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Autore: SunliteGirl    01/03/2013    3 recensioni
Salve a tutti. Questa è la prima storia che scrivo sui Queen e Freddie Mercury, nonostante siano la mia band preferita. Si tratta di un inno alla libertà in tutte le sue forme e alla vita di un cantante che ha dato molto alla storia della musica e a me.
Partecipa al contest "Datemi un sogno in cui vivere, perchè la realtà mi sta uccidendo" di Edelvais Verdefoglia sul forum di Efp. Spero non sia troppo deludente :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freddie Mercury
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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quinta classificata e vincitrice del "premio miglior sogno" al contest "Datemi un sogno in cui vivere, perchè la realtà mi sta uccidendo"
 indetto da Edelvais Verdefoglia nel forum di Efp


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Vodka and dry ice*:

Then I’ll do it, baby

 

 

Whatever happens I'll leave it all to chance
Another heartache another failed romance
On and on
Does anybody know what we are living for

 

 

1948. Sotto quel sole di agosto, erano poche le persone che osavano avventurarsi fuori dalla propria porta di casa, preferendo il ventilatore alla calura estiva. Solo pochi turisti osavano passeggiare per le strade di Stone Town mangiando un gelato o chiacchierando con fare allegro. La città era quasi deserta in quel periodo dell’anno.

Invece il lungomare era pieno di vita, di ombrelloni colorati, turisti e cittadini in costume che facevano il bagno nel mare di Zanzibar o che prendevano il sole distesi sui loro asciugamani variopinti. I bambini di Stone Town avevano invece il loro angolino, nel bagnasciuga, in cui si sedevano a costruire castelli di sabbia o semplicemente a fissare la distesa d’acqua salata, indecisi fra la voglia di entrarci e la paura di quelle onde troppo grandi per loro. Solo un bambino, di nome Farrokh Bulsara e di tre anni e mezzo, stava sotto l’ombrellone in compagnia della propria madre. Non che non gli interessasse giocare con gli altri bambini, ma semplicemente la sua attenzione era stata attratta da qualcos’altro. Con gli occhi scuri puntati verso il cielo azzurro e reso limpido dal sole, fissava un aquilone rosso che elegantemente si muoveva mosso dal vento. A causa della troppa luce, si distinguevano con fatica i contorni, ma Farrokh sforzava la sua vista sottigliando gli occhi, cercando di non perderlo di vista nemmeno un momento. Non ricordava di averne mai visto uno e all’inizio non era riuscito a capire cosa fosse, tanto che pensava fosse uno strano uccello di fuoco tenuto prigioniero da quel ragazzo con un lungo filo fra le mani. Poi sua madre, con un sorriso divertito, gli aveva spiegato che in realtà quello era un aquilone, e che se voleva gliene avrebbero regalato uno per il suo compleanno. Farrokh aveva annuito, senza smettere di guardare in alto.

Si chiedeva cosa si provasse a volare, a sentirsi trascinati dal vento e a desiderare di andare sempre più in alto, ma allo stesso tempo ad essere costantemente legati alla terra attraverso un filo sottile, se lui sarebbe mai stato in grado di provare quelle emozioni. Per la prima volta, dopo 3 anni e mezzo di vita, si chiese cosa fosse la libertà e perché non si potesse tagliare quel filo che tratteneva l’aquilone, ma non riuscì a trovare una risposta alla sua domanda. Infondo era solo un bambino e ancora non conosceva tutti i segreti della vita e i problemi dei grandi, così semplicemente distolse lo sguardo e si avviò verso il bagnasciuga, dove un bambino più coraggioso stava tentando di affrontare quelle onde così spaventose.

 

Negli anni che seguirono, cose imprevedibili accaddero a Farrokh Bulsara. Dopo aver vissuto dieci anni a Bombey con la nonna e la zia, nel 1964 era tornato a Zanzibar con la propria famiglia per scoprire che era scoppiata la rivoluzione. Preoccupati per la pericolosa situazione politica, i Bulsara si traferirono in Inghilterra e si stabilirono nei pressi di Londra. Dopo aver conseguito il diploma, Farrokh, che aveva scoperto una passione per la musica durante il periodo trascorso in India, decise che quella sarebbe stata la sua strada. Dopo vari tentativi, nel 1970 formò un gruppo chiamato Queen con Brian May e Roger Taylor. Fu così che Farrokh Bulsara divenne Freddie Mercury. 

Dopo 20 anni dalla prima volta in cui aveva visto quell’aquilone rosso e sognato di volare, per un attimo gli sembrò di esserci riuscito. Cantando su un palco, liberando la voce e seguendo la sua musica, guardando i volti di quegli spettatori che ricambiavano lo sguardo con ammirazione, per la prima volta ebbe l’impressione di volare ed essere libero di esprimersi, di mostrarsi per l’uomo che era veramente. E mentre passavano gli anni e gli album dei Queen scalavano le classifiche ed erano accolti dalla critica musicale di tutto il mondo, Freddie brindava al successo, godendosi quegli attimi di libertà che, sentiva, non sarebbero durati.

 

 

I guess I’ m learning

I must be warmer now

I’ll soon be turning round the corner now

Outside the dawn is breaking

But inside in the dark I’m aching to be free

 

 

 

1989. Freddie stava seduto tranquillamente su una scomoda sedia dalla forma squadrata dello studio di registrazione , che rendeva le sue ossa ancora più doloranti. Squadrava con un sorriso mesto i suoi amici, i suoi fratelli, quegli uomini con cui per anni aveva condiviso sogni, speranze e nottate insonni, fra bicchieri di troppo e improvvise ispirazioni. Li guardava però segretamente insoddisfatto, perché si era aspettato di vedere più sorpresa nei loro volti, oltre che tristezza, nel momento in cui avrebbe mostrato loro quei fogli. Ma infondo lo sapeva già. Sapeva che loro ne erano già a conoscenza, che avevano già capito il motivo della sua debolezza, della sua fragilità, del fatto che non riusciva più a liberare la voce come faceva un tempo. E soprattutto, avevano capito l’origine di quel male che giorno dopo giorno aveva rubato quel che restava della sua energia, della sua forza e del suo desiderio di dare tutto se stesso sul palco.  «Il test è risultato positivo. Ho l’ HIV» disse Freddie, sporgendosi sopra il tavolo per versarsi un bicchiere di acqua naturale. Da quando aveva detto loro di essere malato, si rifiutavano categoricamente di fargli bere alcoolici ed era la cosa che più gli dispiaceva di tutta quella situazione. Be’, a parte il resto. «Freddie, mi dispiace tanto» cominciò a dire Roger, ma l’amico lo fermò con un gesto della mano. Calò uno strano silenzio fra i quattro. Freddie sentiva su di lui i loro sguardi, che non lo lasciavano un secondo. Mentre chiudeva la bottiglia d’acqua e prendeva il bicchiere di vetro in mano, si sentì per un attimo come un aquilone strattonato da un filo invisibile, incatenato e prigioniero. Voleva urlare, ma si limitò a fissare la superfice trasparente d’acqua, che quasi fuoriusciva dall’orlo del bicchiere. «Dovremo interrompere il tour» disse infine Brian, rompendo il silenzio. «Lo so» disse piano Freddie, prima di portarsi alle labbra il bicchiere. Mentre sentiva l’acqua fresca scivolare giù per la gola, immaginò fosse Vodka. «Non potresti mai affrontare un tale stress fisico» aggiunse John Deacon, continuando a seguire con lo sguardo ogni movimento del cantante, quasi con la paura che potesse cadere a terra da un momento all’altro. «Lo so!». Il tono improvvisamente alto di Freddie fece sobbalzare tutti i presenti. Questo appoggiò con calma il bicchiere sul tavolo e poi, non senza fatica, si alzò dalla sedia e si avvicinò al vetro che lo separava dal suo microfono. «Cosa diremo ai fan?» disse qualcuno, che Freddie non seppe riconoscere. Che anche la perdita dell’udito fosse un sintomo dell’HIV? Prese un lungo sospiro, prima di rispondere «Diremo loro che sono ormai troppo vecchio per saltellare su un palco in calzamaglia. Ho 40 anni, per Dio!». Per un momento un sorriso si increspò sulle loro labbra, ma sparì più in fretta di un battito di ciglia.                                                                                                                                             

Freddie aveva raggiunto la sua apparente libertà, cantando su quel palco,  mentre aggiungeva un premio dietro l’altro alla sua parete, mentre girava il mondo e scorgeva volti sempre nuovi. Si era illuso di essere riuscito a tagliare quel filo che non lo lasciava volare via. Ma era bastato un foglio bianco con delle lettere nere per far crollare tutto a pezzi. Si sentì di nuovo come quel bambino chiamato Farrokh Bulsara che da sotto un ombrellone stringeva gli occhi per vedere un aquilone rosso. Solo che in quel momento, l’aquilone non riusciva più a vederlo.

 

The show must go on

                                           Inside my heart is breaking

My make-up may be flacking

But my smile still stays on

 

1990. Freddie aveva letto il testo di “The show must go on qualche giorno prima”. Brian May l’aveva appoggiato in bella vista sopra il tavolo dello studio, con la frase “Per F.” scritta con quella sua scrittura sgangherata. Dopo aver letto le parole di quella canzone, aveva dovuto fingere di dover andare al bagno per non farsi vedere piangere dai suoi amici. Sapeva che non era sfuggita loro la sua voce tremante, ma aveva pur un orgoglio da difendere, e quella briciola di dignità che ancora gli era rimasta. I giorni seguenti, aveva ringraziato Brian silenziosamente per l’ultimo regalo che aveva voluto fargli. I tre erano preoccupati che non riuscisse a cantare, che la voce fosse troppo poca e debole per raggiungere quelle note alte che un tempo superavano senza difficoltà. E infatti, i primi tentativi erano stati deludenti e, invece della potente voce di Freddie, si udivano solo dei falsetti. Quando giunse l’ultimo giorno di registrazione, i ragazzi avevano preparato una bottiglia di Vodka sul tavolino, invece dell’acqua. Vent’anni prima avevano formato quel gruppo che ora era conosciuto in tutto il mondo, occorreva festeggiare. E questo era anche un debole pretesto per rendere felice Freddie, che aveva parlato della mancanza che provava verso il suo liquore preferito.  Il cantante, infatti, vedendo quella bottiglia  sorrise soddisfatto. Tutto era pronto. Roger era alla batteria, John finiva di accordare il basso e l’assistente era pronto a registrare. Solo Brian e Freddie sembravano indugiare. «Sei sicuro di farcela? Non devi avere riserve con me, Freddie, ci conosciamo da vent’anni. Se qualcosa non va, dimmelo subito». L’amico mise nel bicchiere  due cubetti di ghiaccio e poi ci versò dentro il forte alcolico, fino a riempire per metà il bicchiere. «God save the Queen!» disse, brindando, prima di bere la Vodka in un solo sorso. Il liquido corse giù lungo la gola, lasciando una scia infuocata. «La farò, baby». Disse questo, mentre metteva giù il bicchiere e raggiungeva i suoi compagni, lasciando dietro di sé un Brian incredulo.

Era consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe cantato. Eppure non si sentiva minimamente infelice o depresso. Stranamente, mentre cantava con la stessa voce di un tempo, che all’improvviso uscì prepotente dai suoi polmoni, si rese conto di non essere mai stato felice come allora. Mentre cantava I can fly  lui lo credette davvero. Poteva sentire l’aria avvolgerlo, trascinarlo lontano, mentre le ultime note risuonavano dentro di lui. Forse era quella la libertà. La morte era l’unica che avrebbe potuto rompere quel filo, permettergli di andarsene, di tornare a quella spiaggia e all’innocenza di quei tempi. Forse era sempre stata questa la risposta, e finalmente l’aveva trovata. Non gli importò più di nascondere le sue lacrime, ma le lasciò scorrere libere sulle sue guance. La memoria dei Queen sarebbe sopravvissuta e lui sarebbe sempre stato ricordato. Chiunque avrebbe potuto sentirlo, dentro le sue canzoni, nella sua voce, anche dopo la sua morte. Lui non era mai stato solo e non lo sarebbe mai stato. La morte forse era davvero una liberazione. Finalmente il suo sogno si sarebbe realizzato.

 

                             My soul is painted like the wings of butterflies                                                                

Fairy tales of yesterday will grow but never die

I can fly, my friends

 

Il 22 novembre 1991 il cantante dei Queen Freddie Mercury dichiarò in una conferenza stampa di essere affetto da AIDS. Morì il 24 novembre 1991. Alcuni affermano di averlo visto volare via, nel cielo buio di quella notte, finalmente libero.









:Spazio Soleggiato di SunliteGirl:

 Salve gente! Innanzitutto, complimenti a voi se siete riusciti ad arrivare alle note dell'autore, meritate un premio di riconoscimento u.u Ci tengo a precisare che questa storia partecipa al contest di Eveldais, ma è stata ulteriormente revisionata prima della pubblicazione qui su Efp, perciò non si tratta della versione originale :) Sinceramente non saprei cosa aspettarmi dai risultati, spero solamente di non essere l'ultima ^^"
Questa è la prima fic che scrivo sui Queen, perciò siate clementi con me >.> Freddie Mercury è uno dei miei idoli (insieme a Michael Jackson) perciò spero davvero non sia troppo deludente e che, in qualche modo, gli "renda onore". Beh, che dire...Sarei molto felice se qualcuno lasciasse una recensione, anche solo per dirmi che fa schifo ^^"
Non sono molto brava a scrivere le note, perciò chiarisco un paio di cose e poi mi dileguo:
* nella mia demenziale ignoranza, mi sono resa conto troppo tardi (ovvero quando la storia era già bella che inviata) che "dry ice", ovvero ghiaccio secco, non è il ghiaccio a cubetti xD perciò mi scuso per la svista ^^"
Nel caso qualche informazione a livello di date etc fosse errata, non date colpa a me ma alle fonti che ho accuratamente cercato in Internet (:D)

Baci, Valentina <3
  
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