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Autore: Angeline Farewell    01/03/2013    6 recensioni
Kim Hyde (Home & Away)/Bill Hazeldine (Suburban Shootout)
Bill è un bravo ragazzo inglese, Kim il classico bello da spiaggia australiano. Bill credeva di voler studiare teologia e andare in Africa, Kim non sa più nemmeno se può immaginare un futuro. Un incontro/scontro che può far deragliare due vite o forse, semplicemente, rimetterle nel giusto binario.
[I protagonisti di questa storia sono personaggi di due diversi telefilm: Home And Away (Kim Hyde/Chris Hemsworth) e Suburban Shootout (Bill Hazeldine/Tom Hiddleston). La storia che mi accingo a raccontare è dunque una AU - o What If?, se preferite - che comincia nel 2006, ovvero all'indomani dell'inizio dell'università per Bill e della notizia della mancata paternità (e conseguente colpo di testa) per Kim.]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I protagonisti di questa storia sono personaggi di due diversi telefilm: Home And Away (Kim Hyde) e Suburban Shootout (Bill Hazeldine). La storia che mi accingo a raccontare è dunque una AU - o What If?, se preferite - che comincia nel 2006, ovvero all'indomani dell'inizio dell'università per Bill e della notizia della mancata paternità (e conseguente colpo di testa) per Kim.

Bill Hazeldine ha 19 anni, è inglese, ed è il classico bravo ragazzo. Figlio unico di un poliziotto ed una casalinga (poco disperata e molto agguerrita), è estremamente naive e innocente. Prima d'incontrare Jewel Diamond - la ragazza che in pratica lo costringe a stare con lei - non aveva mai avuto una vera fidanzata. E' stato con i missionari in Africa subito dopo il liceo e pensa di studiare teologia all'Università.

Kimberly "Kim" Hyde ha 21 anni, è australiano e non è il classico bravo ragazzo. Promettente nuotatore, lascia la scuola ed il nuoto pur di far dispetto al padre, preside di ferro. E' molto bello e sa di esserlo, estroverso fino alla sfacciataggine, ha un grandissimo successo con le donne di cui approfitta ampiamente, tanto da rischiare in più occasioni di diventare prematuramente padre.

Capitolo 1: Hopeless Wanderer

Quando si hanno vent’anni ci si sente immortali. Si pensa di essere abbastanza grandi per poter prendere le proprie decisioni ed imporsi perché si è adulti, poco importa se quelle decisioni poi si limitano a riguardare una bottiglia di birra di troppo o all’andare a letto quando e dove si vuole.

Quando aveva baciato Hayley per la prima volta, Kim in fondo sapeva che non sarebbe durata, che – alle buone – avrebbero vissuto per un po’ uno scomodo triangolo con il fantasma di un altro ad alitare loro sul collo. Ma Hayley non era tornata dal fantasma, era rimasta con lui, aveva accettato il suo anello e le sue buone intenzioni e gli aveva giurato il bambino che portava in grembo non fosse la sola ragione. Quel bambino era stato l’unica ragione di tutto, invece. Un bambino che, per essere stato concepito per sbaglio, aveva fin troppi candidati volenterosi di fargli da padre.

Kim non aveva alcuna voglia di svegliarsi. Si sentiva leggero per la prima volta da anni e non aveva voglia di rinunciare a quel lattiginoso nulla così riposante. Dormire gli evitava di dover pensare a Hayley e al suo bambino. Al figlio di Scott, che da fantasma era tornato carne per riprendersi tutto, anche le briciole di futuro che Kim aveva immaginato insieme ad una famiglia che non c’era più. Aveva persino voglia di ringraziare il drogato che l’aveva lasciato a morire sul ciglio di un’autostrada, come un cane.
Non aveva nemmeno molta voglia di morire, però. Perché riusciva a sentire la voce di suo padre anche nella nebbia, e aveva sempre pensato che il giorno in cui fosse riuscito a far piangere quel vecchio nazista anaffettivo avrebbe gioito. Invece lo rendeva solo più triste.

Barry Hyde non era un mostro, così come non era un uomo freddo. Era semplicemente un uomo ferito e solo che non aveva saputo affrontare la perdita, rinunciando così a trattenere quel che ancora gli era rimasto: un figlio da accudire ed amare, non un memento ingiusto, non un nemico.
Lui aveva perso una moglie e un figlio, ma Kim aveva perso un fratello e sua madre e ad un’età in cui se ne ha ancora un disperato bisogno.
Dopo l’abbandono e poi la morte di Kerry e di Jonathan il suo cuore si era come indurito, rimpicciolito, ma non era sparito, era ancora tutto lì e batteva, e non avrebbe retto la perdita di un figlio, non di un altro. E la solitudine. Per questo non riusciva a smettere di piangere, perché suo figlio aveva ventun anni e rischiava di morire e lui non poteva fare nulla per impedirlo, esattamente come era stato con sua moglie e il piccolo Jon. Quindi, quando medici e infermieri gli permettevano di stare solo con lui, la maschera si fredda autorevolezza che si era meticolosamente costruito nel corso degli anni si sgretolava sotto il peso di quel nuovo dolore.

E il sole, a Summer Bay, continuava a brillare, l’oceano continuava nella sua danza sempre uguale, il cielo era sempre azzurro. La vita continuava a scorrere fuori dall’ospedale, solo Kim sembrava non volerne sapere di tornare a nuotare.

“Andiamo Kimberly, davvero vuoi lasciare tutto questo? Fuori c’è il sole, ora potresti essere su una tavola da surf, invece sei in un letto d’ospedale a dormire, perché non vuoi nemmeno piangerti addosso come un uomo. Dormi e non puoi nemmeno urlarmi di stare zitto.”

Ma neppure la promessa di una lite l’aveva fatto svegliare, perché la vita non era una soap opera e Kim dormiva da troppe settimane per essere ancora considerato bello, i lividi erano spariti così come l’abbronzatura e il tono dei muscoli. La mascherina del respiratore impediva persino potesse raderlo come si deve e i capelli si erano allungati ben oltre le orecchie.

“Sembri un selvaggio. O un hippie. Lo sai quanto odio gli hippie, ero uno di loro.”

Kim riaprì gli occhi una sera d’inizio primavera: fuori cadeva una pioggerellina fitta e sottile di quelle che raramente si vedono sulle spiagge del sud, ed alla fine era stata quell’anomalia a disturbare al punto il suo sonno da costringerlo ad aprire gli occhi.
Ma ci erano voluti giorni perché riuscisse di nuovo a parlare senza sentire la gola grattare come un motore arrugginito, giorni perché riuscisse nuovamente a stringere un bicchiere tra le dita per poter bere da solo. Aveva dormito per settimane eppure si sentiva esausto come un vecchio.

“Ti ho portato un succo di frutta visto che quelli dell’ospedale non ti piacciono.”

Barry si era preso tutte le ferie disponibili per potergli stare vicino, era arrivato persino a chiedere alcuni mesi di aspettativa. Kim aveva provato a prenderlo in giro, perché così facendo aveva macchiato il suo impeccabile curriculum, ma suo padre si era limitato a scuotere la testa e sorridere.

“Tu sei più importante.”

E Kim aveva davvero avuto voglia di piangere o di tirargli un pugno, perché aveva ventun anni e suo padre – per l’ennesima volta – lo faceva sentire un bambino stupido, gli aveva tolto tutte le parole. Aveva preso a tormentare il telecomando fingendo di non trovare un canale di suo gusto, perché la tv pomeridiana era davvero uno strazio per vecchie signore e casalinghe disperate.

“Sono diventato più vecchio di te, anche cambiare canale mi fa venire il fiatone, finirà che non potrò più nemmeno nuotare.”

“Non dire sciocchezze, con quei capelli non ti crede nessuno. Tra un paio di giorni comincerai a fare fisioterapia seriamente e a quel punto vedrai che tornerà tutto al suo posto.”

Kim sapeva che suo padre aveva ragione, ma non era sicuro di riuscire a credergli. Non era sicuro di averne la forza, soprattutto. Perché chi voleva prendere in giro? Aveva ventun anni ed era un ragazzino che aveva giocato a fare l’uomo di mondo solo perché gli era sempre stato fin troppo facile convincere una ragazza a seguirlo in camera da letto. E perché chi avrebbe mai potuto rifiutare un lavoro da istruttore ad uno come lui? Non era un ipocrita, sapeva di essere bello e sapeva che era quello l’unico motivo per il quale lavorava in palestra, perché era una buona pubblicità ed uno specchietto per le allodole, le ragazze si iscrivevano per poterlo avvicinare, i ragazzi per avere i suoi bicipiti. L’unica cosa che sapeva fare davvero, in cui era veramente bravo, era il nuoto. Ma aveva buttato via tutto e solo per far dispetto all’uomo che ora gli stava sbucciando una mela come non faceva più dai tempi in cui erano in quattro attorno ad un tavolo.

“Mangia, Kimberly, hai bisogno di mangiare cibo vero o fare la faccia seria non ti servirà a mettere insieme nessun pensiero decente.”

“Cibo vero? È una mela, questo è cibo sano. Quando potrò mangiare cibo vero tipo un hamburger?”

“Quando riuscirai a cambiare canale senza che ti venga il fiatone.”

Ci era voluto un altro mese perché la fisioterapia desse i risultati sperati e i muscoli riprendessero forma e tono. Non era ancora tornato quello di una volta, ma aveva l’oceano a disposizione per rimettersi in forma e l’estate a dargli la carica.
Aveva perso il lavoro, però. Entrambi i lavori, perché non aveva ancora abbastanza fiato per poter salvare qualcuno dalle onde e in palestra l’avevano ovviamente già rimpiazzato: era stato ridicolmente semplice perdere tutto.
Il vento del sud gli scompigliava i capelli ormai davvero troppo lunghi, ma non aveva voglia di tagliarli. Non aveva più davvero voglia di fare nulla e Barry ancora non aveva avuto nulla da obiettare: si chiedeva quando sarebbe successo, perché quell’impasse lo snervava quasi più dell’inattività dei primi giorni da miracolato.
Robbie e Tasha erano andati spesso a trovarlo, anche in ospedale, persino Zoe aveva avuto il coraggio di farsi vedere nonostante l’imbarazzo: Kim avrebbe tanto voluto poter dare la colpa a lei, ma la realtà era ci fosse un solo stupido in tutta quella storia, ed era lui stesso. Stupido e cieco, perché l’intera Baia aveva capito che Hayley non aveva occhi che per Scott, che lui era stato solo un ripiego, un momentaneo errore di giudizio. Ma c’era il bambino.
Kim guardava l’oceano e si lasciava accarezzare dal vento del sud e non riusciva a smettere di pensare a quel bambino non suo e a quanto gli mancasse. A quanto fosse anche grato fosse figlio di Scott, però, perché – nonostante la vergogna che quel pensiero gli procurava – alla fine era stato meglio così, poteva dirsi persino sollevato, suo padre aveva ragione: era un ragazzino lui stesso, non poteva fare da padre a qualcun altro. Non era pronto e non era in grado, ed era vero. L’aveva finalmente capito mentre dormiva e si lasciava cullare dal pianto di un uomo che era padre davvero, con i suoi pregi e difetti.

Erano in piena estate quando, dopo l’ennesima caduta dalla tavola da surf, suo padre lo aveva finalmente preso da parte: e Kim, nonostante tutto, se ne sentì quasi sollevato.
Era uscito dall’ospedale da più di un mese, aveva finito la fisioterapia e la terapia che i medici gli avevano consigliato - e suo padre costretto, ma non aveva avuto la forza di contraddirlo - di fare.
La dottoressa Armstrong-no-non-puoi-chiamarmi-Rachel era stata un colpo durissimo al suo ego, e non solo e non tanto perché aveva declinato persino divertita le sue avances, ma soprattutto perché lo aveva messo di fronte ad un’evidenza che si era sempre rifiutato di guardare: che non aveva idea di cosa fare della sua vita, che una prospettiva vera, in fondo, non l’aveva mai avuta. Ed era stato come un pugno allo stomaco: era costretto a dover dar ragione a suo padre su tutta la linea, era un fallimento ed un fallito. E, non era un pensiero che aiutava in circostanze come quella, con Barry che si sforzava di essere comprensivo e gentile e gli portava la limonata fredda.

“Kim, lo so che quello che è successo con Hayley è stato doloroso per te, credimi, lo capisco.”

“Lo so cosa vuoi dirmi, è inutile girarci attorno.”

“Sono solo preoccupato per te. Sei mio figlio e, per quanto ti piaccia credere il contrario, vorrei solo il meglio per te.”

Barry era teso come non lo aveva probabilmente mai visto. Lo ricordava agitato, nervoso, arrabbiato e persino furioso, ma mai con quella espressione. Sembrava stesse scollando a fatica le parole dalla lingua.

“Le sedute con la dottoressa Armstrong sono andate bene, giusto? Voglio dire, ti hanno aiutato.”

“Se vogliamo metterla così. Non mi ha voluto dare il suo numero.”

“Kim…”

“Lo so, lo so, stavo scherzando. Sì, le sedute sono andate bene, contento? Sono andate talmente bene che ora sono d’accordo con te su tutta la linea, sono un fallito senza prospettive. Ora lo so.”

“Kim, non dire sciocchezze, hai ventun anni e -”

“E non ho combinato niente. Se non mi avessi costretto tu a tornare a scuola ora non avrei nemmeno quello stupido diploma.”

“Ma ce l’hai e puoi metterlo a frutto. Sei ancora giovane, potresti ancora pensare all’università.”

“Papà, ti prego.” Non sapeva davvero se ridere o piangere, perché seriamente, pensare all’università con i voti che aveva sempre avuto? “Lo so che ti farebbe piacere vedermi ingegnere, ma non è una cosa che fa per me, non lo è mai stato. Non prendevo brutti voti solo per farti dispetto, credimi.”

“Potrebbe comunque essere un’opzione. Non devi decidere subito, ma pensaci, va bene? Ti chiedo solo questo.”

Il problema di Kim non era tanto non volesse pensarci, era l’avesse fatto anche troppo. E non era arrivato a nulla. Le uniche sicurezze avesse sempre avuto erano le sue braccia ed il fatto lo studio non fosse per lui, perché era onesto quando diceva i suoi voti non fossero stati una semplice provocazione a suo padre: non era in grado di rimanere seduto e concentrato su un libro, aveva bisogno di movimento.
Il problema di Kim era non ce la facesse più ad uscire di casa senza sentirsi soffocare, usciva sulla tavola in orari assurdi per evitare di incontrare chiunque potesse conoscere anche solo di vista, non voleva tornare alla vecchia routine, eppure non sapeva come spezzarla e prendere finalmente in mano il suo futuro. Se un futuro poteva ancora averlo. Si sentiva stanco, deluso, frustrato, disgustato da tutto e da se stesso soprattutto. Tutte le sue certezze si erano sbriciolate una dopo l’altra insieme al suo ego e la cosa peggiore era sapesse benissimo di non poter dare la colpa a nessuno, neppure a Scott e Hayley e alla loro felicità. Era lui che aveva reagito come un bambino che pesta i piedi ad un rifiuto, Hayley non aveva colpa se non si era innamorata di lui e gli aveva preferito un altro. Non era stata lei a mettergli una pasticca in gola, non era stato Scott a fargliela mandar giù con vodka e Margarita. Non era stato suo padre a fargli lasciare il club di nuoto o a fargli smettere di gareggiare, non era stata la dottoressa Armstrong a convincerlo che con un corpo come il suo si hanno tutte le porte aperte. Era solo colpa sua se si ritrovava a ventun anni senza stringere nulla tra le mani e senza la prospettiva di poterlo fare.

“Kim…”

Ed era colpa sua se non aveva filtri tra lingua e cervello e aveva finito per urlare tutto a quel padre che credeva di odiare e che invece era bravo ad abbracciarlo e provava solo a consolarlo.

“Non è troppo tardi Kim, non è mai troppo tardi. Lo so che ora non vedi via d’uscita, ma non è successo nulla di irreparabile.”

“Perché, perché sono ancora vivo?”

“Già, è un grosso punto di partenza. Sei vivo, non hai riportato danni permanenti, puoi ancora ricominciare. E non devi necessariamente farlo a Summer Bay.”

Barry continuava a stringerlo forte come non faceva più da troppi anni, gli parlava piano, dolcemente, come probabilmente non aveva mai fatto. E Kim non sapeva se esserne felice perché stava finalmente vivendo suo padre, o esserne spaventato, perché era ridotto tanto male da impietosire persino un uomo come Barry Hyde.

Avevano finito per parlare tutto il pomeriggio e tutta la sera e poi tutta la notte ancora. Avevano ordinato una pizza e guardato un film solo loro due e avevano parlato e parlato e parlato. Come due uomini, come padre e figlio. Kim si era sentito stupido una volta di più per essersi perso per tanti anni un uomo come suo padre, ma Barry lo aveva rassicurato dicendogli che era stato più stupido lui a rinunciare a serate come quella. E forse non è sempre vero che mal comune mezzo gaudio, ma in quella circostanza poteva anche andare.

Barry gli aveva parlato della sua famiglia, del ramo degli Hyde che era rimasto in Inghilterra e non voleva saperne di lasciare quell’isoletta umidiccia. Aveva un cugino, soprattutto, con il quale era rimasto sempre in contatto ed in ottimi rapporti, non di quelli che prevedono solo gli auguri di Natale o per le feste comandate, insomma. Si erano sentiti anche nei giorni successivi l’incidente di Kim e poi per i giorni seguenti ancora, si erano scambiati varie e-mail anche il giorno prima.

Kim onestamente non sapeva come fosse successo di preciso, ma era passato dal chiacchierare con suo padre in salotto dei cugini inglesi all’essere in Inghilterra per davvero. Il suo treno sarebbe arrivato nella stazione di Cambridge entro una decina di minuti e, nonostante il volo intercontinentale fino a Londra, ancora non riusciva a capire come avesse fatto suo padre a convincerlo. Ancora non riusciva a credere di aver abbandonato davvero l’Australia e tutto quello che conosceva, per cosa poi?

Una nuova prospettiva. Un punto di vista diverso. Un nuovo orizzonte.

Era abbastanza.

 

 

 

 

Ringraziamenti:

Come sempre un grazie va alla mia spingitrice ufficiale, prelettrice e motivatrice Callie_Stephanides, perchè è sempre divertente guardare la propria dignità che va ramengo con quella di qualcun altro.
Una menzione speciale a Sayuri, cara, dolce anima innocente che mi ha dato la sua benedizione quando la sinossi di una sua storia originale mi ha dato la scintilla per poter scrivere la robetta di cui sopra: perdonami.

   
 
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