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Autore: Faraday92    28/02/2013    0 recensioni
In un futuro remoto, su di un pianeta ai margini della galassia, vive Grant, un uomo che ha ogni cosa, tranne una, la felicità. Attraverso lo spazio e il tempo, intraprenderà un viaggio che cambierà per sempre lui e il destino di molti.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anime

Anime, Felicità e Galassie






Grant era un piccolo uomo, almeno per gli standard di chi viveva ai suoi tempi. Così piccolo che veniva puntualmente schernito dai suoi pochi conoscenti, quelle poche volte in cui era proiettato olograficamente in sede di consiglio… Ah già, dimenticavo che in quell’epoca erano ancora utilizzati gli ologrammi come mezzi di comunicazione per non spostarsi dalla propria dimora, cosa barbara, ma all’epoca molto in voga. Tornando a noi, questo Grant, oltre ad essere piccolo, era anche tozzo, e ciò faceva pensare a un enorme problema di programmazione genetica, cosa veramente rara. Ma la vera stranezza di quest’individuo era la sua convinzione di essere l’umano più infelice del mondo! Che assurdità! Tutti erano felici in quel mondo! Lui però non era convinto, veniva, infatti, puntualmente assalito dal terrore che la sua società producesse uomini sostanzialmente tristi e solitari, e paradossalmente questo lo faceva ancora più infelice. Ma quale soluzione poteva avere un problema tanto curioso, quanto stupido? Beh, siccome non trovava altro modo di uscire da quel problema angosciante, decise di partire; andare a visitare gli altri abitanti di Koinos, il mondo perfetto. Qui comincia la nostra storia, a casa di Grant, mentre faceva gli ultimi preparativi per quel viaggio Don Chisciottesco. La sua dimora presentava gli stessi parametri di quella degli altri Koinosiani, la variabilità. I mobili nei fatti non esistevano, ma apparivano esattamente nel punto più comodo, nel momento più propizio. I colori erano anch’essi cangianti secondo i gusti momentanei del proprietario e a casa di Grant, quel giorno erano grigio scuro.
-Bene, qui c’è tutto, e non mi serve altro, credo. -
disse armeggiando un cubo di un centimetro di lato. Era un microkub, uno strumento indispensabile per chi viaggiava nell’iperspazio, permetteva, infatti, di comprimere le molecole di un qualsiasi oggetto a proprio piacimento. Tecnologia antiquata, lo so, ma per amor del vero sono costretto a rammentare queste sottigliezze. Dunque, dopo aver “fatto i bagagli”, la sedia volante di Grant si diresse oltre il varco della sua casa per procedere verso il tunnel iperluce in giardino. Entrò con il suo fare frettoloso e in maniera altrettanto veloce indicò mentalmente al computer di elaborare le coordinate della dimora appartenente al suo conoscente più stretto, un certo Ottinius. I suoi atomi in due nanosecondi si scomposero, per ricomporsi nella stessa maniera dentro il tunnel iperluce del suo compare.
-Grant, cosa ti salta in mente, stai violando inutilmente la mia libertà di movimento!-
Ottinius era già davanti al tunnel iperluce ad aspettare il nostro viaggiatore. Era alto quanto basta, con un lungo viso coperto da ispida barba nera; I capelli invece erano lisci e cadevano senza cura sulla fronte, sembravano quasi messi lì a caso.
-Ah! Ottinius! Comunque la mia esistenza limita la tua libertà di movimento, dovresti eliminarmi sai?-
Il compare prese un’aria pensosa, come se la proposta lo allettava. Poi disse improvvisamente
-Credo tu abbia ragione, forse è per questo che i nostri incontri sono così limitati, per non farci capire che siamo nocivi l’uno per l’altro… Non avresti dovuto dirmelo. Ma non preoccuparti, l’ucciderti comprometterebbe irrimediabilmente la mia libertà… Non lo farei per nessun motivo. -
-Questo comporta un’altra limitazione grave alla tua libertà, vedi, per quanto le nostre conoscenze ci affranchino da tutte le limitazioni, la nostra stessa esistenza contiene in se presupposti di limitazione. - Grant parlava in maniera frenetica, quasi stesse per andarsene, mentre il proprietario di casa lo guardava attonito. -Ancora con questa paranoia dell’infelicità? Grant tu mi preoccupi. Entra, così che possiamo parlare in maniera più… Calma. -
I due si diressero all’interno della residenza tramite le proprie sedie volanti, attraversando prima un lungo e alto porticato, poi uno stretto corridoio dalle pareti verde tenue. Le portiere metalliche di un ingresso si aprirono al passaggio dei due, ed entrarono in una sala smisuratamente larga, ma assolutamente vuota. Grant si guardò attorno, un tanto a disagio a dire il vero, poi cominciò a parlare:
-Avvolte, penso che questa mania della libertà ci abbia portato a trascurare importanti aspetti umani, come ad esempio la cordialità. Ho, infatti, visonato un ologramma antico, dove degli ibridi si sedevano a un tavolo e sorseggiavano uno scuro liquido in piccoli contenitori di ceramica e mentre lo facevano, discorrevano dei propri affari. -
Lo sguardo di Ottinius era divertito, sembrava che Grant avesse appena fatto una di quelle brutte figure di cui vergognarsi per il resto dei propri giorni.
-Credo si chiamasse “Caffè” la bevanda, o una cosa simile. Ho visto anch’io quell’ologramma. È una delle usanze più… Barbare e arcaiche che io abbia mai visto! Ma cos’hai?-
-Credo di aver capito una cosa Ott … La libertà non è la felicità. Noi abbiamo tutte le libertà che si possono immaginare, ma la mia vita, e penso anche la tua, è priva di qualcosa!-.
-Ma lo vuoi capire o no che quegli ibridi erano esseri inferiori! Loro avevano perfino bisogno di un’altra persona per continuare la specie! La devi smettere di guardare quei vecchi ologrammi, sono nocivi per la tua salute mentale!- Ora Ottinius era furioso, e sembrava che, o la discussione si sarebbe chiusa a suo favore, o l’ospite avrebbe dovuto sopperire. Solo in quel momento Grant riusciva a capire, nessuno era felice su quel mondo, e doveva al più presto andarsene da lì se voleva risolvere la situazione.
Si congedò in fretta dal compagno, tornò nel tunnel iperluce, per sbucare nell’hangar personale. La sua nave! Meravigliosa, dalle forme affusolate, di un bianco splendente e con le rifiniture blu, un piccolo dettaglio che solo lui aveva segretamente aggiunto. Entrò dal portellone sullo scafo, e si pose in quella che una volta si definiva sala comandi, questa, però funzionava a sinapsi: bastavano, infatti, degli stimoli derivanti dai neuroni a modificare ciò che il computer di bordo non faceva già per conto suo, in sostanza il 99,9% delle operazioni. Senza che apparentemente fosse successo nulla, la nave si alzò in volo, e con la delicatezza di un pattinatore, volteggiava in aria per cercare la spinta gravitazionale necessaria per superare l’atmosfera. Tutto accadde in qualche minuto, poi lo spazio, nero, immenso.
Grant non aveva proprio idea di dove andare, dunque si mise a cercare disperatamente un punto di partenza, qualcosa che potesse ispirarlo verso la soluzione di quell’enigma assurdo, trovare la felicità. Non si aspettava certo di individuare un cartello con scritto: ”Ecco la felicità”, ma almeno una vera via per cominciare a essere soddisfatto. Forse stette intere “ore standard” a fissare il vuoto cosmico immerso nei suoi pensieri, fatto sta che alla fine, deluso dalla propria mente, aprì un file sulla storia di altri pianeti conosciuti. Subito notò qualcosa d’interessante, un pianeta chiamato Utopia. Mentre finiva la sua ricerca, il radar sonico segnalò per una frazione di secondo la presenza di un oggetto nei pressi della nave. Grant andò a controllare, ma ora sull’ologramma non c’era più niente. -Probabilmente è solo un meteorite…- pensò e diresse la nave al più prossimo portale a energia oscura, dove viaggiò attraverso cose che non posso descrivere.
Utopia si stagliava imponente dietro lo schermo della nave. Come tutti i pianeti ad atmosfera azoto-ossigeno, presentava un colore azzurro intenso per via dei grandi oceani che lo componevano. I continenti erano due, dalle coste frastagliate, presenti soprattutto nell’emisfero australe. Una comunicazione arrivò alla nave, una voce rauca parlò scandendo bene le parole:
-Sono il rappresentante galattico Briev, le porgo i miei convenevoli saluti straniero, la sua nave ha delle particolarità a noi ignote, ma sono sicuro che una volta atterrato ci spiegherà la natura di questi congegni… Benvenuto su Utopia. -
L’atterraggio era smorzato dall’antigravità prodotta dalla nave e guidato dalle autorità Utopiane verso una stazione situata in una valle di un promontorio innevato. Gli arpioni inferiori si ancorarono al terreno leggermente instabile, e il portellone si aprì. Grant era coperto dalla testa ai piedi dalla sua tuta, strettissima, solo gli occhi azzurri erano visibili dietro un occhiale simile a quello usato dagli alpini; gli utopiani invece erano vestiti con pesantissimi cappotti e berretti di pelliccia. Sia Grant che gli indigeni si scambiarono occhiate indagatrici. Gli utopiani notavano l’abbigliamento di Grant, lui invece notava le loro armi. Vecchi fucili a raggi TR, un’altra cosa di cui il koinosiano aveva solo visto ologrammi. Fu un abitante del posto a rompere il silenzio, quello che sembrava essere il capo li.
-Benvenuto su Utopia, compagno interstellare, è da lungo tempo che non riceviamo visite ed è dunque nostra premura evitare le possibili ostilità- indicò delle armi e poi riprese: -Devo essere sincero, non mi è mai capitato un uomo vestito in una tale maniera, mi sembra che voi veniate da un sistema periferico…-.
Per Grant il suo accento era molto buffo, le vocali erano molto prolungate nella dizione. Grazie agli aiuti elettronici i suoni erano percepiti in maniera limpida dal suo orecchio, che altrimenti avrebbe ascoltato soltanto un sibilo per via del forte vento che attraversava la valle. Rispose prontamente:
-In realtà vengo da uno dei pianeti più centrali mai colonizzati, Koinos. È da secoli che un nostro rappresentante non è mandato in viaggi diplomatici, abbiamo interrotto qualsiasi contatto esterno per garantire la nostra più totale libertà. Comunque se mi è possibile, vorrei incontrare un vostro rappresentante qualificato, per discorrere con lui di alcune questioni. -
-Certo, certo. Vi farò subito incontrare con il presidente dell’ufficio relazioni interplanetarie di questo settore. È stato già informato del vostro arrivo, seguitemi. -
Grant che era uscito in sedia, continuò a rimanerci nel seguire l’ufficiale, la cosa però non stupì gli utopiani, che evidentemente avevano questo tipo di poltrone come aiuto riservato a persone diversamente abili. Attraversarono un lungo porticato, nel quale c’era solo un uomo anziano vestito come gli altri che fissò lo sguardo su di lui. Grant non ci fece molto caso poiché doveva essere per via della sua veste. Dunque salirono su di un ascensore, che portò il gruppo composto da Grant e i soldati su di una veranda chiusa da un massiccio vetro sigillato ai bordi, il cui esterno era sferzato dal vento e dalla neve. All’interno c’era un uomo massiccio, con capelli rasati da militare e una lunga cicatrice che divideva trasversalmente in due il volto dai tratti spigolosi. Egli fece un cenno ai soldati che subito lasciarono Grant e il presidente da soli.
-Lasciamo da parte i convenevoli … Signor?-
-Grant, o Grant settantatreesimo, come preferisce. -
-Bene, Grant, verrò subito al sodo. Sono sessantadue anni che uno spaziale non si fa vedere su questo pianeta. Lei è informato che la società dei pianeti liberi ha eliminato il vostro mondo, come il nostro dalla lista?-
-Certo. Ma non m’interessa. -
-Dunque cosa le interessa? Perché è venuto su questo pianeta?-
-Per porvi una domanda… Credo sia abbastanza semplice. Su questo pianeta siete felici?-
Stranamente il viso dell’utopiano rimase impassibile, eppure la domanda era così… Strana!
-La nostra società è una delle più felici che si siano mai avute nella storia dell’umanità. Chi fondò questo pianeta, ai tempi della prima ondata di colonizzazione, aveva in mente un’idea di società diversa, s’inspiravano formalmente al pensiero di un certo terrestre. Purtroppo i suoi scritti credo siano andati completamente perduti, ma posso dirgli in sostanza su cosa si fonda la nostra società odierna. Noi non abbiamo un vero e proprio stato, solo degli apparati burocratici che facilitano la vita dei cittadini. Di norma questi “apparati” sono gestiti dai militari, unici garanti dell’uguaglianza sostanziale di tutti gli individui, che lavorano per il bene dell’intera organizzazione sociale.-
-Non ha risposto alla mia domanda però. -
Il presidente sospirò, poi con un filo di voce disse:
-Mi piacerebbe dirvi di sì, ma la mia risposta è negativa. Nonostante tutti gli sforzi di noi presidenti, i cittadini sono infelici. Molti non accettano di essere come sono gli altri, alcuni hanno brama di possedere qualcosa, atto che da noi è vietato. -
Credo che non ci sia più nulla da raccontare su questo incontro, Grant era abbattuto e triste. Tornato sulla sua navicella, aveva passato molti giorni come un ossesso a cercare tra la sua oloteca qualcosa che potesse rivelargli l’esistenza di una società felice. Sembrava che non esistesse nulla del genere. Eppure non si dava per vinto, la ricerca doveva finirsi! E fu nel momento in cui pensò queste parole che la sua mente fu pervasa di speranza. Un pianeta, Faith, sembrava una buona pista. Immise le coordinate e dopo poche ore era sulla sua orbita.
Nuvoloso era forse l’aggettivo più appropriato per quel geoide e i pochi spiragli lasciati liberi dalle nubi mostravano solo oceani. Mentre lentamente si avvicinava all’atmosfera, la navicella non ricevette alcuna istruzione circa le modalità dell’atterraggio… Cosa alquanto strana ma Grant aveva deciso per uno sbarco forzato e nel caso in cui si fosse presentata una qualsiasi ostilità, il suo cannone atomico avrebbe dovuto permettergli di guadagnare tempo per rientrare nella nave al sicuro. Ma egli considerava quest’opportunità molto remota, infatti, un pianeta che non da istruzioni a un visitatore è un pianeta tecnologicamente arretrato. Intanto un’immensa distesa di acqua si profilava sotto i bianchi riflessi della navicella, la quale a velocità supersonica era lanciata in linea leggermente obliqua rispetto all’equatore, per poter così facilmente individuare l’eventuale presenza d’isole. D’un tratto un pezzo di costa sbucò dall’orizzonte, era alta e rocciosa e una folta vegetazione ne ricopriva la sommità. La nave proseguì fino alla prima zona pianeggiante, dopo di che atterrò con grazia sull’erba umida. Appena Grant mise il naso fuori, cominciarono a scendere sempre più velocemente gocce spesse inclinate dal vento piuttosto forte. Si guardò attorno, era proprio un tempaccio, che certamente non contribuì a sollevare molto il morale del piccolo koinosiano. Un guizzo tra gli alberi vicino la piana richiamò la sua attenzione. Scansionò l’area e non trovò nulla… Un’animale forse? Aveva deciso comunque di esplorare per quanto possibile quel pezzo di terra alla ricerca di esseri umani e nel caso in cui non li avesse trovati, sarebbe semplicemente tornato a casa. La ricerca non durò molto poiché oltre la piana, dove era atterrata la nave c’era un insediamento e Grant era molto sorpreso. Era arcaico, troppo arcaico. Una cinta muraria attorniava un gruppo di case fatte di un materiale che non riusciva a identificare, agli angoli c’erano quattro torri di pietra con dei fori da cui spuntavano delle armi. Dalla tuta furono montati degli occhiali che aiutarono il nostro amico a capire di che tipo di congegni si trattasse. Non credeva ai propri occhi… Armi a proiettili metallici. Ma dove era finito? D’un tratto vide movimento lungo le mura, alcuni uomini agitati indicavano nella sua direzione. Si apri un portone di metallo arrugginito e dei veicoli con ruote gommate uscirono in tutta fretta, a bordo c’erano una dozzina di uomini armati. Continuò ad avanzare tranquillo fino a quando i mezzi non gli bloccarono la strada e coloro che li occupavano, scesero. Erano vestiti con delle strane tuniche, logore e sporche, i capelli erano rasati, la barba incolta. Un uomo calvo e pingue si fece avanti e disse sarcastico:
-Un koinosiano… Credevo aveste dimenticato che esistono altri mondi oltre il vostro… Che cosa vuoi da noi? Avete cambiato idea sulla “libertà” per caso?-
-No, sono io che ho capito che essa non è tutto. - Rispose freddo Grant.
-Un filosofo di Koinos dunque, che strano accostamento di parole… Vieni, parleremo meglio dentro le mura. -
Tutti entrarono negli automezzi che velocemente tornarono da dove erano venuti, Grant li seguiva con la sua sedia volante, ora coperta da un guscio trasparente che defletteva la pioggia battente.
La città era a dir poco triste, le donne magre e stanche portavano indaffarati cesti di panni verso una fontana, uomini dai visi sporchi caricavano sacchi su dei carrelli. Ogni tanto si vedevano individui vestiti come quelli che lo erano andati a prelevare, a differenza degli altri loro però rimanevano agli angoli della strada a guardare il lavoro, molti erano grassi e contrastavano nettamente con la maggior parte degli abitanti. Le costruzioni non superavano i 50 metri di altezza, erano ripetitive e spoglie, ma la cosa peggiore era il cemento della strada; ovunque pieno di crepe e fossi. Dagli stretti vicoli sbucarono su di una larga piazza con al centro una statua enorme raffigurante un pianeta portato in spalla da una figura umanoide dietro le cui spalle si aprivano ali d’aquila. Si affacciava sulla piazza un palazzone dalle linee spigolose, pieno di finestre ripetute fino all’ossessione lungo tutto il perimetro, nel punto centrale c’era un portone con dei rilievi che si aprì facendo entrare Grant, la sua sedia e il Faithiano. Attraversarono diversi corridoi affrescati con orribili scene di guerre e malattie, morte e dolore, nei quali persino i tappeti erano pieni di mostruosi individui che mangiavano uomini. Si fermarono in una piccola stanza con una scrivania al centro e una parete colma di quelli che sembravano videolibri. L’abitante di Faith iniziò a parlare:
-Benvenuto nella mia dimora, sono Tayl III regnante e capo della confraternita dei Soulisti, cosa vuoi sapere mio spaziale e ignorante ospite?-.
-Magari potresti iniziare spiegandomi cosa hai detto. - azzardò dubbioso Grant.
-Dunque, non penso che tu sia così stupido da non capire che questo in cui ti trovi è un pianeta religioso, sai almeno il significato di questa parola?-
Grant era turbato, aveva letto qualcosa durante il suo immenso tempo libero circa l’argomento, ma non aveva trovato nulla d’interessante e ora non ricordava in maniera precisa il significato del termine. Dunque abbastanza seccato dalla propria ignoranza, disse:
-Non proprio, credo sia un tipo di visione del cosmo, o qualcosa del genere. -
-Quanto sai allora della materia oscura?-
-Beh, non abbiamo dati certi riguardo cosa sia, sappiamo solo che esiste. -
-Ecco la religione è la materia oscura. Cerco di farti capire meglio la questione. Molti secoli fa, quando c’erano ancora degli esseri umani sulla terra, la religione era ciò cui si affidava l’uomo quando non sapeva come spiegare tutto ciò che accadeva attorno a se, oppure quando voleva consolarsi. L’umanità pensava che ci fossero una o più entità superiori le quali, non soggette a leggi di questo cosmo, addirittura supervisionassero il destino degli uomini. Tuttavia la natura astratta di questa materia e la non scientificità delle prove a suo favore uccisero i “culti” e l’uomo imparò a vivere affidandosi solo al suo ingegno. Dopo qualche decennio dall’inizio della colonizzazione spaziale dei biologi scoprirono che nel cervello umano c’è una piccola quantità di materia oscura e che questa interagisce costantemente con l’altra materia oscura presente nell’universo, l’esistenza dell’”anima” era stata provata. Per questo noi oggi abbiamo una religione, perché sappiamo con certezza dell’esistenza dell’anima e dell’aldilà.-.
Il koinosiano era interdetto. Possibile che non avesse mai conosciuto una storia simile?
-Interessante, posso fare un giro per l’insediamento? In realtà sono qui per imparare su di voi. -
Una piccola bugia tattica…
-Certo, devi…-
E in quel “devi” Grant notò un certo grado di minacciosità.
Uscito all’aperto, sentì l’odore di pioggia riempirgli le narici, anche se il temporale era terminato da un pezzo, le persone erano bagnate fradice. Un piccolo raggio di sole si fece spazio tra le nuvole e la piazza fu brevemente illuminata, il chiarore faceva sembrare quasi più bello quel sudicio sputo di pianeta, pensò Grant. Un uomo si avvicinò annaspando a lui, era vecchio e aveva il volto sanguinante per una ferita da taglio. -Buon uomo… O donna? Ehm… Non avete per caso del gel curativo da darmi, la ripagherò come posso…-.
-Che ti è successo villano?-
-Oh, non sono riuscito a pagare la rata stagionale al protettore, e ho avuto la mia giusta pena, si… signore…-.
-Tu chiami giusta pena questo?-
-Il Grande Benedicente provvederà alla vera giustizia… Qui siamo solo di passaggio, e non posso certo ribellarmi avendo una moglie e delle bocche da sfamare…-.
Grant era spaventato. Non per la ferita, e neanche per l’ingiustizia subita da quel villano, no. Era terrorizzato dal sorriso di quell’uomo. Che cosa avevano fatto a quei disgraziati per imprigionare in quel modo il loro pensiero.
-Dimmi, ti hanno somministrato farmaci ultimamente?-.
-State forse insinuando la non spontaneità della mia fede forestiero? Io sono felice, poiché il grande Divino mi ha dato la vita! E credo fermamente a quel che dico.-
Il cosmo precipitò su Grant. Sbiancato, non riusciva a professare parola. Come poteva quell’individuo dirsi felice? Il più umile degli umili, malmenato, soggiogato, povero, insomma nessuno nell’universo avrebbe voluto essere nei suoi panni, eppure affermava con orgoglio la sua felicità.
-Forestiero? Il gel medico…-
-Gel… Gel… Si eccotelo…- ancora paralizzato passò l’unguento al faithiano, il quale s’inginocchiò immediatamente e baciò la mano di Grant.
-Mi sdebiterò appena possibile… Ve lo giuro. -
Si alzò e corse ancora sanguinante per una via che sboccava sulla piazza. Intanto il koinosiano si era parzialmente riavuto dallo shock. Doveva sapere di più sull’argomento. Alla ricerca di un’oloteca, attraversava le vie di quella città, veicoli gommati scalpitavano e ostruivano le strade, mentre bancarelle di ogni sorta spuntavano come funghi ai bordi della strada quando dei passanti attivavano un sensore con il loro passaggio. Grant, viaggiava incuriosito sulla sua sedia, quando notò che una persona lo seguiva da un bel pezzo. Entrò in un vicolo più piccolo, era privo di gente e solo un’insegna al led illuminava la strada attraversata da mille crepe. Girò a centoottanta gradi la sedia, e si vide l’inseguitore davanti. Portava un cappuccio sulla testa, il quale lasciava oscurato il volto. Parlò:
-Sapevo che alla fine ti saresti accorto di me…-.
-Che cosa vuoi? Mostrati per quello che sei feccia galattica…
La mano d’istinto s’indirizzò al pulsante “difesa”.
-Lascia stare quel pulsante, vieni con me piuttosto… Non volevi forse sapere cos’era la felicità?-.
Si levò il cappuccio. Lo conosceva.
-Ti ho già visto, eri su Utopia, nel corridoio! Non mi catturerai mai sporco Twarep!-
-Attento osservatore… Scusa le maniere forti, ma devo parlarti…- Un dardo lo colpì al collo, era stato lanciato dall’alto, e da stupido qual era non aveva attivato la barriera cinetica su tutti i lati, pensò. Intanto un profondo sonno lo colpì, e dopo una vita, tornava di nuovo a dormire.
Si svegliò su di una sedia, legato con delle solide ganasce metalliche. Non aveva la strumentazione della tuta funzionante, e gli accessori di emergenza erano ovviamente spariti. Non aveva scampo. La stanza dove era stato portato era illuminata da due grandi finestre ai lati, ma per il resto non aveva niente, era completamente vuota. All’improvviso davanti a lui si materializzò il misterioso rapitore…
-Perdona il mio comportamento, caro Grant, ma tutto ciò è stato necessario per la mia incolumità. Non sono un Twarep, i vostri antichi coabitanti sono stati, infatti, da voi sterminati completamente tempo fa. Io sono uno “Stendardo”. -
-E cosa sarebbe uno Stidardo?-
-Stendardo! Un difensore del sapere umano; ma cosa v’insegnano su Koinos? Gli ultimi terrestri, prima di abbandonare il nostro pianeta natale definitivamente, avevano notato la propensione delle colonie al cancellamento della storia e delle tradizioni terrestri, bollandole come antiche e superstiziose, mentre in realtà dietro questa distruzione si celava un fine politico e indipendentista. Così attraverso l’aiuto della genetica gli abitanti della terra crearono dei superuomini, con una vita lunghissima e con doti mnemoniche incredibili, al fine di conservare il sapere umano… Io sono l’ultimo di questi individui…-.
-è ridicolo… dovresti avere almeno… seicento anni!-.
-Settecento due per l’esattezza…-
-Che assurdità!-
-Non ti rendi conto che la tecnologia terrestre era avanzatissima a quel tempo… Mentre voi coloni eravate intenti a uccidervi da soli per quei pochi pianeti abitabili della galassia, noi sviluppavamo nuovi modi di manipolare la genetica. Ma arriviamo al dunque, finalmente dopo tanti sforzi, duecento quarantacinque anni fa sono riuscito a boicottare un figlio di Koinos, rendendolo vulnerabile al mondo esterno, quel koinosiano sei tu! -
Ecco il motivo di quella sua insana voglia, ora tutto si spiegava. Ma perché tutto questo da farsi per un solo pianeta che alla fine non dava alcun fastidio all’universo?
-Perché interessarsi a Koinos allora?-
-Perché siete il pianeta più tecnologicamente avanzato, e secondo i nostri calcoli non passerà molto prima che decidiate di conquistare l’intero Universo. Il buonsenso, quindi, deve partire da voi, anzi no, da te. Vedi, tu cercavi la felicità, la felicità vera… Pensi di averla trovata?-.
-No, non credo di essere più felice che prima ora che so queste cose. -
-Beh, è perché tu pensi di non essere felice… Inizialmente la cercavi nell’ordinamento sociale, ma non vi hai trovato niente, perché l’uomo nel momento in cui si aggrega ad altri, ha sempre una certa propensione alla prevaricazione, alla furbizia verso il prossimo, cosa che gli antichi chiamavano “peccato originale”. La conclusione più logica è che la felicità deriva dall’individuo. Essa è solo una condizione mentale, poiché altrimenti, non si spiega perché uomini in situazioni perfettamente identiche sviluppano un diverso approccio alla realtà. Poi ovviamente, dobbiamo considerare che alcuni confondano il significato di felicità con altre cose, ed è questo che fate da secoli su Koinos.-.
Perplesso, Grant fece una grossa domanda:
-Dunque questa è la verità?-
Lo Stendardo gli fece un sorriso, poi voltatosi, si diresse alla porta; la aprì, e prima di uscire disse: -Non lo so… Ma a me piace. -
-Maestro! Maestro! E già finita la storia?- disse il piccolo Magrot agitando la manina.
-Si… Adesso il maestro è stanco bambini, perché non andate a giocare sul prato?-.
-Ma poi come finisce? Che cosa fa Grant? Maestro!-
-Beh, lo potete vedere con i vostri occhi. -
Il maestro uscì dall’edificio con la sua sedia volante, ma prima di passare il cancello positronico si voltò un attimo, e notò la scritta sulla facciata del palazzo:
“SCUOLA DI CIVILTÀ GRANT LXXIII”.
  
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