voleva che si sposasse, ma nessun nobile di antico patriziato gli avrebbe mai concesso la mano di una figlia, così suo padre aveva ristretto il campo a tre papabili spose, di nobiltà recenti come loro e così terribilmente volgari… L’idea di trascorrere il resto della sua vita con una di loro era insopportabile. Inoltre, esisteva un altro dettaglio, che poi così dettaglio non era e che lo tormentava giorno e notte come un enigma a cui non esisteva risposta.
-Enrico, voglio vedere palazzo Correr, è qui vicino vero?
L’uomo annuì e la prese per mano, conducendola ai piedi di uno dei più bei palazzi veneziani; lo ammirarono dall’esterno, attraverso i sontuosi cancelli ed Ottavia si lasciò stregare da un grande albero che si trovava al centro del giardino.
Un corniolo, le spiegò Enrico, e quella parola sulle sue labbra aveva un sapore dolce, quasi di promessa, come se quell’amore che simboleggiava, così forte da sfidare le avversità, potesse avvolgerli e dar loro un futuro migliore. Entrambi sapevano che il giorno avrebbe portato via quel sogno, ma in quelle ore si concessero di indugiarvi, mentre camminavano attraverso dei vicoli fino al palazzo Ducale, sede del Doge, dei tribunali e delle prigioni, e ancora verso Ca’ D’oro, la cui facciata era interamente decorata in oro. Passeggiarono lungo i ponti, chiacchierando come se si conoscessero da sempre e bevendo il vino comprato dalle locande ancora aperte, avvolti dalla nebbia di Venezia come se la città li custodisse nel suo grembo.  
Quando però, quattro ore dopo, Ottavia si trovò ai piedi della scala, le parole le vennero meno.
-Spero tu sia stata bene.
-Vorrei che questa notte fosse durata per sempre. Promettetemi che lo rifaremo prima che mi sposi, ve ne prego!
Enrico si chinò a baciarla, un bacio rapido, dolce, che trasmetteva affetto, ma non passione. –Lo prometto.
 
Tonietta non si era accorta di nulla, quella notte, ma non le servì molto tempo per notare che qualcosa in sua figlia era cambiato.
Era sempre stata una ragazza silenziosa e schiva, ma negli ultimi giorni era diventata ancor più assente e più di una volta l’aveva sorpresa a sospirare mentre sfiorava un libro; conosceva l’amore, Tonietta, ne conosceva i sintomi, non per averli sperimentati in prima persona, ma per aver visto prostitute rovinarsi per esso. Non poteva permettere che questo accadesse a sua figlia. Non riusciva a capire, però, dove mai potesse aver incontrato l’uomo in questione, poiché non le permetteva di allontanarsi né aveva mai creduto che i clienti, volgarotti e uomini del popolo per lo più, potessero interessarla.
Quello che la donna non capiva è che il cuore della figlia non si struggeva d’amore per un uomo, ma per una città, per un sogno che desiderava realizzare con tutte le sue forze.
Ottavia, però, era così persa in un mondo tutto suo da non rendersi conto dei sospetti della madre e degli ingranaggi che aveva messo in moto per accelerare le nozze: chiunque avesse voluto la ragazza, avrebbe dovuto pagare.
La notizia che si sarebbe sposata in cinque giorni arrivò come un fulmine a ciel sereno, destabilizzandola totalmente. Aveva creduto di avere più tempo per prepararsi, più tempo per illudersi di poter trovare una soluzione, più tempo per dire addio ai sogni e alla giovinezza. Cinque giorni erano così pochi…
Quando Enrico la trovò nel nascondiglio, quella sera, la ragazza scoppiò a piangere senza neppure avere il tempo di spiegare, ma l’uomo era già stato messo al corrente e, benché ella non potesse saperlo, si era recato al bordello solo per farle una proposta.
-Sposami.
Ottavia alzò il volto e lo fissò in silenzio, senza comprendere.
-Sposami.
-Perché?- una domanda sciocca, ma l’unica davvero rilevante in quel momento.
-Perché hai bisogno di un marito o fra cinque giorni sposerai quel tale.
-Perché volete aiutarmi, Enrico? Io non sono nulla per voi.
L’uomo le spostò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e le sorrise come avrebbe fatto un padre o un fratello maggiore, non certo un amante.
-Perché tu ed io siamo uguali, bambina, speriamo che prima o poi Venezia ci nasconda dentro di sé, alleggerendo qualsiasi sofferenza, e nel frattempo ci limitiamo a vivere in un perenne tramonto in attesa del momento in cui la notte ci inghiottirà, uccidendoci. Non lasciare che il sole tramonti su di me. Benché io cerchi me stesso, è sempre qualcun altro che vedo. Nuove maschere, nuovi ruoli… Tu sarai una moglie infelice e io un marito pessimo, condurremmo al dolore noi stessi e gli altri. So che mi capisci, sai che è così. Ti sto proponendo una via d’uscita.
-Vorrei farlo, lo vorrei con tutto il cuore, ma… Perché mai vorreste sposare me?
L'uomo non rispose, ma la invitò a seguirla facendole cenno di mantenere il silenzio: la ragazza lo assecondò, decisa ad andare fino in fondo a quel mistero. Ciò che vide oltre la tenda del baldacchino bastò a dipanare la matassa.
Un ragazzo riposava, il bel volto disteso da un sonno tranquillo e il corpo quasi totalmente scoperto: Ottavia sorrise e annuì, mentre le parole di Enrico facevano presa nel suo cuore e nella sua anima. Lei capiva.
Una prostituta e un sodomita o, per un occhio più attento, una donna che amava la bellezza e un uomo che amava disperatamente un altro uomo.
-Se prendi me, prenderai anche lui, questo voglio che sia chiaro.
-Non avrei mai pensato di chiedervi diversamente.
Perché avrebbe dovuto, dopotutto?
-Sii meno formale, ti prego: ti ho appena chiesto di sposarmi.
E Ottavia sorrise, lieta che l’avesse detto. -Come vi siete incontrati?
-Non è mai successo, in realtà: siamo fratelli di latte, nati a una settimana di distanza. Sin da quando abbiamo memoria siamo stati l’uno nella vita dell’altro e sin da quando eravamo piccoli mio padre gli ha permesso di seguire le mie stesse lezioni purché mi facesse da cameriere personale. Abbiamo anche perso la verginità la stessa notte, tra queste mura dove eravamo venuti con altri amici… Potevamo avere a disposizione ricche cortigiane, ma i bordelli hanno più fascino sui ragazzi di quindici anni.-aggiunse con un sorriso, -Capimmo presto che le donne non avevano alcun fascino su di noi e che eravamo sempre stati innamorati l’uno dell’altro, così le notti qui divennero il pretesto per stare insieme lontano da occhi indiscreti. Mamma Anna è una cugina della madre di Federico.
-Un matrimonio metterebbe fine a tutto questo.
-Sì e no, certo lo renderebbe più difficile perché una moglie non lo accetterebbe mai. Capisci perché desidero sposarti? Tu lo accetteresti e sono sicura che vi piacereste molto. Me lo ricordi sotto molti aspetti, per questo mi hai colpito.
Ottavia sorrise, ma non accettò. –Cosa ti fa pensare che la tua famiglia mi accetterebbe?
-L’opportunità. Le uniche donne i cui padri sono disposti ad avermi come genero provengono tutte da famiglie di recente patriziato che non porterebbero molti vantaggi sociali, soprattutto considerando che le donne veneziane sono per lo più rintanate in casa. Una cortigiana, d’altro canto, avrebbe accesso alle più alte cariche della Serenissima, ai prelati, alle feste migliori… Opportunità. Ho una casa poco distante da piazza San Marco pronta da anni in attesa delle mie nozze: potrai avere un’ala solo per te, sceglierai i tuoi clienti da sola e il guadagno sarà totalmente tuo. Io da parte mia mi impegnerò a farti conoscere Marianna.
-Marianna, quella Marianna?- Ottavia non l’aveva mai vista, ma sapeva perfettamente chi fosse una delle più importanti e ricercate cortigiane di Venezia.
-Lei. La conosco da anni e sono sicura che sarà ben felice di insegnarti il mestiere, tanto più che sta pensando di ritirarsi. Non sarà facile lì fuori, bambina, ma se è davvero quello che vuoi, allora insieme potremo farcela.
E Ottavia lo voleva, ardentemente e disperatamente: ciò che Enrico stava mettendo ai suoi piedi era quello che aveva sempre sognato.
 
Aveva bisogno di un testimone per le nozze, Enrico le aveva concesso solo due giorni, poi si sarebbero incontrati alle nove in una piccola cappella poco distante dal bordello. Tonietta quella notte sarebbe stata impegnata con Antonio e la sua presenza non era richiesta, così nessuno si sarebbe accorto della sua assenza se non a cose ormai fatte.
Aveva bisogno di un testimone, però, e si avventurò ai piani inferiori con la scusa di riportare alcuni abiti che aveva rammendato: consegnò il carico alle prostitute e si fermò a parlare con alcune di loro, quelle che l’avevano vista crescere e i cui volti Ottavia aveva osservato passare dal colore naturale a quello fittizio dei troppi trucchi. Quel posto era casa sua, ma non le apparteneva.
Mamma Anna aveva appena cacciato un cliente troppo insistente quando la raggiunse per chiederle di parlarle privatamente.
Bastarono poche parole per spiegarle ciò che aveva in mente, certa che forse non l’avrebbe appoggiata, ma certo non l’avrebbe tradita.
-Enrico, eh? L’Enrico del mio Federico.
-Enrico Foscari, sì. Ti prego, Mamma Anna, mi conosci e conosci mia madre… È una vita, quella con lei, che non sopporterò a lungo. Sei la mia unica speranza.
La pregava, ma il suo volto non aveva perso neppure un briciolo di dignità: danzavano le fiamme in quegli occhi, che erano cresciute giorno dopo giorno e che Tonietta aveva avuto l’arroganza di non vedere mai.
La verità era che Mamma Anna una madre non lo era mai stata e le sue ragazze erano quanto di più vicino avesse a una famiglia. Ottavia, però, era diversa, non perché Tonietta superbamente lo affermasse, ma perché vi era una tale innocenza nel suo animo e una tale forza di volontà che la rendevano pericolosamente distante da quelle ragazze più o meno adulte che trovavano nella prostituzione la propria strada. Ottavia poteva aspirare a più di quello che un bordello poteva offrirle. Ottavia poteva avere tutto. Fu per questi motivi che quella notte le disse di sì.
-Farà di me una cortigiana, Mamma Anna.
Gli occhi le brillavano mentre pronunciava quelle parole e la donna si ripromise che se Enrico poteva renderla una rispettabile cortigiana, lei avrebbe fatto in modo che Tonietta non interferisse mai.
-Sarai la cortigiana più desiderata di tutta Venezia, mia cara. Se qualcuno può farlo, quella sei tu. Cosa ne sarà di tua madre?
-Non lo so. Non la abbandonerò, certo, sai che non potrei. Le darò una cospicua cifra al mese, ma ciò che ne farà non sarà più affar mio.
-E stanotte sia, allora. Sarò felice di avere una parte nella felicità di tre persone a me così care. Nanà potrà badare alle ragazze in mia assenza.
Fu di parola e fece anche di più: prima di uscire intrecciò i capelli di Ottavia e le prestò un abito color lavanda, il più sobrio tra quelli della sua giovinezza. Una sposa anticonvenzionale per un matrimonio che rompeva qualsiasi regola.
Enrico la attendeva all’altare insieme a Federico ed al prete, sorridente: era il suo futuro, solido e stabile, e mentre pronunciavano i consueti voti ciò che promettevano, in realtà, era l’impegno solenne di impedire che il sole svanisse dalle loro vite. Sarebbero stato l’uno il perpetuo tramonto dell’altra.
 
***
 
L’albero di corniolo era cresciuto ormai, così come era cresciuta lei. Dieci anni dopo la fanciulla aveva lasciato il posto alla donna, alla cortigiana che aveva stregato Venezia così come Venezia aveva stregato lei. Un matrimonio felice, più di quanto si sarebbe aspettata. Il corniolo era lì, sotto la sua finestra, a perpetuo memento della promessa che Enrico le aveva fatto il giorno in cui l’aveva condotta in quella che sarebbe diventata la sua casa.
Ottavia era nata per essere una cortigiana, amava con tutta se stessa l’uomo che sceglieva per la notte, spogliandosi di abiti e timori, donandosi senza remore o inibizioni, ma all’alba qualcosa mutava e la cortigiana diventava una moglie e un’amica, perché non esisteva un unico modo di amare e lei lo sapeva bene. Enrico lo sapeva bene.
Qualsiasi cosa ci riservi il futuro, le aveva detto sotto l’albero, la affronteremo insieme.
Non era stato facile, all’inizio, perché entrambe le famiglie avevano osteggiato quell’unione, ma insieme, l’uno accanto all’altra, erano riusciti a superarle e a diventare una delle coppie più invidiate della città; giravano voci, naturalmente, ma entrambi avevano protetto l’amore di Enrico e Federico con le unghie e con i denti, mostrandosi uniti e affiatati.
Era felice.
Aveva scelto i propri amanti in piena libertà, sotto la protezione di Enrico e del cardinale, il suo primo e più affezionato cliente, al punto che non di rado gli uomini giungevano da fuori per una notte con lei. Presenziava a cene e feste, ad esposizioni d’arte e spettacoli teatrali, mentre Venezia le si presentava in tutto il suo fascino, contraddizioni comprese, luci e ombre che si fondevano e la inebriavano, mai sazia e mai stanca. Alla fine, però, tornava sempre a casa, tra quelle mura che erano diventate il suo nuovo nascondiglio.
Avrebbe dovuto saperlo, però, che quella felicità non sarebbe potuta durare per sempre.
Sospirò e si rigirò tra le lenzuola senza trovare il coraggio di uscire dal letto nonostante mezzogiorno fosse passato da tempo: sarebbe rimasta per ore ad ascoltare il suono dell'acqua dei canali che si infrangeva sulle mura delle abitazioni, pigra, leziosa, proprio come lei. Ottavia somigliava a Venezia.
Enrico, però,  l’aspettava.
Era dimagrito tanto, troppo, nell’ultimo mese e ogni notte Ottavia andava a dormire con il terrore di svegliarsi senza di lui, l’indomani. Stava male, Enrico Foscari, e nessun medico, non importava quanto famoso, sembrava essere in grado di curarlo.
Sistemate i vostri affari, non sappiamo quanto vi resta, può essere un anno come un mese.
Dieci anni di felicità era ciò che la vita le aveva concesso e Ottavia si era chiesta spesso cosa ne sarebbe stata di lei e Federico quando lui se ne fosse andato. La sola idea le era insopportabile.
-Il Cardinale mi ha proposto una cosa, oggi.
-Mia cara, sai che adoro il suono della tua voce, ma sai anche che non mi interessa cosa tu e i tuoi clienti facciate in privato.
Ottavia gli lanciò un cuscino, che Enrico prese al volo, scoppiando a ridere, ma un eccesso di tosse gelò tutta l'allegria. La giovane gli si avvicinò, tamponandogli il volto con un fazzoletto pulito.
-Stai sempre peggio.
Enrico le sorrise debolmente e poggiò il capo sul suo grembo. -Dimmi, questa proposta.
-Il Cardinal Mazarino e la regina di Francia si stanno guardando attorno per trovare la cortigiana perfetta per il giovane Luigi. Vuole inviare una lettera con il mio nome...
-Mi sembra un'ottima proposta.
-Per lui! Certamente Mazarino lo ricompenserà.
-Anche per te mia cara. Ottavia Foscari, la cortigiana di Luigi XIV. Suona bene.
 
Enrico già lo sapeva, forse aveva addirittura orchestrato lui l’intera trattativa, ma Ottavia lo comprese solo quando insistette affinché accettasse.
Non voglio che tu mi veda morire.
Sapeva che non gli rimaneva molto tempo da vivere e desiderava che le persone che amava di più al mondo potessero essere felici: senza la sua protezione Venezia non aveva molto da offrire loro.
La Francia, d’altro canto, avrebbe rappresentato un nuovo inizio.
Ottavia aveva chiuso le tende della carrozza, incapace di osservare Venezia che spariva alle sue spalle. Non aveva salutato nessuno, né sua madre, né Mamma Anna e le poche amiche che si era fatta nel tempo, e aveva trascorso gli ultimi giorni a Venezia al capezzale di un Enrico sempre più debole.
Non voglio che tu mi veda morire.
Aveva cercato di non piangere, davanti a lui. Aveva cercato di regalargli il sorriso che tanto amava e l’allegria che l’aveva colpito sin dall’inizio. Parlavano di Venezia, facevano progetti per la Francia, finché il giorno della partenza non arrivò e lei dovette dirgli addio, con il cuore straziato da un dolore che non credeva fosse possibile provare, così intenso da toglierle il fiato. Enrico era la sua famiglia. Era tutto ciò che avesse.
-Grazie.
-Per cosa?
-Per avermi regalato tutto questo.
-Venezia è ciò che posso donarti io, ma ti auguro un uomo che metta il mondo ai tuoi piedi.
Le aveva augurato l’amore, un amore folle e totalizzante come quello che lo legava a Federico. Le aveva augurato la felicità, in quelle terre straniere che, era sicuro, l’avrebbero adorata.
-Il volto di Federico è stato il primo che ho visto e voglio sia l’ultimo che vedrò. Auguro a te la stessa fortuna, mia cara, quando lascerai, vecchia e felice, questo mondo.
-L’amore non è cosa da cortigiane.
-L’amore spetta tutti, basta solo farsi trovare pronti ad accoglierlo. Fidati di me.
Ottavia si era fidata, come sempre aveva fatto, ma non era sicura di nulla ormai, se non del dolore che l’aveva accompagnata costantemente durante il viaggio, chiedendosi a ogni tramonto se anche Enrico lo stesse guardando o se i suoi occhi si fossero chiusi per sempre. Il sole stava tramontando su di lui, ma lei aveva tenuto fede alla promessa ed Enrico, finché avesse avuto vita, non sarebbe stato costretto ad indossare una maschera.
Infine, giunse la Francia, splendente e colorata, proprio come l’avevano immaginata, e caotica, chiassosa e piena di vita. Federico l’avrebbe amata e quei luoghi, quella città che Enrico aveva scelto con così tanta cura, sarebbe stata il loro nuovo nascondiglio, all’ombra di un corniolo. Perpetuo memento.




[1]Nel 1297 il Doge emanò un provvedimento volto a impedire che i “nuovi ricchi” potessero ottenere l’iscrizione al Libro d’Oro, ossia il registro dei nobili che conteneva l’elenco delle famiglie patrizie. Ciononostante vi furono delle successive aperture che servivano per premiare chi si era distinto nell’aiutare Venezia in particolari circostanze di crisi, come ad esempio nella guerra contro la Lega di Cambrai, che vide il Papato, l’Impero, la Francia, la Spagna, Napoli, Ferrara e Mantova alleati per contrastare il potere sempre più ampio di Venezia. Venezia però riuscì a sfaldare la Lega e a vincere la guerra. Nobilis VirNobilis HomoNobil Homo, ossia Nobiluomo, era il titolo che spettava a tutti i patrizi di Venezia, che avevano pari grado; non vi erano, quindi, le distinzioni di titoli –conti, duchi, marchesi, ecc-.

 

 

Note: Ottavia, la mia amata Ottavia. Salve, coraggiosi che siete giunti fin qui :) Avevo in testa questa storia da mesi, poi il contest "Il linguaggio segreto dei fiori" mi ha dato la scusa per scriverla davvero. La mia Ottavia, dicevo, una dei protagonisti della mia long Evocatio Sanguinis, inserita nel fandom storico. Morivo dalla voglia di scrivere di lei, del suo passato e del suo rapporto con Enrico e spero davvero che questa fanciulla, questa cortigiana possa esservi piaciuta. Non vi annoio, anche perché tutt quello che dovevo dire l'ho fatto nella storia, ma voglio ringraziare alcune persone. Prima di tutto l'organizzatrice del contest per il terzo posto e la valutazione, e poi coloro che questa storia l'hanno amata forse anche più di me... Non faccio l'elenco, tanto sapete chi siete  e sapete che vi adoro nonostante le vostre ribellioni. E a Milla, doppiamente, per lo splendido e perfetto banner.
Per chi legge Evocatio, ritroveremo presto Ottavia. Per chi non lo fa... Se volete sapere se Ottavia troverà l'uomo che le regalerà il mondo, beh, venite a fare un giro di là, ne sarei felice.



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