[..] Lui, lui era lì, proprio di fronte a me. I suoi occhi color cielo, la sua carnagione chiara che metteva in risalto le sue dolci e soffici labbra rosate, il suo sguardo, il suo sorriso, i suoi movimenti. Erano l’unica cosa che risplendeva in quella stanza, la mia trappola mortale. Regnava il buio, il silenzio. Niente in quella camera avrebbe avuto più colore, niente più avrebbe parlato. Bottiglie di birra agli angoli, i ricordi ormai diventati cenere vagavano nell’aria, finestre ricoperte da travi di legno, sedie rotte, la scrivania ribaltata, quadri rotti, pezzi di vetro sporchi di sangue, sangue nero, le sigarette sparse, mozziconi, fazzoletti, qualche penna e un diario, bruciato. E poi c’ero io, o forse era solo ciò che ne era rimasto. I miei occhi erano un buco nero, una voragine, non avevano una fine, ti inghiottivano. I miei capelli erano rossi come il sangue, ma non splendevano più. La pelle aveva preso il colore della cenere nell’aria con qualche cicatrice bianca, cicatrici che formavano una scritta: ‘’died’’. Sì, perché io rappresentavo la morte. Se qualcuno si affezionava a me, moriva.
‘’ allora è qui che vivi?’’
‘’ uhm, perché sei qui?’’
‘’voglio aiutarti’’
‘’sicuro? Non è che vuoi morire?’’
Nel suo volto si celò il terrore.