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Autore: LenK    27/02/2013    4 recensioni
[La storia partecipa al concorso Sul Monte Olimpo - Contest dell'antichità indetto da EndlessBlue sul forum di EFP]
Molte cose gli aedi hanno cantato e canteranno sulle gesta di Ulisse dal multiforme ingegno, l’astuto, il distruttore di rocche; ma ciò che i cantori mai narreranno riguardo a me fu quello che vidi negli ultimi istanti della mia vita mortale.
La mia versione di una morte causata da una sete di conoscenza che non si placa nemmeno davanti ai limiti imposti dalla natura e dagli Dèi.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ulisse
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome sul forum: LenK
Nome sul sito: LenKiyomasa
Titolo della storia: Il folle volo.
Personaggi utilizzati: Ulisse, Achille (menzione)
Generi: Introspettivo, Drammatico
Avvertimenti: //
Parole: 580 [senza titolo]
Citazione inserita: Ho dedicato il mio cuore a conoscere la saggezza, la demenza e la follia... Ho capito che anche questo era come rincorrere il vento. Perché tanta è la saggezza, tanta è la pena. E colui che accresce la conoscenza, accresce il dolore. (da Assassin's Creed)
Note dell’autore: Il mio tributo a una delle figure più affascinanti di tutta la letteratura  - in assoluto. Ci sono tante versioni della morte di Ulisse, per questa storia ho preferito ispirarmi a quella che racconta Dante nella sua Commedia.
Riferimenti:                                         
La “montagna” di cui parla Ulisse è la montagna del Purgatorio, che nella Commedia dantesca egli incontra tre giorni dopo l’aver oltrepassato le Colonne d’Ercole. Le Arpie – mitologici mostri dal volto di donna e corpo di rapace – si dice siano la personificazione delle tempeste, per questo Ulisse scambia le urla del vento per questi mostri. Ulisse ha davvero rivisto lo spirito di Achille in Cimmeria nel Libro undicesimo dell’Odissea, quando rievoca le anime dei morti per parlare con l’indovino Tiresia.
Infine, il folle volo del titolo, che è anche in corsivo nel secondo paragrafo, è una citazione dal Canto ventiseiesimo dell’Inferno.



Il folle volo.
 
Eravamo in vista della montagna quando la procella ci colpì.
Sentii lo scricchiolio raccapricciante del legno della mia nave quando anche l’albero maestro, l’ultimo bastione della città in rovina a cadere, fu spezzato.
Udii le grida disperate dei miei uomini, gli ultimi rimasti, i più fedeli, i più arditi, che tentavano invano di aggrapparsi alle sartie. Li vidi cadere in acqua. Uno dopo l’altro, Poseidone crudele li inghiottiva.
Era la tempesta più fragorosa e violenta attraverso cui mi fossi mai trovato a governare una nave, e presto anche io mi vidi costretto ad abbandonare il timone.
Erano delle raffiche di vento, quelle urla, o erano le mostruose Arpie, emerse dallo Stige infernale per ghermirci?
Il turbine percosse la poppa. Tre volte la barca ruotò su se stessa, sospinta e trascinata dall’acqua in una danza mortale; alla quarta si inabissò nel vortice, e il mare si richiuse sopra di noi.
 
Tale è la fine di chi vuole governare l’ingovernabile.
 
Il mio corpo, indebolito dalla lotta contro il mare, ma ancora più sfiancato da quella contro la vecchiaia che portavo avanti da tempo, affondò senza opporre resistenza nell’acqua scura, dove l’ululato del vento e lo scroscio delle onde mi arrivavano più ovattati.
Non impiegai molto tempo a comprendere che non sarei mai più risalito a respirare l’aria salmastra, e che l’ultimo viaggio del grande viaggiatore era giunto al termine.
Ho dedicato il mio cuore a conoscere la saggezza, la demenza e la follia... Ho capito che anche questo era come rincorrere il vento. Perché tanta è la saggezza, tanta è la pena. E colui che accresce la conoscenza, accresce il dolore.
In quel momento non avrei saputo dire molto della saggezza, né della demenza; ma avevo ben conosciuto la follia.
Oh, sì. Non era forse un folle volo, quello che io stesso avevo voluto compiere spingendomi oltre il limite, avventurandomi in quelle acque, inviolate come la vergine guerriera Atena, che sono ora la mia tomba?
 
Tale è la fine di chi vuole esplorare l’inesplorabile.
 
Molte cose gli aedi hanno cantato e canteranno sulle gesta di Ulisse dal multiforme ingegno, l’astuto, il distruttore di rocche; ma ciò che i cantori mai narreranno riguardo a me fu quello che vidi negli ultimi istanti della mia vita mortale.
I miei occhi gonfi e in fiamme, che per troppo tempo ormai avevo tenuto spalancati nell’acqua salata, riuscirono a distinguere i contorni di una figura che mi parve umana.
Pensai fosse un figlio del dio del mare, che tanto mi aveva odiato. Ma poi lo riconobbi.
Giovane e possente come sotto le mura di Ilio, rivestito della sontuosa panoplia che per lui aveva forgiato il fabbro divino Efesto su richiesta di Teti dalle bianche braccia, v’era Achille.
Era diverso dallo spirito afflitto e malinconico che avevo riveduto nella terra dei Cimmeri.
Imbracciava lo scudo, quello che io avevo vinto insieme al resto delle sue armi nei giochi organizzati dopo la sua morte; armi avute con l’inganno, e che il mare mi strappò. Ma ancora erano nitide nella mia memoria quelle incisioni sulle quali mille volte avevo passato le dita: la terra, il mare, il cielo con tutti gli astri, le scene di nozze e quelle di guerra, i campi di grano dorato, i vigneti, i pascoli, le danze di giovincelli, le acque dell’immenso fiume di Oceano.
Lo sognai? Probabilmente. Tuttavia quando egli mi tese la mano, l’afferrai, e fui libero dall’ultima gabbia che ancora imprigionava il mio spirito.
 
Tale è la fine di chi vuole superare l’insuperabile.
 
  
 
 
  
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